22 Feb L’irrealtà reale del Barone Bagge
[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern" css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Giuseppe Baiocchi del 22/02/2018[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1511360625245{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]Pubblicato da Adelphi, “il barone Bagge” fa parte del lascito del poco noto scrittore austriaco vissuto nel 900, il crepuscolare Lernet-Holenia. Quale l’elemento che balza agli occhi? Giovanissimo, si arruola volontario nel IX reggimento dragoni nel primo conflitto mondiale, l’abisso che sconvolse l’Europa e dal quale non si riprese mai più del tutto.
Lo scrittore austro-ungarico attinge a piene mani da questo bacino d’esperienza per poi costruire le sue trame narrative, i suoi racconti.
Edito nel 1936, il romanzo, che si esaurisce in una ottantina di pagine, ha una intensità di lettura sicuramente fuori dal comune, cattura il lettore per trascinarlo in modo potente nella sua trama.
1915: il IX battaglione dei Dragoni austriaci si trova in Russia con il compito di depotenziare l’esercito dello Zar, una delle potenze storiche che, con la Grande Guerra, avrebbe concluso la sua parabola storica.
Il Barone Bagge, giovane tenente e rampollo della nobiltà austriaca, partecipa a questa particolare missione ed è agli ordini del carismatico e folle capitano Semler, fin da subito un individuo che trasmette instabilità e incapacità tattico-gestionale, pari alla sua sfrenata ambizione.
Sul confine russo, la compagnia punta a Nord, nella pianura pannonica. L’obiettivo è risalire il confine russo (oggi Ucraina) fra crateri ormai spenti e pantani gelati. Scopo dell’operazione è quello di rilevare le posizioni russe, senza ingaggiare nessun combattimento ed attestarsi nella cittadina di Nagy-Mihaly. Giunti in prossimità di un ponte sul fiume Ondava, il capitano, preso dalla boria e disobbedendo agli ordini ricevuti, lancia alla carica i suoi centoventi uomini contro le postazioni russe.
“Dopo un breve tratto la strada svoltava di nuovo a destra; ora si andava in linea retta verso est. Poco più in là ci sorse davanti un lungo terrapieno, basso e uniforme. Era l’argine interamente innevato dell’Ondava, che scorreva a livello più alto della pianura; e improvvisamente, a pochi metri da noi, vedemmo il ponte, con le rade case del paesello di Hor sparse sulla sinistra. In quel momento Semler ordinò il galoppo; lo squadrone, sciolto ogni freno, sfrecciò innanzi di colpo, e quasi nel medesimo istante ci raggiunsero frontalmente, echeggiando smorzate nella bufera, delle salve di fucileria. Udii il trombettiere dare il segnale di carica, e con gli uomini piegati sui colli degli animali, le lame delle lunghe, moderne sciabole inglesi tese in avanti, l’intera massa a cavallo si precipitò di gran carriera e in pochi attimi superò la sommità del terrapieno che conduceva al ponte. Vidi tre o quattro dragoni sparire dalle selle, come soffiati via o cancellati, e anche stramazzare alcuni cavalli. Tutt’intorno neve, pezzi di ghiaccio e ciottoli si sollevavano mulinando; due ciottoli mi colpirono. Uno, risonando squillante, mi batté sull’elmetto, vicino alla tempia, l’altro mi colpi alla sinistra del petto, vicino alla spalla. Meno male, pensai, che non sono scoppiettate! Già il ponte rumoreggiava sotto di noi, e vidi che l’avamposto russo di guardia giaceva a terra. Di fronte, a poche centinaia di passi, si scorgeva il paese di Vaserely, che fin allora ci era stato nascosto dall’argine e da cui sciamavano stormi di russi in fuga, che in parte andavano a fermarsi all’estremità del paese, in parte, dopo aver corso ancora un tratto, si gettavano a terra nei campi e aprivano il fuoco su di noi. Ma per loro era già troppo tardi. Passato il ponte di slancio ci spiegammo subito, a gruppi e a frotte disordinate, su una specie di fronte, travolgemmo coi cavalli gli avversari, di cui alcuni ci correvano ancora incontro mentre altri balzavan su e scappavano, e dopo aver divorato in circa mezzo minuto la distanza che ci separava dal paese, piombammo sulle prime case facendo strage di russi e ricacciando i rimanenti dentro il villaggio, dove gettarono le armi e si arresero”.
Vi è qui una prima conclusione del racconto, essendo il romanzo suddivisibile in due parti antitetiche e speculari, come nella nostra esistenza lo sono la vita e la morte.
Questo squadrone lanciato all’attacco suicida attraversando il ponte sull’Ondava riceve il fuoco dell’artiglieria russa. Arrivati a questo punto il racconto conosce una pausa ritmica che non attiene solo alla narrazione, ma che coinvolge lo stesso spazio e tempo, elementi che troveranno uno scopo, sempre labile, solamente nel finale.
Imperante è la compenetrazione tra le due dimensioni, sì che non è possibile scinderle. Sogno e realtà acquisiscono la stessa consistenza, sono specchio di se stesse.
Questo evento si correla in maniera strettissima alla natura umana, espressa in termini di ambiguità, come il binomio vita-morte, che per l’autore sono concetti relativi. La stravaganza narrativa è paradossale e semplicissima poiché tocca la psiche umana in riferimento al concepire soggettivamente la propria e l’altrui vita: siamo abituati a chiamare morte ciò che per altri è vita, e siamo soliti chiamare sogno ciò che per altri è realtà.
Proseguendo con il racconto, Bagge si riprende dalla caduta da cavallo, data dall’uccisione del suo animale e scopre che in apparenza il reggimento russo è distrutto e disperso, e la carica ha avuto successo, ma l’impressione che “qualcosa non vada” si sente nell’aria. In primo luogo nei compagni che lo circondano, taciturni, glabri, spenti di quell’ardore cavalleresco che li contraddistingueva.
Altro elemento è la ricerca, quasi spasmodica, del capitano Semler, intenzionato ad andare oltre il ponte e continuare la ricerca, senza avere più veri ordini. Riprendo dal testo questa bellissima sfumatura:
“Da quel momento continuammo a cavalcare per altri tre giorni e per alcune ore del quarto giorno. (…) Lo strato di nubi che teneva nascosto il cielo e occultava la vista delle montagne poco più in alto del fondovalle, s’incupiva sempre maggiormente, e si mutò alla fine in una specie di nebbia nerastra nella quale, più che marciare, andavamo tastoni”.
Dunque, con una buona dose surrealista, il viaggio prosegue spedito verso la cittadina russa di Nagy-Mihaly che viene raggiunta senza incontrare né il nemico né nessuna opposizione.
La piccola cittadina, oggi facente parte della attuale Slovacchia, si presenta stracolma di persone in festa dando un’accoglienza calorosa al battaglione che entra trionfante. L’unico ad avere perplessità è sempre il nostro protagonista che trova certamente impensabile un’accoglienza del genere da una popolazione nemica in territorio di guerra!
Suoni, contesto, paesaggio che circondano la città sono sempre esternamente ovattati, nebbiosi, poco distinti.
Invitato ad un ballo in maschera nella festa del paese, il tenente trova i paesani travestiti da soldati con uniformi ingiallite dal tempo, trattenendo il lettore sempre in una sorta di stupore. Anche una piccola storia d’amore con una donna, Charlotte, sembra inverosimile poiché la donna afferma di amarlo e aspettare il suo ritorno da sempre, ma Bagge si innamora di lei e le dichiara anche lui il suo amore.
Altro piccolo dettaglio: nella festa a Charlotte cade un ventaglio su cui è impressa una poesia emblematica di Stéphane Mallarmé: “mentre essa sta davanti allo specchio, ad ogni battito del ventaglio lo specchio s’illumina e ogni volta qualche granello d’invisibile cenere si riversa sul cristallo”.
Prima di fare chiarezza sul suo amore Bagge deve obbedire all’ennesimo eccesso del capitano Semler: si deve proseguire con l’esplorazione per trovare il nemico. Nonostante le controversie il battaglione si rimette in marcia.
Nel suo saluto a Charlotte, Bagge capisce chiaramente che questo per lui è un addio. Qui incontriamo un altro elemento importante in Lernet-Holenia: non ci può essere posto per l’amore quando si è svuotati completamente dalla mancanza di valori e ideali, quando non si ha più uno scopo nella vita.
In realtà, come poi scopriamo, tutto il villaggio non è altro che una sorta di “limbo” dove le anime, morte nella violenza del conflitto, aspettano l’ultimo passaggio verso l’aldilà.
L’anima di Charlotte scambia in realtà Bagge per il suo amato defunto in guerra, ma nello stesso tempo, l’anima di Bagge non può rimanere con lei, poiché egli è ancora vivo.
Il libro, intriso degli spiriti cavallereschi già scomparsi ai tempi della stesura del romanzo, restituisce quell’atmosfera decadente che caratterizza proprio il suo sguardo sul mondo: una realtà spazzata via, come la morte dei valori divini che l’uomo aveva tramandato da secoli: la lealtà, il valore, l’onore, il crollo di tutto ciò in cui quest’uomo aveva creduto, viene spazzato via nel 1918 appena due anni dopo “il barone Bagge” lasciando posto allo spirito della nuova epoca. In questa stretta relazione la morte di tutti i suoi compagni sta a significare, appunto, proprio la fine degli ideali, una conclusione che Lernet-Holenia come il tenente Bagge non accetta subito e che si trascina questo peso nell’anima ancora per un po’. Crede che gli altri siano ancora vivi, come quel mondo che non c’è più. Poiché la tragica scoperta che sta per fare il personaggio è proprio che cavalca, si muove, dialoga con elementi che oramai sono della terra d’ombra: sono morti. L’avvenimento viene descritto in maniera epocale e bellissima:
“Ed ecco mostrarsi all’improvviso sulla strada davanti a noi un gran bagliore metallico, e avvicinandomi mi resi conto che veniva da un ponte che scavalcava il fiume in quel punto. Un fragore formidabile, come di cascate di vetro alte fino al cielo, e un vapore iridescente come d’acque bollenti veniva su dall’abisso. Ma il ponte stesso era rivestito di lamiere di metallo che rilucevano come oro. Sì, era proprio oro quello di cui il ponte era coperto. “Volete, volete passare il ponte?” urlai nel fragore delle cascate. “Si”, risposero tutti, e le loro voci rimbombarono come un coro di campane. Ma io no, io non vengo con voi, non voglio passare dall’altra parte, non voglio, dev’essere tutto un sogno, ma io voglio svegliarmi - e mi svegliai”.
Bagge di colpo, allora, si risveglia gravemente ferito sul teatro della schermaglia campale ed è ferito da due colpi di arma da fuoco, creduti inizialmente pietre. Il battaglione è annientato e lui rimane l’unico sopravvissuto. Perderà ancora una volta la coscienza, ma vivrà e nell’ospedale ungherese dove verrà portato, avrà modo di riflette su questo stato di pre-morte che lo ha colto, è come risvegliarsi in una nuova epoca e di non sentirsi più a proprio agio, come del resto avvertirà già nel sogno dopo lo scontro a fuoco.
Concludendo con le pagine di questo bellissimo racconto, la parola torna al narratore che “svela” di facto quello che era accaduto: “Bagge aveva percorso il cammino di nove giorni della morte, così come è prefigurato nei miti, s'era spinto verso il paese del sogno, verso nord, fino al ponte di Hor, o di Har, là dov'è la via di Hel, degli Inferi, fino al ponte d'oro che porta nell'irrevocabile da cui nessuno torna. Lui solo era riuscito a volger le spalle, ed era tornato indietro. Poiché, se qualcuno - così è detto - volge le spalle sulla via della morte, egli farà ritorno”.