15 Giu Shakespeare e il paradosso dell’identità. A mo’ di prologo
[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Cesare Catà del 15/06/2016
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[caption id="attachment_2301" align="aligncenter" width="1384"] Riccardo II Plantageneto[/caption]
“Fermo, nella Marca, tra i Monti Sibillini e il Mare Adriatico, venerdì 14 febbraio dell’anno 2015, il giorno di San Valentino”
Se mi concentro, il ricordo più antico che riesco a pescare nella mia memoria è quello di un bambino che mi fissa, mirandomi da un mondo lontanissimo in cui avevo la sensazione di essere già stato, ma al quale non potevo assolutamente ritornare. Mi ci volle del tempo per capire che quel bambino che mi fissava non era qualcun altro: ero io stesso e che quel posto strano, misterioso che vedevo intorno al bambino di fronte a me, non era affatto un regno perduto, bensì il mondo in cui mi trovavo ad abitare, la mia camera. La teoria lacania-na dello stadio dello specchio, di cui avrei letto una quindicina d’anni dopo, mi avrebbe spiegato che, nella formazione psichica del fanciullo, questa è una fase tipica e strutturale, nella quale il soggetto, di solito tra i 6 e i 18 mesi di vita, realizza che il riflesso nello specchio è il suo: che “quello” è proprio lui.