[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470867338481{padding-bottom: 15px !important;}"]Politica e Verità[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Arturo Verna  del 01/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470933076838{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
La politica è l’arte di “condurre“ la polis; nell’immagine tradizionale il politico è il nocchiero (il pilota) che guida la nave per mari tempestosi e ne garantisce l’arrivo a destinazione, l’attracco al porto sicuro. In quanto tale, la politica è l’arte di salvaguardare la polis a fronte del rischio cioè della minaccia cui questa nel suo essere è sottoposta: la polis, infatti, è per sua natura a rischio perché non sussiste di per sé e può venire meno. Politico è appunto chi è chiamato a fronteggiare tale rischio. Con che non lo è indifferentemente chiunque ma solo chi è capace di esercitare la sua arte, cioè di mettere in sicurezza la polis. E, poiché è politico solo se riesce a difendere la polis, lo è a parte post, perché solo quando ha effettivamente esercitato (o tentato di esercitare) la sua arte si sa se colui al quale è affidata la conduzione della polis è veramente un politico e non un millantatore. Invece, è possibile sapere prima quali requisiti un politico debba possedere, perché all’uopo si può fare riferimento all’essenza della polis.
Che cos’è la polis? Innanzi tutto, è una comunità in cui ciascuno si relaziona all’altro. La sua radice è economica: senza soddisfare i bisogni non si è ma nessuno è in grado di soddisfare i propri bisogni da sé, perché i bisogni sono infinitamente correlati l’uno all’altro per cui per poterne soddisfare uno occorre che ne sia già stato soddisfatto un altro. Quindi, ogni bisogno è mezzo per la soddisfazione di un altro. Sicché nessuno può esistere da solo perché ciascuno abbisogna che altri predispongano per lui i mezzi di cui ha bisogno per soddisfare il suo bisogno: diversamente, non riesce a soddisfarlo, perché è costretto a procedere infinitamente a ritroso per predisporre i mezzi atti allo scopo.

[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470867586597{padding-bottom: 15px !important;}"]Bellezza e verità[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Arturo Verna del 01/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470867708842{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
Bello è ciò che attrae, ciò verso cui ci si dirige per il suo solo essere: il bello quindi non coarta perché fa essere il movimento gravitazionale verso di sé (l’eros), quindi è buono, ma senza necessitarlo, lasciando libero di seguire la sua chiamata colui al quale si rivolge.
Ma, in quanto attrae, anche distrae: essendo il desiderabile (ciò che suscita il desiderio di sé), fa, per ciò stesso, fuggire l’opposto, che appunto è quel che non si desidera ossia quel che si desidera che non ci sia: il bello è indice di se stesso e del brutto.
Il desiderio del bello è desiderio di possederlo e, come tale, implica mancanza: si desidera possederlo perché non lo si ha e senza di esso non si è interamente (non si è quel che si deve).
Sicché lo si desidera per essere: solo possedendolo si riesce ad essere come si desidera. Per ciò stesso, ci si affanna per possederlo nulla tralasciando per raggiungere lo scopo: il bello inquieta.
Ma, eo ipso, desiderare di possedere il bello non significa pretendere di ridurlo a proprietà, a ciò di cui si può disporre a piacimento, perché appunto si è in virtù del bello sicché lo si possiede come si desidera se ci si immerge in esso perdendovisi. Pertanto, è giusto dire che “bello è ciò che piace” perché nel bello sta il piacere (il sentimento di soddisfazione di sé) cioè perché il bello produce godimento ed è per questo che ci attrae: noi, appunto, lo desideriamo per il piacere che procura.

[vc_row css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470867974514{padding-bottom: 15px !important;}"]Il Futuro è nostro[/vc_column_text][vc_separator css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Diego Fusaro del 16/06/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470933635146{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]

"il Futuro è nostro" se sapremo appropriarcene, cioè se sapremo agire con l'ottimismo della volontà come diceva Gramsci ovvero vincere quelle "passioni tristi" come la pigrizia, il disincantamento, la rassegnazione al cinismo che si sono impadronite nell'uomo occidentale, soprattutto dopo il 1989, quando appunto si è prodotto un duplice e sinergico movimento di desertificazione dell'avvenire e di eternizzazione del presente.

[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470868665449{padding-bottom: 15px !important;}"]Introduzione a "Tempio Vuoto". Crisi e disintegrazione dell'Europa[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Armando Marozzi del 01/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470868793413{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
Il libro di Federico Nicolaci si inserisce in una letteratura eurocritica che è lievitata negli ultimi tempi in maniera esponenziale. Mi limiterò ad individuare quello che, a mio modesto giudizio, è il nucleo del testo per poi cercare di inscrivere il lavoro nell’epoca delle passioni tristi (Miguel Benasayag – Gérard Schmit) di cui siamo coatti abitatori.
Il nucleo del testo è il seguente: le cause della crisi apparentemente tecnico-finanziarie non possono essere risolto tecnicamente. In altri termini, la crisi dell’euro non è tecnico-economica, perché non ha nulla di tecnico e non può essere aggiustata tecnicamente; al contrario essa investe l’idea stessa del progetto europeo come questo fu pensato, minando i suoi fondamentali. Le fondamenta del progetto sono inconsistenti e la crisi non ha tardato a manifestare la totale assenza di solidarietà tra popoli.
Mi trovo, personalmente assai d’accordo con ciò ed anche con un’altra traccia del lavoro di Nicolaci: non essendo l’Europa un progetto europeo, bensì originariamente americano creato ad hoc per contenere l’espansionismo sovietico, venendo meno l’Urss, essa ha liberato i sentimenti di inimicizia sospesi dalla Guerra Fredda. Perciò, giustamente, Nicolaci afferma che non è seguito un necessario ripensamento di questa identità politica etero-determinata e a ciò viene ascritta la crisi odierna. Il funzionalismo (cooperazione a livello materiale) alla base del progetto europeo, insomma, ha fallito. L’Europa è un “tempio vuoto”: “una facciata dietro cui si nasconde il nulla”. Manca un’unione politica al posto di quella monetaria e l’unico modo per produrla è creare una solidarietà in grado di generare solidità. In sintesi, Nicolaci invoca il ripensamento dell’idea del processo di integrazione e il dominio politico delle forze economiche; un’economia a servizio della politica.

[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1471008190529{padding-bottom: 15px !important;}"]Emigranti del Jazz: Joe Pass[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Giovanni Amadio del 01/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471008699961{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
"My father thought I showed signs of being able to play" dichiarò Joe Pass alla Down Beat, e non c’è frase migliore che possa presentare meglio un artista di tale calibro.
Parte 1: La Formazione e la Caduta

[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1471008822864{padding-bottom: 15px !important;}"]Crisi della musica colta e chiusura delle orchestre - un periodo di passaggio[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Giuseppe Lori del 01/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471009021988{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
La musica sta attraversando da molti anni ormai un momento molto particolare; potrei usare gli aggettivi "difficile" o "triste" per definire l'attuale situazione ma non sarei giusto nè oggettivo.
La realtà è che l'arte (e la musica di conseguenza), si evolve in fasi che gli studiosi amano distinguere, racchiudere, delimitare e poi descrivere.
Sono sicuro che questa fase in cui ci troviamo, musicalmente, sia in realtà molto importante, in quanto -passaggio- tra una fase e l'altra.
Attualmente i giovani sono attratti in ogni arte, e nella musica più che in altre, da qualunque forma che esibisca...cosa?

[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470985989779{padding-bottom: 15px !important;}"]La nuova Russia. Differenze tra il nichilismo europeo e quello russo (8)[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Francesco Di Turi del 30/06/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470986041836{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
Esiste un popolo, in realtà è più un crogiolo di popoli storicamente uniti, che ha lo strano ed unico destino di essere pienamente europeo e pienamente asiatico in un sol tempo; parliamo della Russia naturalmente. Il mondo storico russo poi, ciò che ruota intorno come un cardine allo «spirito russo», certo non si limita semplicemente all’interno degli immensi confini politici dell’attuale Federazione che, già di per se stessi, costituiscono un vero e proprio continente che si estende dagli Urali alla Kamchakta sull’asse est/ovest, e dai molteplici Mari del Nord al Mar Nero e all’Asia più profonda interamente tagliata a metà su quello Nord/Sud. La sfera d’influenza russa infatti parla a tutto il mondo slavo aspirando anche, cosa tutt’altro che secondaria nella nostra nuova epoca, alla leadership politico-religiosa all’interno dell’Ortodossia, e ciò in virtù della posizione di Mosca quale terza Roma naturalmente legittimata alla guida delle autocefale e litigiosissime chiese nazionali ortodosse.
Nel corso della sua lunga storia, ma soprattutto a partire dalla svolta occidentalista fondamentale impressa da Pietro I il Grande (1682-1721), il mondo storico russo è stato un Giano bifronte assorbendo e rielaborando alla luce della propria anima tutto ciò che proveniva dall’Asia e dall’Europa. La dialettica Est-Ovest, Europa-Asia, che fonda il russo, lo pone oggi quale uno dei massimi interpreti e protagonisti del nuovo mondo storico figlio del riflusso in atto. Tuttavia oggi, la Russia, non ha semplicemente la possibilità di ripensare la propria storia in termini propositivi al fine di plasmare il suo domani ma, alla luce della crisi radicale e profonda dell’Europa che, come già detto, non riesce a fare strutturalmente altrettanto, si candida di diritto e di fatto come l’unica vera Potenza che (oltre alla Chiesa di Roma e, forse ma solo forse, alla Germania) può realmente «salvare» il mondo storico europeo dalla sua dispersione, dalla sua Selbstvernichtung.

[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470986254293{padding-bottom: 15px !important;}"]L’Europa, il nichilismo e la Chiesa di Roma (7)[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Francesco Di Turi del 30/06/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470986320019{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
Così come, infatti, il neoconservatorismo USA credette di forzare bellicamente l’instaurazione della forma democratica nei territori mediorientali, allo stesso modo, ma politicamente poiché già «giardino dell’Impero», il nuovo spazio europeo ormai riunito di fatto dal venir meno dell’altro polo, fu prima consolidato con la nascita dell’Unione Europea (1993), quindi gradualmente espanso non senza essere prima preceduto dalla ben più strategicamente rilevante annessione militare alla Nato di molti paesi ex Patto di Varsavia, a cui, infine, è seguito il sempre maggiore e graduale «allargamento» alle strutture istituzionali della UE.

[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470986496178{padding-bottom: 15px !important;}"]Il mal d'Europa e l'idealismo degli Stati Uniti d'America (6)[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Francesco Di Turi del 30/06/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1471002220780{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]
Europa, uno spazio culturale che per storia e convenzione attribuiamo all’«occidente»; anzi, che questo stesso occidente fonda.
L’Europa, uno pseudo-continente che agli occhi di un cinese deve sembrare soltanto e a ragione una modesta appendice dell’Asia, sembra ormai incapace di capire e vivere gli elementi accennati in conclusione dell’ultimo articolo, in positivo e in negativo.

[vc_row css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470986875010{padding-bottom: 15px !important;}"]Il consenso e i limiti del Califfato, l’equivoco ideologico (5)[/vc_column_text][vc_separator css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Francesco Di Turi del 30/06/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470986972611{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]Forse il fatto che più desta stupore ai nostri occhi occidentali è quello di dover riconoscere che il sistema di potere dello Stato islamico sui territori in cui opera presenta un carattere socialmente riconosciuto, giuridicamente rispettato nella sua legittimità e, soprattutto, condiviso nelle sue aspirazioni politiche, storiche ed escatologiche; ognuno di questi fattori contribuisce sia a rendere il califfato tutt’altro che inviso alle popolazioni ad esso sottomesse sia ad essere guardato con indubbia simpatia nelle sue pretese e azioni da un’alta percentuale delle popolazioni arabo-sunnite mediorientali. Dal canto suo, il sistema della propaganda occidentale offre una narrazione degli eventi mediorientali che omette di far risaltare queste componenti decisive sul consenso preferendo marcare l’altro elemento fondante di Isis, quello della violenza, delle azioni di stampo terroristico di portata globale o la sistematica pulizia religiosa e culturale dei territori ad esso soggetti. In occidente, insomma, manca una seria presa di coscienza pubblica e soprattutto politica sulla reale portata di questa minaccia che non si limiti semplicemente a liquidarla come distorsione ideologica di una religione che esercita un potere feroce – ma pur sempre valutato come residuale e provvisorio – nei confronti di una popolazione considerata esclusivamente come da esso vessata ed intimorita.