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Esistenza tormentosa e agitata fu quella di Iginio Ugo Tarchetti, scrittore nato a San Salvatore Monferrato nel 1839 e morto prematuramente di tifo a Milano nel 1869. Una vita segnata dalla malattia, la tisi o tubercolosi polmonare, ma anche dalla passione romantica: decise infatti di aggiungere al suo nome quello di Ugo in onore del Foscolo. Nella sua breve vita ci ha lasciato una manciata di racconti, per lo più postumi, e una serie di romanzi, dei quali il più famoso rimane Fosca, pubblicato nel 1869 dall’amico Salvatore Farina, che scrisse anche il capitolo XLVIII, seguendo le indicazioni fornite a voce dallo scrittore ormai morente.

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di Davide Quaresima del 19/06/2016

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Si può iniziare a parlare di Impero Austro-Ungarico dal 1867, ossia dal famoso “compromesso” che la dinasta asburgica fece con il gruppo etnico più solido e coeso fra tutti quelli sotto il suo dominio, ossia quello magiaro. Come mai è opportuno fare questo tipo di precisazione? Perché la storia dell’Impero, che da questo momento avrà come simbolo un’aquila a due teste per rappresentare il suo sistema bicefalo, sarà sempre accompagnata da problemi cronici, che lo costringeranno di volta in volta a siglare accordi e trattati per il mantenimento dello status quo sul territorio. Status quo da mantenere anche a costo di repressioni violente che lasceranno un profondo odio nei cuori della propria multietnica popolazione, fino alla sua caduta giunta dopo la Prima Guerra Mondiale nel 1918.

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di Giuseppe Baiocchi del 16/06/2016

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Tutta la ricerca pittorica e il pensiero di Magritte sembrano essere condizionati da un shock in adolescenza: aver visto la madre annegata, tirata fuori dal fiume e non aver potute vederne il volto, ma il corpo e la testa coperti da un lenzuolo. E' evidente che se in chiave freudiana lui pensa a quel momento lo riproduce anche quando racconta una cosa diversa (è chiaro che nell'amore il riferimento alla madre c'è sempre) c'è un edipismo naturale e quindi si può pensare che la madre ritorni anche qui, dove noi vediamo un bacio. E' il bacio di un epoca, in cui fra gli esseri umani c'è un impossibilità di comunicare. Qualche anno dopo Antonioni (il registra) farà dell'incomunicabilità la sua poetica.  

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Questo è l'antefatto: siamo nel 1928 e da qualche anno Magritte aderisce al surrealismo, ultimo movimento d'avanguardia del 1924. Gli Amanti sono dipinti male, non possiamo considerarlo un buon dipinto (come gran parte dell'arte moderna), ma è molto chiaro e perfino didascalico e Magritte dice guardando il suo interlocutore: "i miei occhi hanno visto il pensiero per la prima volta" e possiamo dire che Magritte è un pittore che non dipinge la realtà, ma i pensieri degli uomini e i sogni degli uomini e tra l'altro dice anche: "c'è un interesse nel ciò che è nascosto e in ciò che il visibile non ci mostra" quindi è chiaro che qui c'è qualcosa che è nascosto: sono un uomo con la cravatta e una donna che si baciano nel pensiero di baciarsi.   10314611_574361446012311_8313801046666786040_n
Ma questo è il punto di arrivo di una serie di opere che è interessante vedere: Il Bacio di Hayez dove nel quadro romantico del 1859 (un attimo prima che Hayez diventasse il pittore dell'unità d'Italia) rappresenta un'Italia di due amanti che producono un modello che è quello dello Stil Novo, quello di Dante e Beatrice, ma anche in questo caso l'amore è così forte, che inconsapevolmente e non per una ragione di pensiero o filosofica non si vedono i volti: i due si baciano e in qualche modo il bacio diventa un fatto interiore.  
10313037_574361769345612_3371002097200841837_n   Passa qualche anno e dal bacio di Hayez passiamo al Bacio di Klimt: anche qui siamo un'attimo prima di qualcosa, del futurismo, delle avanguardie (1907/1908, il futurismo nasce nel 1909) e qui non c'è avanguardia, c'è un mondo bizantino che rinasce, c'è il mosaico e l'idea di questi corpi che sono uniti in questo motivo decorativo, non hanno profondità, si vedono appena le gambe e anche in questo caso il volto di lei è quasi esibito come il sacrificio e il viso maschile non si vede.
Arrivando a pochi anni fa un autore d'avanguardia Maurizio Cattelan (che ha fatto molte cose divertenti e discutibili), con il marmo di Carrara ha creato una scultura in cui la morte domina la nostra mente (alluvioni, stragi, terremoti, guerre) dunque vi sono dei corpi, coperti da un sudario: in questo caso l'opera resiste al tempo perchè l'ha realizzata in marmo di Carrara e non è più idea, ma diventa corpo e il corpo del divenire non è altro che quello dell'opera d'arte e il corpo reale non si vede, ma lo intuisci e quindi in qualche misura questa opera di Cattelan è figlia di quella di Magritte e rappresenta qualcosa che sta dietro alla realtà: tutto il surrealismo è in realtà questo, perchè quando noi sogniamo, mentre nella realtà le nostre azioni sono determinate dalla ragione (quindi so quello che farò, so dove andrò) il sogno mi prende e non sopporta imperativo. Ci sono alcuni verbi come amare, non puoi ordinare ad uno di amarti, sognare (non puoi ordinare di farlo) però quel sogno ti prende ed è più forte di te: ed è come se questo bacio degli Amanti di Magritte avesse la caratteristica di un bacio sognato di cui il pittore rappresenta non quello che la realtà è, ma quello che può accadere contro la sua stessa volontà.

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern" css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Danilo Serra del 12/06/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470862794747{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]

La dignità dell’uomo, tutto il suo merito, tutto il suo dovere consiste in questo: l’uomo deve pensare. Lo scriveva con chiarezza l’elegante Pascal, specie nell’ultimo anno della sua vita. La malattia lo aveva trasformato, piegandolo e costringendolo al dolore ed alla sofferenza. Fu probabilmente un tumore allo stomaco a condurlo alla morte il 19 agosto del 1662, a soli 39 anni. «Che Dio non mi abbandoni mai!», sarebbero state le sue ultime parole. Fino alla fine, fino all’ultimo battito, Pascal cercava di spronare sé e gli altri, senza mai cadere in esitazioni o perplessità: l’uomo è chiaramente fatto per pensare. La via del pensiero è l’unica in grado di innalzarlo verso cime sempre più estasianti. Il principio che muove la morale consiste nell’impegno arduo a ben pensare. Ma a cosa pensa la gente? Pensa mai alla propria condizione? Pensa la gente alla propria vita?

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di Giuseppe Baiocchi del 27/05/2016

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Oggi vi parlerò di un architetto che è considerato un grande erede dell’esperienza classica, un uomo che si è sempre battuto contro ogni cedimento alle nuove forme di naturalismo dello Jugendstil e riprende con forza la direzione della conoscenza dell’identità delle cose e della costruzione come rappresentazione di tale identità. Adolf Loos, personaggio in merito al quale questa associazione, attraverso la sua rivista Das Andere, è stata fondata.

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di Dario Neglia del 25/05/2016

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Agli inizi degli anni’50 può quindi dirsi che l’Italia aveva in gran parte compiuto quel cammino di “ritorno” nella vita politica internazionale.
In fondo, a paragonare la posizione raggiunta dal paese con quella occupata all’indomani dell’8 settembre 1943, il risultato era notevole: l’Italia aveva beneficiato dell’ERP, era stata membro originario del Patto Atlantico, era entrata altresì nel Consiglio d’Europa in quello stesso 1949, ed infine si era stabilizzata anche in chiave interna con le elezioni dell’aprile 1948.
Restavano ancora aperte solo due grandi questioni: la prima, quella dell’ingresso all’ONU, che si sarebbe risolta nel 1955; e la seconda, più grave, pressante e bruciante, la piaga aperta della Questione Triestina.
Sulla città di San Giusto la congiuntura del sistema politico internazionale parve accanirsi oltremodo. Come ha scritto De Castro, autore di un opera monumentale, forse la più importante sull’argomento:
 
Al problema di Trieste furono sempre precedenti, contemporanee o successive varie altre questioni, di solito molto importanti per i difficili equilibri internazionali che implicavano. Trieste servì come moneta di scambio, come spauracchio, come causa di remore, come anello di una difesa, come pomo della discordia, come tutto quanto essa non era o non avrebbe voluto, né dovuto essere. L’Italia, per la quale la questione giuliana, prima, e la triestina, poi, furono il maggior problema del dopoguerra, dovette sempre destreggiarsi cercando di parare i colpi che venivano a danneggiare la questione stessa, rimbalzando da altre situazioni internazionali .
 
Fu la guerra fredda, in poche parole, ad insinuarsi di continuo nelle maglie del problema triestino, elevando la contesa Italia-Jugoslavia al livello dello scontro bipolare Stati Uniti-Unione Sovietica e viepiù riflettendo i toni di quest’ultimo, ora di flebile compromesso, ora di contrapposizione aperta.
Per ironia della sorte, benché i toni cambiassero, l’unica parte danneggiata restava sempre la stessa: l’Italia.
Bisogna dire apertis verbis che la condotta statunitense in questo dossier non fu per nulla onorevole. Tutte le vicende che ruotarono intorno al problema del TLT, in sede di Conferenza di pace, lasciarono gli italiani e De Gasperi – per tacere di Tarchiani – con l’impressione di essere stati traditi da Washington. Gli Stati Uniti erano il principale patronus dell’Italia a livello internazionale e di certo avevano una particolare responsabilità nella vicenda; ma considerando il tutto da un altro punto di vista, si può dire che forse gli italiani peccarono un po’ di ingenuità.
Ancora una volta nelle parole di De Castro, questo rapporto ambivalente viene sintetizzato in modo perfetto:
Tutto ci portava verso gli Stati Uniti e tanto ci portava che, vedendo la buona accoglienza, poggiammo subito su di loro, senza renderci conto, altrettanto subito, che noi eravamo, per gli Stati Uniti stessi, uno dei pezzi della scacchiera internazionale, un pezzo di un certo valore — diciamo un alfiere, un cavallo — mentre il nostro problema numero uno, la nostra regina nei problemi scacchistici postbellici, la Venezia Giulia, era per loro soltanto una delle tante pedine, che bisognava giocare per salvare altri pezzi che, nel loro gioco erano i principali […] .
Le vicende relative alla sorte di Trieste si risolsero nella prima parte degli anni’50, ma una premessa fondamentale era stata posta pochi anni addietro: un comunicato ufficiale, rilasciato appena prima delle elezioni politiche italiane del 1948, la cosiddetta Dichiarazione Tripartita.

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di Riccardo Pizi del 28/04/2016

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Alla luce (anzi all’ombra, visto che i media sono ben lontani dal parlarne) di quanto sta accadendo in Ucraina, un interrogativo mi perseguita: perché questo conflitto? Cosa spinge il popolo Russo e quello Ucraino ad odiarsi così visceralmente al punto da farsi una guerra atroce?

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di Federico Sergio Nicolaci del 10/04/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471004138991{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]Giornalisti, intellettuali, ben pensanti: mi rivolgo a voi, che con la foga dei missionari avete sostenuto, giustificato e plaudito gli «interventi umanitari» contro la Libia di Gheddafi, l'Iraq di Saddam Hussein, la Siria di Assad, consegnando le loro terre al caos e alla furia di tagliagole iperfondamentalisti: voi che avete ricoperto le pagine dei giornali con le menzogne del potere, lasciandovi ancora una volta prendervi in giro, chiedo a voi, sacerdoti del bene universale: come potete pensare oggi di lavarvi la coscienza gridando ai quattro venti gli strali della vostra indignazione per gli innocenti che sono morti mentre fuggivano dalle conseguenze di scelte politiche che ieri avete applaudito e giustificato? Dovreste vergognarvi!

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di Federico Sergio Nicolaci del 02/04/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471009199054{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]Sono atterrato a Creta in pieno agosto, il mese forse peggiore per visitare l’isola dove è nata Europa: ogni giorno, infatti, giganteschi aerei riversano nei due aeroporti internazionali dell’isola migliaia di turisti in maglietta e bermuda, ansiosi di lasciarsi alle spalle il pallore del Nord Europa e immergersi nel sole della più meridionale delle grandi isole del Mediterraneo.

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di Paolo Cartechini del 20/03/2016

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Lo zapping compulsivo mi porta ad esplorare mondi televisivi che molto spesso oserei definire incredibili e sconvolgenti. Nel bel mezzo di questo rituale serale, durante la trasmissione di Fabio Fazio, “che tempo che fa”, mi è capitato di ascoltare le parole dell ex Presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi, che discuteva sul passato politico italiano ed in particolare della successione di esecutivi durante la legisletura tra il 1996 e il 2001 in cui fu uno dei protagonisti. Egli disse che fu un errore non andare alle elezioni subito dopo la caduta del suo governo (non facendo mistero delle sue perplessità che nutriva riguardo i suoi successori). Ora, lungi da me giudicare un governo su ciò che fa in questa sede, vorrei puntare l attenzione su una frase detta da Prodi e da altri in altre sedi e circostanze e cioè “Governo eletto dal popolo” oppure “Presidente del Consiglio eletto dal popolo”.