27 Set Chi erano le Brigate Rosse
[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern" css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Davide Quaresima del 27/09/2016
[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1702304936829{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]Uno dei periodi più tormentati e tesi della recente storia repubblicana del nostro paese: i famosissimi Anni di Piombo. Videro l’emergere di un movimento terroristico di estrema sinistra dal nome Brigate Rosse. Loro compito era quello di scatenare e guidare la rivoluzione proletaria per scardinare completamente il “dominio” delle multinazionali, in particolare di quelle statunitensi, piantatesi in Italia nel dopoguerra e portare infine a compimento il processo di liberazione nazionale avviato, dal loro punto di vista, durante la Seconda Guerra Mondiale dai partigiani e mai conclusosi definitivamente per molti esponenti della sinistra del periodo.
I primi fermenti rivoluzionari sorsero nei numerosi circoli intorno alle università e alle fabbriche italiane alla fine degli anni ’60. In quei luoghi si discuteva degli avvenimenti più importanti del periodo come la Rivoluzione Culturale di Mao in Cina o delle imprese di Guevara e Castro in Sud America (e anche dei loro esiti fallimentari). Il tutto alimentato da un pieno di illusioni, speranze e voglia di fare da parte di molti giovani che coincise poi con il ’68.
E’ veramente difficile muoversi nella miriade di movimenti, organizzazioni e associazioni che sorsero in quegli anni, ma, quasi con certezza, si possono ricondurre le radici delle BR ad uno di essi, il CPM (Collettivo Politico Metropolitano). Quest’ultimo, nel 1970, decise di dare una svolta a quelle che erano solo parole. Nei primi mesi dello stesso anno iniziarono a circolare a Milano, nel quartiere Lorenteggio, dei volantini con su scritto “Brigata Rossa”.
Ufficialmente la nascita delle Brigate Rosse (a seguito delle conferme di alcuni ex-militanti) risalirebbe all’agosto del ’70 quando alcuni esponenti dell’estremismo di sinistra provenienti dell’Università di Trento (tra i quali i più famosi Renato Curcio e Margherita Cagol) e alcuni operai e impiegati delle fabbriche milanesi Sit-Siemens e Pirelli, si riunirono a Pecorile, in provincia di Reggio Emilia, per decidere di passare oltre la semplice propaganda e gettarsi sulla lotta armata con la quale, poi, accelerare definitivamente la caduta dell’imperialismo straniero.
Sostanzialmente, tre sono le fasi che caratterizzarono l’attività delle brigate rosse:
• La prima va dal 1970 al 1974 e viene definita di “propaganda armata”, contraddistintasi per attentati dimostrativi e per qualche sequestro;
• La seconda, invece, può esser considerata la più “famosa” e terribile, in quanto gli attacchi vennero diretti proprio contro il “cuore dello Stato”, e va dal 1974 al 1980.
• Infine, abbiamo la fase di divisione e dissoluzione, tra il 1981 e il 1988.
Il vero e proprio momento di svolta può esser ricercato in un biennio, quello tra il 1974-76, in cui molti esponenti delle prime Brigate Rosse vennero arrestati o uccisi.
Fu un momento di importante transizione che vide passare la gestione dell’organizzazione a nuove figure, tra le quali spiccava Mario Moretti, molto più intransigenti e spietati. Da questo momento si inizieranno a notare cambiamenti importanti, in particolar modo riguardo le azioni svolte (il raggio d’azione si amplierà sensibilmente) e la loro strutturazione/esecuzione diventò molto cruenta e puntuale.
[caption id="attachment_6200" align="aligncenter" width="1000"] Maggio 1974, capi delle Brigate Rosse - da sinistra a destra: Piero Morlacchi, Mario Moretti. Renato Curcio e Alfredo Bonavita.[/caption]
Come ho sostenuto in precedenza, gli anni ’60 e ’70 furono due decenni molto intensi e ricchi di avvenimenti nella storia del ‘900, e le Brigate Rosse non furono le sole ad agire nel mondo. Difatti, esse amavano ispirarsi ad altri movimenti ed organizzazioni del periodo come i Black Panthers, Che Guevara a Cuba ed in Bolivia e, in modo particolare, ai guerriglieri uruguayani Tupamaros, da cui “presero in prestito” anche il loro simbolo, la stella asimmetrica a cinque punte. Da loro le BR ebbero molto da apprendere.
Si parlava di lotta armata, o di esercito proletario, ma i primi morti (accidentali per giunta) arrivarono solo nel ’74. A morire furono due esponenti di destra, Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola, freddati dai brigatisti della colonna veneta.
[caption id="attachment_6201" align="aligncenter" width="1000"] 06/11/2015. Scritte a vernice spray, con falce e martello, nella notte in via Zabarella, sul luogo che ricorda i due militanti del Msi Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci uccisi dalle Br. Questo atto dimostra, ancora una volta, la forte diatriba ancor oggi fortemente radicata tra "destra" e "sinistra".[/caption]
Questo evento è, a mio parere, fondamentale per comprendere meglio le dinamiche contrastanti all’interno del movimento brigatista poiché il comitato nazionale delle BR ammonì i propri militanti del Veneto ribadendo che colpire gli esponenti filo-fascisti non era la priorità. L’obiettivo più importante da perseguire era l’attacco al cuore dello Stato. Comprendere la differenza è fondamentale. Oramai siamo di fronte ad un movimento rivoluzionario e clandestino, molto ben organizzato a livello nazionale (con varie colonne sparse per il paese), in grado di assumersi la responsabilità anche di molti morti (ne rivendicheranno in tutto 86) pur di colpire alle fondamenta l’obiettivo principale, lo Stato. Stiamo entrando in pieno negli anni di piombo.
Il periodo successivo sarà ricco di eventi. L’8 settembre 1974 vennero arrestati Renato Curcio ed Alberto Franceschini, due tra i massimi esponenti del movimento. L’azione condotta dai carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa inferse un colpo durissimo alle BR, ma allo stesso tempo consegnò, come ho già accennato in precedenza, la direzione dei brigatisti a Mario Moretti.
Moretti era fra gli esponenti più intransigenti; per lui la propaganda armata era solo una perdita di tempo. L’attacco al cuore dello Stato doveva essere effettuato immediatamente, ed in modo violento.
Nel ’75 Curcio fu liberato. Tra il ’75 ed il ’76 il numero delle vittime dei brigatisti crebbe sensibilmente. A cadere sotto i loro colpi furono tra gli altri il consigliere comunale della DC milanese Massimo De Carolis, il carabiniere Giovanni d'Alfonso, maresciallo Felice Maritano, l'appuntato di Polizia Antonio Niedda, il sostituto procuratore di Genova Francesco Coco (con lui furono uccisi anche i due agenti della scorta), il vice questore Francesco Cusano.
Abbiamo parlato del ruolo di Moretti. Nulla sarebbe stato possibile senza la morte di Margherita Cagol, compagna di Curcio, e il definitivo arresto di quest’ultimo nel 1976. Il “vertice storico” delle BR era oramai acqua passata, molti di coloro che avevano animato giovani studenti ed operai all’inizio degli anni ’70 erano morti o erano stati arrestati. La leadership di Mario Moretti era sempre più preponderante.
Dalle parole si doveva passare ai fatti. Le BR dovevano prendere una decisione nel breve termine. O si attaccava o si era attaccati. Lo Stato e tutti i suoi “servi” dovevano essere colpiti. Tra il ’78 e l’80 il numero di azioni, uccisioni, gambizzazioni e sequestri aumentò in modo esponenziale. I “vertici storici”, i veri teorici delle BR erano in carcere, e le nuove leve erano rappresentate da giovani che poco avevano a che fare con il primo movimento brigatista. Questo aspetto, sommato alla gestione Moretti e all’attività degli organi statali e di polizia sempre più tempestiva ci fa comprendere meglio il generale clima di instabilità e tensione.
Ma l’evento forse più conosciuto (e allo stesso tempo più ricco di aspetti oscuri e mai del tutto chiariti) che per sempre sarà legato nell’immaginario comune alle Brigate Rosse fu il sequestro e l’assassinio dell’On. Aldo Moro. Quest’ultimo fu rapito a Roma in Via Fani il 16 marzo 1978 mentre la sua scorta, composta da 5 uomini, fu eliminata completamente. Moro fu tenuto prigioniero per cinquantacinque giorni creando un vero e proprio caso mediatico. Non era il primo sequestro dei brigatisti, ma era un vero e proprio “colpo allo Stato”.
[caption id="attachment_6203" align="aligncenter" width="1000"] Il cadavere dell'onorevole Aldo Moro viene ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 di colore rossa, rubata il 2 marzo 1978 all'imprenditore Filippo Bartoli nel quartiere Prati.[/caption]
Moro, presidente della DC, stava da tempo progettando un governo più aperto, che tenesse conto anche del Partito Comunista, e molte sono le stranezze e gli aspetti bui che circondano tutt’ora questa vicenda. Il corpo dello stesso Moro venne ritrovato in un auto parcheggiata contromano all’incrocio tra Via Caetani e Via Funari, vicino a via delle Botteghe Oscure e piazza del Gesù, sedi storiche rispettivamente del PCI e della DC.
La pubblica opinione e la politica italiana si scissero tra i fronti della “fermezza” e della “trattativa”; addirittura intervenne lo stesso Papa Paolo VI.
Le scissioni e le crepe si presentarono anche all’interno delle BR tra coloro che volevano da una parte il rilascio dell’ostaggio e dall’altra la sua uccisione. Prevalse la seconda fila con a capo Moretti.
L’uccisione di Moro contrassegnò il punto più “alto” e terribile dell’attività brigatista, ma allo stesso tempo segnò l’inizio della fine. Le separazioni e le divergenze aumentarono e molte furono le critiche dirette contro la direzione Moretti, oramai incapace di gestire operazioni a livello nazionale e di coordinare le varie colonne delle BR. Difatti possiamo parlare di ultima fase delle BR proprio a partire dagli anni ’80, dall’assassinio di Guido Rossa, quando iniziarono addirittura a perdere consensi dal mondo sindacale e dalla sinistra extraparlamentare. Le divisioni iniziarono ad assumere connotazioni ideologiche e il fronte brigatista si spaccò in miriadi di colonne, movimenti e organizzazioni con obiettivi e risultati differenti andando a rappresentare nelle successive azioni, appunto, solo se stessi.
Potremmo sostenere con certezza che, anche se omicidi ed attentati continuarono ad avvenire (in maniera sempre più sporadica), gli anni ’80 segnarono la fine delle Brigate Rosse.
Si è continuato ancora per molto tempo a parlare di loro, addirittura c’è chi parla di Nuove Brigate Rosse nel ventunesimo secolo; ma credo che quest’organizzazione, così temuta e terribile, abbia tratto tutta la sua linfa vitale da un determinato periodo di tempo, con idee, speranze e necessità di cambiare l’Italia (e il mondo intero) su molti aspetti, per poi iniziare a morire corrotta dalla sua stessa voracità.
Un ultimo pensiero lo vorrei rivolgere a tutte quelle persone, tra i quali ci sono magistrati, poliziotti e uomini delle scorte, che hanno cercato di contrastare legalmente questo fenomeno trovando molto spesso la morte durante il loro lavoro, il tutto per consegnare a noi oggi un’Italia migliore.
Per approfondimenti:
_Andrea Saccoman, Le Brigate Rosse a Milano. Dalle origini della lotta armata alla fine - Edizioni Feltrinelli
_Paolo Parisi, Il sequestro Moro - Edizioni Feltrinelli
_Pino Casamassima, Gli irriducibili, storie di brigatisti mai pentiti - Editore Laterza
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