Secondo Heidegger il conservatorismo “è chiamato a preservare la democrazia dell’essere che poggia su elementi essenziali: il Fuhrung, il comando; il Volk, il popolo; l’Erbe, l’eredità; la Gefolgschaft, la comunità dei seguaci; il Bodenstandigkeit, il radicamento della propria terra” e si caratterizza come contro-movimento in opposizione alla distruzione dei valori realizzata dal nichilismo. Si può quindi realizzare un confronto tra Ernst Jünger e Heidegger per cui: La diagnosi sulla “malattia” nichilista induce a prefigurare una nuova frontiera di “resistenza” e di “anarchia”, quella del “selvatico” in opposizione alla “svalutazione dei valori” che è propria del nichilismo, condizione diffusa e pericolosa. L’individuo è chiamato ad opporsi allo “sfaldarsi degli antichi ordinamenti” e alla “consunzione di ogni risorsa tradizionale”. Il conservatorismo, a differenza del tradizionalismo, funge da collegamento tra diverse generazioni permettendo di mantenere l’eredità del passato e trasmetterla a chi verrà dopo di noi: il passato è importante perché contiene le azioni di persone, senza il cui impegno e le cui sofferenze noi stessi non esisteremmo. Queste persone hanno delineato i contorni fisici del nostro Paese, ma hanno anche prodotto le sue istituzioni e le sue leggi e hanno combattuto per preservarle. Qualunque sia il concetto di trama degli obblighi sociali che noi abbiamo, abbiamo verso di loro un dovere di memoria. Noi non solo studiamo il passato, ma lo ereditiamo e l’eredità porta con sé non solo i diritti di proprietà, ma anche i doveri di amministrazione per conto di chi deve ancora venire. Le cose per le quali si è combattuto e alcuni hanno perso la vita non devono essere sperperate pigramente: sono proprietà di altri, di quelli che non sono ancora nati.
Il conservatorismo dev’essere visto in questa ottica, come parte di una relazione dinamica fra le generazioni. Le persone provano dolore per la distruzione di ciò che è loro caro, perché questo rovina il modello di amministrazione fiduciaria, in quanto taglia fuori coloro che sono stati prima e offusca l’obbligo verso coloro
che verranno dopo. L’antitesi del conservatorismo è il progressismo, l’idea di progresso ha dominato il pensiero occidentale tra il 1750 e il 1900 legandosi strettamente alla fede nello sviluppo economico, le credenze progressiste non appartengono solo al capitalismo ma sono anche alla base del comunismo. Gli studiosi, tuttavia, sono tra loro in disaccordo su quando sia nato il concetto di progresso. Se J.B. Bury nel suo libro del 1920 "The Idea of Progress" lo fa risalire non prima del XVII secolo e della rivoluzione scientifica, altri studiosi come Ludwig Edelstein ed E.R. Dodds credono che derivi addirittura dall’antica Grecia. Una posizione condivisa da Robert Nisbet nel suo libro "History of the Idea of Progress" del 1980 che considera il progresso acquisito dalla filosofia cristiana della storia. In seguito la dottrina del progresso è fatta propria dal liberalismo classico (che enfatizza il concetto di libero mercato), dal liberalismo statalista (concetto di welfare state) e dal socialismo. Si crea così una contrapposizione tra i puritani, i liberali classici e i darwinisti che credono in varie forme del progresso e i reazionari, i cattolici tradizionalisti e i conservatori che invece ripudiano il concetto di progresso. Da qui nasce il progressismo, un’ideologia basata sull’inevitabilità del progresso storico e sociale che porterà a un’epoca storica caratterizzata dalla libertà totale, dall’uguaglianza sociale ed economica. Padri del progressismo sono Francis Bacon, Bentham, Mill, Rousseau, Marx, Comte, Edward Bellamy, Condorcet...
[caption id="attachment_6679" align="aligncenter" width="1000"]
Da sinistra a destra: Francis Bacon, Jeremy Bentham, John Stuart Mill, Jean-Jacques Rousseau, Karl Heinrich Marx, Augusto Comte, Edward Bellamy, Marquis de Condorcet, solo alcuni dei più celebri progressisti.[/caption]
Il progressismo si articola in vari rami tra cui quello scientifico di Bacon che ritiene il progresso come lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche; al contrario per il progressismo sociale la natura umana può cambiare attraverso le riforme politiche.
La trasformazione della società auspicata può avvenire solo grazie a un governo centralizzato che ha sufficienti poteri per farlo. Secondo i conservatori le riforme progressiste nascono invece da un’incomprensione di fondo della condizione umana e dalla non accettazione del ruolo del diavolo nel mondo. Il filosofo tedesco Hermann Lübbe, autore di decine di libri in Germania di cui alcuni pubblicate nel nostro paese come "Religione dopo l’Illuminismo" e "La politica dopo l’Illuminismo", ha stilato le Regole fondamentali del comportamento conservatore:
_È conservatrice la cultura derivata dal dolore per i danni arrecati a un patrimonio insostituibile, che sono il prezzo del progresso. Questo dolore non implica un cieco rifiuto del progresso.
_È conservatrice la prassi della difesa di ciò a cui non si può rinunciare, contro le sue minacce attuali o prevedibili. [...] chi ritenga giusta e irrinunciabile una cosa simile e intenda salvarla in circostanze che mutano minacciosamente.
_È conservatrice l’esigenza di validità di una regola distributiva dell’insieme degli argomenti, secondo la quale, sia nella scienza che nella politica, il progresso e non la tradizione abbia bisogno di essere giustificato.
_È conservatore il riconoscere alla prevenzione delle catastrofi la priorità di fronte alla prassi della realizzazione di utopie. L’orientamento verso i mali che vanno indicati per la loro eliminazione è politicamente più sicuro di quello verso l’immagine di una felicità sconosciuta. I conservatori sono contrari non solo alla Rivoluzione francese come avvenimento in sé ma a tutti i cambiamenti economici e di ordine morale da essa derivati. Il conservatorismo delle origini si basa sulla società medievale europea e considera le conquiste della modernità le cause non dell’emancipazione dell’individuo ma della sua alienazione, perciò il pensiero conservatore si oppone al razionalismo e all’individualismo propugnato da Voltaire, Diderot e Kant.
I temi centrali del conservatorismo, enunciati negli ultimi due secoli, non sono altro che dei corollari agli enunciati di Burke sulla Francia rivoluzionaria. Burke era ben consapevole del fatto che la Rivoluzione francese avesse, in fondo, una valenza europea, ma questa consapevolezza, per trovare conferma, dovette attendere le opere di ardenti tradizionalisti come Bonald, Maistre e Tocqueville, in cui è possibile notare i contorni di una filosofia della storia diametralmente opposta a quella del progressismo, oltre che una perspicace affermazione dell’importanza del feudalesimo e di altre strutture sviluppatesi storicamente, come la famiglia patriarcale, la comunità locale, la chiesa, la corporazione e la regione che, sotto gli effetti individualizzanti e centralizzati della filosofia del diritto naturale, sono quasi scomparse dal pensiero politico europeo in tutto il periodo che va dal XVII al XVIII secolo. Thomas Hobbes, John Locke e Jean-Jacques Rousseau guardarono sempre con ostilità alla società tradizionale, ai suoi gruppi e alle sue tradizioni. L’attenzione, nei loro scritti, era rivolta esclusivamente alla realtà concreta dell’individuo, lasciando nell’ombra l’organizzazione delle istituzioni.
[caption id="attachment_6680" align="aligncenter" width="1000"]
Edmund Burke, padre filosofico del conservatorismo (Dublino, 12 gennaio 1729 – Beaconsfield, 9 luglio 1797), è stato un politico, filosofo e scrittore britannico.[/caption]
Burke, su tutti, rovesciò questa prospettiva individualistica totalizzante. Le Riflessioni e le sue accuse ai rivoluzionari e alle schiere di teorici del diritto naturale ebbero una funzione determinante nei notevoli cambiamenti registratisi in Europa nel passaggio dal XVIII al XIX secolo.
A infiammare l’Occidente, per mezzo della generazione immediatamente successiva alla pubblicazione delle Riflessioni, fu una vera e propria aufklärung, centrata essenzialmente su di un forte anti-Illuminismo. Le voci critiche di Louis de Bonald, Joseph de Maistre e René de Chateaubriand, in Francia, di Samuel Taylor Coleridge e Robert Southey, in Inghilterra, di Karl Ludwig Haller, Friedrich Carl Savigny e George Wilhelm Friedrich Hegel, in Germania, Juan Donoso y Cortés e Jaime Luciano Balmes, in Spagna, si fecero sentire in tutto l’Occidente. In America, furono John Adams, Alexander Hamilton e Randolph di Roanoke a lanciare precisi avvertimenti e proclami. Tutte queste voci critiche, sia europee che americane, riconoscevano come unico profeta Edmund Burke.