La preghiera non è un semplice atto sociale, ma un atto che, nella sua semplicità, esprime la totalità del fenomeno religioso.«L’essenza più profonda della religione [si evince nel suo] atto più semplice» , ovvero la preghiera.
Condurre una riflessione organica sul tema della preghiera significa, innanzitutto, analizzarne lo scopo e, quindi, il pleroma, ovvero i contenuti più intimi. Ma analizzare i suoi contenuti significa, implicitamente o meno, riconoscere che, così come non esiste un solo modo di pregare, non esiste un solo tipo di preghiera. Infatti, vi è la preghiera di petizione, ovvero quella che contiene una richiesta, e quella di lode. Ora, soprattutto essa è preghiera al massimo grado, ma procediamo con cautela, nella nostra riflessione. Che cosa possono dirci i testi biblici a proposito dell’oggetto della nostra ricerca? Innanzitutto, vi è da riconoscere che la preghiera ricerca, prima di tutto, una disposizione interiore e non tanto le parole, perché, se è pur vero che le parole sono importanti, esse devono passare sempre in secondo piano: «Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio» (Qo. 5, 1-1) ed essere poche: «perciò le tue parole siano parche» (Qo. 5, 1-1).
Questo non vuol dire che esse non siano importanti, ma che, quando si tratta della preghiera, devono passare sempre in secondo piano «[poiché] dalle molte chiacchiere [viene] il discorso dello stolto» (Qo. 5, 1-2).
Le parole devono essere poche e ridotte al minimo, perché anche se appaiono essere «necessarie, […] almeno per fissare il pensiero» . Dio, conoscendo già i nostri pensieri, sa già di cosa l’uomo ha bisogno. Certo, come abbiamo accennato in precedenza, questo non vuol dire che le parole non servano, poiché, come afferma lo stesso Agostino, nella lettera centotrenta, occorre pregare anche con parole: «preghiamo Dio anche con parole, affinché mediante quei segni delle cose stimoliamo noi stessi e ci rendiamo conto di quanto abbiamo progredito in questo desiderio e ci sproniamo più vivamente ad accrescerlo in noi» .
È l’evangelista Matteo, che riportando la testimonianza del Cristo, riassume tutto ciò dicendo: «Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate». (Mt. 6, 7-8).
A cosa servirebbero, in effetti, le parole se non fossero accompagnate da un atteggiamento consono, ovvero da quelle “disposizioni del cuore” o, come dice Agostino, con immenso affetto? Ma cos’è quest’immenso affetto? Esso è un offrirsi a Dio. Offrire (Offerire) significa presentare, ovvero portare (ferre) innanzi a… (-Ob). Ma questo offrire è soprattutto un donare. Ora, quando si dona autenticamente lo si fa, non certo per ingraziare qualcuno , ma per ringraziare.
Ogni dono è gratis perché espressione di una certa gratitudine (gratitudo) della quale siamo grati (grati). Ma, se siamo grati verso qualcuno, lo siamo innanzitutto verso Colui che ci ha posti nell’essere; in ciò consiste il vero culto: «Dei cultus dici poterat, qui in hoc maxime constitutus est, ut anima ei non sit ingrata» . Ecco, allora che il peccato peggiore è l’ingratitudine: «Il peccato peggiore non è tanto quello di aver mangiato il frutto, quanto quello di avere creduto che ci era dovuto. Il peccato è essere cechi di fronte al dono […] il peccato peggiore è l’ingratitudine […] perché essa ci esclude direttamente dal dono dell’essere».
Se tutto ciò è vero, allora possiamo già tirare le due prime conclusioni. In primis, la vera forma di preghiera risulta essere quella che esprime gratitudine a Dio e, dunque, una lode sempre nuova: «Cantate al signore un canto nuovo/cantate al signore da tutta la terra» (Sal. 96), che risuona ovunque (Sal. 150).
Possiamo notare che i concetti di generosità e gratitudine richiamano immediatamente il concetto agostiniano di affetto d’animo, ovvero quello che Mauro chiama “disposizione interiore”; infatti è essa ad essere maggiormente gradita da Dio che, come abbiamo visto non ascolta né chi moltiplica le parole, né tantomeno chi moltiplica inutilmente le opere, i sacrifici, i regali: «Le nostre mani, pensiamo dovrebbero essere piene di offerte, di regali, di voti, di buone azioni, affinché Dio guardi alle nostre preghiere. Se mai le nostre mani fossero vuote di doni e sacrifici, eccoci convinti che Dio non ci guarderebbe. Così spesso siamo tentati di spiegare il non-esaudimento delle nostre preghiere dicendoci «Non avevo fatto abbastanza, non avevo meriti. Non avevo offerte».
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Michelangelo Merisi, "San Francesco in preghiera" (particolare) - Chiesa di S.Maria Immacolata in via Veneto, Roma - 1605[/caption]
Strana concezione di Dio che, come gli Dei pagani, pensiamo sia interessato ai nostri regali! «[…] Dio nella preghiera domanda un soggetto libero che si dona, noi invece preferiamo portargli degli oggetti, che gli offriamo per renderlo gentile e comprensivo». Proprio questa è, infatti, la grande tentazione; ovvero di pregare non tanto con il cuore; offrendo a Dio una lode sincera e donandosi completamente, ma credere che le nostre opere possano essere più importanti della disposizione d’animo. Bisogna, però, che non si fraintendano le parole fin qui dette. Non si vuole dire, infatti, che le opere non contano per nulla – pensiamo all’importanza della carità e delle opere pie, ad esempio - ma, al contrario, si vuole affermare, nel momento dell’atto di preghiera, la loro secondarietà. Quando si prega un Tu si rivolge ad un altro Tu che ascolta, in un rapporto di una libertà ad un’altra libertà. Ma sarebbe un Tu veramente meschino se lo si dovesse ingraziare a priori con la speranza di essere esauditi. (Sal. 6, 69).
La preghiera di lode, com’è stato accennato in precedenza, non è, però, l’unica tipologia di preghiera possibile. Guardando all’ampio ventaglio delle possibilità che si offrono all’uomo, oltre alla preghiera di lode esiste anche quella che mira a richiedere (petere) e a domandare: è la cosiddetta preghiera petitiva (peto). In effetti, anche dal punto di vista etimologico il termine “preghiera” è soprattutto una predicazione (precatio) che mira a domandare. Anche nei testi neotestamentari, Gesù, invitando alla preghiera, riconosce alla preghiera di supplica e domanda una certa autonomia e importanza, garantendone l’efficacia «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto». (Mt. 7, 7-8).
Occorrerà, allora, nel seguito della nostra trattazione, indagare anche la tipologia di preghiera che consiste nel domandare. La seconda tipologia di preghiera che occorrerà, ora, analizzare è la preghiera petitiva, ovvero quella determinata forma di rivolgersi alla divinità che consiste nel chiedere.
Notiamo subito che, anche se Gesù invita i fedeli a domandare senza paura, occorre distinguere tra ciò che è bene e conveniente domandare e ciò che sarebbe meglio tacere. È lo stesso Sant’Agostino che ci invita a «[…] perseverare notte e giorno nella preghiera» , riconosce che ci sono beni che, sebbene legittimamente desiderabili, non sono, tuttavia, domandabili. A questa tipologia appartengono quei beni mondani, onore, ricchezza, salute, che non rappresentano il fine della preghiera, infatti essa mira ad ottenere un bene superiore: «Approviamo noi dunque che, oltre a questa salute temporale, si bramino per sé e per i propri familiari onori e posti di comando? Si, è senz'altro lecito desiderarli, ma a patto che per mezzo di essi si sovvenga ai bisogni di coloro che vivono alle proprie dipendenze, non mirando a questi beni in sé e per sé, ma per un altro bene che ne consegue».
In questo senso, possiamo dire che pregare rettamente domanda discernimento e precauzione, affinché non si chiedano cose sconvenienti, ovvero dannose, come Socrate fa notare nell’Alcibiade secondo: «Dunque, non ti pare che ci voglia molta precauzione affinché non si chiedano in preghiera, senza accorgersene, grandi mali ritenendoli dei beni, e gli dei in quel momento si trovino in tale disposizione da concedere ciò che appunto ci si trovi a pregare?».
Che cosa sarebbero questi beni confrontati alla vita eterna? «Tu ben sai quanto siano incerti tutti questi beni mondani; e anche se non fossero incerti, che cosa sarebbero a paragone della felicità che ci è stata promessa?» . Di qui si solleva la domanda su qual è quel bene che tutti dovrebbero chiedere e ricercare. Affidiamo la risposta al salmo 26: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario» (Sal. 26,4-6).
In definitiva è, ancora una volta, la grazia della contemplazione di Dio che è lecito domandare e non i beni materiali, poiché, com’è stato osservato: «Se uno nella preghiera dice per esempio: "Signore, moltiplica le mie ricchezze o: "accresci i miei onori, fa che in questo mondo io sia assai potente e famoso" o altre simili affermazioni, e le desidera ardentemente senza avere lo scopo di volgerle a vantaggio degli uomini secondo il volere di Dio, costui, a mio avviso, non trova affatto nella preghiera insegnataci dal Signore nessuna espressione compatibile con questi desideri. Perciò si abbia almeno l'accortezza di chiedere ciò che non si ha pudore di desiderare, oppure se si ha coraggio anche di desiderarlo - ma la passione ha il sopravvento -, quanto sarà meglio chiedere al Signore che ci liberi anche da questo male della cupidigia, dato che gli diciamo: Liberaci dal male!».