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di Giuseppe Baiocchi del 23/08/2016

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Vorrei iniziare questo articolo rivolgendo una domanda al ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini chiedendogli se oggi sappiamo valorizzare il nostro patrimonio artistico.

L’italiano standard non si sente “cittadino” poiché dalla sua fondazione l’Italia ha un rapporto difficile con il concetto di cittadinanza. Forse per la mancanza di rivoluzioni non possediamo l’idea di una appartenenza biunivoca del territorio (noi apparteniamo al territorio e il territorio appartiene a noi). Non c’è l’idea di essere custodi, ovvero l’agire per chi verrà dopo di noi, come dicevano i nativi americani, oggi quasi del tutto annientati: “tutto questo non l’abbiamo ereditato dai nonni, ma l’abbiamo in prestito dai nipoti”.

Oggi nel nostro paese avviene la retorica “del petrolio d’Italia” inventata da Mario Pedini, ministro dei Beni Culturali divenuto noto per essere uscito sulle liste della P2. Se noi riflettiamo bene sul significato di petrolio, capiamo immediatamente che si tratta di un esempio inaccostabile con i nostri Beni Culturali. Il petrolio per dare energia deve bruciare, il petrolio è una sostanza nera che si trova sotto il terreno e che nessuno vede e soprattutto in genere nei paesi dove si cerca, sono presenti i concessionari che arricchiscono non i cittadini, ma un gruppo ristretto di persone. Tutto ciò può difatti rispecchiarsi con il patrimonio culturale in Italia. Sono, senza nasconderlo, molto critico verso l’attuale ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini.

[caption id="attachment_5690" align="aligncenter" width="1000"] Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del Turismo Dario Franceschini.[/caption] La riforma del Mibact è un cambiamento profondo che supera la contrapposizione ideologica tra tutela e valorizzazione”. Parlava così l’attuale ministro dei Beni Culturali nel 2014 dopo l’approvazione del consiglio dei ministri per il cosìdetto Art Bonus, ossia il decreto Cultura e Turismo. Vediamo di cosa si tratta.
Una riorganizzazione del sistema culturale italiano nel quale il contributo dei privati nella gestione e nella valorizzazione di siti e musei diventa di grande rilievo e per incentivare investimenti a coloro che si propongono come mecenati dell’arte il loro credito di imposta viene alleggerito fino al 65%.
Gli scopi della riforma sono molteplici, dall’ammodernamento della struttura del ministero, l’integrazione tra cultura e turismo, valorizzazione delle arti contemporanee, taglio delle figure dirigenziali e distinzione tra tutela e valorizzazione. La gestione di alcuni musei, venti dei quali (i più grandi) dotati di super Manager, vengono sottratti al controllo delle soprintendenze. Tra le altre cose quella dei musei gratis la prima domenica del mese. “Siamo riusciti a riportare l’attenzione per la cultura al centro delle scelte del governo e del dibattito del paese. L’obiettivo è quello di riavvicinare gli italiani al patrimonio culturale e questa per me è una cosa veramente di sinistra”.
Secondo il mio modesto parere Dario Franceschini si sta rivelando uno dei peggior ministri dei Beni Culturali che l’Italia ricordi, poiché nella riforma ha inserito le Soprintendenze sotto le Prefetture. Il Ministro ha dato il via allo smantellamento delle soprintendenze come le avevamo conosciute fino a ieri, attraverso l’istituzione di nuove commissioni regionali per il patrimonio culturale (art. 39 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), commissioni che di fatto scavalcano la soprintendenze in molti compiti. Più recentemente, accettando passivamente il decreto Madia del 2015, che ha alterato i rapporti tra prefetture e soprintendenze, Franceschini ha avvallato che quest’ultime fossero poste sotto il controllo delle prime, affidando così alle prefetture la direzione della tutele del patrimonio paesaggistico, erodendo ulteriormente il ruolo delle soprintendenze.
Poco tempo fa il Capo del governo Matteo Renzi ha scritto in un libro che soprintendente è la parola più brutta del vocabolario e che l’Arte deve dare solo emozione, di contro,  quando diventa storia dell’Arte è solo noia.
Questa riforma attua quel programma mettendo tutto sul piano della mercificazione e togliendo invece le armi alla tutela. Il soprintendente è una figura che non può e non deve essere sotto il controllo della prefettura, proprio perché soprintende.
La prefettura è quell’organo che decide se si fanno o non si fanno le grandi opere. Un esempio concreto: si può fare un autostrada in questa valle incontaminata? Il prefetto, risponde al governo e le Soprintendenze erano una garanzia poiché erano un potere autonomo che rispondeva alla scienza e alla coscienza.
Se si legano le mani alle soprintendenze si potrà fare ciò che si vuole al territorio: nuove mani sul territorio, nuove mani sulla città. Scelta ancora più agghiacciante è quella per cui il governo ha deciso che i consigli scientifici vengono nominati dagli enti locali e dal ministro. A Napoli sarebbero De Luca e De Magistris a nominare i membri del consiglio scientifico di Capodimonte. In nessun paese occidentale la scienza viene lottizzata dal governo con il manuale Cencelli. “Io lo trovo non di sinistra, ma sinistro” per riusare le parole di un grande storico dell’arte come Tomaso Montanari.
Inoltre, concetto fondamentale è quello della valorizzazione che avanza e si differenzia rispetto alla tutela. Per fare chiarezza: in precedenza sotto la tutela del Bene vi era la sua valorizzazione. Oggi si tende più a valorizzare (con spostamenti e altre operazioni) che a tutelare l’integrità del bene stesso.
Se prendiamo Pompei la sua rinascita di oggi si deve senza alcun dubbio dal governo di Enrico Letta, poichè Massimo Osanna (soprintendente di Pompei) fu nominato da Massimo Bray. Matteo Renzi cerca ancora una volta di fare il “taglianastri” appropriandosi di lavori di governi passati.
[caption id="attachment_5694" align="aligncenter" width="1000"] E' stata 'fredda' e velocissima la stretta di mano tra Enrico Letta e Matteo Renzi nella cerimonia di passaggio delle consegne con la campanella Roma 22 febbraio 2014. [/caption] In parlamento è presente una legge, la quale  prevede che le opere d’arte per uscire dall’Italia non passino più per gli uffici di esportazione delle soprintendenze, ma passino attraverso una autocertificazione di valore. Si autocertifica che un opera valga meno di un quantitativo. Una volta stabilito ciò si può portare all’estero, e solo successivamente la sua fuoriuscita si fanno dei controlli a campione.
Qualora la autocertificazione non fosse corretta, la sanzione è irrilevante: si tratta di una multa, ma una volta che l’opera si trova in un caveau di un paradiso fiscale, questa non si potrà più recuperare, come sanno bene i carabinieri del nucleo di tutela che cercano di salvare il salvabile.
Si rischia molto, anche qui, in nome del mercato. Si pensa che il mercato si autoregoli, ma in Italia si è detto ancora per tempo che la proprietà privata non è un diritto assoluto. Massimo Severo Giannini grande giurista e politico italiano asseriva: “la tela e i colori sono di proprietà privata, ma il fatto che sia un Caravaggio appartiene a tutti gli italiani” c’è una super proprietà collettiva di tutti gli italiani.
Un esempio che lascia perplessi è l’installazione inguardabile allo Spedale degli Innocenti a Firenze di Filippo Brunelleschi. Lo Spedale è il primo spazio urbano del Rinascimento, è il primo luogo dove la grammatica e i vocaboli architettonici vengono riusati in un modo che Brunelleschi ripensava l’antico riadattandolo in nuove forme originali, il germe della città moderna. Generazioni di architetti si sono idealmente “inginocchiati” di fronte a questo manufatto. Le nuove porte del museo degli innocenti lasciano basiti: due enormi porte in ottone con un carattere scultoreo che alterano una delle architetture più belle e più sacre del mondo. Bisogna, in questo paese, riavere il diritto di osservare le bellezze artistiche e architettoniche come sono nella loro naturale essenza. Allora la mia domanda viene spontanea: la generazione dei geometri che ha creato delle periferie orrende non dovrebbe piuttosto impegnarsi nel redimerle le periferie, invece che immettere ancora bruttezza in luoghi del cuore di tutti gli italiani?
[caption id="attachment_5693" align="aligncenter" width="1203"] Lo Spedale degli Innocenti - (spedale deriva dall'antico dialetto fiorentino) - ("ospedale dei bambini abbandonati", col nome che si ispira all'episodio biblico della Strage degli Innocenti) si trova in piazza Santissima Annunziata a Firenze.[/caption]
Come si può arrivare ad applicare una porta di ottone allo Spedale degli innocenti? Chi risponde? Questo studio architettonico di Firenze (che non citerò) con committenza al museo, ha avuto una soprintendenza che in questo caso non ha funzionato; riprendendo Montanelli “le soprintendenze le paghiamo per dire di NO, se ci dicono si che le paghiamo a fare?”.
L’architettura per inserire installazioni moderne forzate non può distruggere l’antico, ma deve dedicarsi (soprattutto ora) a rendere più belle le parti nuove delle città che sono diventate brutte.
Il no in questo momento è l’unica prospettiva più sicura del sì. Se si viaggia per le coste italiane, noi tutti vorremmo che le sovraintendenze e i cittadini direbbero più sì o più no al cemento? Questo paese è stato sfigurato più dai sì o più dai no? Questo è un paese di cortigiani, è un paese educato a dire sempre di sì ai poteri forti, a chi arrivava con il libretto degli assegni in mano.
Io credo sia importante, invece, dire di NO e passare giustamente da gufo. Perché chi è il gufo? Si sente dire impropriamente "gufo" o "gufi" con l'inerenza di essere disfattisti o portar male, ma i più forse non sanno che Gufo, è semplicemente: "colui che vede chiaro nella notte". Dunque semmai il contrario: gufo è colui che vede cose che possono esistere e sono nascoste, sono velate dall'apparenza. Finchè la partitocrazia continuerà ad usare sloagan come per gli ultimi tre governi non eletti dal popolo italiano, la strada è molto in salita. Bisogna, invece, riflettere su Sì a che cosa e sul NO a che cosa. La retorica sì/no è sempre sbagliata. Alla speculazione io direi di no, francamente.
Come sono stato contrario allo spostamento dei Bronzi di Riace ad Expò 2016. Molti asseriscono che questa, appunto, operazione sarebbe stata un’occasione per mostrare al “mondo” le splendide sculture bronzee, che di contro sono poco viste. Io rispondo che in un paese come questo non ha senso considerare il meridione come un corpo morto da cui estrarre organi pregiati per portarli altrove.
La sfida vera di questo paese è fare la Salerno/Reggio-Calabria non portare in giro i bronzi di Riace. Bisogna mettere i cittadini italiani (e non), in grado di arrivare a Reggio Calabria, ma non si può immaginare che la soluzione sia portare le opere fuori città o fuori Regione. Tutti li hanno visti una volta nella vita, sui propri libri scolastici, non hanno bisogno di marketing hanno bisogno di una strada per arrivarci, hanno bisogno di alberghi dove dormire. Hanno bisogno di strutture, ma l’idea semplicistica che tutto si risolva muovendo le opere è sbagliato. Sono i cittadini che si devono muovere. 
Nel caso liturgico, l’opera d’arte non deve essere esposta come un feticcio in un luogo che non gli appartiene. I quadri di altare, ad esempio, sono concepiti per l’uomo in preghiera, nasce per un contesto vivo, non per un museo astratto.
Bisogna, oggi, camminare il patrimonio, camminare le città e non andare negli ambienti scuri dei musei con un “faretto che ci illumina” un quadro fuori contesto.
Per concludere una facile base di partenza sarebbe quella di dare l’accesso gratuito a tutti i musei italiani. Dobbiamo capire che la gestione odierna dei musei non funziona poiché i più importanti sono in mano ai privati che ne prendono tutto o quasi il guadagno. I musei italiani statali rendono ogni anno 150000000 di euro. 50000000 di questi, sono destinati ai concessionari privati e 100000000 euro sono un po’ pochi, se ci pensiamo due soli giorni di spesa militare. Siamo sicuri che sia un affare? Se si facesse entrare le persone gratis nei musei – come avviene nel resto di Europa – ci sarebbe un economia dettata dal movimento delle persone: l’economia del patrimonio non è il biglietto.
Altro elemento per risollevare le sorti di questa disciplina sarebbe l’introduzione della storia dell’arte in tutte le scuole fin dalle elementari per imparare la storia dell’arte come una lingua viva e insegnare l’italiano ai nuovi italiani che arrivano sulle barche e sulle nostre coste tramite soprattutto i nostri monumenti. L’Italia si è costruita tramite la lingua delle parole e la lingua dei monumenti e entrambi oggi devono continuare a dialogare insieme: lì siamo diventati nazione e lì possiamo ridiventarlo.
 
Bibliografia
_Tomaso Montanari, Patrimonio Culturale, ripartire dall’ABC – i corsivi del Corriere della Sera
_Tomaso Montanari, Privati del patrimonio – Edizioni Einaudi
_Tomaso Montanari, le pietre e il popolo – Edizioni Minimum fax
_Salvatore Settis, Se Venezia muore – Edizioni Einaudi
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di Giuseppe Baiocchi del 04/07/2016

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L’eclissi della memoria incombe su tutti noi, minaccia la convivialità civile, insidia il futuro, toglie respiro al presente. La città è la forma ideale e tipica delle comunità umane, l’Italia oggi deve esserne il simbolo supremo, ma se oggi il nostro paese dovesse venire meno bisogna cercare solo in noi stessi: nei politici, nei cittadini e nei tecnici, poiché oggi stiamo perdendo (lentamente, ma inesorabilmente) la memoria della nostra cultura, diventando ostili a noi stessi.  

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di Paolo Cartechini del 20/03/2016

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Lo zapping compulsivo mi porta ad esplorare mondi televisivi che molto spesso oserei definire incredibili e sconvolgenti. Nel bel mezzo di questo rituale serale, durante la trasmissione di Fabio Fazio, “che tempo che fa”, mi è capitato di ascoltare le parole dell ex Presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi, che discuteva sul passato politico italiano ed in particolare della successione di esecutivi durante la legisletura tra il 1996 e il 2001 in cui fu uno dei protagonisti. Egli disse che fu un errore non andare alle elezioni subito dopo la caduta del suo governo (non facendo mistero delle sue perplessità che nutriva riguardo i suoi successori). Ora, lungi da me giudicare un governo su ciò che fa in questa sede, vorrei puntare l attenzione su una frase detta da Prodi e da altri in altre sedi e circostanze e cioè “Governo eletto dal popolo” oppure “Presidente del Consiglio eletto dal popolo”.