12 Gen Saint Hubertus protettore dei cacciatori: tra mito e storia
[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern" css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_separator type="normal" color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Jessica A. Liliane Tami e G. Baiocchi del 12-01-2024
[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1702912037527{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]Ciò che fu ordinato, fu eseguito. Uberto implorò la protezione del Cristo e annunciò il suo desiderio di conversione. Prese i voti dopo la morte della moglie Floribane, avvenuta dando alla luce Floribert1. Si ritirò quindi come eremita nella foresta, che lasciò unicamente per un pellegrinaggio a Roma. Il giorno del suo arrivo, nel 709, San Lamberto viene assassinato. Papa Sergius I (650 - 701), avvertito e consigliato in sogno, nomina Hubertus Vescovo. Sostenendo di non essere degno, cerca di fuggire, ma così come scrivono alcune testimonianze, un angelo gli dona il bastone pastorale, i paramenti di San Lamberto e una stola tessuta dalla Vergine. Non gli resta che sottomettersi alla decisione papale e, durante l’incoronazione, San Pietro stesso gli consegna una chiave d’oro. Saint Hubertus, che voleva cacciare e prendere, si ritrova cacciato e preso. Le circostanze della conversione di Saint Hubertus si rifanno a quelle di sant’Eustachio2, il cui culto si diffuse in Francia nel XI secolo.
La leggenda Aurea racconta la storia di Placido, un generale al servizio di Traiano, che un giorno, mentre era a caccia, “incontrò un branco di cervi, tra i quali ne notò uno più bello e più grande degli altri. Dopo una corsa affannosa, il cervo urtò una roccia. Placido lo osservò e vide un crocifisso tra le corna, ed è Cristo che gli parla «Placido, perché mi perseguiti? Io sono il Cristo che voi onorate senza saperlo: la vostra elemosina è salita prima di me, ed è per questo che sono venuto; era per inseguirvi io stesso per mezzo di questo cervo che correvate. Placido fu quindi battezzato con il nome di Eustachio. Venuto a conoscenza della sua conversione, l’Imperatore Adriano condannò lui e la sua famiglia a essere bruciati in un toro di bronzo. Confusione di date, usurpazione di un miracolo, “trasferimento epico” o “trasferimento politico”, le ragioni del dirottamento della leggenda di Sant’Eustachio a favore di Sant’Uberto restano oscure. L’ipotesi oggi più credibile è quella di Colette Beaune (1943), la quale osserva che Eustachio «fu sostituito, in seguito all’occupazione inglese, da Sant’Uberto, protettore di Liegi, tradizionale alleato del Re di Francia contro la Borgogna3». La leggenda non scelse impunemente il cervo come araldo della parola divina. Fin dalla notte dei tempi, è stato sacro e venerato come animale psicopompo. La sua pelle, ritenuta imputrescibile, permetteva il passaggio dalla vita alla morte e i primi cristiani credevano di scorgere sulla sua fronte il segno del tau, il segno della croce. La Santa Chiesa riprese l’immagine del cervo come simbolo di Cristo. San Girolamo paragona la sete religiosa al cervo che si disseta4. La caduta annuale dei suoi palchi, poi la loro ricrescita, è assimilata alla resurrezione e gli conferisce un simbolo di longevità, eternità e perennità, correlata all’istituto monarchico.
Presentato da Plinio come l’implacabile nemico del serpente, è anche un feroce avversario del male. Infine, le dieci punta dei suoi palchi ricordano i Dieci Comandamenti e, in quanto animale da caccia sacrificato secondo un rituale codificato, la sua uccisione non è forse un’immagine della Passione di Cristo? «I Padri e i teologi ne fanno [...] un attributo o un sostituto di Cristo allo stesso modo dell’agnello o in altri settori dell’unicorno. Per fare questo non esitano a giocare con le parole e a stabilire un legame tra cervus e servus, dove il cervo è il salvatore»5.
«Il ruolo degli ecclesiastici in questa promozione del cervo era essenziale. Per la Chiesa, che da tempo si opponeva a tutte le forme di caccia, il cervo era il male minore. Questo simbolismo fece del cervo il gioco reale dei principi cristiani, che si distinguevano così dalla forza bruta che i re barbari usavano contro le bestie selvatiche, gli orsi, i cinghiali e i lupi»6. La visione di un cervo, portatore di un messaggio divino, è un tema ricorrente nelle leggende cristiane, profane e nei romanzi. San Giuliano l’Ospitaliere, la cui leggenda ha ispirato Flaubert, viene fermato durante una caccia da un cervo che gli predice che distruggerà suo padre e sua madre. Un altro episodio ci perviene da San Meinulphe, il quale fondò il convento di Böddeken nel luogo in cui gli apparve un cervo. La seconda traslazione delle reliquie di Sant’Uberto, nell’825, diede al suo culto un notevole impatto, poiché la sua devozione divenne molto comune anche in ambito terapeutico.
[caption id="attachment_13587" align="aligncenter" width="1000"] Alcune statue di Saint Hubertus (da sinistra a destra): complesso scultoreo presente nella città di Praga; statua di Saint Hubertus e il giovane cervo del XVIII sec., alta 184 cm; statua di Saint Hubertus nella chiesa di Saint-Martin d'Arc-en-Barrois.[/caption]Dopo la conversione e lasciata la caccia, il Santo delle Ardenne divenne esorcista e moltissimi pellegrini andarono alla sua abbazia, dove i miracoli si moltiplicarono. Il suo potere antirabbico, legato al suo passato di cacciatore, per tradizione gli attribuisce anche poteri taumaturgici alla stola che un angelo gli donò7: «Questa stola che Dio vi manda avrà un potere efficace sui demoni, sui posseduti, sui frenetici e sui poteri infernali. Chiunque sia stato morso da animali rabbiosi sarà preservato dalla rabbia grazie alla sua virtù, che si perpetuerà di secolo in secolo nella tua memoria». La stola e la chiave d’oro divennero presto oggetti di venerazione e strumenti di guarigione. Una delle pratiche più diffuse era la “potatura”, praticata dai monaci del Santo. Il malato veniva inciso con un coltellino e il sacerdote sollevando l’epidermide, inseriva un filamento della stola santa. La ferita veniva poi coperta con una benda che il paziente si impegnava a tenere per nove giorni, durante i quali non doveva radersi né lavarsi il viso e le mani, doveva astenersi dal vino, dormire da solo in un letto con lenzuola bianche e infine confessarsi e fare la comunione. Oltre alla “potatura”, la “tregua” era praticata anche per le persone morse da un animale che mostrava solo lievi segni di rabbia o il cui morso era poco profondo. La tregua poteva essere concessa dai Cavalieri di Sant’Uberto. «Come il cervo crocifero, la creazione dell’Ordine di Saint-Hubert de Barrois nel 1422 [...] fa parte del rinnovato fervore che circonda il santo patrono dei cacciatori»8. Anche le confraternite di Sant’Uberto, ponendosi sotto la sua protezione, giocarono un ruolo importante nella crescita della credenza popolare. Le imitazioni in ferro della chiave di San Pietro, nota anche come chiave di Sant’Uberto, consacrate dai monaci di Andage, venivano utilizzate per marchiare i cani e “vaccinarli” contro la rabbia.
Ai cani veniva poi dato del pane benedetto per nove giorni. Questo rito si diffuse e si diversificò. Fu così che venne istituita un rito per proteggere i cani dalla scabbia, dai vermi e soprattutto dalla rabbia. Alla fine dell’Ancien Régime, l’usanza rimase in alcuni luoghi in forme semplificate. Nel 1784, il re decise che l’usanza di distribuire focacce ai cani da caccia il giorno di Saint Hubertus venisse abolita. Ormai la celebrazione di Saint Hubertus del 3 novembre è solo un rituale in cui si associano arte venatoria e banchetti. Il santo delle Ardenne è stato sostituito da Saint Marcel o Saint Martin de Porrès nei calendari e dall’ottava di Ognissanti nel rituale. «Questa cerimonia religiosa, che ci saremmo guardati bene dall’immaginare, non era più empia per coloro che vi partecipavano di quanto debba esserlo per noi che la riportiamo con la stessa innocenza di spirito. Inoltre, aveva uno scopo: si trattava di pregare il cielo di tenere lontani dai cani i morsi dei serpenti, le punture delle piante velenose, le ferite dei cinghiali e soprattutto la rabbia» . La messa di Saint Hubertus, così come è praticata oggi, deriva dal parziale ripristino, tra il 1832 e il 1848, di questo uso. Nella seconda metà dell’XI secolo furono composte numerose messe: la più famosa delle quali è quella di Obry del 1860. Napoleone III celebrò il giorno di Saint Hubertus a Compiègne con una fredda fiaccolata nel cortile del castello in cui invitò i guardiacaccia che si occupavano dei cani, guidati dal barone Lambert. I fedeli andarono alla messa delle 4:00 del mattino, ma senza i cani. San Giovanni di Matha e San Felice di Valois crearono il capo dell’Ordine trinitario quando videro arrivare un cervo bianco con una croce rossa e blu tra le corna. Luogo di divertimento profano dove il cacciatore insegue con passione il trofeo, la foresta è anche un luogo di ricerca spirituale, di rivelazione e di epifania. L’anima in preda alle passioni si confronta con le forze della natura e trova la salvezza. Rendendo sacra la caccia, essa diventa un percorso iniziatico. La foresta è per certi versi isomorfa al deserto, il luogo in cui l’uomo trasgredisce i limiti della condizione umana, disprezzando il proprio corpo, ma a vantaggio di un rapporto privilegiato con l’oltre. Dalla scoperta del vaccino antirabbico da parte di Pasteur nel 1881 sino alle moderne forme di devozione, i simboli legati a questo Santo restano nella memoria collettiva, ben vivi.
[caption id="attachment_13585" align="aligncenter" width="1000"] L' Ordine di Sant'Uberto del Ducato di Bar è un ordine cavalleresco creato nel 1422 da Luigi I , cardinale - duca di Bar per sostituire l' Ordine del Levriero. Con l'installazione della Repubblica francese, l'Ordine è stato abolito e quindi si è estinto.[/caption]Nel giorno di Saint Hubertus, il 3 novembre, si svolge ancora la distribuzione del pane e la benedizione degli animali, che però adesso non possono più entrare nelle chiese. Quasi ovunque in Francia, nonostante la scristianizzazione delle campagne, le chiese e le foreste risuonano dell’amore verso questo Santo Signore, inneggiato col suono dei corni da caccia. Per molto tempo la devozione dei cacciatori è rimasta però nell’ombra. Il santo vescovo delle Ardenne non doveva forse la sua salvezza proprio all’abbandono della caccia? Il culto legato all’arte venatoria è un’interpretazione contemporanea di questo Santo. La visione del cervo cristoforo, del Venerdì Santo del 683, ha perso il suo significato: i cacciatori ora ricordano solo la giovinezza di Hubertus, quando era un esuberante cacciatore, prima della conversione, riscrivendone così a loro volta la leggenda . Un secolo dopo la sua morte, nell’anno 825, una parte delle reliquie di Saint Hubertus fu data al monastero di Andage nelle Ardenne belghe. L’abbazia e il villaggio presero il nome di Saint Hubert. La leggenda di Sant’Uberto si sviluppò più tardi in questa regione. Purtroppo, la chiesa e il monastero furono saccheggiati e bruciati nel 1568: da allora non si sa che fine abbiano fatto i resti di Saint Hubertus. Il santo divenne il patrono dei cacciatori (ma anche dei forestali) in quasi tutti i paesi, indipendentemente dalle affinità e dalle appartenenze religiose. Infatti, la parola “Santo”, “Sankt”, “Sanctus” o “St” spesso non viene nemmeno usata: si parla solo di Hubert o Hubertus.
Come molti altri dipartimenti francesi, i cacciatori della Vandea rimangono, ancora oggi, molto legati al loro santo patrono, Hubertus. Questa fedeltà si esprime in vari modi. Sono molte le compagnie di caccia che portano il suo nome e non è raro vedere che le squadre di cacciatori di segugi dedicano ogni anno uno o due giorni di caccia a Saint Hubertus. Qualche occasione speciale, evento o vero e proprio rito? Questo attaccamento si concretizza in una messa solenne dedicata al patrono dei cacciatori e celebrata prima della partenza per la caccia. I cani del branco vengono poi benedetti e posti sotto la sua protezione proprio come i bottoni della ciurma e del loro seguito. Queste messe vengono celebrate in piccole chiese di campagna, in luoghi straordinari come il Parc Soubise a Mouchamps, a volte anche ai margini delle foreste. I cani che possono mordere vengono tenuti verso la fila vicino all’altare. L’ufficio è scandito dal suono dei corni da caccia. Questo rispetto per le tradizioni di caccia fa parte di una storia più antica in Vandea, dove la presenza di Saint Hubertus appare nelle chiese, nei libri o nelle opere d’arte. Saint Hubertus negli edifici religiosi della Vandea. Molte chiese della Vandea avevano o hanno ancora oggi cappelle dedicate a Saint Hubertus. L’opera dell’abate Aillery, Pouillé de l’eveché de Lucon, consente di stilare un elenco più o meno esaustivo di questi edifici religiosi per i quali il culto di Saint Hubertus era di particolare importanza. L’autore si basa principalmente sui resoconti di due importanti visite pastorali; il primo è quello di André Outin, decano di Fontenay, che visita le parrocchie del suo decanato nel 1655, il secondo è quello di monsignor Roch de Monou, vescovo di La Rochelle, che visitò la sua diocesi nel 1738-40. A seguito di questi spostamenti sono stati redatti un certo numero di verbali ufficiali che permettono di precisare le merci esistenti in questi luoghi. Così, l’esistenza di altari dedicati a Saint Hubertus è menzionata nelle chiese di Saint-Hilaire d’Antigny, Saint-Hilaire-de-Mortagne, e in quella di Saint-Laurent-sur-Sèvre, Saint-Malo-du -Bois e La Verrie. A volte, in queste cappelle, una vetrata raffigurante l’episodio della visione di Saint Hubertus era associata a una statua. Il periodo rivoluzionario poi, nel secolo successivo, la ricostruzione e il restauro del patrimonio religioso, componente importante della rinascita del dipartimento per tutto l’Ottocento e fino al 1930, sono all’origine della scomparsa di molti luoghi di culto dedicati a Saint Hubertus. Oggi solo la chiesa di Saint-Malo-du-Bois conserva ancora a destra del coro un altare dedicato al santo patrono dei cacciatori. Sopra l’altare, una statua policroma rappresenta il santo vestito da cacciatore e con in mano una lancia. Accanto a lui c’è il cervo crocifero. Dietro, una vetrata illustra la visione di Saint Hubertus. Le vetrate della chiesa furono realizzate nel 1886, qualche tempo dopo la ricostruzione dell’edificio, dai maestri vetrai Magnen, Clamens e Bordereau. In una foresta e accompagnato dai suoi cani, il Santo sta in ginocchio davanti al cervo tra le cui corna appare una croce che brilla luminosa. Hubert Dumoustier spiega nel suo libro che: “nel giorno della festa, 3 novembre, dalle tre del mattino e per tutta la mattinata, visitiamo l’altare del santo. Tutti gli abitanti del paese, grandi e piccoli, e un buon numero di quelli della campagna, vogliono fare quello che chiamano il loro viaggio a Saint Hubertus, portano un cero tra le mani e lo accendono davanti all’altare. Il giorno della festa; prima di allora, un semplice dipinto, tutto lacerato dai Bleus del 1793, richiamava la memoria di Saint Hubertus.
[caption id="attachment_13584" align="aligncenter" width="1000"] Il più illustre dei cacciatori vandeani rimane il conte Auguste J.F. de Chabot (1825 - 1911), che ha lasciato ai posteri due trattati fondamentali: La Chasse a travers les ages (La caccia attraverso i secoli) e La chasse du chevreuil et du cerf (La caccia al capriolo e al cervo).[/caption]Saint Hubertus è molto presente anche nelle opere di caccia della Vandea: tre scrittori, del Basso Poiteau e della Vandea, hanno una passione per l’arte della caccia e sono la base di opere di riferimento in questo campo. Jacques du Fouilloux, gentiluomo della Gatine du Poitou, nacque a Parthenay nelle Deux-Sèvres nel 1519 e morì a Fouilloux nel 1580. Fu autore nel 1561 di un celebre trattato sulla caccia dedicato a Carlo IX che sarà ristampato più volte volte. Questo libro esprime la quintessenza della caccia reale contemporanea. Fissa il vocabolario e stabilisce una sintesi di modelli di caccia alla corte in cui l’inganno è totalmente escluso. Saint Hubertus appare poco nel discorso di Jacques du Fouilloux. Solo il capitolo V tratta dei vecchi cani neri dell’abbazia di Saint-Hubert nelle Ardenne, più comunemente chiamati i cani di Saint Hubertus. Sono un’opportunità per il nostro gentilhomme de la Gatine di evocare i santi patroni dei cacciatori, Hubertus ed Eustachio, e di supporre che i buoni cacciatori li seguiranno in Paradiso con la grazia di Dio nonostante le loro trasgressioni ai comandamenti di Dio. Nel XVII secolo, Robert de Salnove scrisse La Vénerie royale divisa in IV parti, che contengono le caccie al cervo, alla lepre, al capriolo, al cinghiale, al lupo e alla volpe. Nato a Lucon alla fine del XVI secolo, fu ammesso giovanissimo come paggio al re Enrico IV, poi a Luigi XIII. Fu nominato, nel 1619, scudiero di Cristina di Francia, duchessa di Savoia, con la quale rimase per quasi diciotto anni. Tornato in Francia, divenne consigliere del Re e Luogotenente nella grande louveterie di Francia. Come scrittore e cacciatore, l’esperienza acquisita nella caccia e nella guerra non poteva andare persa. Pertanto, La Vénerie royale elenca le tecniche scortesi che a volte sono associate alla caccia al cervo in una dichiarazione in cui contrappone la nobiltà delle caccie reali francesi a ciò che fanno i sovrani stranieri. Per Robert de Salnove, Hubertus ed Eustachio non sono solo i Santi patroni dei cacciatori ma soprattutto due grandi personaggi il cui esempio va seguito. A differenza di Jacques du Fouilloux, il quale pensa che la pratica della caccia sia un divertimento innocente che non può impedire di essere molto pio, come lo furono anche Saint Hubertus, Sant’Eustachio, Luigi il Giusto o Vittorio Amedeo Duca di Savoia: “E sia non solo per il timore di questi accidenti, ma piuttosto per l’amore che dobbiamo a Dio, praticando la caccia come un innocente divertimento, e per seguire l’esempio mostratoci da due grandi personaggi, Saint Hubertus e Sant’Eustachio, che sono i nostri protettori, come quelli che ci diedero le prime istruzioni di caccia. Nel capitolo III della terza parte de La Vénerie royale, Robert de Salnove tratta dei rimedi per evitare che i cani morsi da altri cani rabbiosi o lupi si ammalino a loro volta; il rimedio più efficace era andare a Saint Hubertus. Il più illustre dei cacciatori vandeani rimane il conte Auguste J.F. de Chabot (1825 - 1911), che ha lasciato ai posteri due trattati fondamentali: La Chasse a travers les ages (La caccia attraverso i secoli) e La chasse du chevreuil et du cerf (La caccia al capriolo e al cervo). Le citazioni di Saint Hubertus sono molto più presenti nelle sue opere poiché sembra registrarsi, oltre all’arte della caccia, il rispetto della tradizione e nella fedeltà ai costumi di un tempo. È necessario sottolineare una pratica abbastanza comune nei libri del conte de Chabot: ognuno di essi termina con alcune frasi dedicate a Saint Hubertus. Così, La Chasse du chevreuil et du cerf specifica: “Prima di chiudere questo studio, non voglio lasciarvi, miei cari lettori, senza aver pregato Iddio, se siete buon cacciatore, di avervi nella sua santa e degna custodia e di preservarvi da ogni sfortunata accidente. Auguro anche a voi, sull’esempio del grande Saint Hubertus, nostro patrono, di mantenervi sempre esatti in ogni osservanza della legge divina; rimanere tutta la vita audace e gioioso cacciatore, buon compagno, amabile con tutti, degno, in una parola, del titolo di buon cacciatore”. Quanto a La Chasse travers les ages, l’opera si conclude con la melodia di Saint Hubertus: “non voglio concludere questo studio sulla caccia senza riprodurre i seguenti versi improvvisati in onore del santo patrono dei cacciatori: furono cantati a un banchetto di allegri cacciatori da uno degli assistenti, lui stesso un grande cacciatore. Questo sarà, a mio avviso, il modo migliore per concludere degnamente questo lavoro, augurando anche a me, miei pazienti lettori, felicità e lunga vita”. Nel 1905, il conte de Chabot dedicò un opuscolo di quindici pagine esclusivamente al santo patrono dei cacciatori. Questo libro intitolato Saint Hubert, patrono dei cacciatori, guarisce dalla rabbia è stampato a Les Herbiers. Ripercorre la vita del santo, la nascita delle congregazioni, la guarigione dalla rabbia, per poi concludersi con ricordi personali relativi al suo viaggio in Belgio. La visita alla celebre abbazia benedettina di Saint-Hubert, addossata a un colle della catena delle Ardenne, sembra essere vissuta dal conte di Chabot come un vero e proprio pellegrinaggio. L’apice del suo viaggio viene raggiunto quando evoca una piccola cappella dedicata al Santo e situata ai margini della foresta, un luogo mitico dove il cervo crocifero apparve a Saint Hubertus: i locali chiamano questo luogo la Conserverie, ovvero la Conversione. Dopo aver fatto il giro di questa vasta foresta, si rientra al calar della notte in paese.