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di Francesco Di Turi del 01/08/2016

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Diceva Hegel che l’ovvio, proprio perché tale, resta sempre non conosciuto poiché assunto come mero dato senza pensarlo. Se nelle cose della filosofia quasi sempre ciò che è ovvio è anche fragwürdig, ossia «degno di essere domandato»; nei suoiarcana, questo stesso ovvio diventa das Fragwürdigste, «la cosa fra tutte che è più degna di domanda». E cosa c’è di più ovvio sul piano storico di affermare che l’uscita da un conflitto qual è stato la Seconda Guerra Mondiale sia stata un’uscita con conseguenze profonde per tutta l’Europa e non certo solo per la Germania? Quindi, proprio perché cosa ovvia e proprio perché prendiamo sul serio Hegel, c’è da chiedersi se siamo davvero sicuri di aver già meditato a sufficienza cosa è stato per l’Europa lo scontro tra le tre ideologie più potenti della storia: il liberalismo-democratico, il comunismo e il fascismo-nazionalsocialismo. Tre ideologie legate a doppio filo al senso stesso della filosofia occidentale la quale si pone nei loro confronti come madre.

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di Armando Marozzi del 01/07/2016

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Il libro di Federico Nicolaci si inserisce in una letteratura eurocritica che è lievitata negli ultimi tempi in maniera esponenziale. Mi limiterò ad individuare quello che, a mio modesto giudizio, è il nucleo del testo per poi cercare di inscrivere il lavoro nell’epoca delle passioni tristi (Miguel Benasayag – Gérard Schmit) di cui siamo coatti abitatori.
Il nucleo del testo è il seguente: le cause della crisi apparentemente tecnico-finanziarie non possono essere risolto tecnicamente. In altri termini, la crisi dell’euro non è tecnico-economica, perché non ha nulla di tecnico e non può essere aggiustata tecnicamente; al contrario essa investe l’idea stessa del progetto europeo come questo fu pensato, minando i suoi fondamentali. Le fondamenta del progetto sono inconsistenti e la crisi non ha tardato a manifestare la totale assenza di solidarietà tra popoli.
Mi trovo, personalmente assai d’accordo con ciò ed anche con un’altra traccia del lavoro di Nicolaci: non essendo l’Europa un progetto europeo, bensì originariamente americano creato ad hoc per contenere l’espansionismo sovietico, venendo meno l’Urss, essa ha liberato i sentimenti di inimicizia sospesi dalla Guerra Fredda. Perciò, giustamente, Nicolaci afferma che non è seguito un necessario ripensamento di questa identità politica etero-determinata e a ciò viene ascritta la crisi odierna. Il funzionalismo (cooperazione a livello materiale) alla base del progetto europeo, insomma, ha fallito. L’Europa è un “tempio vuoto”: “una facciata dietro cui si nasconde il nulla”. Manca un’unione politica al posto di quella monetaria e l’unico modo per produrla è creare una solidarietà in grado di generare solidità. In sintesi, Nicolaci invoca il ripensamento dell’idea del processo di integrazione e il dominio politico delle forze economiche; un’economia a servizio della politica.

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di Francesco Di Turi del 30/06/2016

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Europa, uno spazio culturale che per storia e convenzione attribuiamo all’«occidente»; anzi, che questo stesso occidente fonda.
L’Europa, uno pseudo-continente che agli occhi di un cinese deve sembrare soltanto e a ragione una modesta appendice dell’Asia, sembra ormai incapace di capire e vivere gli elementi accennati in conclusione dell’ultimo articolo, in positivo e in negativo.

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di Francesco Di Turi del 30/06/2016

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Quando si parla di “storicità” un termine che riprendiamo da Heidegger, intendiamo nient’altro che la concentrazione attiva e sempre operante di tutte le esperienze che forgiano un determinato popolo, uno specifico individuo nella sua irripetibile unicità, o una particolare comunità religiosa. Essa è cosa diversa dalla mera «storia» di ognuno di essi. É per questo che nei contributi pubblicati si usa questo termine in alcuni contesti. Lo «storia di un popolo», infatti, così come il suo studio, è solo un passato messo a disposizione di ognuno, o per intrattenere la curiosità di qualche studioso, o perché si accresca qualche nozione e conoscenza astratta sulle vicende di quel determinato popolo. La «storicità di un popolo», al contrario, non è mai declinabile come «studio», non è qualcosa che possiamo maneggiare con le nostre mani e le nostre menti; essa è carne viva, agisce al di là di ogni volontà di manipolazione e non ha nulla a che vedere con la conoscenza, la cultura o il sapere; è, semmai, un fenomeno che sempre accompagna le individualità e le comunità. Verso di essa ciò che conta non si valuta sul piano della conoscenza bensì su quello dell’adesione o meno al senso di questa «storicità».

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di Francesco Di Turi del 30/06/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471008976824{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]Quello di «Califfo» è un titolo di valenza politico-religiosa. La sua forma teologico-politica ha una lunga storia che affonda le proprie radici al sorgere stesso della religione islamica nell’anno 622 d.C., l’anno dell’hijra, cioè del trasferimento forzoso da Mecca a Medina da parte del Profeta Muhammad, il Messaggero e Capo dell’Islam, uno degli uomini più influenti della storia la cui esperienza di vita è stata intrinsecamente religiosa, mistica, politica, legislativa e militare.

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di Francesco Di Turi del 30/06/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1701915795475{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]Il non-luogo più adatto da cui prendere le mosse e concentrare tutta l’attenzione è il fuoco ad oggi più italocentrico della questione euromediterranea, la Libia. Dall’attualità libica delineiamo l’intera questione nel suo senso generale; dal senso generale si getterà luce sulla situazione libica andando ben oltre quell’attualità senza per questo perderla di vista.

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di Dario Neglia del 25/05/2016

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Agli inizi degli anni’50 può quindi dirsi che l’Italia aveva in gran parte compiuto quel cammino di “ritorno” nella vita politica internazionale.
In fondo, a paragonare la posizione raggiunta dal paese con quella occupata all’indomani dell’8 settembre 1943, il risultato era notevole: l’Italia aveva beneficiato dell’ERP, era stata membro originario del Patto Atlantico, era entrata altresì nel Consiglio d’Europa in quello stesso 1949, ed infine si era stabilizzata anche in chiave interna con le elezioni dell’aprile 1948.
Restavano ancora aperte solo due grandi questioni: la prima, quella dell’ingresso all’ONU, che si sarebbe risolta nel 1955; e la seconda, più grave, pressante e bruciante, la piaga aperta della Questione Triestina.
Sulla città di San Giusto la congiuntura del sistema politico internazionale parve accanirsi oltremodo. Come ha scritto De Castro, autore di un opera monumentale, forse la più importante sull’argomento:
 
Al problema di Trieste furono sempre precedenti, contemporanee o successive varie altre questioni, di solito molto importanti per i difficili equilibri internazionali che implicavano. Trieste servì come moneta di scambio, come spauracchio, come causa di remore, come anello di una difesa, come pomo della discordia, come tutto quanto essa non era o non avrebbe voluto, né dovuto essere. L’Italia, per la quale la questione giuliana, prima, e la triestina, poi, furono il maggior problema del dopoguerra, dovette sempre destreggiarsi cercando di parare i colpi che venivano a danneggiare la questione stessa, rimbalzando da altre situazioni internazionali .
 
Fu la guerra fredda, in poche parole, ad insinuarsi di continuo nelle maglie del problema triestino, elevando la contesa Italia-Jugoslavia al livello dello scontro bipolare Stati Uniti-Unione Sovietica e viepiù riflettendo i toni di quest’ultimo, ora di flebile compromesso, ora di contrapposizione aperta.
Per ironia della sorte, benché i toni cambiassero, l’unica parte danneggiata restava sempre la stessa: l’Italia.
Bisogna dire apertis verbis che la condotta statunitense in questo dossier non fu per nulla onorevole. Tutte le vicende che ruotarono intorno al problema del TLT, in sede di Conferenza di pace, lasciarono gli italiani e De Gasperi – per tacere di Tarchiani – con l’impressione di essere stati traditi da Washington. Gli Stati Uniti erano il principale patronus dell’Italia a livello internazionale e di certo avevano una particolare responsabilità nella vicenda; ma considerando il tutto da un altro punto di vista, si può dire che forse gli italiani peccarono un po’ di ingenuità.
Ancora una volta nelle parole di De Castro, questo rapporto ambivalente viene sintetizzato in modo perfetto:
Tutto ci portava verso gli Stati Uniti e tanto ci portava che, vedendo la buona accoglienza, poggiammo subito su di loro, senza renderci conto, altrettanto subito, che noi eravamo, per gli Stati Uniti stessi, uno dei pezzi della scacchiera internazionale, un pezzo di un certo valore — diciamo un alfiere, un cavallo — mentre il nostro problema numero uno, la nostra regina nei problemi scacchistici postbellici, la Venezia Giulia, era per loro soltanto una delle tante pedine, che bisognava giocare per salvare altri pezzi che, nel loro gioco erano i principali […] .
Le vicende relative alla sorte di Trieste si risolsero nella prima parte degli anni’50, ma una premessa fondamentale era stata posta pochi anni addietro: un comunicato ufficiale, rilasciato appena prima delle elezioni politiche italiane del 1948, la cosiddetta Dichiarazione Tripartita.

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di Federico Sergio Nicolaci del 10/04/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471004138991{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]Giornalisti, intellettuali, ben pensanti: mi rivolgo a voi, che con la foga dei missionari avete sostenuto, giustificato e plaudito gli «interventi umanitari» contro la Libia di Gheddafi, l'Iraq di Saddam Hussein, la Siria di Assad, consegnando le loro terre al caos e alla furia di tagliagole iperfondamentalisti: voi che avete ricoperto le pagine dei giornali con le menzogne del potere, lasciandovi ancora una volta prendervi in giro, chiedo a voi, sacerdoti del bene universale: come potete pensare oggi di lavarvi la coscienza gridando ai quattro venti gli strali della vostra indignazione per gli innocenti che sono morti mentre fuggivano dalle conseguenze di scelte politiche che ieri avete applaudito e giustificato? Dovreste vergognarvi!

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di Federico Sergio Nicolaci del 02/04/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471009199054{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]Sono atterrato a Creta in pieno agosto, il mese forse peggiore per visitare l’isola dove è nata Europa: ogni giorno, infatti, giganteschi aerei riversano nei due aeroporti internazionali dell’isola migliaia di turisti in maglietta e bermuda, ansiosi di lasciarsi alle spalle il pallore del Nord Europa e immergersi nel sole della più meridionale delle grandi isole del Mediterraneo.

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di Marco Clementi e Paolo Carpi del 19/11/2016

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Intervista andata in Onda sul TG1 ieri alle 20.00 al presidente Siriano Bashar al-Assad da parte dei due inviati.