27 Giu Il passaggio al bosco di Leone Ginzburg
[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern" css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Giuseppe Baiocchi del 27/06/2017[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1474113371863{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]“Il Ribelle è il singolo, l'uomo concreto che agisce nel caso concreto. Per sapere che cosa sia giusto, non gli servono teorie, né leggi escogitate da qualche giurista di partito. Il Ribelle attinge alle fonti della moralità ancora non disperse nei canali delle istituzioni. Qui, purché in lui sopravviva qualche purezza, tutto diventa semplice".
Vorrei iniziare questo articolo riprendendo il noto Trattato del Ribelle del filosofo tedesco Ernst Jünger e avvicinandolo, se possibile, all’antifascista Leone Ginzburg.
Può essere considerato un ribelle? Questa è la domanda che mi sono posto e che voglio porre raccontando questo letterato. Perché Ginzburg, nato ad Odessa nella Russia zarista (oggi Ucraina), ha nella sua ordinarietà la sua straordinarietà “molto umana”.
[caption id="attachment_6059" align="aligncenter" width="1000"] Leone Ginzburg Odessa, 4 aprile 1909 – Roma, 5 febbraio 1944. E' stato un letterato e antifascista italiano.[/caption]
Nella grande battaglia della storia e della cultura del novecento Leone è “gettato” nei reali accadimenti.
La scelta, come per Ernst Jünger, è quella di appartenere al mondo degli eroi, realtà che fa da contro-altare alla dimensione di quella normalità che il letterato si sforzava di portare avanti come un buon padre di famiglia.
Il meno eroico degli eroici non dal punto di vista dell’etica, non dal comportamento, ma dal punto di vista dello stile. Riprendendo il sopra citato Trattato del ribelle di Jünger, il suo dire NO al giuramento di fedeltà al regime che veniva richiesto ai docenti universitari, fa entrare Ginzburg come una figura intellettualmente Ribelle, perché libera di operare la propria scelta, la propria convinzione. Nel 1931 saranno solo 12 su 1225, i docenti “ribelli” di un regime, che soprattutto nel primo decennio era considerato da tutti un modello all’avanguardia come sistema politico ed era una creazione tutta italiana, la quale era stata importata in molti paesi Europei.
Basta osservare le folle, per farci capire come il consenso sia stato vero e soprattutto storico, ma mai Leone ha avuto esitazioni nel suo dissentire le teorie fasciste anche, appunto, al culmine di popolarità della rivoluzione fascista, poi sfociata in regime.
Dunque già finito il liceo avviene in Leone una opposizione naturale che per riprendere le parole di Jünger possiamo citare come “la libertà del singolo che passa al bosco”, in cui il singolo (sotto il regime) non pensa autonomamente ed eticamente, ma è totalmente disciplinato dalle logiche dell’anonimo impersonale Sì, per cui pensa come si pensa, vive come si vive, produce come si produce e cioè permeato totalmente dalla impersonalità anonima ed autoreferenziale del singolo.
“Passare al bosco” allora, cioè la prima condizione per essere ribelli, significa abbandonare questo mare del conformismo e della manipolazione organizzata.
Nato da situazioni complicate e divenuto uomo sotto il regime fascista, la sua è stata una vita piena, vissuta nell’ombra, ricca di piccoli episodi cospirativi. Ha vissuto il carcere, ha vissuto il confino e durante la resistenza non ha neanche avuto modo di imbracciare un fucile: era un uomo di lettere.
E’ tra il gruppo storico degli intellettuali di area socialista e radical-liberale che collaborarono alla nascita della casa Editrice Einaudi, ma se nel gruppo dei fondatori Giulio Einaudi era l'anima imprenditoriale, si può dire che Leone Ginzburg fu, di fatto, il primo direttore editoriale della casa editrice. Vicino all'eredità gobettiana e al liberalismo radicale, Ginzburg intendeva tutte le sue attività (lo studioso, l'editore, il traduttore, il militante politico) come una missione.
[caption id="attachment_6067" align="aligncenter" width="1035"] Da sinistra a destra: Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Franco Antonicelli e Carlo Frassinelli.[/caption]
Non era un “eroe” del nostro immaginario collettivo, ma come per Marc Bloch, “uomini comuni in circostanze non comuni” riprendendo un aforisma sui giacobini di Robert Darnton (storico statunitense della rivoluzione francese).
Fu tra i primi in Italia ad aderire al movimento "Giustizia e Libertà". Fu per questo arrestato nel 1934 in seguito alla segnalazione dello scrittore Dino Segre (membro dell’OVRA) e condannato a quattro anni di carcere.
Questo dettaglio ci lascia immaginare come il fascismo per essere un regime totalitario era abbastanza morbido rispetto alle realtà parallele portoghesi, spagnole e tedesche e deve essere contestualizzato nel suo periodo storico e non certamente oggi, nell’epoca della democrazia (“pax romana”) dove ovviamente risulta tutto enormemente deprecabile. Altro concetto non da poco è la comprensione di come sotto il fascismo era molto facile (senza prove) essere accusato da un membro che aveva la tessera, rispetto ad uno dei pochi cittadini italiani che non la possedevano.
Il ricatto era dunque usato dal regime per tenere sotto-scacco tutta una classe dirigente, ma il nostro letterato non si piega e verrà rilasciato solo nel 1936 in seguito a un'amnistia dove proseguì la sua attività letteraria e di antifascista.
Il suo spirito di ribellione pacato, ma imperturbabile ci richiama ancora ad un verso del Trattato del Ribelle del filosofo tedesco: “Chiamiamo invece Ribelle chi nel corso degli eventi si è ritrovato isolato, senza patria, per vedersi infine consegnato all'annientamento. Ma questo potrebbe essere il destino di molti, forse di tutti – perciò dobbiamo aggiungere qualcosa alla definizione: il Ribelle è deciso ad opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata. Ribelle è dunque colui che ha un profondo, nativo rapporto con la libertà, il che si esprime oggi nell'intenzione di contrapporsi all'automatismo e nel rifiuto di trarne la conseguenza etica, che è il fatalismo”.
Nel 1938 sposò Natalia Levi (meglio nota come Natalia Ginzburg), dalla quale ebbe tre figli: Carlo divenuto noto storico, Andrea divenuto un economista, e Alessandra psicanalista di rilievo.
[caption id="attachment_6062" align="aligncenter" width="1000"] Leone Ginzburg e Natalia Levi[/caption]
Le scelte prese da Ginzburg non possono essere considerate comuni, ma il fine “comune” invece è quello di voler mettere ordine in un mondo dove la necessità dell’eroe era sempre più richiesta, di contro egli auspicava il suo vissuto in una società della pace e del benessere. Gli uomini come Leone hanno intravisto, nel massimo momento della catastrofe, un vissuto facile e lieto. Non sarà vero nello specifico per il ragionamento di quel preciso momento da parte del letterato, ma può essere vero in generale per gli uomini e le donne che hanno combattuto la guerra civile. Tutti gli schieramenti: Repubblica di Salò, Movimento Partigiano e Monarchia, tutti hanno intravisto un orizzonte roseo in quel momento tragico. Quell’orizzonte siamo noi nel bene e nel male. Viviamo in quello stesso mondo, che poi è uscito dal più grande suicidio Europeo.
La scelta che farà, sarà quella di dire sempre una serie di NO e di mantenere un enorme rigore: gli atti che segneranno la sua vita di ribelle, saranno il NO al giuramento e il NO che lui disse in Via Tasso ai nazisti che lo interrogavano, fino a farlo morire sotto le torture.
[caption id="attachment_6063" align="aligncenter" width="1065"] Ernst Junger insieme a Carl Schmitt nel 1940.[/caption]
Sandro Pertini (anche lui prigioniero) ancora ricorda quando lo incrociò nel carcere (ala a gestione tedesca) di Regina Coeli: “Guai a noi, se in futuro odieremo l’intero popolo tedesco” gli disse. Ma questa necessità di distinguere tra nazisti e tedeschi Leone Ginzburg la argomentò in alcuni numeri di “Italia Libera” giornale romano clandestino che dirigeva nella capitale e proprio a causa del quale fu arrestato nel momento proprio più duro, più aspro e più feroce della lotta. Tedeschi, appunto, non nazisti - tedeschi come il filosofo di Heidelberg che insieme alla Wehrmacht a guida prussiana partecipò all'operazione Valchiria finita male. Tenne fermo a questo discernimento intellettuale. Tutto questo non per instaurare un mondo corollato, un mondo epico, ma per installare un mondo della prosa, un mondo della normalità.
Guerra e pace, la migliore traduzione ancor oggi che si trova per il capolavoro di Tolstoj, fu scritta in confino mentre avveniva la cruenta battaglia di Stalingrado che rovesciò le sorti della guerra. Nel mentre possiamo immaginare le difficoltà di Leone nello scrivere l’introduzione, la revisione e la traduzione del testo con le vicissitudini gigantesche, ciclopiche che avvenivano in Europa.
Ginzburg distingue tra uomini della storia e uomini della vita e la lezione del letterato che proviene dal romanzo (sia attraverso i personaggi noti, che le comparse) è stato proprio quella di preparare il mondo della prosa, della quale poi si lamenterà concependo come “tempo migliore” proprio gli anni della gioventù e del dinamismo, quali: confini di polizia, interrogatori, vite stroncate, leggi razziali, bombardamenti, guerre, torture ed è forse questa la vera lezione che ci ha lasciato il novecento.
Il tema sospeso della narrativa del 900 (l’eroe) sempre ricercato dagli autori più disparati forse con Ginzburg finalmente si placa. Egli per tutto il tempo del fascismo corregge bozze e questa modalità fa sì, che si possa scorgere dietro questo personaggio un “fare pace” con il tempo nostro, che costantemente ricerca la figura del super-uomo di Friedirich Nietzsche.
L’intellettuale che rifiuta continuamente tutti i vantaggi, tutti i compromessi, tutte le comodità che il suo stato gli conferiva. Vantaggi che ancora oggi gli intellettuali posseggono ed accettano quando si trovano ad operare.
Da questo punto di vista la figura rimane strana, diversa e attraverso una temporalità che non si può conoscere arriva dritta fino al mito.
In “Storia notturna” del figlio Carlo Ginzburg si commenta come l’origine di tutti i racconti ci sia il viaggio nel mondo dei morti e se pensiamo alle circostanze della sua vita (non poteva firmare con il proprio nome per le leggi razziali del 1938) soprattutto legate al ruolo “molto velato” della gestione della casa editrice Einaudi, possiamo capire come la sua identità apparteneva ad un uomo che “è stato via”, non necessariamente nel mondo dei morti, ma come se fosse celato dalla realtà che lo accompagnava.
Leone Ginzburg non era sotto i riflettori: sia per scelta e sia per possibilità, ma rimane affascinante e ribelle per questo: il fascismo era un regime dei riflettori, un movimento totalitario che dava popolarità a tutti gli intellettuali che avevano sposato la causa, ma anche a quelli che non si opponevano (si veda Longanesi).
Il compromesso faceva vivere abbastanza nell’agio “intellettuale” gli scrittori e i giornalisti, come d'altronde oggi non è necessario fare grandissimi compromessi per rimanere “a galla”. Il nostro letterato, invece, è quello che per tutta la vita è stato Via, è straordinario perché si oppone al compromesso nell’epoca del totalitarismo. Si oppone al destino dell’uomo comune, vivendo una vita con pochi soldi, poche soddisfazioni, con pochissime capacità anche nell’agire: si pensi alla sua vita cospirativa che rispetto a quella del francese Bloch non ha paragoni. Ma nella sua modestia è straordinariamente eroico ed eticamente commuovente proprio perché ha accettato di essere in un luogo modesto, ed il fondamento della sua persona è il suo essere velato, il suo vivere nell’ombra, elemento oggi divenuto impossibile (se non a pochi grandi) nel contesto intellettuale.
Il suo non essere in vista, il suo “essere via”, tra “i morti viventi” che lo collocano storicamente fra i dissidenti del regime nel momento storico in cui il fascismo sembrava non dover finire mai (poiché Gitzburg, non è tra quelli che rompono con il fascismo negli ultimi anni) lo rendono tanto più eroico, quanto i suoi No fin dalla prima ora.
Dunque non si può che concludere questo articolo con un ultimo tratto del Trattato del Ribelle: “Il Ribelle deve possedere due qualità. Non si lascia imporre la legge da nessuna forma di potere superiore né con i mezzi della propaganda né con la forza. Il Ribelle inoltre è molto determinato a difendersi non soltanto usando tecniche e idee del suo tempo, ma anche mantenendo vivo il contatto con quei poteri che, superiori alle forze temporali, non si esauriscono mai in puro movimento”.
Per approfondimenti:
_Antonio Scurati, Il tempo migliore della nostra vita - Edizioni Bompiani
_Ernst Jünger, Il trattato del ribelle - Edizioni Adelphi, piccola biblioteca
_Lev Tolstoj, Guerra e pace - Edizioni Einaudi - traduzione di Leone Ginzburg
_Goetz Helmut, Il giuramento rifiutato_I docenti Universitari e il Regime Fascista - La nuova Italia Milano 2000
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