[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern" css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Maurilio Ginex del 02/12/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1480814444418{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
Albert Camus nasce il 1913 a Mondovi, l’allora Algeria francese. Sin da subito manifesta una forte inclinazione per la speculazione filosofica, cosa che verrà avallata e incalzata, ai fini di un’iscrizione all’università di Algeri, dal suo professore nonché amico Jean Grenier.
Camus rappresenta una delle figure più influenti della cultura del Novecento. Una di quelle figure apparentemente controverse, ma che in realtà fanno giungere al palato il sapore della più alta e limpida coerenza in vita rispetto alle proprie tesi e al proprio pensiero. Un autore che diagnosticò i problemi che si trovavano a fondamento della realtà di quegli anni: un’Europa segnata dai totalitarismi radicati dalla Seconda guerra mondiale. Egli descrisse i luoghi in cui si manifestarono queste forme sociali e politiche, dove il delirio dello spirito divenne il protagonista effettivo di ogni agire.
[caption id="attachment_6992" align="aligncenter" width="1000"] Albert Camus nasce a Mondovi, il 7 novembre 1913 e muore a Villeblevin, il 4 gennaio 1960. E' stato uno scrittore, filosofo, saggista e drammaturgo francese.[/caption]
All’interno di questo scenario socio-politico - tutto europeo -  Camus fonda la sua filosofia. Quella parte dell’intellettuale che era stata inizialmente emarginata, da questo contesto sociale, prende forma e si plasma intorno alla scrittura con la stesura de“Lo straniero” e de “La peste”. La sua filosofia si fonda su tematiche esistenziali. L’assurdo , inteso come condizione di vita dell'individuo, diventa la tematica di fondo per gli sviluppi del suo pensiero.
Nel 1942, a Parigi presso Gallimard, viene pubblicato il suo primo saggio filosofico, intitolato “Il mito di Sisifo”, che sancirà la personalità filosofica di Camus. L’assurdo è la rappresentazione di un’incompatibilità tra le aspirazioni dell’uomo e le possibilità ontologiche dell’essere. Una condizione che permanentemente pervade l’esistenza, come se fosse una condizione con naturale legittimità di essere e di esistere. Nella mancanza di senso della vita, generata dall’assurdità dell’essere dei fenomeni che costituiscono la realtà, Camus riscontra l’assoluta incapacità dell’uomo - a causa di tale assurdo - di scorgere un legame con l’altro e con gli altri individui.
L’assurdità dell’esistenza è oggettivamente data dal fatto, che la realtà si sviluppa e si compie provocando - attraverso le sue svariate manifestazioni - la scissione tra gli individui. Quest’ottica di vita vede nell’atto umano il tentativo di trovare legami con l’altro, il tentativo di combattere l’assurdo e la negatività dei fenomeni che attraversano l’uomo, ma allo stesso tempo, vede nel fallimento di questo tentativo di coesione la metafora di un Sisifo, che sempre sfida il suo Dio con il masso sulle spalle e sempre ricadrà verso il fondo.
[caption id="attachment_6993" align="aligncenter" width="1000"] José de Ribera, Sísifo, olio su tela del XVII secolo.[/caption]
L’assurdo che pervade il singolo individuo - all’epoca di Camus - è un assurdo che abbraccia in realtà una comunità generale, quella dell’Europa del Novecento. Un secolo che vede il continente dilaniato dalla guerra, uno spirito annientato dall’abominio dei campi di concentramento nazisti e dei gulag sovietici, un’atmosfera generale intrisa dei segni indelebili dei vari totalitarismi, i quali liquidano le speranze dei singoli che accumulandosi generano le comunità, in cui la speranza sembra ormai una parola scritta senza finalità morali. Dunque, “il mito di Sisifo”, diventa un’interpretazione della realtà circostante, in cui però Camus non sembra rientrare negli schemi canonici di un pessimismo esistenziale che fa dell’esistenzialismo una corrente sensibile alla finitezza dell’uomo e alla negatività di fondo che abbraccia la sua esistenza. L’autore sembra proporre all’uomo una via d’uscita da quest’assurda condizione di vita senza significazioni e senso. Qui subentra l’importanza del secondo testo filosofico che Camus pubblica sempre presso Gallimard, nel 1951, “L’uomo in rivolta”. Questo, un secondo capolavoro, si prefissa di segnare la via all’interno del caos che regna nella sfera esistenziale. Camus affronta il concetto di Rivolta, visto come un insieme di valori che portano l’uomo a resistere contro il male che incombe, in qualsiasi forma esso si manifesti: una dittatura coercitiva che piega un’intera nazione o una delusione che dilania l’anima del singolo. Il senso della rivolta è la concretizzazione del concetto di lotta contro l’assurdo. Nella lotta rivoltosa risiede il rifiuto di una coercizione che oggettiva lo stato esistenziale e osserva nella sopportazione la volontà del singolo di autodeterminarsi, senza che ci sia un qualcosa di esterno ad esso che possa deciderne il destino. Tale sentimenti si avvicina al senso che la ribellione assume in Stirner, autore da cui poi l’autore francese rievocherà le sue posizioni politiche arnarco-individualiste. Camus cita autori, da Nietzsche, con il suo smarrimento esistenziale frutto della morte di Dio, ad Heidegger, con la sua “gettatezza” nel mondo che prevede un’autodeterminazione del sé tramite una progettualità del dover-essere, passando per Kierkegaard, con il concetto di “malattia mortale” che ha come identità pratica la disperazione nel vivere dell’uomo. Tutti autori attraverso i quali il nostro autore forma questa personalità che si erge a paladino della lotta contro l’assurdo. Il senso della rivolta è proprio quello di riuscire a “sconfiggere”, o quanto meno propriamente tener testa senza chinarla mai, l’ineluttabilità dell’essere e trovare all’interno di questo uno spirito di adattamento - come prevedeva il Superuomo nietzschano l’autodeterminazione del sé. E’questo il senso della rivolta, il senso dell'opposizione, il motivo probabilmente del perché nasce la resistenza nella guerra o perché naturalmente l’individuo non può sedare le proprie pulsioni nel momento in cui si vede annientato e represso.
[caption id="attachment_6994" align="aligncenter" width="1000"] Algeri il 11 Novembre 1960, giorno dell'armistizio durante i disordini: studenti caricano la polizia nazionale sulla strada dando vita ad una guerriglia urbana. Tale scontro avvenne per la paura dei francesi residenti stabili in Algeria di essere abbandonati dal governo De Gaulle che si apprestava a riconoscere - appena due anni dopo - la nuova nazione algerina.[/caption]
I diritti, il proprio destino, la propria dignità diventano valori essenziali da difendere con l’azione, poiché qualcosa che resta fermo senza muoversi non ha che un destino malsano e passività dell’essere che sta alla base. Se ti fai manipolare dalla realtà oggettiva senza tentare di decostruirla, per definizione diventi uno strumento che -riposto nella realtà - si presenta come funzionale al progresso dei sistemi assurdamente costituiti. La geniale intuizione di Camus di rimodellare il cogito cartesiano secondo la sua ottica della rivolta, “mi rivolto, dunque sono”, è la perfetta rappresentazione analitica della morale e dell’atmosfera che attraversava la sua epoca in cui l’uomo deve "ritornare ad essere mediante l’agire". Quest'epoca prevede un’intenzionalità di fondo che porta l’uomo a voler cambiare l’essere attraverso la soggettività delle azioni. Un autore che venne dichiarato a accusato di ogni cosa, dal nichilista, al misantropo, al pessimista, ma che in realtà si è rivelato più ottimista e forte che mai. La svolta "rivoltosa" fu una grande, anche se pur sporadica, via d’uscita dalla “putrida” esistenza che i grandi uomini del potere mondiale hanno dato agli individui. Camus rientra tra le figure che nel Novecento hanno creato lo scandalo, una di quelle figure che ha rotto con la normalità e con i canonici schemi delle credenze. Le sue posizioni politiche da anarco-individualista che presero forma con “l’uomo in rivolta” e con la sua feroce critica al marxismo-leninismo , isolarono Camus all’interno del panorama intellettuale francese degli esistenzialisti. Ruppe l’amicizia con Sartre, dopo la sua critica senza mezze misure del blocco sovietico e le degenerazioni etiche della Rivoluzione Russa. Criticò Lenin, quanto Stalin, per una cattiva interpretazione del marxismo per fini disumani. Insomma fu un intellettuale che volle mantenere sana la sua integrità davanti alle sue idee.
[caption id="attachment_6995" align="aligncenter" width="1000"] Rarissima foto di Jean-Paul Sartre e Albert Camus (accovacciati in primo piano, rispettivamente a sinistra e destra). Nella foto sono presenti: Jacques Lacan, Eugène Émile Paul Grindel, Pierre Reverdy, Louise Leiris, Zanie Aubier, Pablo Picasso, Valentine Hugo, Simone de Beauvoir.[/caption]
Le quali gli costarono il prezzo di quell’assurdo tanto combattuto che, proprio nella sua vita, si andava manifestando in quella tanto odiata recisione del legami umani e nell’isolamento del singolo. Era la mattina del 4 Gennaio 1960, un incidente insolito porta via al mondo una delle menti più lucide e brillanti del Novecento. Quella di Albert Camus è una morte particolare, inaspettata. Chi spende parole delineando la forma di un omicidio a sfondo politico, chi invece - ancora oggi - pensa che il fato sia stato non solo suo nemico, ma allo stesso tempo avverso anche del progresso della cultura.
Chissà quanto avrebbe scritto, cosa avrebbe fatto oggi quell’uomo. Quanti altri saggi presso Gallimard avrebbe potuto pubblicare. Molto spesso si esagera nel ricordare la storia e quasi ci si erge a eredi di tradizioni passate, attraverso la memoria. In questo caso la memoria è stata annullata, sopita, resa muta. Di Camus rimangono i suoi scritti, ma si tende sempre a ricordare i più “conosciuti” probabilmente, o meglio, i più “comodi”.
 
Per approfondimenti:
_ Albert Camus, il mito di Sisifo. Edizioni Bompiani;
_Albert Camus, l’uomo in rivolta. Edizioni Bompiani;
_Albert Camus, la peste. Edizioni Bompiani;
_Bruno Thürlimann e Giovanni Fornerole, Filosofie del Novecento. Edizioni Mondadori.
 
© L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern" css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Primo De Vecchis del 13/09/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1473769493772{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]

Nel Guerrin Meschino (1410) di Andrea da Barberino si narra di un cavaliere errante, che a un certo punto decide di consultare l'oracolo della Sibilla appenninica per conoscere la vera identità dei propri genitori. Il cavaliere si addentra quindi nel monte della Sibilla (una maga, una fata), al cui interno si apre un magnifico regno, popolato di donne bellissime e sensuali, le quali di notte si trasformano in serpenti prima di andare a dormire. La vicenda è ampiamente ricordata da Antoine de la Sale nel Paradis de la reine Sibylle (nella Salade, 1438-1447) e presenta punti di contatto con il Tannhäuser di Richard Wagner, storia di un Trovatore trattenuto presso il Venusberg dalla Dea (ma la filologia è intricata).

[caption id="attachment_5978" align="aligncenter" width="1000"] Luciano Funetta[/caption]

Nella mitologia vedica e induista si narra di una mitica razza di uomini per metà serpenti, chiamati nagas, oggetto di culto da tempo immemorabile e latori di fertilità e saggezza. Il Buddha in meditazione è spesso rappresentato con un serpente dalle sette teste, il quale si solleva sopra il suo capo a mo' di ombrello; trattasi del re naga Mucalinda, convertitosi al buddismo. «Piove, e un re serpente, un naga, si avvolge sette volte intorno al corpo del Buddha formando un tetto con le sue sette teste. Quando torna il sereno, il naga si trasforma in un giovane bramino che si prosterna e dice: "Non ho voluto spaventarti; la mia intenzione è stata proteggerti dall'acqua e dal freddo". Segue una breve conversazione, e il naga si converte al buddismo» (J. L. Borges, Cos'è il buddismo, Newton Compton, Roma, 1995, p. 25). Ancora in area induista i naga sono collegati al tantrismo (o shaktismo) e al concetto della kundalini, una potente energia sottile che risiederebbe in ogni uomo alla base della spina dorsale, addormentata come un serpente attorcigliato e che opportunamente risvegliata come un cobra eretto può portare al risveglio spirituale (e financo alla santità), ma persino alla follia e alla morte. È noto come il veleno possa trasformarsi in medicina, dipende tutto dalla dose, come già affermava Paracelso (si veda il greco phàrmacon, ma anche il Caduceo delle farmacie). «Il serpente, terribile per il suo veleno, simboleggia tutte le forze malefiche; allo stesso modo la kundalini finché riposa inerte in noi, corrisponde alle nostre energie inconsce, oscure, allo stesso tempo avvelenate e velenose. Inversamente, quelle stesse energie, risvegliate e dominate, diventano efficienti e conferiscono una potenza reale» (Liliane Silburn, La kundalini o L'energia del profondo, traduzione di Francesco Sferra, Adelphi, 1997, p. 39). Tutta questa bizzarra premessa serve a sottolineare come in molte culture (pensiamo anche ai nativi americani, agli Aztechi e ai Maya) l'emblema del serpente sia legato alla trasformazione, alla metamorfosi, all'unità cosmica, e abbia una valenza spiritualmente positiva. Nella tradizione ermetica medievale l'alchimia non è solo un processo esteriore (trasmutare il piombo in oro), ma soprattutto interiore (trasformare le basse pulsioni, negative, egoistiche, in alte aspirazioni spirituali, positive, al servizio dell'umanità).

[caption id="" align="aligncenter" width="1000"] Il serpente Ouroboros riprodotto nel 1478 da Theodoros Pelecanos sulla base di un manoscritto perduto di Sinesio (370-413 d.C.).[/caption]

Al contrario, una condanna irrimediabile della "saggezza" del serpente si trova nell'Antico Testamento, principalmente nella Genesi: «Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male"» (3,5). Nell'Apocalisse di Giovanni si parla del «serpente antico» (12, 8), adorato dai popoli della terra da tempo immemorabile. Il profeta Daniele uccide il drago venerato dai Babilonesi (Daniele 14, 23-30). Ora vorrei tranquillizzare il lettore: non sto recensendo un trattato di religione comparata o un saggio di Mircea Eliade sullo sciamanesimo, bensì il romanzo di esordio di Luciano Funetta (classe 1986), intitolato Dalle rovine, edito dalla piccola casa editrice Tunué, ospitato in una collana di narrativa contemporanea curata da Vanni Santoni. Dalle rovine di Funetta si può definire un libro "strano" (weird?) o financo "bizzarro" (affine alla Bizarro Fiction?), a metà strada tra l'horror, l'assurdo, l'esistenziale e il fantascientifico distopico. Il tema preponderante del libro è la pornografia (artistica), ovvero quella nicchia della pornografia audiovisiva che denota persino una finalità di ricerca espressiva (non conosco bene il settore). L'altro tema del libro (affine alla sessualità umana filmata) è quello della morte, della decomposizione, dell'entropia (anche la morte può essere filmata). Il narratore del libro è un "noi" indefinito, che somiglia quasi a una legione di spettri afflitti da sindrome voyeuristica. Lo stile del libro è gelido e visivo, affine talora all'école du regard di Alain Robbe-Grillet, ma meno frigido in realtà, anzi sotterraneamente impetuoso (dostoevskiano come certi topi del sottosuolo). I personaggi del libro hanno dei nomi strani, allusivi, talora giocosi (come accade in certi romanzi del cileno Roberto Bolaño: mi è venuto in mente, leggendo Funetta, non so perché, Notturno cileno). Rivera è un collezionista di serpenti velenosi, che si fa filmare nudo mentre ha un rapporto intimo con i rettili, tuttavia conserva l'ingenuità di un bambino, incline allo stupore, quasi fatato. Cito un passo della scena erotica, che mi ricorda l'episodio narrato poc'anzi da Borges: «Una di loro [le bestie] si arrampicò tra i capelli pettinati all'indietro, raggiunse la sommità della testa e impennò la parte anteriore del corpo, restando in equilibrio sulla coda. Il serpente rimase in quella posizione e Rivera chiuse gli occhi. Muoveva le labbra come se stesse pronunciando frasi in una lingua incomprensibile» (p. 14). Jack Birmania è un produttore di film porno artistici e ha fondato la casa di produzione Venere Birmana. È un ammiratore del film Freaks (1932), diretto da Tod Browning: «Gli uomini erano tutti individui deformi, uomini dalle teste calve e gigantesche, gemelli siamesi, nani, uomini e donne senza braccia e senza gambe che somigliavano a foche, vecchi scheletrici con i loro sigari tra le labbra» (p. 32). Un immaginario umoristico e crudele che mi ha riportato subito alla mente una geniale raccolta di racconti di Juan Rodolfo Wilcock, "Il caos" (Bompiani, 1960), da tempo fuori catalogo (lo scrittore recitò la parte di Caifa nel Vangelo secondo Matteo di Pasolini). Eugenio Laudata è un regista di film porno artistici, un po' svitato, ammiratore tra le altre cose di Cannibal Holocaust, film cult di Ruggero Deodato (con Luca Barbareschi). Maribel Lalande è un'attricetta francese di film porno, quasi evanescente. Klaus Traum è un altro produttore, stavolta tedesco, che ha fondato la casa di produzione Traum Sueño. Alexandre Tapia è un "fuggiasco" argentino, un uomo viscido e repellente, che ha scritto la sceneggiatura di un film irrapresentabile, intitolato Dalle rovine, una sorta di snuff movie. Tapia è il centro ineffabile di questa "fiaba" (nerissima). Non ho ancora parlato delle ambientazioni: la città di Fortezza (inventata, una periferia allucinata di Roma?), la città di Barcellona (fin troppo realistica a tratti). Tapia infatti, che vive a Barcellona, rappresenta il nucleo enigmatico del romanzo: il suo passato è inconfessabile.

Cito il Divino Edgar (Allan Poe): «Vi sono segreti che non si lasciano rivelare. Degli uomini muoiono di notte nei loro letti torcendo le mani degli spettri cui si confessano, con negli occhi uno sguardo di pietà profonda; e altri uomini muoiono avendo la disperazione nel cuore e la gola serrata da convulsioni per l'orrore dei misteri che non vogliono essere rivelati» (L'uomo della folla). Prima ho citato Notturno cileno, non a caso: qui si potrebbe parlare di Notturno argentino. Penso a quei luoghi sotterranei stillanti umidità descritti dal Marchese De Sade, dove si svolgono sessioni di tortura; cito Funetta: «Le sessioni di tortura, durante la lettura nella rosticceria di Riquelme, a Rivera erano sembrate simili a rituali religiosi, a sedute di analisi, ma soprattutto a sedute di ipnosi, in cui l'uomo compie i suoi gesti e ascolta la vittima che lo supplica, che si svuota, che racconta tutto quello che le viene in mente che possa salvarle la vita» (p. 85). Viene in mente il dossier Nunca más [Mai più], stilato da Ernesto Sábato assieme a un'équipe di studiosi nel 1984, dove sono esposte nel dettaglio le violazioni dei diritti umani commesse dalla giunta militare di Videla. Ma questo libro, ci tengo a sottolinearlo, è assolutamente disimpegnato, sognante, fatato, nessuna denuncia, solo letteratura, espressione. Ha lo stile affilato di certe distopie fantascientifiche (da tale genere l'autore sembra mutuare il pessimismo visionario, uno stile appunto da alieno o da rettile). Inoltre leggendo questo romanzo non ho potuto fare a meno di pensare a un film del 1978, Hardcore di Paul Schrader, dove viene mostrato il mondo della pornografia californiana dal punto di vista di un padre (puritano), che cerca di ritrovare la figlia (scappata di casa e diventata attrice porno), spacciandosi per produttore di film porno. Anche qui i temi della pornografia, della religione e della morte (gli snuff movies) sono mescolati. Insomma, se volete trascorrere un pomeriggio allegro non leggete Dalle rovine di Funetta, lasciate perdere. Mi è venuta in mente un'immagine usata da Bolaño per definire l'opera di uno scrittore argentino degli anni Settanta, Osvaldo Lamborghini (figlio di un militare fallito), morto a Barcellona nel 1985: «Lamborghini è una scatoletta sullo scaffale giù in cantina. Una scatola di cartone, piccola, coperta di polvere. Ebbene, se uno apre la scatola, dentro ci trova l'inferno» (Tre discorsi insostenibili, in Tra parentesi, Adelphi, 2009, p. 35). Ecco, Funetta è un po' scrittore e un po' sciamano, in comunicazione con l'oltretomba, è perseguitato da svariate ossessioni di natura spirituale o spiritica e la sua scrittura sembra avere per lo più una valenza esorcistica, un tirar fuori il veleno del serpente per tramutarlo in bellezza medusea e paralizzante.
Per approfondimenti:
_J. L. Borges, Cos'è il buddismo, Newton Compton, Roma, 1995
_Liliane Silburn, La kundalini o L'energia del profondo, traduzione di Francesco Sferra, Adelphi, 1997
_Tre discorsi insostenibili, in Tra parentesi, Adelphi, 2009
_Luciano Funetta, Dalle rovine – Edizioni tunué, romanzi
 
© L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Davide Bartoccini del 10/06/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471001797873{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
Ci sono uomini che, per carisma e fortuna, per puntualità e coraggio, segnano con le proprie vite i loro tempi; e vi sopravvivo in eterno, nella memoria dei posteri e dei posteri che verranno.
È questo il caso di Indro Montanelli, il principe del giornalismo italiano, che per destino o per condanna - proprio lui amava dipingersi come "un condannato al giornalismo", poiché, "non avrebbe saputo fare niente altro" - ci ha raccontato attraverso la sua penna quel mondo così indaffarato nei suoi più imponenti cambiamenti.
Dalle cariche al comando degli àscari nei deserti dell'Abissinia, alla resistenza nel rigido inverno finlandese passato sotto le bombe dell'Armata rossa, dagli amori ampezzani con la principessa Maria Josè, alla condanna a morte per diretto volere delle SS; Montanelli, nato allo scadere della prima decade del XX secolo, si spense nell'estate del primo anno del nostro avveniristico XXI secolo.
Egli è stato testimone invidiabile e narratore puntuale di quel '900: così pieno di conflitti e di cambiamenti, così colmo di ideologie e divisioni, che tutti noi abbiamo studiato nei libri di storia, e che lui, sempre in prima linea, ha abitato con indomabile passione.

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]

di Francesco Giubilei del 20/06/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1498473331817{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
Scrivere un libro su Leo Longanesi senza essere influenzati dalla biografia che Indro Montanelli e Marcello Staglieno gli dedicarono nel 1984, oltre che una carenza bibliografica, costituirebbe una grave mancanza nella comprensione del personaggio. Appurato il valore del libro di Montanelli e Staglieno e costatata la presenza di altri testi dedicati alla figura di Longanesi, è lecito domandarsi l’utilità di un'altra biografia sull’intellettuale romagnolo.

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Marco Squarcia del 20/06/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1702301652736{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
Non si può non amare la letteratura russa, o di tutta l’area caucasica. Ci ha regalato autori di primissimo livello, veri geni e Michail Afanas'evic Bulgakov era fra questi.
Il suo più acclamato e famoso lavoro, “il Maestro e Margherita”, si annovera tra i pilastri del ‘900 e la sua lettura è da consigliare a chiunque. E’ però in tutti i suoi scritti che si nota la forza delle parole, usate con assoluta precisione e ammirevole compostezza.

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Primo De Vecchis del 01/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470941927209{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
In Italia presso le grandi case editrici (ora come non mai sempre più monopolistiche) vige il mantra recitato dai signori del marketing: «i racconti non si vendono». Ne consegue che di rado vengono pubblicate raccolte di racconti; chi ha racconti nel cassetto cerca di allungarli il più possibile per trasformarli in romanzi, con esiti grotteschi. Eppure la bravura di uno scrittore di razza si basa sulla forma-racconto, che all'estero per fortuna è molto più praticata dagli scrittori e pubblicata dagli editori. Il discorso non muta se parliamo del "racconto fantastico". Molti lo confondono con altri generi, persino con il fantasy; pochi sono andati a scuola dai veri maestri: alcuni credono che tali racconti siano surreali o arbitrari.

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Primo De Vecchis del 01/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470948124948{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
Esistenza tormentosa e agitata fu quella di Iginio Ugo Tarchetti, scrittore nato a San Salvatore Monferrato nel 1839 e morto prematuramente di tifo a Milano nel 1869. Una vita segnata dalla malattia, la tisi o tubercolosi polmonare, ma anche dalla passione romantica: decise infatti di aggiungere al suo nome quello di Ugo in onore del Foscolo. Nella sua breve vita ci ha lasciato una manciata di racconti, per lo più postumi, e una serie di romanzi, dei quali il più famoso rimane Fosca, pubblicato nel 1869 dall’amico Salvatore Farina, che scrisse anche il capitolo XLVIII, seguendo le indicazioni fornite a voce dallo scrittore ormai morente.

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Paolo Cartechini del 20/06/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470950127729{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
Torna in scena la guerra; in particolare la guerra in Iraq. A narrarla è il regista Gianluca Maria Tavarelli in un film indipendente ma ambiziosissimo che si fonde con agilità al linguaggio mitico e tragico.
La pellicola è stata girata in Tunisia del sud, vicino al confine con l’Algeria e prende il titolo da una famosa canzone di Fabrizio de André, “una storia sbagliata”. Questa canzone era stata dedicata dal poeta e cantautore al regista Per Paolo Pasolini e alla sua tragica e controversa fine in quanto, riportando le parole di de André: « ...a noi che scrivevamo canzoni, come credo d'altra parte a tutti coloro che si sentivano in qualche misura legati al mondo della letteratura e dello spettacolo, la morte di Pasolini ci aveva resi quasi come orfani. Ne avevamo vissuto la scomparsa come un grave lutto, quasi come se ci fosse mancato un parente stretto. » e nel film ritorna il concetto di fine, di assenza legata alla morte, alla solitudine subita e voluta e alla rabbia che si lega alla ricerca spasmodica di spiegazioni e forse anche ad una sottile vendetta.

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]

di Cesare Catà del 15/06/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471000517484{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
  [caption id="attachment_2301" align="aligncenter" width="1384"] Riccardo II Plantageneto[/caption]
Fermo, nella Marca, tra i Monti Sibillini e il Mare Adriatico, venerdì 14 febbraio dell’anno 2015, il giorno di San Valentino
Se mi concentro, il ricordo più antico che riesco a pescare nella mia memoria è quello di un bambino che mi fissa, mirandomi da un mondo lontanissimo in cui avevo la sensazione di essere già stato, ma al quale non potevo assolutamente ritornare. Mi ci volle del tempo per capire che quel bambino che mi fissava non era qualcun altro: ero io stesso e che quel posto strano, misterioso che vedevo intorno al bambino di fronte a me, non era affatto un regno perduto, bensì il mondo in cui mi trovavo ad abitare, la mia camera. La teoria lacania-na dello stadio dello specchio, di cui avrei letto una quindicina d’anni dopo, mi avrebbe spiegato che, nella formazione psichica del fanciullo, questa è una fase tipica e strutturale, nella quale il soggetto, di solito tra i 6 e i 18 mesi di vita, realizza che il riflesso nello specchio è il suo: che “quello” è proprio lui.

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Primo De Vecchis del 01/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470950062198{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
Che cosa accadrebbe in Francia se un partito islamico "moderato" (la Fratellanza musulmana) andasse al potere nel 2022? A partire da questa domanda, che delinea un'ipotesi, uno scenario, lo scrittore francese Michel Houellebecq costruisce il suo romanzo "satirico", che prende il titolo di Sottomissione.
Il titolo è polisemico: il vocabolo è la traduzione letterale della parola islam (sottomissione a Dio), ma allude anche alla dimensione erotica del sadomasochismo così come viene tratteggiata nel romanzo Histoire d'O di Dominique Aury.
Il protagonista, nonché narratore del libro, è un docente universitario di Lettere presso la Parigi III-Sorbona, di nome François, esperto di Joris-Karl Huysmans, il padre del decadentismo europeo. La vita sessuale di François, che in queste pagine si mette a nudo con disincantato cinismo, è alquanto variegata, ma insoddisfacente, infatti nell'arco degli anni egli passa da un'amante all'altra (in genere studentesse), senza riuscire a formare relazioni affettive stabili. Ciò crea un vuoto esistenziale, che il protagonista riesce a colmare in parte con gli studi letterari: non è un caso che si sia occupato così a lungo di Huysmans, un decadente, e che sia rimasto affascinato proprio dalla sua metamorfosi esistenziale, da agnostico libertino a casto credente. La conversione di Huysmans al cattolicesimo, che ha avuto una lunga gestazione, è una delle chiavi di volta del libro: non a caso il titolo della tesi di dottorato di François evidenzia come tale adesione alla fede costituisca una sorta di "uscita dal tunnel". Si tratta del medesimo tunnel esistenziale nel quale si dibatte il povero François, che ostenta un certo cinismo con le donne, forse per celare un'eccessiva ipersensibilità suscettibile. Nel frattempo però un evento socio-politico arriva a toccare la stessa vita del professore, che prima di allora non si era mai occupato di politica, del tutto immerso nei suoi studi eruditi e nei suoi impegni universitari. Al primo turno delle elezioni presidenziali francesi del 2022 la Fratellanza musulmana, il partito di Mohammed Ben Abbes, si posiziona al terzo posto (con un 21,7 % di voti) subito dopo il Partito socialista (21,8), mentre al primo posto troneggia il Fronte nazionale di Marine Le Pen (34,1); la destra liberale e moderata si accoda con un 12,1. Per sconfiggere al secondo turno il partito nazionalista di destra della Le Pen si forma così un'inedita alleanza di governo tra socialisti, partiti della destra liberale e Fratellanza musulmana, appoggiando come candidato proprio Ben Abbes, musulmano "moderato" di seconda generazione. I socialisti fanno delle concessioni molto larghe alla Fratellanza: in caso di vittoria a loro sarà di certo affidato il Ministero dell'Istruzione. Ciò che preme di più a Ben Abbes sono infatti due aspetti: l'aumento demografico (di musulmani) e l'educazione religiosa (non laica) dei bambini. Ovviamente il "fronte repubblicano allargato" riuscirà ad arginare il "pericolo" di consegnare il potere a un partito xenofobo, che chiaramente si rifà al fascismo europeo. Tuttavia accade qualcosa di paradossale. Complice la debolezza (laica) soprattutto dei socialisti, Mohammed riuscirà a portare avanti (con moderazione e astuzia) un ambizioso progetto politico di progressiva islamizzazione soft della società francese, debole e secolarizzata. François vive sulla propria pelle questi mutamenti repentini, poiché viene licenziato (o meglio invitato a pensionarsi in anticipo con ampi vantaggi) dall'Università Parigi III-Sorbona (che adesso riceve lauti finanziamenti dalle petromonarchie saudite), non essendo egli di fede musulmana. Occorre inoltre precisare che le elezioni che hanno decretato la vittoria di Ben Abbes sono state accompagnate da disordini e rivolte, portate avanti e fomentate da una parte da gruppi dell'estrema destra identitaria (non affiliati al Fronte nazionale, che è contrario alla lotta armata) e dall'altra da giovani estremisti salafiti jihadisti delle periferie (che non condividono del tutto le posizioni "moderate" di Mohammed, alleatosi con socialisti e destra liberale).