[vc_row css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1474800136998{padding-bottom: 15px !important;}"]19° incontro DAS ANDERE[/vc_column_text][vc_separator css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos55"]"Costruire Abitare Pensare". Di Serra, Tancredi, Mennella[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1474812341500{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]

Nella splendida cornice di pubblico del Polo culturale S.Agostino si è svolto il Festival della associazione Das Andere intitolato "Costruire Abitare Pensare".

[caption id="attachment_6163" align="aligncenter" width="1000"] Città serena, una delle opere presentate da Erika D'Elia per la Rassegna culturale sullo spazio Urbano[/caption]

Una rassegna di filosofia, architettura, psicologia, musica e arte. L'associazione manda un augurio di pronta guarigione all'Arch.Valeriano Vallesi che non ha potuto moderare l'incontro per motivi di salute.

[caption id="attachment_6161" align="aligncenter" width="1000"] Francesco Mecozzi e le sue installazioni artistiche[/caption]

Nel patio del manufatto edilizio si sono esposte le opere artistiche dei maestri Mecozzi, D'Elia e Tamburrini che hanno reso speciale la giornata. L'evento, in collaborazione con l'Associazione Chitarristica Picena guidata dal maestro Luigi Travaglini, si è svuluppato con interventi puntuali dei relatori intervallati dall'ensemble di chitarre che hanno suonato musiche sullo spazio Urbano.

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Difatti proprio la spazialità Urbana è stata al centro del progetto culturale che Das Andere ha elaborato per la stagione 2016. Il dott.Danilo Serra ha dissertato sulla "responsabilità dell'abitare" - successivamente il Dott.Adelmo Tancredi ha affrontato il tema degli "aspetti comunicativi dell'abitare", prima di lasciare la parola all'architetto Raffaele Mennella, il quale ha relazionato la tematica "dell'espressionismo e della nuova oggettività: l'architettura tra tradizione e innovazione nella Repubblica di Weimar". L'arch.Giuseppe Baiocchi ha condotto l'incontro insieme al Dott.Alessandro Poli.

Il servizio fotografico è stato a cura di Jacopo D'Emidio, mentre le riprese (in onda su You Tube) sono state ancora una volta documentate dal Video Maker Stefano Scalella.

[caption id="attachment_6168" align="aligncenter" width="1000"] Il maestro Stefano Tamburrini si è dilettato durante l'incontro nello schizzare volti dei relatori e del pubblico presente come ricordo della giornata di studi.[/caption]

Un ringraziamento sincero e doveroso a Giuseppe Lori, Manuel Scortechini e Primo De Vecchis senza i quali questo evento non avrebbe avuto luogo. L'Associazione ringrazia gli altri enti che hanno contribuito all'evento come il Comune di Ascoli Piceno, la Libreria Prosperi, L'associazione di storia Contemporanea ISML di Ascoli, L'Ordine degli Architetti di Ascoli, L'Universita degli studi di Camerino UNICAM e Tipico Ascoli.

[caption id="attachment_6169" align="aligncenter" width="1000"]documento-foto-per-sito il filosofo palermitano Danilo Serra spiega al pubblico "Le responsabilità dell'abitare"[/caption] [caption id="attachment_6170" align="aligncenter" width="1000"] Il Dott.Adelmo Tancredi disserta sugli "aspetti comunicativi dell'abitare"[/caption]

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3 Nonostante l'argomento di forte interesse architettonico, con rammarico l'associazione fa presente la forte mancanza degli architetti ascolani.

13 [caption id="attachment_6174" align="aligncenter" width="1000"] L'architetto Mennella durante la sua lectio magistralis "sull'espressionismo e della nuova oggettività: l'architettura tra tradizione e innovazione nella Repubblica di Weimar".[/caption] 9 [caption id="attachment_6177" align="aligncenter" width="1000"]10 Il professor Enrico Antonini, uno dei componenti dell'ensemble di chitarre della associazione chitarristica picena.[/caption] [caption id="attachment_6176" align="aligncenter" width="1000"]12 Tutti i ritratti del pittore Stefano Tamburrini[/caption] © L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata

[vc_row css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1474371147902{padding-bottom: 15px !important;}"]

Il ritorno del Represso

[/vc_column_text][vc_separator css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos6" css=".vc_custom_1476449166784{padding-top: 45px !important;}"]
09 settembre 2016 - Libreria Rinascita, ore 18.00 - Ascoli Piceno
Introduce: Piero Luciani
Intervengono: Armando Marozzi e Domenico Losurdo
 
Ripensare l’emancipazione dopo le esperienze comuniste. "L'esperienza comunista si è definitivamente chiusa con il crollo del muro di Berlino? Alla sinistra non resta che genuflettersi al capitale e parlare con la lingua del neoliberismo meglio di quanto non faccia la destra? Il più grande e il più radicale dei progetti di emancipazione dei popoli della terra è stato davvero sconfitto senza possibilità d'appello? Ad uno sguardo onesto nel "paradiso" capitalista sembra sopravvivere più di un problema. La storia, anzichè concludersi - come qualcuno avrebbe voluto - continua a officiare il sacrificio di intere popolazioni sull'altare del profitto. Da ciò sorge la legittimità, senza alcun intento apologetico o nostalgico, di elaborare un nuovo concetto di emancipazione. Parlare oggi di comunismo non deve significare un piatto ritorno ad esperienze storiche passate: occorre prendere atto che il comunismo novecentesco è morto, che le sue soluzioni particolari sono fallite, persino in modo tragico; significa invece che in esso vi era una scintilla che vale la pena salvare, non per ripetere il già stato, ma per riprogettare ciò che non si riuscì a costruire. Questa opera propone un contributo neo-hegeliano alla causa dell'emancipazione: tentativo inedito e paradossale sia di rovesciamento materialistico del comunismo di Marx (il cui pensiero è analizzato nel dettaglio - dagli scritti liceali fino a quelli etno-antropologici) sia di critica di principali concetti marxisti. Una nuova idea di emancipazione che passa attraverso una re-interpretazione del pensiero del gigante di Stoccarda".

[vc_row css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1474022889714{padding-bottom: 15px !important;}"]Rocket men: suonare alla famiglia Devil, piano terra[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Simone Ciccorelli del 16/09/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1474024622562{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
Ringo Star, Jimi Hendrix, John Lennon e Yoko Ono hanno abitato nella stessa casa. Oggi sono personaggi entrati nel culto del Rock e questa abitazione signorile, in una bella zona di Londra (perfetta per novelli sposi benestanti), è diventata nel tempo una Cattedrale del Rock'nRoll tra eccessi e storie controverse che sfiorano ogni catastrofica previsione. Cosa ci fa un binocolo senza custodia e sporco di vernice, in mezzo a buste di eroina, chitarre e quaderni?
[caption id="attachment_6040" align="aligncenter" width="1000"] da sinistra verso destra: Ringo Star, Jimi Hendrix, John Lennon e Yoko Ono.[/caption]
Londra, 34 Montagu Square. Appartamento in zona Westminster, primo piano e seminterrato. Due livelli. E' una residenza di lusso in cui hanno abitato banchieri, parlamentari e anche una contessa. Un giorno, dopo aver fatto colazione, Ringo Star (il batterista dei Beatles) vede l'annuncio della casa in affitto e decide di visionarla. E' il febbraio del 1965.
Gli dà un'occhiata, si guarda intorno, chiede qualche informazione sul vicinato ed esclama soddisfatto: La prendo”. E' la casa perfetta da condividere con Miss Maureen Cox, sposata appena da un mese. Avviene così il loro ingresso in quella che, a loro insaputa, di lì a poco sarebbe diventata una Cattedrale del Rock.
I due rimangono per poco nell'appartamento. Si, perché decidono presto di trasferirsi e di subaffittare a quattro ragazzi che si facevano chiamare i “The Fool”; coloro che hanno disegnato i famosi abiti psichedelici dei Beatles in Magical Mistery Tour. Dopo qualche mese e qualche festa ai limiti, se ne vanno anche loro.
[caption id="attachment_6041" align="aligncenter" width="1000"] Zona Westminster, Londra[/caption]
Così Ringo si rivolge a Paul McCartney.
Ti interessa?
“Si, mi ci voleva”
Le novità lo hanno sempre attirato e poi viveva lì vicino, dai genitori della sua fidanzata. Era il momento di cambiare aria. Ci ha messo poco a trasformare l'appartamento in uno studio di registrazione casalingo, ed è qui, appunto, che viene registrata "I'm loosing through you". Paul McCartney vuole rendere l'appartamento un luogo di incontro tra poeti e musicisti, un circo dell'imprevedibilità, senza regole, dove le parole e la musica dominano su qualunque altra cosa.
Tutto si svolge all'interno di quelle quattro mura rivestite di una carta da parati verde, di seta. Feste e musica, droga, musica, feste, musica, musica e ancora musica.
Fino allo sfinimento, fino a consumarne l'atmosfera e a decidere, pochi mesi dopo, di abbandonarla.
A dicembre fa il suo ingresso un semisconosciuto di nome Jimi Hendrix insieme alla sua allora fidanzata Miss Kathy Mary Etchingham. Con loro dividono l'appartamento il bassista degli Animals, Chas Chandler, e la sua donna, Miss Lotta Null. Una sera, a cena, una discussione tra Jimi e Kathy scatena l'inferno.
Lei ha passato un intero pomeriggio in cucina a preparare la cena con cura. A tavola, però, Jimi definisce “grumoso” il purè.
Lei; equilibrata, pacata, riflessiva e assolutamente razionale, parte come un razzo e tra le urla incontrollabili, decide di scaraventargli addosso tutto il servizio di pentole e di piatti, distruggendo la cucina. Colpendolo alla testa lo lascia steso a terra e scendendo di casa fugge via ancora tra le urla. Finirà anche per cedere alle lusinghe, ormai tanto insistenti, di Eric Burdon il “raccattafemmine” e nel tempo libero cantante degli Animals. Jimi, in preda alla gelosia più estrema, barcollante, prova a correrle dietro fino a raggiungerla e trattenendola per la gonna gliela strappa di dosso con la speranza che si fermi. Niente affatto, Kathy continua il suo tragitto in giarrettiere e mutande, come se nulla fosse. Così, rimasto solo, Jimi rientra a casa afflitto, come ogni uomo rimasto con una gonna in mano, guarda la propria donna correre dalla parte opposta; in giarrettiere, in mutande e in compagnia di un altro uomo. Quella sera scriveràThe wind cryes Mary, dedicandola a lei. Nel frattempo i vicini cominciano a lamentarsi sempre più vivacemente del rumore proveniente dall'appartamento. Questo non basta a fermare Jimi che un pomeriggio travolto dalla musica e dagli effetti dell'LSD, che ormai consuma come fosse caffeina, lancia un barattolo pieno di vernice nera sul muro del salotto ricoprendo con una macchia enorme quella che prima era una parete verde di seta. Una macchia nera in un deserto di seta. Forse lui si sentiva proprio così, prima di diventare un'icona.
A questo punto Ringo è costretto a cacciare tutti di casa. Tutti fuori.
Per un po' continua ad affittare ugualmente l'appartamento, ma solo per pochi giorni alla volta e solo ad amici a cui serviva un posto temporaneo a Londra. Tra questi, anche la suocera di John Lennon, che però si ferma un po' più del previsto. Il 21 giugno del 1968 viene infatti raggiunta anche dalla moglie di John con la figlia, andate via dalla loro casa quando lei, rientrando in appartamento, scopre Lennon con la sua nuova compagna: Miss Yoko Ono.
Decidono però di scambiarsi le case: così John Lennon e Yoko Ono si trasferiscono nell'appartamento di Montagu Square, mentre la moglie, con la suocera e la figlia, prendono il suo posto nella vecchia casa coniugale. John Lennon e Yoko Ono sono in un periodo di coppia fantastico. In estasi per tutto quello che condividono: il loro amore, la composizione di nuovi brani e, ovviamente, l'eroina. Un tornado di passioni pronte a risucchiarti l'anima, in quello che lui stesso definisce “uno strano
cocktail di amore, sesso e oblio”(il tanto temuto nichilismo), mentre lei sintetizzava la sua vita con “una dieta a base di champagne, caviale ed eroina”.
Insomma una bella fotografia: una casa senza dubbio ordinata e pulita. “Amoreeee, sono tornato!” No, devo avere sbagliato scena, genere, vita, pianeta.
Ma forse, pensandoci, chi entra in quella casa ha smesso di badare all'ordine interiore già da un po'. Questo è l'appartamento in cui è stata scattata la foto che ritrae i due visti da dietro mentre si voltano, in piedi uno di fianco all'altro nudi, mostrando in primo piano i loro volti e i loro fondoschiena bianchi.
Se la sono scattata da soli, con un autoscatto. Gli è stata data la fotocamera e “Fate come volete”. Ed eccoli. Lo scatto è ancora oggi ovunque si parli di musica ed è stato pionieristico e sfacciato, altrimenti non avrebbe fatto tutto quello scandalo al momento della pubblicazione. Ci fu un bombardamento mediatico sulla questione durato mesi. In ogni caso, come ogni piacere e dispiacere nella vita, tutto ha una fine. Il 18 ottobre, in un giorno di eccessi qualunque, qualcuno suona al campanello.
Saranno dei fan” si dicono i due. Non aprono, non ne hanno le forze, sono sdraiati a letto da chissà quante ore.
A bussare insistentemente alla porta c'è un agente di polizia con un mandato di perquisizione, accompagnato da altri 6 uomini. Sono la squadra antidroga di Scotland Yard, con al seguito due cani, chiamati Yogi e Bubu. Lennon in un primo momento non crede che i cani abbiano davvero quei nomi e pensa sia tutto uno scherzo di qualche amico, ma non è così. Nonostante questo, Lennon e Yoko Ono sono stati avvertiti qualche giorno prima della retata da un loro amico giornalista e hanno nascosto tutto in tempo.
[caption id="attachment_6043" align="aligncenter" width="1000"] L'arresto di John Lennon.[/caption]
E' sua questa custodia di binocolo signor Lennon?
“Si, è mia
Due etti e mezzo di hashish. Arresto. Yoko Ono perde il bambino, il figlio di John Lennon, che nel frattempo si è preso la colpa per l'hashish trovato nella custodia della sua amata. Nemmeno dieci giorni dopo, il proprietario di casa vieta a Ringo di affittare l'appartamento a chiunque.
Una notizia bruttissima per Ringo, che ha sempre visto in quella casa la sua Isola del Rock. Non ha avuto scelta e ha rescisso il contratto all'istante. 
Probabilmente, si è chiuso la porta alle spalle guardando per l'ultima volta quella chiazza enorme di vernice nera e pensando a quanto il mondo abbia bisogno di cose così. Di macchie nere su pareti di seta. Di ascoltare buona musica mentre tutto intorno è un frastuono incomprensibile. Di provocare il tempo. Sfuggente come una donna in giarrettiere e mutande, che se ne va con un altro uomo mentre tu, barcollante, rientri a casa e componi la tua melodia. Quella che ti accompagnerà, prima che tutto finisca.
 
Per approfondimenti:
_Renzo Stefanel, Sesso droga e calci in bocca, Giunti
 
© L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata

[vc_row css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1473858499258{padding-bottom: 15px !important;}"]Il comunismo della Corea del Nord: il racconto di due ragazze in fuga[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Luca Steinmann del 14/09/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1473857494770{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
Al dilà del fiume Yalu si vede una alta barriera di filo spinato. Dietro di essa parte una grande pianura incolta che si estende fino all’orizzonte, ricoperta solo da arbusti e da qualche baracca fatiscente. Le uniche persone che si scorgono sono dei soldati in divisa che marciano lungo la rete. Al dilà del fiume e dietro la rete inizia la Corea del Nord.
[caption id="attachment_6009" align="aligncenter" width="1000"] dal Coreano 압록강 , il fiume che segna il confine della morte: Yalu.[/caption]

Dandong è una città della Cina nordorientale che si affaccia sul fiume Yalu e guarda in direzione di Pyongyang, la capitale della Corea del Nord. Per i nordcoreani è l’unico ponte sul mondo sul quale affacciarsi e osservare cosa succeda al di fuori delle severissime leggi con cui il presidente Kim Jong Un (김정은)  controlla il loro Paese e le loro vite. Noi – io e il cameraman Brando - ci siamo spinti fin qui per incontrare due ragazze nordcoreane che quel filo spinato lo ha scavalcato illegalmente per fuggire. E che ora vogliono attraversare clandestinamente tutta la Cina – Paese alleato della Corea del Nord - per raggiungere il Laos, presentarsi alla locale ambasciata della Corea del Sud e fare richiesta di asilo politico.

Il primo incontro con loro è in rifugio non lontano dal confine, da dove inizierà il viaggio. Per affrontarlo si sono affidate a una rete di trafficanti di esseri umani che le accompagneranno in questo pericoloso tragitto. Se le autorità cinesi le scoprissero le rispedirebbero immediatamente in patria, dove verrebbero immediatamente punite con la morte. Emily e Lily sono due ragazze di di 25 e 23 anni che incontriamo in un appartamento fornito loro dai trafficanti. Siamo le prime persone occidentali che abbiano mai visto e in un primo momento non si fidano. Dopo un po’ di tempo trascorso insieme, però, vincono la diffidenza ed accettano di farsi seguire durante la loro fuga. Noi, loro e i trafficanti. Clandestinamente attraverso tutta la Cina.

Emily è alta e appariscente. Capelli lunghi con maiches bionde, rossetto sulle labbra, unghie smaltate, abiti colorati e ricercati. La cura che riserva al suo aspetto lascia trasparire la ricchezza materiale del suo passato. E’ infatti figlia di un alto funzionario del governo nordcoreano ed è cresciuta nel lusso. Dopo la morte del padre, però, la sua famiglia è stata abbandonata nella povertà dal regime. Lei, allora, una notte ha scavalcato la barriera di filo spinato, ha attraversato a nuoto il fiume ed è fuggita in Cina.

[caption id="attachment_6011" align="aligncenter" width="1000"] Lavoratrici Nord Coreane in fila per due entrano sul luogo di lavoro, scortate da un commissario del Regime Comunista.[/caption]
 
Lily è di corporatura minuta, più timida e riservata. Anche lei è fuggita dalla Corea del Nord oltrepassando il filo spinato e attraversando il fiume, in un punto in cui l’acqua era bassa e si riusciva a toccare il fondo. Anche lei non conosceva nessuno fuori dal suo Paese e quando è approdata dall’altra parte si è ritrovata completamente sola. In Cina le ragazze si sono rifugiate in una Chiesa evangelica, la quale ha dato loro rifugio. E’ lì che si sono conosciute. Ed è tramite essa che sono entrate in contatto con Durihana, un’organizzazione sudcoreana di ispirazione protestante e legata al governo di Seul che si occupa di organizzare le fughe clandestine delle persone dalla Corea del Nord. Durihana si avvale di una rete di trafficanti che organizza il viaggio dei profughi attraverso la Cina e altri Paesi per farli arrivare in Corea del Sud, dove il governo si occuperà del loro futuro. E’ a Durihana che le ragazze hanno deciso di affidarsi per la loro fuga.
I trafficanti sono spesso a loro volta degli ex profughi nordcoreani rimasti a lavorare per l’organizzazione dopo la fuga. E’ il caso di Jamie, che accompagnerà le ragazze nella prima tratta del tragitto. Minuta e silenziosa, ha con sé tre copie di passaporti cinesi falsificati. Uno è per sé, gli altri li consegna alle ragazze.
Il viaggio inizia una mattina all’alba. Le ragazze e Jamie salgono su un bus pubblico e molto affollato. Noi le seguiamo. Ci viene però tassativamente vietato di rivolgere loro parola o di sederci al loro fianco. La presenza di due occidentali è inusuale su questa tratta e rischieremmo di attirare troppo l’attenzione su di loro.
Eppure le ragazze non sembrano volersi nascondere. Al contrario, sono vestite in modo piuttosto appariscente: entrambe indossano un giubbotto rosa e scarpe sportive, le loro unghie sono smaltate, sulla fronte portano occhiali da sole dalle lenti colorate. Per non farsi riconoscere non cercano di nascondersi, ma di mimetizzarsi tra le migliaia di cinesi in viaggio sugli stessi convogli.
La prima tratta in bus dura circa sei ore e ci porta fino alla stazione di una grande città cinese, dove prendiamo un treno per iniziare un lunghissimo viaggio di 44 ore. Nonostante i numerosi controlli della polizia nessuno si accorge che i loro documenti sono falsi. In due giorni attraversiamo tutta la Cina e arriviamo nello Yunnan, la provincia più meridionale della Paese, che confina con il Laos, la nostra meta.
il-viaggio
Scesi dal treno prendiamo un altro autobus che ci conduce in una cittadina vicino al confine, circondata da una fitta giungla tropicale. Il giorno dopo le ragazze dovranno attraversarla a piedi per varcare il confine. Ad accompagnarle sarà un altro gruppo di trafficanti locali, ai quali Durihana ha appaltato il compito. Jamie infatti ci saluta. La aspetta altrove qualcos’altro da fare per Durihana.
Passiamo una notte in albergo. L’indomani mattina un Suv nero con i vetri oscurati aspetta le ragazze di fronte all’ingresso. Sono i trafficanti, che le fanno salire a bordo e mettono in moto, puntano dritto in direzione della giungla che dovranno attraversare. Noi attraverseremo il confine legalmente e le aspetteremo dall’altra parte.
Il giorno dopo le riincontriamo sempre vicino al confine, ma dal lato del Laos. Arrivano a bordo di un furgoncino, accompagnate dai trafficanti e da altri tre clandestini con cui hanno fatto il viaggio. Saliamo sullo stesso furgone e continuiamo il tragitto insieme verso Vientiane, la capitale. Dopo una altra giornata arriviamo. Ad aspettarci c’è un pastore protestante coreano, uno degli organizzatori di Durihana. E’ dagli anno 90 che organizza la fuga delle persone dalla Corea del Nord e ha stretti contatti con il governo di Seul. Ricevute le ragazze le accompagna fino all’ambasciata della Sud Corea, all’interno della quale ci sono dei funzionari che le aspettano. Essi hanno già un programma pronto per spedirle in Corea del Sud, dove seguiranno un programma di inserimento sociale per iniziare una nuova vita.
E’ il momento di salutarci. Emily piange, Lily si trattiene a stento. Le emozioni sono un misto di gioia e malinconia. La gioia di avere portato a termine un viaggio lungo e pericoloso. La malinconia di dovere iniziare una nuova vita in cui ogni contatto con tutto ciò che hanno conosciuto fino ad adesso sarà impossibile.
 
Riportiamo l'intervista integrale alle due ragazze
come si vive in Corea del Nord?
All’asilo mi insegnavano che i cristiani sono dei crudeli assassini che tagliano le vene dei bambini e ne rivendono il sangue all’estero, il quale viene comprato dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud. Per fortuna, ci dicevano, la Corea del Nord è uno Stato potentissimo che da solo tiene testa a questi nemici e difende da loro i propri cittadini”. A raccontarlo è Jamie, 30 anni, ex profuga scappata da qualche anno dalla Corea del Nord e che oggi lavora come trafficante per permettere ad altri suoi connazionali di fuggire. Durante la lunga attraversata della Cina racconta come si vive in Corea del Nord e perché ha deciso di scappare. Di costituzione minuta, i suoi capelli sono nerissimi e coperti da un cappellino da baseball. All’anulare sinistro porta una fede cristiana.
“In Corea del Nord la religione è vietata. La sola fede ammessa è la venerazione per il presidente Kim Jong Un e per suo padre Kim Il Sung. Le uniche due celebrazioni pubbliche a cui al popolo è permesso di partecipare sono in occasione dei loro compleanni. Per tutto il resto dell’anno non esiste alcun momento comunitario né vi è il tempo per condurre una vita normale. Durante il giorno le persone vanno a scuola o al lavoro, la sera si seguono le lezioni politiche o si sta in casa. Non esistono bar, ristoranti o centri di ritrovo. Nessuno potrebbe permettersi di andarci perché, a parte una ristretta cerchia di burocrati governativi, si vive nell’estrema povertà e si soffre ogni giorno la fame. Quasi tutti dopo il lavoro zappano la terra per ricavarne qualcosa di commestibile. In tanti muoiono di malnutrizione. E’ successo ai miei vicini di casa che una sera, stremati, hanno cenato con le radici di una pianta. Sono morti nella notte, avvelenati".
[caption id="attachment_6014" align="aligncenter" width="1000"] Kim Jong-un è nato a Pyongyang, 8 gennaio 1983. è un politico, militare e dittatore comunista nordcoreano.[/caption]
Esistono forme di resistenza intera al regime?
Esiste una resistenza silenziosa di persone che si riuniscono segretamente per pregare. Sono dei cristiani che si ritrovano negli scantinati delle case. Di più non osano, perché già ciò che fanno è molto pericoloso. Se qualcuno li vede e fa la spia vengono immediatamente prelevati dai soldati e scompaiono per sempre. La stessa sorte tocca a chi venga udito parlar male del presidente o chi venga trovato in possesso di un computer o un cellulare.”
Cosa succede alle persone che scompaiono?
Alcune vengono subito uccise. Le altre vengono internate nei campi di prigionia, dove sono costrette ai lavori forzati fino alla fine dei loro giorni. Vicino al mio villaggio c’é uno di questi campi. I prigionieri devono scavare nel terreno ed estrarre pietre che poi vengono rivendute in Cina. L’unico modo per uscirvi è pagando un’alta cauzione. Con i soldi in Corea del Nord si aprono molte porte".
Tu come hai fatto a fuggire?
“Dopo la morte di mio padre la mia famiglia faceva la fame. Mia mamma è riuscita ad ottenere un permesso per andare a svolgere un lavoro stagionale in Cina da dove mandava i soldi a casa. Con quei soldi e con degli altri prestatimi dai vicini di casa ho corrotto una guardia doganale e ottenuto un permesso per andare a trovarla. Arrivata in Cina l’ho raggiunta e siamo fuggite in una chiesa protestante, che ci ha dato rifugio. Ho vissuto clandestinamente in uno scantinato della parrocchia per 10 anni insieme ad altre 10 ragazze, ci hanno insegnato a leggere la Bibbia e a pregare e così mi sono convertita al Cristianesimo. Attraverso la chiesa ho conosciuto Durihana, che mi ha fatto fuggire in Corea del Sud e poi negli Stati Uniti. Mi ha fornito una nuova identità e fatto iniziare una nuova vita”.
 
Non esistono numeri ufficiali circa la le persone fuggite dalla Corea del Nord dal 1953 (anno della divisione della Corea) ad oggi. I pochi dati disponibili sono forniti dalla Fondazione Durihana, organizzazione sudcoreana di ispirazione evangelico-protestante che si occupa dei profughi scappati dal Nord. La propria missione nel medio termine è quella di crescere educare a Cristianesimo le nuove generazioni di nordcoreani fuggiti. L’obiettivo nel lungo periodo è quello di creare una unica chiesa protestante coreana che possa contribuire alla riunificazione del Paese. Nata nel 1999, Durihana ha iniziato ad occuparsi dell’inserimento sociale dei profughi all’interno della società sudcoreana.
[caption id="attachment_6015" align="aligncenter" width="1024"] Ki Won Chun fondatore di "Durihana" organizzazione cristiana con sede in Corea del Sud che aiuta gli abitanti della Corea del Nord a fuggire dal paese clandestinamente.[/caption]
Con gli anni ha ampliato il proprio raggio d’azione, andando ad occuparsi direttamente dell’organizzazione delle fughe clandestine. Per questo motivo il pastore Ki Won Chun è stato arrestato nel 2002 in territorio cinese mentre tentava di fare fuggire un gruppo di nordcoreani in Mongolia. Oggi Durihana ha sedi e organizza attività in Corea del Sud, Stati Uniti e Giappone. In 17 anni di esistenza ha gestito il reinserimento sociale di circa 730 profughi.
 
Per approfondimenti:
_Corea del Nord, Quel viaggio rocambolesco per la libertà - Corriere del Ticino
 
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[vc_row css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1473607373855{padding-bottom: 15px !important;}"]«Vi sono segreti che non si lasciano rivelare»[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Primo De Vecchis del 13/09/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1473769493772{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]

Nel Guerrin Meschino (1410) di Andrea da Barberino si narra di un cavaliere errante, che a un certo punto decide di consultare l'oracolo della Sibilla appenninica per conoscere la vera identità dei propri genitori. Il cavaliere si addentra quindi nel monte della Sibilla (una maga, una fata), al cui interno si apre un magnifico regno, popolato di donne bellissime e sensuali, le quali di notte si trasformano in serpenti prima di andare a dormire. La vicenda è ampiamente ricordata da Antoine de la Sale nel Paradis de la reine Sibylle (nella Salade, 1438-1447) e presenta punti di contatto con il Tannhäuser di Richard Wagner, storia di un Trovatore trattenuto presso il Venusberg dalla Dea (ma la filologia è intricata).

[caption id="attachment_5978" align="aligncenter" width="1000"] Luciano Funetta[/caption]

Nella mitologia vedica e induista si narra di una mitica razza di uomini per metà serpenti, chiamati nagas, oggetto di culto da tempo immemorabile e latori di fertilità e saggezza. Il Buddha in meditazione è spesso rappresentato con un serpente dalle sette teste, il quale si solleva sopra il suo capo a mo' di ombrello; trattasi del re naga Mucalinda, convertitosi al buddismo. «Piove, e un re serpente, un naga, si avvolge sette volte intorno al corpo del Buddha formando un tetto con le sue sette teste. Quando torna il sereno, il naga si trasforma in un giovane bramino che si prosterna e dice: "Non ho voluto spaventarti; la mia intenzione è stata proteggerti dall'acqua e dal freddo". Segue una breve conversazione, e il naga si converte al buddismo» (J. L. Borges, Cos'è il buddismo, Newton Compton, Roma, 1995, p. 25). Ancora in area induista i naga sono collegati al tantrismo (o shaktismo) e al concetto della kundalini, una potente energia sottile che risiederebbe in ogni uomo alla base della spina dorsale, addormentata come un serpente attorcigliato e che opportunamente risvegliata come un cobra eretto può portare al risveglio spirituale (e financo alla santità), ma persino alla follia e alla morte. È noto come il veleno possa trasformarsi in medicina, dipende tutto dalla dose, come già affermava Paracelso (si veda il greco phàrmacon, ma anche il Caduceo delle farmacie). «Il serpente, terribile per il suo veleno, simboleggia tutte le forze malefiche; allo stesso modo la kundalini finché riposa inerte in noi, corrisponde alle nostre energie inconsce, oscure, allo stesso tempo avvelenate e velenose. Inversamente, quelle stesse energie, risvegliate e dominate, diventano efficienti e conferiscono una potenza reale» (Liliane Silburn, La kundalini o L'energia del profondo, traduzione di Francesco Sferra, Adelphi, 1997, p. 39). Tutta questa bizzarra premessa serve a sottolineare come in molte culture (pensiamo anche ai nativi americani, agli Aztechi e ai Maya) l'emblema del serpente sia legato alla trasformazione, alla metamorfosi, all'unità cosmica, e abbia una valenza spiritualmente positiva. Nella tradizione ermetica medievale l'alchimia non è solo un processo esteriore (trasmutare il piombo in oro), ma soprattutto interiore (trasformare le basse pulsioni, negative, egoistiche, in alte aspirazioni spirituali, positive, al servizio dell'umanità).

[caption id="" align="aligncenter" width="1000"] Il serpente Ouroboros riprodotto nel 1478 da Theodoros Pelecanos sulla base di un manoscritto perduto di Sinesio (370-413 d.C.).[/caption]

Al contrario, una condanna irrimediabile della "saggezza" del serpente si trova nell'Antico Testamento, principalmente nella Genesi: «Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male"» (3,5). Nell'Apocalisse di Giovanni si parla del «serpente antico» (12, 8), adorato dai popoli della terra da tempo immemorabile. Il profeta Daniele uccide il drago venerato dai Babilonesi (Daniele 14, 23-30). Ora vorrei tranquillizzare il lettore: non sto recensendo un trattato di religione comparata o un saggio di Mircea Eliade sullo sciamanesimo, bensì il romanzo di esordio di Luciano Funetta (classe 1986), intitolato Dalle rovine, edito dalla piccola casa editrice Tunué, ospitato in una collana di narrativa contemporanea curata da Vanni Santoni. Dalle rovine di Funetta si può definire un libro "strano" (weird?) o financo "bizzarro" (affine alla Bizarro Fiction?), a metà strada tra l'horror, l'assurdo, l'esistenziale e il fantascientifico distopico. Il tema preponderante del libro è la pornografia (artistica), ovvero quella nicchia della pornografia audiovisiva che denota persino una finalità di ricerca espressiva (non conosco bene il settore). L'altro tema del libro (affine alla sessualità umana filmata) è quello della morte, della decomposizione, dell'entropia (anche la morte può essere filmata). Il narratore del libro è un "noi" indefinito, che somiglia quasi a una legione di spettri afflitti da sindrome voyeuristica. Lo stile del libro è gelido e visivo, affine talora all'école du regard di Alain Robbe-Grillet, ma meno frigido in realtà, anzi sotterraneamente impetuoso (dostoevskiano come certi topi del sottosuolo). I personaggi del libro hanno dei nomi strani, allusivi, talora giocosi (come accade in certi romanzi del cileno Roberto Bolaño: mi è venuto in mente, leggendo Funetta, non so perché, Notturno cileno). Rivera è un collezionista di serpenti velenosi, che si fa filmare nudo mentre ha un rapporto intimo con i rettili, tuttavia conserva l'ingenuità di un bambino, incline allo stupore, quasi fatato. Cito un passo della scena erotica, che mi ricorda l'episodio narrato poc'anzi da Borges: «Una di loro [le bestie] si arrampicò tra i capelli pettinati all'indietro, raggiunse la sommità della testa e impennò la parte anteriore del corpo, restando in equilibrio sulla coda. Il serpente rimase in quella posizione e Rivera chiuse gli occhi. Muoveva le labbra come se stesse pronunciando frasi in una lingua incomprensibile» (p. 14). Jack Birmania è un produttore di film porno artistici e ha fondato la casa di produzione Venere Birmana. È un ammiratore del film Freaks (1932), diretto da Tod Browning: «Gli uomini erano tutti individui deformi, uomini dalle teste calve e gigantesche, gemelli siamesi, nani, uomini e donne senza braccia e senza gambe che somigliavano a foche, vecchi scheletrici con i loro sigari tra le labbra» (p. 32). Un immaginario umoristico e crudele che mi ha riportato subito alla mente una geniale raccolta di racconti di Juan Rodolfo Wilcock, "Il caos" (Bompiani, 1960), da tempo fuori catalogo (lo scrittore recitò la parte di Caifa nel Vangelo secondo Matteo di Pasolini). Eugenio Laudata è un regista di film porno artistici, un po' svitato, ammiratore tra le altre cose di Cannibal Holocaust, film cult di Ruggero Deodato (con Luca Barbareschi). Maribel Lalande è un'attricetta francese di film porno, quasi evanescente. Klaus Traum è un altro produttore, stavolta tedesco, che ha fondato la casa di produzione Traum Sueño. Alexandre Tapia è un "fuggiasco" argentino, un uomo viscido e repellente, che ha scritto la sceneggiatura di un film irrapresentabile, intitolato Dalle rovine, una sorta di snuff movie. Tapia è il centro ineffabile di questa "fiaba" (nerissima). Non ho ancora parlato delle ambientazioni: la città di Fortezza (inventata, una periferia allucinata di Roma?), la città di Barcellona (fin troppo realistica a tratti). Tapia infatti, che vive a Barcellona, rappresenta il nucleo enigmatico del romanzo: il suo passato è inconfessabile.

Cito il Divino Edgar (Allan Poe): «Vi sono segreti che non si lasciano rivelare. Degli uomini muoiono di notte nei loro letti torcendo le mani degli spettri cui si confessano, con negli occhi uno sguardo di pietà profonda; e altri uomini muoiono avendo la disperazione nel cuore e la gola serrata da convulsioni per l'orrore dei misteri che non vogliono essere rivelati» (L'uomo della folla). Prima ho citato Notturno cileno, non a caso: qui si potrebbe parlare di Notturno argentino. Penso a quei luoghi sotterranei stillanti umidità descritti dal Marchese De Sade, dove si svolgono sessioni di tortura; cito Funetta: «Le sessioni di tortura, durante la lettura nella rosticceria di Riquelme, a Rivera erano sembrate simili a rituali religiosi, a sedute di analisi, ma soprattutto a sedute di ipnosi, in cui l'uomo compie i suoi gesti e ascolta la vittima che lo supplica, che si svuota, che racconta tutto quello che le viene in mente che possa salvarle la vita» (p. 85). Viene in mente il dossier Nunca más [Mai più], stilato da Ernesto Sábato assieme a un'équipe di studiosi nel 1984, dove sono esposte nel dettaglio le violazioni dei diritti umani commesse dalla giunta militare di Videla. Ma questo libro, ci tengo a sottolinearlo, è assolutamente disimpegnato, sognante, fatato, nessuna denuncia, solo letteratura, espressione. Ha lo stile affilato di certe distopie fantascientifiche (da tale genere l'autore sembra mutuare il pessimismo visionario, uno stile appunto da alieno o da rettile). Inoltre leggendo questo romanzo non ho potuto fare a meno di pensare a un film del 1978, Hardcore di Paul Schrader, dove viene mostrato il mondo della pornografia californiana dal punto di vista di un padre (puritano), che cerca di ritrovare la figlia (scappata di casa e diventata attrice porno), spacciandosi per produttore di film porno. Anche qui i temi della pornografia, della religione e della morte (gli snuff movies) sono mescolati. Insomma, se volete trascorrere un pomeriggio allegro non leggete Dalle rovine di Funetta, lasciate perdere. Mi è venuta in mente un'immagine usata da Bolaño per definire l'opera di uno scrittore argentino degli anni Settanta, Osvaldo Lamborghini (figlio di un militare fallito), morto a Barcellona nel 1985: «Lamborghini è una scatoletta sullo scaffale giù in cantina. Una scatola di cartone, piccola, coperta di polvere. Ebbene, se uno apre la scatola, dentro ci trova l'inferno» (Tre discorsi insostenibili, in Tra parentesi, Adelphi, 2009, p. 35). Ecco, Funetta è un po' scrittore e un po' sciamano, in comunicazione con l'oltretomba, è perseguitato da svariate ossessioni di natura spirituale o spiritica e la sua scrittura sembra avere per lo più una valenza esorcistica, un tirar fuori il veleno del serpente per tramutarlo in bellezza medusea e paralizzante.
  Per approfondimenti:
_J. L. Borges, Cos'è il buddismo, Newton Compton, Roma, 1995
_Liliane Silburn, La kundalini o L'energia del profondo, traduzione di Francesco Sferra, Adelphi, 1997
_Tre discorsi insostenibili, in Tra parentesi, Adelphi, 2009
_Luciano Funetta, Dalle rovine – Edizioni tunué, romanzi
 
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[vc_row css=".vc_custom_1470767044080{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470767053433{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1473699958155{padding-bottom: 15px !important;}"]18° incontro DAS ANDERE[/vc_column_text][vc_separator css=".vc_custom_1470767563136{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos55"]"Il ritorno del represso". Di Armando Marozzi e Domenico Losurdo[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1473771372130{padding-top: 45px !important;}" el_class="titolos6"]Nella libreria Rinascita presso Ascoli Piceno, si è svolto il 18°evento della associazione Das Andere presentata dal giornalista Piero Luciani che l'associazione ringrazia per la professionalità e l'impegno.

[vc_row css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1473494320265{padding-bottom: 15px !important;}"]L'unificazione tedesca del 1871: breve confronto con l'analogia italiana[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Riccardo Pizi del 10/09/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1473494294077{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
I tedeschi pur essendo ormai egemoni all’interno di una Unione Europea, sempre più tecnocratica e centralista e sempre meno "kantianamente Europea", hanno avuto fondamentalmente una storia simile a quella italiana, ma con caratteristiche non del tutto uguali.
[caption id="attachment_5920" align="aligncenter" width="1482"] Versailles, Il Re di Prussia Guglielmo I viene proclamato Imperatore tedesco (dipinto di Anton von Werner, 1877)[/caption]

Proprio come noi la Germania è diventata tale, solo nella seconda metà dell’800, nel 1871 ad esser precisi. L’Italia aveva compiuto il suo processo di unificazione 10 anni prima, ma solo l’anno precedente al 71 l’unificazione italiana era riuscita ad imporsi su ciò che rimaneva dello Stato Pontificio. Di contro la Germania dopo le guerre austro-prussiane aveva strappato la guida della lingua "tedesca" all'Austria e si apprestava ad essere lo Stato che grazie allo sviluppo della techne prenotava rispetto alle altre potenze un futuro di prospero dominio politico-militare ed economico. L'Europa, dunque, dopo la paura della Francia Napoleonica, iniziava a temere una Germania unita come pericolo per la stabilità Europea.

Solo alla fine del 700 inizia ad esistere una consapevolezza nazionale tra gli abitanti del "Sacro Romano Impero della Nazione Germanica". Questo impero, nel corso dei secoli, aveva sempre meno forza unitaria, trovandosi ad essere poco più che una federazione di Stati Sovrani. Difatti "l’imperatore" era dotato di poteri che andavano poco oltre il simbolico, egli rappresentava semplicemente il territorio tedesco ma non aveva alcuna sovranità su di esso. A detenere il potere effettivo erano i Principi Elettori eletti tra circa 300 principati, ducati, granducati e città libere totalmente autonome (questo a differenza dell’Italia che venne invece suddivisa in zone d’influenza dopo il Congresso di Vienna) che spesso si facevano anche la guerra tra di loro. Ci si sentiva sassone, bavarese, svevo, frisone, prussiano o austriaco, ma non "tedesco".

 
[caption id="attachment_5908" align="aligncenter" width="1033"] Confederazione tedesca antecedente al 1871.[/caption]
L'idea, seppur embrionale, della Germania unita nasce solo nella lotta comune contro l'avanzata dell’imperatore francese Napoleone che, all'inizio dell'800, aveva occupato tutta la Germania, sciogliendo di fatto il Sacro Romano Impero e trasformandolo in una Confederazione di Stati a lui asserviti. Questa idea di una Germania unita, inizialmente con l’intento di liberarsi dal giogo dell’invasore francese, era accompagnata anche da richieste democratiche e liberali, inaccettabili per i governanti, ancora espressione dell’Ancien Régime. Un primo tentativo di arrivare a uno stato democratico e unitario fallì nei vari moti rivoluzionari del 1848.
 
Già analizzando il periodo rivoluzionario si può facilmente notare come le spinte all’unificazione non vennero promosse da personalità autenticamente liberali. Pur essendo le forze democratiche protagoniste nei moti del 48, la classe egemone fu soprattutto quella aristocratica, composta dai grandi proprietari terrieri prussiani (Junker; letteralmente i “giovani signori”) e della borghesia delle produzioni e del commercio; cosicché, nel pieno della rivoluzione industriale, la prima forma autentica di unità della nazione tedesca non fu politica ma economica, con la costituzione di una Unione doganale (Zollverein) nel 1834.
Come avvenne per Italia con la figura del primo ministro del Regno di Sardegna Camillo Benso di Cavour, l’unità della Germania si deve alla presenza preponderante di un analogo statista, Otto von Bismarck (1815-1898) che assunse la direzione del governo prussiano nel settembre 1862. In un certo senso La Prussia, analogamente al processo di unificazione avvenuto in Italia, ebbe la stessa funzione propulsiva riscontrata nel Piemonte di Vittorio Emanuele II.
A differenza dell’Italia, in cui agirono sin dall’inizio gruppi di ispirazione democratica e repubblicana risalente al pensiero e all’azione di Giuseppe Mazzini, in Germania mancò completamente la presenza di un’ideologia democratica che propugnasse tale azione unificante. Anche per questo non si verificò nulla di particolarmente eclatante se paragonato, ad esempio, alla spedizione di Garibaldi, che per l’unificazione italiana, rappresenta il fattore scatenante “dal basso” dell’istanza democratica e repubblicana.
Al contrario Bismarck era espressione della mentalità degli Junker, alquanto lontana dalle idee liberali e democratiche (se non diametralmente opposta ad esse).
Lo stesso procedere del processo di unificazione della Germania, attraverso guerre con gli Stati limitrofi non solo fu guidato dall’alto ma fu quasi esclusivamente appannaggio del gruppo di potere prussiano, sulla strada della formazione di una grande potenza industriale e militare.
Ulteriore differenza essenziale tra Germania e Italia è riscontrabile nella visione storiografica e nella mitografia nazionale delle guerre per l’unificazione. I conflitti ingaggiati dalla Prussia tra il 1864 ed il 1866, prima a fianco dell’Austria contro la Danimarca per la questione dei ducati di Schleswig ed Holstein, poi con l’Italia ed alcuni Stati della Confederazione Tedesca contro l’Austria ed altri Stati della suddetta confederazione per l’affermazione dell’egemonia prussiana sulla Germania, non rappresentano campagne di unificazione, ma Einheitskriege (ovvero “guerre di unità”) in cui il sentimento nazionale è drammaticamente già acquisito, tanto da venire nominate anche con l’atroce termine Bruderkrieg (“guerra dei fratelli”).
Se il popolo tedesco può dirsi a buon titolo erede del pensiero greco, dopo le due disastrose guerre mondiali la Germania ha pagato (forse più di tutte) il dramma dello smarrimento della ricerca della "chiarezza" europea (di derivazione greca)  per la ricerca della "certezza" che ha portato l'Europa verso il suicidio della volontà di potenza.
Nonostante tutto la Germania, riunificata nel 1989, si è riportata ancora fra le grandi del globo ed oggi è una potenza piuttosto temuta (se non predominante) all’interno dell’odierno panorama europeo. Questo può solo farci riflettere sullo spirito tedesco, ancora fresco, e sul contributo (positivo o negativo) che ancora può dare all'Europa.
 
 Per approfondimenti:
_Nelson Walter H. - Gli Hohenzollern dal grande elettore a Guglielmo II, Odoya Edizioni
_Pagano Salvatore - Le guerre di Federico II. La nascita della potenza prussiana, Edizioni Res Gestae
_Winkler Heinrich A. - Grande storia della Germania, Edizioni Donzelli (collana Saggi. Storia e scienze sociali)
_Edmund Husserl - L'idea di Europa, Raffaello Cortina Editore
 
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[vc_row css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1473081584488{padding-bottom: 15px !important;}"]Rococò: tra classi sociali e creazioni alchemiche[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Liliane Jessica Tami del 05/09/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1473081971824{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
Dopo la tremenda guerra dei trent’anni, che dal 1599 al 1649 disintegrò l’europa con le sue insurrezioni e guerre civili, le grandi monarchie si impegnarono per cercare di ridare ordine ad una società lasciata nell'incertezza e nel disordine. La Francia del Re sole, l’Impero Asburgico nella Mittel Europa, La reggia du Madrid del re Carlo III, gli Hohenzollern in Prussia che resero Berlino “L’Atene d’Europa", l’Inghilterra di Giacomo II Stuart diventata grande grazie ad Oliver Cromwell e la piccola casata dei Savoia ebbero l’onere, ma anche l’onore, di redimere il popolo dalla miseria e dalla povertà in cui i conflitti l’avevano gettato.
[caption id="attachment_5860" align="aligncenter" width="1000"] da sinistra a destra: Luigi XIV di Borbone, detto il Re Sole - Carlo Sebastiano di Borbone III, Re di Spagna - Federico II Hohenzollern, Re di Prussia - Giacomo II Stuart, Re d'Inghilterra, Carlo Emanuele I di Savoia.[/caption]
Fu così che le grandi Monarchie scelsero lo stile del  Rococò, ancor più del Barocco, per tentare di inaugurare un’era di “democratizzazione” degli usi e dei costumi dei grandi signori. Oro e pietre preziose, educazione e filosofia del buon gusto, ideale di vita colta e raffinata non potevano restare lussi esclusivi per le élites ed i nobili.
Così les philosophes e i grandi sovrani illuminati si impegnarono affinchè anche la media borghesia potesse aver accesso ad oggetti di grande bellezza e qualità, prodotti per la prima volta nella storia del mondo, su scala industriale. Sempre più spesso anche il sapere accademico inerente le belle arti, fino al settecento monopolizzato dall’Académie Royale di re Luigi XIV , veniva divulgato alle masse, permettendo così la nascita della figura del “dilettante” di pittura, ossia un amateur o connaisseur,
ben distinto dall’accademico.
[caption id="attachment_5861" align="aligncenter" width="1000"] Jean-Léon Gérome, ricevimento del Gran Condé da parte di luigi XIV a Versailles nel 1674.[/caption]
Nei trattati di Jonathan Richardson (The connaisseur, 1719) e nel saggio sopra la pittura di Francesco Algarotti, in cui si espone il perchè il connaisseur è in grado di consigliare meglio gli artisti rispetto all’accademico, viene appunto elogiata la cultura libera degli appassionati autodidatti. Sempre in quegli anni nell’ambito della filosofia prendono vita le prime teorie sulla filosofia estetica ed il gusto, ed in particolare ricordiamo Baumgarten e Montesquieu. Filosofi come Hogart, nella sua "Analisi della bellezza" scritta nel 1753, coglie nella linea curva dei riccioli la vera essenza del sublime, ed è proprio nella fluidità degli elementi naturali che ha sede l’anima del Rococò, che appunto deriva dal termine Rocaille, figura con ghirigori e conchiglie di pietra.
Fondamentale per il Rococò sono le pietre preziose che uniscono la vita delle donne d'epoca: oltre ai primi accenni di emancipazione sessuale e libertinismo nei disegni di Francois Bucher e nelle licenziose pulzelle di Honoré Fragonard, i gioielli composti da finte pietre preziose, che finalmente possono ornare le chiome anche di quelle donne troppo povere per potersi permettere rubini e diamanti veri.
Nella storia della frivolezza del gentil sesso, l’invenzione della pasta di vetro agli inizi del 1700 permise anche alle dame della media borghesia di agghindarsi di quei colori che fino ad allora erano loro proibiti per una mera questione economica. La pasta di vetro, inventata nel 1676 da George Ravenscroft, proprietario della Savoy Glass House di Londra, scoprì che aggiungendo dell’ossido di piombo al normale vetro di silice poteva ottenere pietre finte brillanti quasi come quelle vere.
Di fronte alla bellezza di tali creazioni alchemiche nemmeno le dame più ricche, come Madame du Barry, potevano tirarsi in dietro: celebri sono infatti i suoi orecchini celesti forgiati proprio in umilissima pasta di vetro. Il più celebre orafo che adoperò la pasta di vetro fu George Frederic Strass ( 1701-73), che nel 1730 andò a Parigi a scatenare la gran moda dei gioielli finti. Nel 1767 nacque anche l’associazione dei Bijoutiers-faussetiers, che contava ben più di 300 membri. E, per il dispiacere di quei gioiellieri come Pouget, che producevano solo per i nobili, venne a crollare il binomio gioiello=ricchezza.
Madame de Pompadour, la favorita del Re di Francia, nel 1763 promosse l’attività della manifattura di Sèvres, affinché tutti i suoi cittadini potessero beneficiare di un’educazione estetica che iniziava proprio col pranzo del primo mattino servito in piatti di degna bellezza. Graziosi piatti decorati con motivi floreali, tazzine fini e delicate da lasciar passare la luce tra le loro pareti e brocche smaltate finalmente a portata di tutti i medio borghesi: le grandi rivoluzioni, se non mirano a portare pace tra le classi sociali offrendo anche agli ultimi gli stessi privilegi estetici ed etici del Re, non servono proprio a nulla. E la porcellana, in virtù dell’ottimo rapporto tra qualità, bellezza e prezzo, era lo strumento perfetto per iniziare a portare un po’ di bellezza anche nella greve casa d’un contadino.
La storia della porcellana europea è un grande esempio di come, nel 1700, si verificò il grande passaggio dall’artigianato all’arte industriale.
Qualcuno attribuisce la venuta della porcellana in Europa a Marco Polo, ma di fatto è stato il progredirne del commercio, inaugurato dai portoghesi nel XVI secolo con le terre dell’est, che ne diffuse l’uso. Grandi sforzi fece poi Francesco Maria De’Medici per promuovere la creazione della porcellana ed altrettanti ne vennero fatti nelle manifatture francesi di Saint-Cloud a Ruen, in Francia, ma ancora non si conosceva l’ingrediente segreto della porcellana più pregiata ed essa era ancora relegata al rango di arte minore. Per scoprire il segreto per forgiare la porcellana perfetta ci volle un alchimista: Johann Friedrich Böttger, alchimista esperto nello studio di terre colorate, dedicò la sua vita al tentativo di creare l’oro in laboratorio.
[caption id="attachment_5866" align="aligncenter" width="1000"] Johann Paul Adolf Kiessling, Olio su Tela, Scoperta a Meissen[/caption]
In realtà la sua vita, nonostante riuscì a scoprire il segreto per forgiare l’oro bianco, fu estremamente straziante: a soli diciotto anni venne preso come amico-prigioniero del Re di Sassonia Augusto II e rinchiuso in una meravigliosa ala del castello in cui poteva beneficiare di ogni tipo di lusso e ricchezza, al prezzo della libertà.
Il sovrano, storico coltissimo e collezionista d’oggetti di ogni genere, voleva quel giuovin talento tutto per sé per consacrarlo, ed immolarlo totalmente, alla ricerca della formula perfetta per ottenere una porcellana ancora più bella e pura di quella cinese. Dopo anni di tentativi ed esperimenti tra alambicchi ed atanor (i forni alchemici) che scatenarono non poche polemiche tra il popolo, giacché il sovrano svuotò le casse di stato per finanziare questo progetto, Böttger finalmente scoprì l’ingrediente perfetto per ottenere tazzine così lisce e delicate da sembrare prodotte dagli Dei. L’alchimista, nei suoi laboratori, mettendo a punto un impasto a base di caolino, feldspato e quarzo, sostanze che conferiscono alla materia bianchezza, traslucidità e consistenza, riuscì a far cuocere nel “Gran fuoco” a 1550° gradi gli elementi e poi nel “piccolo fuoco" a 900 gradi, riuscì ad ottenere i primi servizi da tavola dell’ambito oro bianco.
Il 25 gennaio 1710 viene fondata a Meissen la prima manifattura europea di porcellana, i cui prodotti vengono finalmente divulgati sul mercato nel 1713 a Lipsia, in occasione della festa pasquale, ottenendo un successo strepitoso. La ricetta della porcellana, essendo frutto di decenni di lunghi lavori, era ovviamente segreta ed il Re Augusto II, che voleva tenere il monopolio di questo commercio, aveva imposto a Böttger, oramai divenuto uno schiavo coperto d’oro rinchiuso nello Jungfernbaste, di non divulgarla a nessuno.
Ma si sa: il mestiere più antico del mondo, dopo la dispensatrice d’amore, è il dispensatore di notizie: un’abile spia, nel 1719, forse in veste d’artigiano, riuscì ad insinuarsi nel palazzo del Re e nei laboratori di porcellana per rubarne la ricetta segreta. In breve tempo vendette a carissimo prezzo la formula segreta alla Manifattura di Vienna da dove poi venne divulgata in tutta Europa, inaugurando un fiorente commercio. Le più celebri manifatture di porcellana nacquero poco dopo: nel 1743 Carlo di Borbone, a Napoli, nello splendido palazzo Capodimonte, diede vita all’omonima fabbrica, e nel 1775 anche Carlo Teodoro del Palatinato, a Frankenthal, aprì la sua celebre manifattura. Nel 1763 Federico il grande, ricalcando le orme di Madame de Pompadour a Sèvres, inaugurò a sua volta un laboratorio di porcellana. Il mercato di queste creazioni, non essendo forgiate esclusivamente per le fasce più ricche della popolazione, fu amplissimo ed ancora oggi molte manifatture storiche come quella del marchese fiorentino Carlo Ginori producono ancora oggetti di qualità e grande bellezza. Peccato che da una cinquantina d’anni a questa parte la porcellana, producibile in modo eco-compatibile e di rara bellezza, sia stata sostituita dalle brutture in plastica usa-e-getta prodotte col petrolio ed il lavoro nei paesi del terzo mondo.
 
Per approfondimenti:
_Storia dell'Arte, dal quattrocento al settecento, Atlas, 2008, Gillo Dorfles, Stefania Buganza, Jacopo Stoppa
_Guida al piccolo antiquario, Paolo de Vecchi, Edizione CDE, Milano
_Storia dei gioielli, Anderson Black, istituto geografico De Agostini, Novara
_Antiquariato, Alessandra Migliorati , riconoscere gli stili, atlanti universali Giunti, Milano, 2003
 
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[vc_row][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1470869054976{padding-bottom: 15px !important;}"]Elogio al Ribelle, a partire da Ernst Jünger[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Diego Fusaro del 01/09/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1473082317968{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
Che cosa significa, fare oggi l'elogio del Ribelle?
Chi può essere ancora oggi nel tempo dell'omologazione planetaria e del conformismo della globalizzazione un ribelle? Cioè un dissidente alieno rispetto alle logiche dovunque imperanti della reificazione. Chi può far valere ancora un pensiero in rivolta, ribelle, o come avrebbe detto Gramsci uno spirito di scissione?
Io credo che a maggior ragione oggi, dove cresce il pericolo debba crescere anche ciò che salva, commentando i versi di Hölderlin, cioè a maggior ragione oggi, nel tempo della dittatura globale e dell'omologazione planetaria debba esserci la rinascita dei nuovi ribelli, la rinascita della figura del pensiero dell'obstinate contra: di chi si oppone fermamente, ostinatamente alle logiche illogiche che scandiscono l'andamento di un mondo sempre più permeato dalla mercificazione globale e dal potere del nuovo ordine mondiale che vuole vedere ovunque la stessa cosa: merci e consumo. Imposizione dell'inautentico su scala globale avrebbe detto Heidegger.
E credo che per fare l'elogio del ribelle e favorire la nascita di nuovi ribelli oggi nel tempo del conformismo planetario possa essere un operazione utile ed intelligente tornare a leggere uno dei grandi classici del pensiero ribelle, appunto il "trattato del Ribelle" di Ernst Jünger apparso la prima volta nel 1951, ed oggi più che mai attuale nell'odierno tempo della poverta.

[vc_row css=".vc_custom_1470495202139{padding-right: 8px !important;}"][vc_column width="5/6" css=".vc_custom_1470402358062{padding-top: 30px !important;padding-right: 20px !important;padding-left: 20px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos5" css=".vc_custom_1472636731354{padding-bottom: 15px !important;}"]A proposito di Bandini[/vc_column_text][vc_separator color="black" css=".vc_custom_1470414286221{margin-top: -5px !important;}"][vc_column_text el_class="titolos8"]di Marzia Casilli del 31/08/2016[/vc_column_text][vc_column_text css=".vc_custom_1472637370502{padding-top: 35px !important;}" el_class="titolos6"]
Chiedi alla polvere di John Fante è stato uno dei romanzi della mia tarda adolescenza che ha contribuito a farmi innamorare e temere gli scrittori, probabilmente anche a farmici diventare. Di quando in quando allungo la mano su uno dei miei comodini incasinati e me lo rileggo, come sta accadendo in questi giorni di brevi viaggi e spostamenti continui.
[caption id="" align="aligncenter" width="1000"] Chiedi alla polvere (Ask the Dust) è un film del 2006, diretto da Robert Towne, con protagonisti Colin Farrell e Salma Hayek, trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di John Fante.[/caption]

Arturo Bandini, in tutta la sua sprovveduta romanticheria da scrittore ossessionato dalla scrittura è stato uno dei miei primi amori, uno dei primi in cui mi sono timidamente specchiata. Ventitreenne squattrinato, di origini italiane abitante abusivo di Los Angeles, vive nella camera sudicia malamente ammobiliata di un motel, che non riesce mai a pagare. Ruba del latte, mangia solo arance perché non ha soldi per comprare altro, quindi stomaco sconquassato, succhi gastrici e tensioni di ogni genere lo attanagliano, ansia perenne, angoscia e inquietudine, ma a casa ( una casa in cui a nessuno frega niente di racconti, romanzi e scrittori, anzi: perché diavolo si sia intestardito a voler fare un mestiere così strano? Ma poi è un mestiere? Certo che no. Che tornasse a casa piuttosto!), lui scrive che tutto procede alla grande nella metropoli, è in contatto con famosi editori e il suo romanzo-capolavoro è quasi pronto. Ancora un po’ di pazienza e con il suo immenso talento farà una gran fortuna.

Ma il nostro Arturo Bandini, a parte un brevissimo racconto semisconosciuto non ha ancora pubblicato niente di niente, e nemmeno ha scritto una sola parola del romanzo che vorrebbe pubblicare. Un vero genio incompreso, con un talento così nascosto da non riuscire a farlo venire fuori.
Disperato, con le classiche caratteristiche da sognatore, Arturo Bandini si avventura per le strade polverose di Los Angeles, si affaccia dalla sua minuscola finestra e ingoia con gli occhi l’oceano, le palme, la spiaggia che da lontano brilla come un prato di spilli sotto al violento sole californiano.
All’inizio del romanzo, le ossessioni di Arturo Bandini sono due: la scrittura e Dio.
Eh si Dio. Perché lui è un religioso che disperatamente cerca di vivere nonostante il fatto di essere cattolico, perseguitato dal senso di colpa, dalla ricerca spasmodica del perdono dei peccati, anche se lui è uno che li ama i suoi peccati, e dalla salvezza da se stesso. Perché lui sa benissimo che razza d’individuo si trova davanti a quello specchio mezzo rotto: uno scrittore.
L’essere umano peggiore. La scrittura lo tormenta come la più irraggiungibile, bella e meravigliosa delle donne, lui non vive perché anche mentre vive sta scrivendo. I momenti gli sfuggono dalle mani perché è perennemente li a descriverli. Una dote infernale che lo porta a perdersi da se stesso per poi ritrovarsi purtroppo sempre lo stesso, alienato dalla vita, arriva in un posto chiedendosi che diavolo ci faccia li, ovunque vada, vorrebbe sempre essere da un’altra parte. Qualsiasi cosa lui stia facendo, non la sta facendo, la sta scrivendo. E chi non capisce una simile follia, non può considerarsi uno scrittore.
Perché chi ha questa maledetta vocazione, Arturo Bandini, lo capisce fin troppo bene. Vorresti sederti accanto a lui, mentre si dispera sulla macchina da scrivere, spettinargli i capelli unti, poggiarti sulla sua spalla sudata e dirgli che c’è una soluzione. Certo, se poi lui ti chiedesse qual è, non sapresti che dire e ti metteresti anche tu, come lui, a innamorarti dell’oceano e le palme altissime di Los Angeles, e vi disperereste insieme con una bottiglia di whisky scadente e una mezza dozzina di arance.
Ma come dicevo, le ossessioni di Bandini all’inizio del romanzo sono due, poi diventano tre. Ecco che Arturo Bandini nel quarto capitolo incontra l’amore. Tutti gli scrittori lo cercano e tutti gli scrittori non lo vogliono quando lo trovano. Anche qui, peripezie, giochi di prestigio letterari, acrobazie emozionali, per conquistare Camilla Lopez, la sua principessa maya, dal contorno del viso lieve, e le pelle olivastra e i denti bianchi e il naso piatto, e poi nel dodicesimo capitolo eccolo che finisce a letto con un’altra donna, Vera Rivken, fingendo che sia Camilla. Camilla, sarà il posto sbagliato in cui Arturo decide di restare.
Perché noi amiamo i posti sbagliati, i posti sbagliati hanno sempre un panorama mozzafiato che speriamo ci si riversi dentro. E succede, quasi sempre succede che si mischi al nostro paesaggio interno. Ma quella tra Arturo Bandini e Camilla Lopez non è una storia vissuta, non è nemmeno una storia. Lui non riesce a farla sua, non riesce ad afferrarla questa farfalla messicana, la odia, la ama, la rinnega, la cerca disperatamente. Vorrebbe passare una notte con lei, il suo desiderio di dormirle accanto anche una sola notte, una soltanto, lo fa tremare, annegare nell’ingorgo di parole che non riesce a dirle.
Uno scrittore senza parole, il paradosso di Bandini. Il paradosso degli scrittori.
[caption id="" align="aligncenter" width="1000"] John Fante (Denver, 8 aprile 1909 – Los Angeles, 8 maggio 1983) è stato uno scrittore e sceneggiatore statunitense.[/caption]

Ma poi Bandini lo fa, fa quello che ogni scrittore sincero, onesto e disperato dovrebbe fare: riassume la sua inabilità di vivere nella sua incapacità di amarla, di confessarsi a lei, nel suo palpitante, disagiante, vivo, misero e immenso sentimento di uomo. Perché certi brividi, quelli come Bandini è difficile che li confessino persino a se stessi. Mani in tasca, sguardo in alto e si fa finta di niente “Sentii le sue mani che mi cercavano, e le mie che cercavano invece di scoraggiarle”. Oh ma se tu sapessi Camilla...se solo tu sapessi. Arturo Bandini è per me il giovane Holden Caufield ormai ventitreenne, vago e solitario per le strade color ruggine di Bunker Hill. Arturo Bandini è ogni sacrosanto scrittore degno di questo indegno nome. E’ il prototipo dell’illuso per eccellenza, del sognatore povero custode di un grande talento artistico che gli permette di vedere il mondo, i rapporti, i sentimenti da una prospettiva del tutto singolare. E John Fante, beh basterebbe dire che era uno dei pupilli del vecchio Bukowski,stilisticamente perfetto in una prosa leggera, asciutta e pulita, cosparsa da uno humor sottile, un registro linguistico che a leggerlo d’un fiato, come accade a me, fa pensare a una canzone, i racconti ispirati a Bandini sono i miei preferiti, Chiedi alla polvere, lo considero uno strambo manuale di sopravvivenza per gli scrittori e Aspetta primavera,Bandini in cui Arturo era ancora bambino, il bozzolo di uno scrittore, è il primo capolavoro Fantiano. Fante è emozionalmente imparagonabile, lo leggo e lo rileggo da anni, lo studio, lo imito, lo ammiro, lo odio per questo talento spropositato, lo amo per la capacità che ha di estraniare da se stesso chi lo sta leggendo, con lui si vive in parallelo. Ed ora: aspettiamo insieme primavera, Bandini!

Per approfondimenti:_John Fante, La strada per Los Angeles - Edizioni Einaudi
_John Fante, Aspetta la primavera, Bandini - Edizioni Einaudi
_John Fante, Chiedi alla polvere - Edizioni Einaudi
 
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