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di Francesco Di Turi del 30/06/2016

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Il ritorno quali tratti dominanti degli elementi identitari e, diciamo pure, tradizionali, non è un semplice fatto che riguarda alcune nazionalità o la maggior parte di esse. Quello in atto è un vero e proprio rivolgimento storico che sta riplasmando l’intero globo. Per usare un linguaggio hegeliano, oggi più che mai appropriato, diciamo che è uno snodo nella storia dello Spirito che si scrolla di dosso il vecchio mondo per crearne uno nuovo dai caratteri inediti e pur tuttavia figlio di ciò che abbandona.
Questa marea di ritorno del fattore culturale è ormai un fatto più che assodato, tanto che alcuni autorevoli studiosi di diverse discipline hanno rilevato fin dal principio questa tendenza fondamentale, collocandola storicamente, e a ragione, allo spartiacque costituito dal dissolversi della Cortina di ferro.

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di Francesco Di Turi del 30/06/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471008976824{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]Quello di «Califfo» è un titolo di valenza politico-religiosa. La sua forma teologico-politica ha una lunga storia che affonda le proprie radici al sorgere stesso della religione islamica nell’anno 622 d.C., l’anno dell’hijra, cioè del trasferimento forzoso da Mecca a Medina da parte del Profeta Muhammad, il Messaggero e Capo dell’Islam, uno degli uomini più influenti della storia la cui esperienza di vita è stata intrinsecamente religiosa, mistica, politica, legislativa e militare.

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di Francesco Di Turi del 30/06/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1701915795475{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]Il non-luogo più adatto da cui prendere le mosse e concentrare tutta l’attenzione è il fuoco ad oggi più italocentrico della questione euromediterranea, la Libia. Dall’attualità libica delineiamo l’intera questione nel suo senso generale; dal senso generale si getterà luce sulla situazione libica andando ben oltre quell’attualità senza per questo perderla di vista.

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di Dario Neglia del 25/05/2016

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Agli inizi degli anni’50 può quindi dirsi che l’Italia aveva in gran parte compiuto quel cammino di “ritorno” nella vita politica internazionale.
In fondo, a paragonare la posizione raggiunta dal paese con quella occupata all’indomani dell’8 settembre 1943, il risultato era notevole: l’Italia aveva beneficiato dell’ERP, era stata membro originario del Patto Atlantico, era entrata altresì nel Consiglio d’Europa in quello stesso 1949, ed infine si era stabilizzata anche in chiave interna con le elezioni dell’aprile 1948.
Restavano ancora aperte solo due grandi questioni: la prima, quella dell’ingresso all’ONU, che si sarebbe risolta nel 1955; e la seconda, più grave, pressante e bruciante, la piaga aperta della Questione Triestina.
Sulla città di San Giusto la congiuntura del sistema politico internazionale parve accanirsi oltremodo. Come ha scritto De Castro, autore di un opera monumentale, forse la più importante sull’argomento:
 
Al problema di Trieste furono sempre precedenti, contemporanee o successive varie altre questioni, di solito molto importanti per i difficili equilibri internazionali che implicavano. Trieste servì come moneta di scambio, come spauracchio, come causa di remore, come anello di una difesa, come pomo della discordia, come tutto quanto essa non era o non avrebbe voluto, né dovuto essere. L’Italia, per la quale la questione giuliana, prima, e la triestina, poi, furono il maggior problema del dopoguerra, dovette sempre destreggiarsi cercando di parare i colpi che venivano a danneggiare la questione stessa, rimbalzando da altre situazioni internazionali .
 
Fu la guerra fredda, in poche parole, ad insinuarsi di continuo nelle maglie del problema triestino, elevando la contesa Italia-Jugoslavia al livello dello scontro bipolare Stati Uniti-Unione Sovietica e viepiù riflettendo i toni di quest’ultimo, ora di flebile compromesso, ora di contrapposizione aperta.
Per ironia della sorte, benché i toni cambiassero, l’unica parte danneggiata restava sempre la stessa: l’Italia.
Bisogna dire apertis verbis che la condotta statunitense in questo dossier non fu per nulla onorevole. Tutte le vicende che ruotarono intorno al problema del TLT, in sede di Conferenza di pace, lasciarono gli italiani e De Gasperi – per tacere di Tarchiani – con l’impressione di essere stati traditi da Washington. Gli Stati Uniti erano il principale patronus dell’Italia a livello internazionale e di certo avevano una particolare responsabilità nella vicenda; ma considerando il tutto da un altro punto di vista, si può dire che forse gli italiani peccarono un po’ di ingenuità.
Ancora una volta nelle parole di De Castro, questo rapporto ambivalente viene sintetizzato in modo perfetto:
Tutto ci portava verso gli Stati Uniti e tanto ci portava che, vedendo la buona accoglienza, poggiammo subito su di loro, senza renderci conto, altrettanto subito, che noi eravamo, per gli Stati Uniti stessi, uno dei pezzi della scacchiera internazionale, un pezzo di un certo valore — diciamo un alfiere, un cavallo — mentre il nostro problema numero uno, la nostra regina nei problemi scacchistici postbellici, la Venezia Giulia, era per loro soltanto una delle tante pedine, che bisognava giocare per salvare altri pezzi che, nel loro gioco erano i principali […] .
Le vicende relative alla sorte di Trieste si risolsero nella prima parte degli anni’50, ma una premessa fondamentale era stata posta pochi anni addietro: un comunicato ufficiale, rilasciato appena prima delle elezioni politiche italiane del 1948, la cosiddetta Dichiarazione Tripartita.

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di Dario Neglia del 24/05/2016

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All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia era un paese in macerie.
Lo era dal punto di vista materiale ovviamente, con un sistema economico-produttivo messo allo stremo dal conflitto, ma ancor di più lo era considerando gli aspetti immateriali. È stato scritto con parole caustiche: L’Italia del 1939-40 era già una grande potenza sui generis: era “l’ultima delle grandi potenze” o – come si diceva sin dall’800 – “la prima delle potenze minori”. Ma l’Italia che esce dalla seconda guerra mondiale è piuttosto e senz’altro “l’impotenza” fatta persona .
Per la seconda volta, e forse anche in modo più clamoroso della prima, era stato confermato il cliché che voleva gli italiani infidi e traditori. Le vicende dell’8 settembre, la fuga del Re da Roma, avevano lasciato strascichi pesanti, permettendo da un lato di salvare ciò che restava formalmente della Monarchia, ma infliggendo allo stesso tempo un colpo mortale al prestigio di casa Savoia.

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di Riccardo Pizi del 28/04/2016

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Alla luce (anzi all’ombra, visto che i media sono ben lontani dal parlarne) di quanto sta accadendo in Ucraina, un interrogativo mi perseguita: perché questo conflitto? Cosa spinge il popolo Russo e quello Ucraino ad odiarsi così visceralmente al punto da farsi una guerra atroce?

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di Federico Sergio Nicolaci del 10/04/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471004138991{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]Giornalisti, intellettuali, ben pensanti: mi rivolgo a voi, che con la foga dei missionari avete sostenuto, giustificato e plaudito gli «interventi umanitari» contro la Libia di Gheddafi, l'Iraq di Saddam Hussein, la Siria di Assad, consegnando le loro terre al caos e alla furia di tagliagole iperfondamentalisti: voi che avete ricoperto le pagine dei giornali con le menzogne del potere, lasciandovi ancora una volta prendervi in giro, chiedo a voi, sacerdoti del bene universale: come potete pensare oggi di lavarvi la coscienza gridando ai quattro venti gli strali della vostra indignazione per gli innocenti che sono morti mentre fuggivano dalle conseguenze di scelte politiche che ieri avete applaudito e giustificato? Dovreste vergognarvi!

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di Federico Sergio Nicolaci del 02/04/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471009199054{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]Sono atterrato a Creta in pieno agosto, il mese forse peggiore per visitare l’isola dove è nata Europa: ogni giorno, infatti, giganteschi aerei riversano nei due aeroporti internazionali dell’isola migliaia di turisti in maglietta e bermuda, ansiosi di lasciarsi alle spalle il pallore del Nord Europa e immergersi nel sole della più meridionale delle grandi isole del Mediterraneo.

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di Paolo Cartechini del 20/03/2016

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Lo zapping compulsivo mi porta ad esplorare mondi televisivi che molto spesso oserei definire incredibili e sconvolgenti. Nel bel mezzo di questo rituale serale, durante la trasmissione di Fabio Fazio, “che tempo che fa”, mi è capitato di ascoltare le parole dell ex Presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi, che discuteva sul passato politico italiano ed in particolare della successione di esecutivi durante la legisletura tra il 1996 e il 2001 in cui fu uno dei protagonisti. Egli disse che fu un errore non andare alle elezioni subito dopo la caduta del suo governo (non facendo mistero delle sue perplessità che nutriva riguardo i suoi successori). Ora, lungi da me giudicare un governo su ciò che fa in questa sede, vorrei puntare l attenzione su una frase detta da Prodi e da altri in altre sedi e circostanze e cioè “Governo eletto dal popolo” oppure “Presidente del Consiglio eletto dal popolo”.

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L’eurogendfor è una superpolizia sovranazionale nata nel 2007 grazie al Trattato di Valsen. Firmato da Francia, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Romania e Polonia, tale accordo ha come scopo di reprimere i moti indipendentisti ed anti-austerity che sempre di più stanno scuotendo l’europa.
In Italia, per il momento, ha solo una sede a Vicenza.