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di Giuseppe Baiocchi del 02/07/2016

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Nello scontrarsi gli uomini conquistano territori, conquistano terre, perché l'uomo è "lupo dell'uomo, nemico dell'uomo". Basterebbe per ribaltare questa condizione che l'uomo fosse amico dell'uomo ma la formula opposta ad homo, homini lupus, non è "homo, homini amicus", ma è "Homo homini Deus": ecco la forza del Cristianesimo. Homo homini Deus vuol dire che l'uomo è Dio per l'uomo, perché Dio si è fatto uomo.

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di Riccardo Tarantelli del 01/07/2016

[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470931456820{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]Nel XXI secolo, siamo arrivati ad un punto che l’uomo ha sempre sognato: la (semi) coscienza di sé. Questo, purtroppo, si accavalla con un altro fenomeno: la modernità. Gustave le Bon, nel suo “psicologia delle folle” (un libro che lo avrebbe consegnato nel pantheon della sociologia, e uno dei primissimi studiosi dei fenomeni di massa), descriveva la tradizione come un collante fondamentale per l’unità nazionale.

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di Arturo Verna  del 01/07/2016

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La politica è l’arte di “condurre“ la polis; nell’immagine tradizionale il politico è il nocchiero (il pilota) che guida la nave per mari tempestosi e ne garantisce l’arrivo a destinazione, l’attracco al porto sicuro. In quanto tale, la politica è l’arte di salvaguardare la polis a fronte del rischio cioè della minaccia cui questa nel suo essere è sottoposta: la polis, infatti, è per sua natura a rischio perché non sussiste di per sé e può venire meno. Politico è appunto chi è chiamato a fronteggiare tale rischio. Con che non lo è indifferentemente chiunque ma solo chi è capace di esercitare la sua arte, cioè di mettere in sicurezza la polis. E, poiché è politico solo se riesce a difendere la polis, lo è a parte post, perché solo quando ha effettivamente esercitato (o tentato di esercitare) la sua arte si sa se colui al quale è affidata la conduzione della polis è veramente un politico e non un millantatore. Invece, è possibile sapere prima quali requisiti un politico debba possedere, perché all’uopo si può fare riferimento all’essenza della polis.
Che cos’è la polis? Innanzi tutto, è una comunità in cui ciascuno si relaziona all’altro. La sua radice è economica: senza soddisfare i bisogni non si è ma nessuno è in grado di soddisfare i propri bisogni da sé, perché i bisogni sono infinitamente correlati l’uno all’altro per cui per poterne soddisfare uno occorre che ne sia già stato soddisfatto un altro. Quindi, ogni bisogno è mezzo per la soddisfazione di un altro. Sicché nessuno può esistere da solo perché ciascuno abbisogna che altri predispongano per lui i mezzi di cui ha bisogno per soddisfare il suo bisogno: diversamente, non riesce a soddisfarlo, perché è costretto a procedere infinitamente a ritroso per predisporre i mezzi atti allo scopo.

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di Arturo Verna del 01/07/2016

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Bello è ciò che attrae, ciò verso cui ci si dirige per il suo solo essere: il bello quindi non coarta perché fa essere il movimento gravitazionale verso di sé (l’eros), quindi è buono, ma senza necessitarlo, lasciando libero di seguire la sua chiamata colui al quale si rivolge.
Ma, in quanto attrae, anche distrae: essendo il desiderabile (ciò che suscita il desiderio di sé), fa, per ciò stesso, fuggire l’opposto, che appunto è quel che non si desidera ossia quel che si desidera che non ci sia: il bello è indice di se stesso e del brutto.
Il desiderio del bello è desiderio di possederlo e, come tale, implica mancanza: si desidera possederlo perché non lo si ha e senza di esso non si è interamente (non si è quel che si deve).
Sicché lo si desidera per essere: solo possedendolo si riesce ad essere come si desidera. Per ciò stesso, ci si affanna per possederlo nulla tralasciando per raggiungere lo scopo: il bello inquieta.
Ma, eo ipso, desiderare di possedere il bello non significa pretendere di ridurlo a proprietà, a ciò di cui si può disporre a piacimento, perché appunto si è in virtù del bello sicché lo si possiede come si desidera se ci si immerge in esso perdendovisi. Pertanto, è giusto dire che “bello è ciò che piace” perché nel bello sta il piacere (il sentimento di soddisfazione di sé) cioè perché il bello produce godimento ed è per questo che ci attrae: noi, appunto, lo desideriamo per il piacere che procura.

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di Diego Fusaro del 16/06/2016

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"il Futuro è nostro" se sapremo appropriarcene, cioè se sapremo agire con l'ottimismo della volontà come diceva Gramsci ovvero vincere quelle "passioni tristi" come la pigrizia, il disincantamento, la rassegnazione al cinismo che si sono impadronite nell'uomo occidentale, soprattutto dopo il 1989, quando appunto si è prodotto un duplice e sinergico movimento di desertificazione dell'avvenire e di eternizzazione del presente.

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di Armando Marozzi del 01/07/2016

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Il libro di Federico Nicolaci si inserisce in una letteratura eurocritica che è lievitata negli ultimi tempi in maniera esponenziale. Mi limiterò ad individuare quello che, a mio modesto giudizio, è il nucleo del testo per poi cercare di inscrivere il lavoro nell’epoca delle passioni tristi (Miguel Benasayag – Gérard Schmit) di cui siamo coatti abitatori.
Il nucleo del testo è il seguente: le cause della crisi apparentemente tecnico-finanziarie non possono essere risolto tecnicamente. In altri termini, la crisi dell’euro non è tecnico-economica, perché non ha nulla di tecnico e non può essere aggiustata tecnicamente; al contrario essa investe l’idea stessa del progetto europeo come questo fu pensato, minando i suoi fondamentali. Le fondamenta del progetto sono inconsistenti e la crisi non ha tardato a manifestare la totale assenza di solidarietà tra popoli.
Mi trovo, personalmente assai d’accordo con ciò ed anche con un’altra traccia del lavoro di Nicolaci: non essendo l’Europa un progetto europeo, bensì originariamente americano creato ad hoc per contenere l’espansionismo sovietico, venendo meno l’Urss, essa ha liberato i sentimenti di inimicizia sospesi dalla Guerra Fredda. Perciò, giustamente, Nicolaci afferma che non è seguito un necessario ripensamento di questa identità politica etero-determinata e a ciò viene ascritta la crisi odierna. Il funzionalismo (cooperazione a livello materiale) alla base del progetto europeo, insomma, ha fallito. L’Europa è un “tempio vuoto”: “una facciata dietro cui si nasconde il nulla”. Manca un’unione politica al posto di quella monetaria e l’unico modo per produrla è creare una solidarietà in grado di generare solidità. In sintesi, Nicolaci invoca il ripensamento dell’idea del processo di integrazione e il dominio politico delle forze economiche; un’economia a servizio della politica.

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern" css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Danilo Serra del 12/06/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470862794747{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]

La dignità dell’uomo, tutto il suo merito, tutto il suo dovere consiste in questo: l’uomo deve pensare. Lo scriveva con chiarezza l’elegante Pascal, specie nell’ultimo anno della sua vita. La malattia lo aveva trasformato, piegandolo e costringendolo al dolore ed alla sofferenza. Fu probabilmente un tumore allo stomaco a condurlo alla morte il 19 agosto del 1662, a soli 39 anni. «Che Dio non mi abbandoni mai!», sarebbero state le sue ultime parole. Fino alla fine, fino all’ultimo battito, Pascal cercava di spronare sé e gli altri, senza mai cadere in esitazioni o perplessità: l’uomo è chiaramente fatto per pensare. La via del pensiero è l’unica in grado di innalzarlo verso cime sempre più estasianti. Il principio che muove la morale consiste nell’impegno arduo a ben pensare. Ma a cosa pensa la gente? Pensa mai alla propria condizione? Pensa la gente alla propria vita?