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di Giuseppe Baiocchi del 16/07/2016

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Per noi, che stiamo vivendo dentro gli effetti di un processo di globalizzazione più complesso e contraddittorio di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, il tema che questo architetto porta con se è di particolare interesse.
Dimitris Pikionis (1887/1968) opera e indaga il fenomeno urbano nelle sue più profonde dinamiche, in anni in cui si afferma il primato della sociologia, del funzionalismo e della standardizzazione. Per questo è inizialmente considerato anacronistico.

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di Armando Marozzi del 01/07/2016

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Il libro di Federico Nicolaci si inserisce in una letteratura eurocritica che è lievitata negli ultimi tempi in maniera esponenziale. Mi limiterò ad individuare quello che, a mio modesto giudizio, è il nucleo del testo per poi cercare di inscrivere il lavoro nell’epoca delle passioni tristi (Miguel Benasayag – Gérard Schmit) di cui siamo coatti abitatori.
Il nucleo del testo è il seguente: le cause della crisi apparentemente tecnico-finanziarie non possono essere risolto tecnicamente. In altri termini, la crisi dell’euro non è tecnico-economica, perché non ha nulla di tecnico e non può essere aggiustata tecnicamente; al contrario essa investe l’idea stessa del progetto europeo come questo fu pensato, minando i suoi fondamentali. Le fondamenta del progetto sono inconsistenti e la crisi non ha tardato a manifestare la totale assenza di solidarietà tra popoli.
Mi trovo, personalmente assai d’accordo con ciò ed anche con un’altra traccia del lavoro di Nicolaci: non essendo l’Europa un progetto europeo, bensì originariamente americano creato ad hoc per contenere l’espansionismo sovietico, venendo meno l’Urss, essa ha liberato i sentimenti di inimicizia sospesi dalla Guerra Fredda. Perciò, giustamente, Nicolaci afferma che non è seguito un necessario ripensamento di questa identità politica etero-determinata e a ciò viene ascritta la crisi odierna. Il funzionalismo (cooperazione a livello materiale) alla base del progetto europeo, insomma, ha fallito. L’Europa è un “tempio vuoto”: “una facciata dietro cui si nasconde il nulla”. Manca un’unione politica al posto di quella monetaria e l’unico modo per produrla è creare una solidarietà in grado di generare solidità. In sintesi, Nicolaci invoca il ripensamento dell’idea del processo di integrazione e il dominio politico delle forze economiche; un’economia a servizio della politica.

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di Federico Sergio Nicolaci del 02/04/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471009199054{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]Sono atterrato a Creta in pieno agosto, il mese forse peggiore per visitare l’isola dove è nata Europa: ogni giorno, infatti, giganteschi aerei riversano nei due aeroporti internazionali dell’isola migliaia di turisti in maglietta e bermuda, ansiosi di lasciarsi alle spalle il pallore del Nord Europa e immergersi nel sole della più meridionale delle grandi isole del Mediterraneo.

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di Lucia Ambrosio del 16/03/2016

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Chi ha fatto degli studi classici la pietra angolare della propria cultura personale, scolastica o accademica, certamente ricorderà il mito di Europa, figlia del re fenicio Agenore e prima regina di Creta, consacrata al mito greco per la sua liaison con Zeus, se così può definirsi la violenza di cui essa fu oggetto per mano del Dio degli Dei.
Dalla privilegiata, seppur sfortunata, fanciulla ha tratto il nome il nostro Vecchio Continente, e da questo a sua volta l’Unione Europea, che ad oggi costituisce, se non altro in via formale, il più completo e realizzato esempio di organizzazione politica ed economica, fondata sugli insindacabili valori enunciati nei primi articoli del suo statuto[1]: libertà, dignità, democrazia, stato di diritto e rispetto dei diritti umani. Una grande vittoria, se teniamo a mente gli infelici trascorsi della principessa greca[2]. O forse no.
La crisi del debito sovrano che negli ultimi sei anni si è diffusa a macchia d’olio in tutta l’Unione Europea ci ha abituati a riconoscere ed accettare situazioni che prima d’ora erano considerate a dir poco fantascientifiche: per esempio, il fatto che stati tradizionalmente inseriti in contesti democratici di integrazione politica ed economica potessero rischiare di fallire come aziende insolventi, oppure che il circolo vizioso “austerità imposta dall’alto – piani di salvataggio” potesse imporsi come uno standard sempre valido e giustificato, senza alcuna considerazione del particolarismo politico e delle specifiche prerogative dei diversi stati. La situazione in Grecia è inarrestabilmente degenerata di anno in anno, tra il crollo progressivo degli indicatori economici e alcune modeste illusioni di ripresa, tra recessione e stasi.