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di Giovanni Tartaglia 15/07/2017

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"Per comprendere come è nato Dada è necessario immaginarsi, da una parte, lo stato d'animo di un gruppo di giovani in quella prigione che era la Svizzera all'epoca della prima guerra mondiale e, dall'altra, il livello intellettuale dell'arte e della letteratura a quel tempo. Certo la guerra doveva aver fine e dopo noi ne avremmo viste delle altre. Tutto ciò è caduto in quel semi-oblio che l'abitudine chiama storia. Ma verso il 1916-1917, la guerra sembrava che non dovesse più finire. In più, da lontano, sia per me che per i miei amici, essa prendeva delle proporzioni falsate da una prospettiva troppo larga. Di qui il disgusto e la rivolta. Noi eravamo risolutamente contro la guerra, senza perciò cadere nelle facili pieghe del pacifismo utopistico. Noi sapevamo che non si poteva sopprimere la guerra se non estirpandone le radici. L'impazienza di vivere era grande, il disgusto si applicava a tutte le forme della civilizzazione cosiddetta moderna, alle sue stesse basi, alla logica, al linguaggio, e la rivolta assumeva dei modi in cui il grottesco e l'assurdo superavano di gran lunga i valori estetici. Non bisogna dimenticare che in letteratura un invadente sentimentalismo mascherava l'umano e che il cattivo gusto con pretese di elevatezza si accampava in tutti i settori dell'arte, caratterizzando la forza della borghesia in tutto ciò che essa aveva di più odioso (...)". 
Partendo dalla definizione di Tristan Tzara, dare un significato al termine Dadaismo e' un compito assai arduo, da non sottovalutare.
[caption id="attachment_9098" align="aligncenter" width="1000"] Fila superiore, da sinistra a destra: Max e Lotte Burchartz, Peter Röhl, Vogel, Lucia e László Moholy-Nagy, Alfred Kemeny; fila in mezzo: Alexa Röhl, El Lissitzky, Nelly e Theo van Doesburg, Sturtzkopf; fila inferiore: Werner Graeff, Nini Smit, Harry Scheibe, Cornelis van Eesteren, Hans Richter, Tristan Tzara, Hans Jean Arp. [/caption]
Parallelo - ma non incidente - al resto delle avanguardie del novecento, il Dada si sviluppò a cavallo delle due guerre, in particolare, come reazione “non-artistica” alle atrocità della Grande Guerra.
Se nello stivale italiano si sviluppava il militarismo e l'ode alla guerra con i Futuristi, e nei Paesi Bassi si facevano spazio le forme geometriche dei padri del De Stijl, nella Svizzera neutrale e non belligerante nasceva (e floridamente si sviluppava) il più emblematico dei movimenti d'avanguardia.
Per decenni, dopo la “fine” del Dada come movimento artistico - anche se tracce dei suoi insegnamenti si riscontrano nel Surrealismo, nelle neoavanguardie e tutte le correnti artistiche conseguenti -basti guardare l'Arte povera e la pop art - molti studiosi e sociologi cercarono di spiegare le origini del nome. C'è chi lo attribuì alla parola russa “da” - enfatizzando la possibilità che il movimento avesse una matrice comunista (e in particolare Leninista); altri lo fecero risalire alla parola francese “cavallo a dondolo”, o all'ancestrale “Da-da” pronunciato dai neonati italiani e tedeschi per matrice linguistica. La verità è che nessuna di queste ipotesi, sebbene non totalmente false, può essere definita completamente vera.
L'analisi etimologica, per quanto spicciola, è necessaria per capire a fondo le radici e il vero senso della rivoluzionaria tendenza culturale e sociale che rappresentò il Dada.
L'incertezza, il non-senso, il rifiuto di razionalità e logica furono i caratteri portanti della cultura dadaista, che si prefigurava - anche semplicemente nel nome, cui origine rimane priva di fonti - come una delle più prolifiche fucine d'avanguardia del suo secolo.
Nato nella Zurigo del 1916, immediatamente dopo la fine della Grande Guerra, il movimento si sviluppa dal piccolo palcoscenico del “Cabaret Voltaire” (che fa da culla all'intera corrente artistica), attraverso le menti creative di Tristan Tzara e dal regista Hugo Ball, che dirige i primi spettacoli Dadaisti.
[caption id="attachment_9106" align="aligncenter" width="1000"] Il Cabaret accoglie fin da subito la danza, la musica e le letture. Al Cabaret si tengono mostre d’arte russa e francese, danze, letture poetiche, esecuzioni di musiche africane. Spettacoli provocatori e dissacranti che si trasformano in autentici eventi, interventi culturali. Specchiando la situazione generata dalla Prima guerra mondiale, l’arte esibita è caotica e brutale. In almeno un’occasione il pubblico attacca il palco del Cabaret Voltaire. Anche se è il luogo di nascita del movimento dadaista, il Cabaret ha a che fare con ogni settore dell’avanguardia, incluso il futurista Marinetti. Vengono presentati artisti radicalmente sperimentali, molti dei quali finiscono col cambiare l’espressione delle loro discipline artistiche; gli artisti in questione includono Kandinsky, Klee, de Chirico ed Ernst. [/caption]
La forma degli spettacoli non è dissimile da quelli presentati durante le “Serate Futuriste” nella vicinissima Milano – la differenza è che il Dadaismo protesta contro la guerra, e lo fa scardinando la società del tempo, negando ogni sviluppo, e servendosi dell'arma a doppio taglio dell'irrazionalità. I primi spettacoli Dada erano il delirio dell'arte scenica, cui partecipazione con il pubblico si poneva come punto cardine: questo era coinvolto nell'opera, chiamato a partecipare allo spettacolo d'arte messo in scena e l'ospite era invitato a cantare canzonette assurde, ironiche, su un sottofondo “rumoroso” di metallo e plastica che formavano i vestiti di scena dei 'non artisti' Dada.
Ancora Tristan Tzara: “Per fare un poema dadaista. Prendete un giornale. Prendete delle forbici. Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che contate di dare al vostro poema. Ritagliate l’articolo. Ritagliate quindi con cura ognuna delle parole che formano questo articolo e mettetele in un sacco. Agitate piano. Tirate fuori quindi ogni ritaglio, uno dopo l’altro, disponendoli nell’ordine in cui hanno lasciato il sacco. Copiate coscienziosamente. Il poema vi assomiglierà. Ed eccovi uno scrittore infinitamente originale e d’una sensibilità affascinante, sebbene incompresa dall’uomo della strada".
Per la prima volta, la danza entrava di diritto tra i cardini di un'avanguardia, basti pensare agli spettacoli di danza moderna astratta di Sophie Taeuber-Arp, che portava in scena le sue ballerine senza coreografia, indossando maschere prive di volti.
Il Dada fu tra i primi sperimentatori del 'ready-made' - in realtà sperimentato in primo luogo da Duchamp, poi adottato nelle tendenze Dadaiste - che faceva di un oggetto qualsiasi (quale, ad esempio, la ruota di una bicicletta) un opera d'arte, non dissimile dai quadri dei grandi artisti; da qui, l'idea che “se tutto è arte, nulla lo è”.
[caption id="attachment_9105" align="aligncenter" width="1000"] L’universo Dada all’interno del Cabaret Voltaire era, prima di tutto, una costellazione di giovani rifugiati, artisti, intellettuali, obiettori di coscienza che provenivano da differenti Paesi. Solo pochissimi di loro potevano dirsi propriamente svizzeri. Il movimento Dada si è rivelato, anche per gli stessi dadaisti, come imprevedibile, inaspettato. Ma la Svizzera e specialmente Zurigo erano, prima che scoppiasse il conflitto, terreno fertile per far crescere tutti i tipi di alternative, dettate da idee moderne e rivoluzionarie, così come rappresentate da Monte Verità ad Ascona. [/caption]
Il ready-made fu probabilmente la “scoperta” più rivoluzionaria della cultura Dada, il picco massimo del loro anarchismo.
Nonostante l'aspra critica alla cultura, alla società e, in particolare, all'arte del suo tempo - senza risparmiare Cubisti e Futuristi, che erano “disprezzati” dai Dadaisti perché considerati troppo 'istituzionali' - dopo una primissima “fase” caratterizzata da pura sperimentazione artistica, il Dadaismo si omologò lentamente al resto delle Avanguardie, sviluppando un proprio “Manifesto” e accettando nei suoi circoli o “Galerie Dada” le opere futuriste e cubiste, perdendo il suo spirito rivoluzionario per rifugiarsi in una sorta di nichilismo artistico, di rifiuto totale verso le altre forme d'arte, che non fossero completamente, indiscutibilmente, libere.
Proprio seguendo questo principio nel 1918, il Manifesto del movimento portò uno dei suoi fondatori, Tristan Tzara, a definire il Dadaismo come «Dada non significa nulla»
I vari circoli Dada, come quello di Berlino - ormai completamente politicizzato ed asservito alla Rivoluzione Spartachista - o al prolifico Dadaismo d'oltreoceano (era l'epoca di Man Ray e di Ballet mécanique, agli albori del Surrealismo) diventarono autonomi e si consolidarono in altre correnti o sparirono del tutto.
Il Dadaismo, quindi, è stato a tutti gli effetti un “fuoco di paglia”. Nonostante l'abnorme impatto mediatico, e la sua fondamentale impronta nella storia dell'arte contemporanea, il Dada fu un periodo di passaggio che quasi spinge molti storici dell'arte ad esitare nel definirlo “movimento artistico” - esso fu, coerentemente alla sua primissima impronta concettuale, una “sperimentazione continua” che finì per ritrovarsi isolato dalle canoniche forme d'arte, quali pittura, scultura, danza, proprio per il suo disprezzo verso le stesse.
 
Per approfondimenti:
_Valerio Magrelli, "Profilo del dada" - Edizioni Laterza;
_Luigi Di Corato, Elena Di Raddo, Francesco Tedeschi, "Dada 1916. La nascita dell'antiarte" - Silvana Editoriale
_Tristan Tzara, "Con totale abnegazione" - Editore: Castelvecchi
 
© L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata

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di Giovanni Tartaglia 31/05/2017

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Perché scrivere una sorta di critica quando i critici non servono? Perché scagliarsi contro intere generazioni? Perché inimicarsi qualcuno con il proprio pensiero, sia esso produttivo o inutile?
La risposta a tali quesiti, può essere riassunta in un'unica risposta: è l'Avanguardia dell'arte. Non si può aderire ad un'idea solo accettando passivamente le condizioni imposte, il progresso è dietro l'angolo e bisogna raggiungerlo, scavalcando gli ostacoli del presente.
Filippo Tommaso Marinetti fu un visionario, un veggente - con il Futurismo lui tentò di "prevedere il futuro", con successo, idealizzando a tratti la realtà di oggi; Nel 1908 Marinetti si scaglia, becero, irruento, travolgente, dinamico, contro il mondo del vecchiume dominato dalla borghesia fatta da "anziani" e fonda il Movimento Futurista – aveva trentadue anni. Il primo Futurismo è poetico, quasi romantico, per gli artisti che vi aderiscono. Personalità quali Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo (ai profani, nomi probabilmente sconosciuti, dacchè, in ambito accademico, si è ritenuto necessario "oscurare" queste personalità, per motivazioni di cui si parlerà in seguito) aderiscono al progetto e, sotto la guida folle e febbricitante di Marinetti, fanno "guerra" alle istituzioni del tempo.
C'è da dire che il Futurismo, come pensiero - così come lo pose il suo responsabile -, ha fatto scandalo sia nell'epoca in cui questo è nato - per il suo dinamismo, velocità e industria - e potrebbe far scandalo anche oggi, dato che si tendeva ad esaltare il militarismo, il nazionalismo e la guerra, che veniva intesa come "igiene dei popoli".
Una vera e propria anarchia, quella ipotizzata dai primi Futuristi, che erano anche i pensatori, gli ispiratori di molte delle Avanguardie europee (Dadaismo, Cubismo, De Stijl), tutte pressappoco contemporanee nella loro creazione.
La vera colpa di questo movimento artistico, che pure contribuì largamente allo sviluppo dell'Arte moderna e contemporanea come la conosciamo adesso, fu' di fatto appoggiare politicamente il fascismo, che in parte si impadronì delle idee Futuriste, svuotando il sacco di innovazione proposte da questi artisti, e lasciandoli abbandonati al loro destino. Le difficili relazioni tra Futuristi/anarchisti della prima ora e Fascisti, pose di fatto una lapide sul già decadente movimento avanguardista, con la "resa" concettuale di Marinetti, che morì asservito ai principi della Repubblica Sociale Italiana.
Nonostante il generale "disprezzo" della critica d'arte italiana e contemporanea nei confronti del Futurismo, questo movimento d'Avanguardia regalò all'Italia e al mondo un ventennio di pura innovazione e sperimentazione artistica.
Ogni ambito dell'Arte (e non solo) fu influenzato dalle giovani menti di artisti italiani che diedero la loro interpretazione al mondo tramite le loro opere. Correnti gemelle si diramarono nel mondo (il Futurismo Russo è tra i più celebri esempi di questa espansa influenza), frattanto che artisti del calibro di Boccioni - ed altri - si interrogavano sulla necessità di trasmettere il dinamismo nella pittura e nella scultura, creando celebri esempi dell'arte di quell'epoca e della sua rumorosissima denuncia nei confronti Ancien Régime del XX secolo.
[caption id="attachment_8808" align="aligncenter" width="1000"] A sinistra: Gerardo Dottori, "Il Duce" - 1933. A destra: Enrico Prampolini, Dinamica dell'azione (Miti dell'azione. Mussolini a cavallo). [/caption]
Basti pensare all'ideazione stessa dell'Aeropittura, uno stile pittorico che prevedeva quadri in vedute dall'alto, prospettivamente simili a quelle visibili in volo, uno stile del tutto innovativo, indipendente da qualsiasi altra influenza dell'epoca, che si proponeva a celebrazione della macchina più rivoluzionaria di quel secolo: l'aeroplano.
La genialità e l'importanza del Futurismo, però, non va solo ricercata nel suo ruolo di Avanguardia, ma anche nella testimonianza che essa ebbe - in riferimento all'arte italiana - rispetto al periodo storico in cui si sviluppò. Ieri come oggi, il mondo stava cambiando; le automobili invadevano le strade, la rivoluzione industriale di massa aveva raggiunto ogni anfratto del globo, fu questo il trampolino di lancio di artisti “ansiosi” come Boccioni (da molti definito il più grande artista italiano della sua generazione), che negli anni a cavallo tra il 1910 e il 1915 produsse opere come “Forme uniche della continuità nello spazio”.
In campo architettonico, Antonio Sant'Elia visionò la nuova "forma" d'urbe: "la città futurista".  Tale città utopica e del desiderio, appare già nella prima pagina del Manifesto del futurismo di Marinetti, pubblicato su Le Figaro a Parigi il 20 febbraio 1909: "Avevamo vegliato tutta la notte (...) discutendo davanti ai confini estremi della logica e annerendo molta carta di frenetiche scritture. (...) Soli coi fuochisti che s'agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nella pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d'ali, lungo i muri della città. Sussultammo a un tratto, all'udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in festa che il Po straripato squassa e sradica d'improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso gorghi di un diluvio. Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l'estenuato borbottio di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell'ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici".  Dunque la città diviene il luogo privilegiato della modernità, la quale con forza travolgente, incarna il futuro e la velocità che crea il movimento. Luci, rumori sconquassano il paesaggio e ne moltiplicano i punti di visione.
La "Città Nuova" deve nascere e crescere contemporaneamente alla nuova ideologia del movimento e della macchina, non avendo più nulla della staticità del paesaggio urbano tradizionale.
Uno degli elementi nuovi, oltre l'aeroplano, è sicuramente il treno. Una delle opere più rilevanti è "Stati d'animo, gli addii” di Umberto Boccioni. In quest'opera, protagonista assoluto è il convoglio ferroviario (preso come soggetto da molti altri Futuristi), cui la sua modernità “arcaica” trasmette quasi nostalgia, angoscia. Il dipinto racconta della partenza, delle sensazioni provate dalle figure a stento stilizzate e visibili tra i fumi della locomotiva che sta per mettersi in cammino. Lo scorcio racconta i legami affettivi di coloro, i quali sono destinati a prendere il treno al vagone 6943. In effetti, ad analizzarlo, il quadro è un misto di stili: lo si può interpretare come cubista o espressionista, ma il vero collante che lo tiene insieme è la ricerca del movimento nella staticità della tela: punto di forza del futurismo, chiave di volta per l'interpretazione della realtà e della sensazione umana.
[caption id="attachment_8809" align="aligncenter" width="1000"] Da sinistra a destra: Umberto Boccioni, "Stati d'animo, gli addii” 1911; Antonio Sant'Elia, La città nuova. Casa a gradinata con ascensori esterni. [/caption]
Boccioni non fu l'unico ad interrogarsi sulle sensazioni umane, sia pure attingendo al dinamismo e alle forme del movimento; Gino Severini, che pure fu tra i soci fondatori del Manifesto dei pittori futuristi, venne definito, da Theo van Doesburg, ideatore del psychisch kubisme (cubismo psichico) proprio per le capacità introspettive dei suoi quadri, e la sua ossessiva ricerca di un “senso oltre l'immagine”.
Al di là delle prese di posizione politiche (per altro molto discordi tra loro durante le varie “fasi” del movimento) è innegabile l'importanza di questo gruppo di pensatori. Il Futurismo, infatti, fece un passo avanti rispetto al resto delle Avanguardie del 900, dacché non solo produssero materiale artistico esplorando ogni forma d'arte,  ma idealizzarono una vera e propria società, costruendola dal disegno architettonico (celebri sono gli schizzi realizzati da Antonio Sant'Elia con la sua “Città Nuova”), passando per la grammatica (le “parole in libertà”, stile letterario in cui le parole non hanno necessariamente un legame tra loro, indifferenti alla sintattica e alla grammatica) fino alla sua struttura sociale, che si rifaceva al primo Manifesto del futurismo, scritto di pugno da un Marinetti inebriato dal mito della modernità.
I futuristi non furono amati al tempo come non lo sono ora, ma è importante che non si perda il ricordo della loro importanza. Nel bene o nel male, purché se ne parli.
 
Per approfondimenti:
_Autori vari per catalogo mostra, Aereopittura, arte sacra futuriste. La Spezia, 1931;
_D'Orsi Angelo, Il futurismo tra cultura e politica. Reazione o rivoluzione?, Salerno Editore;
_Guerri Giordano Bruno, Filippo Tommaso Marinetti / Invenzioni, avventure e passioni di un Rivoluzionario, Arnoldo Mondadori Editore;
_Agnese Gino, Umberto Boccioni. L'artista che sfidò il futuro, Johan & Levi Editore.
 
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