[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470840415676{padding-bottom: 15px !important;}"]L’architettura tra Archè e Technè[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Giuseppe Baiocchi del 08/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470840857610{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
La parola è un involucro che permette ad un contenuto di viaggiare.
I nostri contenuti, sono delle immagini e in realtà hanno bisogno degli involucri, delle lettere per poter attraversare un certo spazio e arrivare a noi. Le parole sono dei veicoli: hanno un involucro esterno e un contenuto, ma se noi non posizioniamo queste parole su un certo sfondo, quello della cultura nella quale noi siamo educati, le parole non dicono nulla, poiché i contenuti cambiano moltissimo. Oggi l’idea di architettura non è quella di Vitruvio Pollione, ma usiamo la stessa parola.
Le parole, dunque, hanno sempre la stessa duplicità che dovrebbe essere messa sempre in relazione: il loro involucro, rispetto al loro contenuto.
La parola con cui inizia la storia occidentale è una caverna e con la parola architettura noi pensiamo che sia un termine universale, ma non è vero poiché oggi l’architettura bisognerebbe cancellarla e lasciare solo il termine “tettura”.

[vc_row css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1491377362024{padding-bottom: 15px !important;}"]Federico Nicolaci: "Il messaggio dell'Imperatore" di Franz Kafka[/vc_column_text][vc_separator css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos6" css=".vc_custom_1471719213039{padding-top: 45px !important;}"]L'associazione Das Andere è lieta di presentare il primo appuntamento con "I Classici della Cultura europea" letti ed interpretati da giovani filosofi e letterati. Federico Nicolaci, cultore della materia nella cattedra di filosofia teoretica dell'Università San Raffaele di Milano, illustra il racconto di Kafka "Il Messaggio dell'Imperatore" (1917), tentando di metterne in luce il significato più recondito.

[vc_row css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470863654289{padding-bottom: 15px !important;}"]Heidegger e il compito del pensiero. Il dono dell’essere[/vc_column_text][vc_separator css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Danilo Serra del 07/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470931929370{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]

Nelle prime pagine della Lettera sull’«umanismo», Heidegger affronta la questione relativa al compito del pensiero, un compito che risiede nel portare a compimento «il riferimento (Bezug) dell’essere all’essenza dell’uomo» . Questa tensione del “portare a compimento” non indica un produrre o un generare. Il pensiero non produce e non genera nulla. Il pensiero porta piuttosto a compimento: «Portare a compimento significa: dispiegare qualcosa nella pienezza della sua essenza, condurre-fuori a questa pienezza, producere» . Dunque, seguendo questo significato, solo ciò che già è, può essere dispiegato e portato a compimento: «Ma ciò che prima di tutto “è” è l’essere» . Il portare a compimento indica allora un far “av-venire”, un portare alla luce e al linguaggio ciò che già è, ciò che è da pensare. Il pensiero offre il riferimento (Bezug), porta a compimento la manifestatività dell’essere. Nel pensiero, scrive Heidegger, «l’essere perviene al linguaggio» , ossia a quel linguaggio che è la casa dell’essere nella cui dimora abita l’uomo e che ha nei pensatori e nei poeti i suoi autentici custodi. Essi, infatti, portano, più di ogni altro, a compimento la manifestatività dell’essere e, «mediante il loro dire, la conducono al linguaggio e nel linguaggio la custodiscono» . Il pensiero, in quanto porta a compimento, agisce. E lo fa in maniera particolare, ossia rammemorando, ringraziando e custodendo.

[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470840732320{padding-bottom: 15px !important;}"]Sverre Fehn, tra tradizione e modernità[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Giuseppe Baiocchi del 06/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470840790718{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
L’architettura è fondamentalmente filosofia. L’uomo si muove in essa da uno spazio all’altro, da un punto filosofico all’altro. Contemporaneamente l’architettura stessa cambia con lo spostamento della prospettiva: c’è un modo nuovo e diverso di fare esperienza della terra, del cielo e della vita. Con un approccio di questo tipo è possibile assumere un atteggiamento simile nei confronti del passato, che allora ci appare come una struttura dotata di vita, sempre nuova e differente ogni volta che la si guarda da un punto di vista filosofico diverso. Il significato dell’attività creativa sta proprio nel trovare il passato e coglierne i diversi aspetti e le diverse sfumature”.

[vc_row css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470865007406{padding-bottom: 15px !important;}"]Ipazia, nel nome della scienza. Il coraggio di ricercare la Verità[/vc_column_text][vc_separator css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Danilo Serra del 05/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470932122802{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]

Un tempo camminava per le vie di Alessandria d’Egitto una donna che, con grande franchezza e coscienza critica, si rivolgeva faccia a faccia ai potenti della città, mostrando loro tutta la sua eleganza e potenza retorica. Tra il IV e il V secolo dopo Cristo, in un’epoca chiamata ad annunciare la fatale caduta dell’Impero Romano d’Occidente, ha vissuto una delle menti più sagge ed affascinanti dell’intera storia dell’umanità. Il suo nome divenne ben presto una leggenda, un mito, un’icona mondiale della libertà di pensiero e conoscenza: Ὑπατία, Ipazia.

[vc_row css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470498305813{padding-bottom: 15px !important;}"]Un "giuramento vitruviano" per l'Italia nostra[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Giuseppe Baiocchi del 04/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1489492588307{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
L’eclissi della memoria incombe su tutti noi, minaccia la convivialità civile, insidia il futuro, toglie respiro al presente. La città è la forma ideale e tipica delle comunità umane, l’Italia oggi deve esserne il simbolo supremo, ma se oggi il nostro paese dovesse venire meno bisogna cercare solo in noi stessi: nei politici, nei cittadini e nei tecnici, poiché oggi stiamo perdendo (lentamente, ma inesorabilmente) la memoria della nostra cultura, diventando ostili a noi stessi.  

[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470860434640{padding-bottom: 15px !important;}"]Averroè. Nel nome della Verità[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text]di Danilo Serra del 03/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470931547350{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
Tra le questioni fondamentali che emergono nel corso della lettura del Trattato decisivo sull’accordo della religione con la filosofia (Fasl al-maqāl fi-mā bayna al-hikma wa al-šarī‘a min al-ittisāl), spicca senza dubbio la problematica relativa alla legittimità della filosofia, o più in generale della “conoscenza”, nell’Islām.
In questo breve e denso trattato, Averroè ha l’obiettivo di definire giuridicamente la legittimità dell’attività filosofica secondo i parametri della legge religiosa islamica, la šarī‘a.

[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470868201386{padding-bottom: 15px !important;}"]Homo, homini, lupus[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Giuseppe Baiocchi del 02/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470933204455{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
Nello scontrasi gli uomini conquistano territori, conquistano terre, perchè l'uomo è "lupo dell'uomo, nemico dell'uomo". Basterebbe per ribaltare questa condizione che l'uomo fosse amico dell'uomo ma la formula opposta ad homo, homini lupus, non è "homo, homini amicus", ma è "Homo homini Deus": ecco la forza del Cristianesimo. Homo homini Deus vuol dire che l'uomo è Dio per l'uomo, perchè Dio si è fatto uomo.

[vc_row css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470841112122{padding-bottom: 15px !important;}"]Il "classico" fra gli stili storici: il Dorico paragone della modernità[/vc_column_text][vc_separator css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Giuseppe Baiocchi del 1/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470841170793{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]

[vc_row css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470859894712{padding-bottom: 15px !important;}"]Tradizione sì, tradizione no, tradizione forse[/vc_column_text][vc_separator css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Riccardo Tarantelli del 01/07/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1470931456820{padding-top: 15px !important;}" el_class="titolos6"]Nel XXI secolo, siamo arrivati ad un punto che l’uomo ha sempre sognato: la (semi) coscienza di sé. Questo, purtroppo, si accavalla con un altro fenomeno: la modernità. Gustave le Bon, nel suo “psicologia delle folle” (un libro che lo avrebbe consegnato nel pantheon della sociologia, e uno dei primissimi studiosi dei fenomeni di massa), descriveva la tradizione come un collante fondamentale per l’unità nazionale.