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a cura di Radio9
Il presidente della associazione Arch.Giuseppe Baiocchi disserta sull'associazione Das Andere e spiega il programma culturale 2017 "FUTURO-PASSATO. Oltre il già detto". Annunciato anche il prossimo evento che andrà in scena per il 28 Gennaio 2017 a cura del giornalista romano Sebastiano Caputo.

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di Giuseppe Baiocchi del 01/01/2017

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Negli anni del Tardo Impero romano (III-IV secolo) la musica da pagana deve divenire sacra per le nuove esigenze cristiane. In una situazione confusa, la nuova tradizione musicale doveva sforzarsi di unificare il mondo cristiano, senza rompere totalmente con la tradizione. Inizialmente tale tradizione è orale, difatti le testimonianze letterarie come i Vangeli, le lettere di San Paolo usano la prassi del “salmodiare”, pratica legata al salmo davidico di derivazione ebraica, modificato alle nuove esigenze liturgiche cristiano-giudaiche che raggiunse nel III secolo l’Europa romana, partendo dall’attuale Siria (Antiochia e Damasco).
L’idea di educazione musicale riprende il concetto di “formazione dell’uomo” già espresso in età classica da Platone e Aristotele. Tale concetto sparito in età imperiale romana, viene ripreso come strumento per avvicinare l’uomo alla vera fede. Nei primi anni medievali della Chiesa, la musica era ritenuta uno strumento del demonio, fonte di corruzione e lasciva per i giovani, ma l’uso sempre più massiccio – in ambito ecclesiale – di tale disciplina come parte integrante della liturgia, fa si che l’idea iniziale muti pian piano, fino ad arrivare alla consapevolezza che il canto poteva essere uno strumento di salvezza e di elevazione spirituale, se ben impiegato.
Il canto sacro diviene strumento ausiliare della preghiera favorendone la divulgazione al popolo. Con il passare dei secoli le esigenze musicali si rendevano sempre più indispensabili e sempre più ampie: dal canto dei primi secoli, affidato ai fedeli, successivamente questo fu di competenza di cantori professionisti, data la forte elaborazione canora che rischiava di essere banalizzata e profanata da voci inesperte. La memorizzazione di testi musicali sempre più complessi – con l’invenzione dei tropi e delle sequenze – richiese anche un sistema di notazione più preciso (che non si limitasse ad un vago ricordo a memoria).
Dal punto di vista teorico i modi del canto Gregoriano rimangono con gli stessi nomi dell’antichità greca (frigia-dorica-lidia-misolidia), ma non hanno nulla a che vedere con le armonie greche.
Il Canto Gregoriano nasce nell’VIII secolo come genere musicale vocale, monodico e liturgico. Prima di ciò, l’unico punto di riferimento cristiano era rimandato al canto sinagogale ebraico (tradizione ancora viva nelle comunità ebraiche moderne) il quale anch’esso non presentava una notazione, non prima dell’VIII secolo (la notazione alfabetica greca era del tutto inadatta per i fedeli per lo più analfabeti).
Dunque la tradizione primitiva musicale cristiana si basa essenzialmente sul modello ebraico di tradizione sinogale (musica semitica) con nuovi modi Gregoriani (VIII secolo) che continueranno a portare i nomi delle armonie dei greci. I canti dei primi cristiani, in ebraico o aramaico, mutarono successivamente in lingua greco e latina che si codificò in forme più rigide nel IV e V secolo dopo Cristo.
Il Cantus Planus (Canto Piano) è un genere musicale sacro che possiede diverse caratteristiche: è una musica vocale, si esegue “a cappella” ovvero senza accompagnamento musicale, è di tipo monodico venendo eseguito all’unisono, non presenta modulazioni armoniche essendo modale e ha un ritmo verbale.
E’ utilizzato generalmente in canti religiosi, ma non è esclusivo dei canti cattolici. Il canto Gregoriano è un repertorio liturgico cristiano del Canto Piano e prende il nome da Papa Gregorio I, vissuto nel IV secolo d.C. , il quale non fu propriamente favorevole a questa tipologia di musica vocale, né fu il creatore.
[caption id="attachment_7254" align="aligncenter" width="1131"] Stomer Matthias, San Gregorio Magno - Olio su tela del 1630-1640 ca. [/caption]  
In Occidente la struttura musicale fu ripresa anche da quella bizantina – struttura responsoriale e antifonaria – ma il repertorio fu unificato grazie all’utilizzo dell’unica lingua ufficiale occidentale: quella latina. Esistono, tuttavia, alcune differenziazioni come il canto Ambrosiano a Milano o il canto Gallico nella penisola iberica, ma è il canto Gregoriano ad imporsi nell’immenso repertorio del canto Occidentale.
E’ certo che Gregorio Magno I non è l’autore diretto delle importanti e fondamentali innovazioni nel campo musicale che avvennero sotto il suo pontificato, il quale riassestò tutto il mondo cristiano-cattolico con importanti riforme. Le semplificazioni e migliorie sotto il suo regno furono l’antifonario riformato, una raccolta dei testi dei canti Liturgici, e la creazione della “Schola cantorum” ovvero dei cantori professionisti che seguivano e tramandavano il repertorio.
Il Francia l’imposizione del Canto romano si consolida e diviene franco-romano per le influenze del canto gallicano, il quale apporterà definitivamente importanti influenze al Canto gregoriano adottato nell’Europa Cristiana. E’ solo nell’anno XI che si sviluppa la scrittura musicale, la quale muove i suoi primi passi gradualmente a sostituzione della tradizione orale. I cantori delle “scholae” dovevano imparare le formule melodiche da applicare ai testi della liturgia con l’aiuto di segni grafici essenziali (detti neumi) per facilitare l’apprendimento mnemonico. I cantori iniziano, così, a leggere il Repertorio come in una moderna partitura. Difatti la notazione greca era finalizzata a scopi di carattere teorico, mentre la notazione gregoriana era finalizzata a scopi meramente pratici. Tra i suoi scopi si individua l’obiettivo di riprodurre l’andamento della melodia per fissare una modalità esecutiva distinta e in secondo luogo i neumi (i segni) vengono ricondotti a derivazione dati dalla trasformazione degli accenti latini oratori, strettamente legati alla “Scuola Cantorum”. I primi neumi furono tracciati sopra il testo, senza rigo per indicarne il moto (né altezza, né intervalli tra suoni diversi) e furono nominati come “notazione adiastematica” o “notazione in campo aperto”.
[caption id="attachment_7258" align="aligncenter" width="1404"] Tonale di Saint-Bénigne di Dijon[/caption]
Successivamente si inventò un sistema ritmico di notazione che permettesse di definire il valore di durata di ogni singola nota. Fu introdotta la linea e le relative chiavi per indicare i neumi che cadevano sulle linee. Dalla metà del X secolo si cominciò ad usare una o due linee orizzontali, di colore rosso per indicare il FA e di colore giallo per indicare il DO; Infine dal XI secolo si arriverà al Tetragramma, un sistema di quattro righi, che rimarrà adottato in tutto l’ambiente musicale occidentale.
Sempre a partire dal IX secolo si impiegò accanto alla notazione neumatica alcune notazione di carattere alfabetico per indicare i suoni (soprattutto nei brani polifonici). Per segnare con più precisione la melodia si usò un sistema con un numero di linee variabili, dove i “segni” furono definiti “dasiani” con derivazione greca. Tale sistema era noto per l’uso – nel tetracordo – di quattro segni per i suoni, i quali vengono usati per annotare rispettivamente un tetracordo più basso e i due tetracordi e mezzo più alti. I neumi del sistema dasiano furono anche chiamati “di notazione quadrata” (neumi quadrati, di forme grosse e quadre) a partire dall’XI secolo quando l’esattezza e la precisione delle singole note aumentò notevolmente.
[caption id="attachment_7256" align="aligncenter" width="1000"] Nell'immagine riportiamo una antifonario della fine del cinquecento. Da notare i neumi con notazione quadrata, iscritti nel tetracordo. [/caption]
Secondo la notazione quadrata – fondata sulla equivalenza ritmica delle note – che si discosta dell’interpretazione mensurale (successione di valori lungo e breve) vi sono neumi che rappresentano da una a tre note: Virga, Punctum (1 nota); Pes, Clivis (2 note); Scandicus, Climacus, Torculus, Porrectus (3 note). Nel 1904 con il decreto del Motu proprio, Papa Pio X adotta ufficialmente i neumi quadrati.
Bisognerà aspettare il 1100 d.C. per avere un sistema pratico di notazione comprendente sia note quadrate singole, che raggruppamenti di note dette ligarurae (le legature) per definire la durata di queste.
[caption id="attachment_7257" align="aligncenter" width="1000"] Tipologia di neumi completa. [/caption]
La scuola parigina di Notre Dame (prima scuola polifonica sacra del 1175 d.C.) introdusse e elaborò tale notazione, la quale nel basso medioevo verrà definita “modale” (notazione modale) esprimendosi in sei modi ritmici. Ogni modo ritmico è scandito dalle ligaturae che arrivano a racchiudere fino a cinque note. Il modo ternario (una ligaturae da tre) si impone sul binario (imperfetto), poiché deriva dal numero della Trinità, considerato perfetto. Si deve al tedesco Francone da Colonia l’introduzione della semibrevis (semibreve) espressa in forma romboidale, la quale ebbe l’efficacia di fissare ancor di più il valore di durata della nota. Nel 1200 d.C. si vedrà l’inserimento anche del punctus divisionis (punto di divisione), ovvero di un punto posto appena dopo la nota, che diventerà successivamente il moderno punto (anche se nel medioevo non ebbe il carattere di allungare la nota di metà del suo valore). La piena legittimità del sistema binario arriverà nel 1300 con Jehan des Murs (1300-1350) teorico e matematico parigino. Parallelamente il compositore Philippe de Vitry (1291-1361) nel suo trattato Ars nova (arte nuova) definirà un nuovo sistema di notazione che prenderà il nome di mensurale: un rapporto tra breve e semibreve (tempus) e semibreve e minima (prolatio) con entrambi i rapporti trasformabili in tempi perfetti (ternario) o imperfetti (binario). Nel tardo medioevo (XV secolo) i valori di tempo più lunghi - nel sistema della notazione - furono contraddistinti dallo scrivere solo la parte perimetrale della singola nota, lasciando il centro bianco: nasce la “mensurale bianca”. Le note “nere” si lasciano per valori piccoli.
Bisogna dunque tener presente nel canto gregoriano il rapporto tra la parola e la musica, comprendendo il tutto attraverso gli archi melodici, l’accento delle parole e l’andamento prosodico.
Carlo Magno (742-814, re dal 768) impose l’uso – attraverso l’emanazione di atti legislativi – dei libri liturgici romani in tutte le aree dell’impero, per ammirazione verso le usanze romane oltre che per ragione di natura politica. Papa Leone III incoronò Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo Magno il 25 dicembre dell’800 d.C. decretando la prosecuzione naturale del glorioso Impero Romano d’Occidente. La legislazione carolingia contribuì al processo di unificazione ecclesiastica che promuoveva l’uso liturgico, anche nelle scuole. L’apprendimento e l’esecuzione dei canti romani in terra francese doveva avvenire su basi sicure e le melodie dovevano essere fissate su basi certe. Così insieme al canto Gregoriano, nasceranno i primi Tonari: dei libri liturgici che classificano i brani del repertorio sacro secondo la loro appartenenza ad uno degli otto toni ecclesiastici (octo echoi – anche se i primi tonari recano solamente l’incipit dei testi liturgici e non la musica).
Il supporto mnemonico scritto, si basava sulle cadenze conclusive dei salmi, suddividendosi in tono per tono (modi) con le differenze inerenti ai singoli toni stessi. I toni non furono semplici scale, ma vere e proprie formule melodiche, le quali si aggiravano intorno all’asse della corda di recita, quest’ultima era nel canto fondamentale poiché intorno a lei, insisteva la cantillazione salmodica.
Successivamente gli otto modi furono classificati in scale costruite tramite una sovrapposizione – dei modi autentici – e di una sottoposizione con i modi plagali. Vi sono otto modi (toni) medievali (ogni modo possiede la classificazione autentico e plagale):
_protus (re-la) per il primo modo
_deuterus (mi-si) per il secondo modo
_tritus (fa-do) per il terzo
_tetrardus (sol-re) per il quarto
Vi era poi la finalis su cui terminava la melodia e la repercussio attorno alla quale la melodia ruotava.
Dunque il Gregoriano vocale si elabora attraverso i canti, organizzati secondo i periodi dell’anno liturgico. I testi sono raccolti all’interno del Breviarium (notazioni musicali) e l’Antifonario (antifone, responsori, versetti). La figura centrale del culto Cristiano è Gesù Cristo con i suoi eventi scanditi tra nascita-morte-resurrezione. I riti della Chiesa di Roma si articolano in due Servizi Fondamentali:
_la liturgia delle Ore (l’Ufficio). Otto sono le ore canoniche attraverso le quali viene scandita la giornata per i fedeli: mattutino (2.00), Lodi (alle 5.00), Ora Prima (7.00), Terza (9.00 – segue liturgia Eucaristica), Sesta (12.00), Nona (15.00), Vespri (17.00) e Compieta (20.00) - contenuti nel libro Liber Usualis;
_la liturgia Eucaristica (La Messa) – la quale si suddivide in tre momenti: riti di introduzione, Liturgia della parola, Liturgia eucaristica. Questa struttura si consoliderà intorno al IX-XI secolo e sarà solo in lingua latina, fino al Concilio Ecumenico Vaticano Secondo (1962-1965) che permise l’utilizzo delle lingue correnti nei paesi dove la messa veniva celebrata. I canti della messa si suddividono in Ordinarium Missae (Ordinario della Messa: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei – contenuti nel tomo liturgico del Kyriale) e Proprium Missae (Proprio della messa: Introito, Graduale, Alleluia/Tractus, Offertorio, Communio – contenuti nel tomo liturgico del Graduale).
Inizialmente si richiedeva la partecipazione canora dei fedeli, ma successivamente il coro fu affidato a cantori professionisti. Per i canti della Proprium Missae si hanno due diverse esecuzioni: l’esecuzione dei canti antifonali (Introito, Offertorio, Communio) distribuiti tra due cori alternati e l’esecuzione dei canti responsoriali (Graduale, Alleluia/Tractus) affidati alternativamente a solista e coro. All’interno dei canti responsoriali – infine – vi sono due differenze vocali: il melismatico e il sillabico; il primo ha una fioritura melodica vasta (melisma) fino a 30/40 note per singola sillaba del testo, mentre il sillabico ad ogni nota corrisponde una sillaba.
Sempre a partire dal IX secolo d.C. i cantori dell’Impero Franco coltivarono e svilupparono per i Canti della liturgia Eucaristica, una interpolazione ai testi che prese il nome di Tropi, i quali avevano lo scopo di approfondire il senso teologico del testo liturgico.
Altro grande protagonista per la musica medievale, possiamo riscontrarlo in Guido D’Arezzo (990 circa-1050 circa), il quale per meglio definire i caratteri dei modi e per facilitarne la memorizzazione creò l’esacordo, - che sostituendosi al tetracordo – facilitò l’operato dei cantori, dove la scala di sei suoni aveva l’aggiunta di una nota all’inizio e alla fine. Il monaco per facilitare la letture introdusse anche un primitivo solfeggio cantato. Per facilitare l'apprendimento da parte dei cantori del sistema della solmisazione si congegnò un aiuto visivo, che prese il nome di "mano guidoniana" - presente in numerosi trattati medievali - dove su ciascuna falange e alle estremità delle dita (mano sinistra) sono presenti le diverse sillabi delle scale esacordali. 
[caption id="attachment_7272" align="aligncenter" width="1000"] Guido monaco, conosciuto anche come Guido d'Arezzo o Guido Pomposiano (991-992 circa – dopo il 1033), è stato un teorico della musica e monaco italiano. Fu un importantissimo teorico musicale ed è considerato l'ideatore della moderna notazione musicale, con la sistematica adozione del tetragramma, che sostituì la precedente notazione adiastematica. Il suo trattato musicale, il Micrologus, fu il testo di musica più diffuso del Medioevo, dopo i trattati di Severino Boezio. A sinistra la "mano guidoniana".[/caption]  
In Età Carolingia (l'impero retto da Carlo Magno) si crearono due realtà: il classico repertorio liturgico del canto gregoriano monodico e parallelamente il dramma liturgico con la polifonia. Il risultato fu il mantenimento del canto Gregoriano, il quale poteva – pur mantenendo l’originale come fondamento – essere variato con aggiunte di carattere musicale e testuale. Il tropo, dunque, ebbe rilevanza anche per possibile fatture di un primo mutamento in campo accademico musicale. Forma particolare del tropo è la sequenza, ovvero una aggiunta di testo letterario al melisma alleluiatico del testo. Il testo liturgico diviene il pilastro della costruzione polifonica e viene utilizzata come abbellimento della liturgia al fianco dei tropi e delle sequenze. Sempre in epoca carolingia è il tropario di Winchester (raccolta di tropi), il quale contiene al suo interno il primo esempio di dramma liturgico: il “Visitatio sepulchri” – consiste in un dialogo fra gli angeli (coelicole) e le pie donne (christicole) sul comportamento di queste ultime recatesi al Sepolcro di Gesù già risorto. Il dramma liturgico fu traslato come tropo nella messa pasquale per via della possibilità di un ampliamento maggiore del dramma con l’aggiunta di nuove parti musicali, nuovi episodi e la migliore sincronizzazione tra la celebrazione liturgica insieme a quella narrativa evangelica. Il dramma liturgico tematicamente più ricco è quello del Ludus Danielis dove sono presenti una cinquantina di melodie, mentre del dramma dello Sponsus vedrà la compresenza di parti in latino e parti in francese dialettale: primo crocevia tra il dramma liturgico e quello extraliturgico in volgare, il quale avrà molta importanza in ambito teatrale.
Nell’888 d.C. con Carlo il Grosso, l’Impero Carolingio si disgrega con la conseguenza di importanti trasformazioni a livello musicale date dall’instaurazione del feudalesimo. I monasteri, detentori del monopolio culturale musicale, iniziarono a non essere più i soli a produrre musica, poiché questa inizia ad essere anche ad uso privato, all’interno dei Castelli e dei borghi – aprendo la nuova strada della musica di derivazione laica. Tale miscellania tra canto gregoriano (melopea sacra), contenuti poetici cortesi, mezzi linguistici profani, influssi popolari creano “la tradizione poetico-musicale profana”. Nasce la figura del trovatore o trovadore o trobadore (forma arcaica, derivante da tropo – tropator): un compositore ed esecutore di poesia lirica occitana (ovvero di testi poetici e melodie) che utilizzava la lingua d'oc, parlata, in differenti varietà regionali, in quasi tutta la Francia a sud della Loira. I modelli politici e culturali della tradizione laica riuscirono gradualmente ad affermare l’importanza della Cattedrale, come luogo per eccellenza delle attività musicali, con il monastero che viene emarginato in maniera progressiva. La cattedrale diviene così la sede delle pratiche liturgiche collettive. Dopo la “Scuola di Parigi” la polifonia inizia ad avere un carattere profano, dando vita all’Ars Nova, che osservava l’elemento musicale come prodotto piacevole per l’animo e non ragionava più come un duplicato ritmico e numerico dell’ordine cosmico.
[caption id="attachment_7260" align="aligncenter" width="1000"] Simone Martini - L'investitura di San Martino a cavaliere (particolare). [/caption]
La monodia divenne, così, profana e concesse i suoi temi poetici all’arte polifonica. Manteneva ovviamente alcuni fondamentali equivalenze con il canto liturgico: la terminologia, l’andamento melodico con l’alternanza tra i sillabismi e i melismi, l’articolazione dello sviluppo melodico intorno alle note polari (una o due), libera concordanza metrica tra testo e musica. Uno dei massimi esponenti dell’Ars Nova è stato Guillaume de Machaut (1305-1377), compositore francese, grande fautore di questa contiguità.
L’Ars Nova si sviluppa anche in Italia, dove sono presenti più espressioni monodiche devozionali (le laudi). In Italia, difatti, avviene in anticipo il passaggio tra la civiltà feudale e la società comunale, che vedrà la nascita della borghesia urbana. Tale nuova società, vuole elevarsi – come quella aristocratica – e cercherà di implementare il campo musicale. Nascono le corporazioni musicali e si fisseranno vere e proprie tariffe per le prestazioni di cantori e musici. Si avranno le performance di giullari e trovatori unite ad una dimensione urbana congestionata di eventi sonori e di manifestazioni musicali che soddisferanno le più disparate esigenze. Nelle regioni meridionali della Francia – di lingua occitana – si introduce una nuova visione dell’amore e una innovativa modalità canora. Nasce l’amor cortese: una sublimazione dell’amore erotico il cui la cortezia (corteggiamento amoroso) tre modello e simbolo dai valori cavallereschi di qualche secolo prima. Tale comportamento diviene un nuovo mezzo per la purificazione spirituale, che riesce a far giungere l’uomo alla joi, ovvero la beata estasi, di cui la stessa “gioia” sarebbe già una riduzione del termine.
[caption id="attachment_7262" align="aligncenter" width="1000"] Edmund Blair Leighton, La fine del canzone - Olio su Tela del 1902.[/caption]  
Così i trovatori suddivideranno l’amor cortese in tre grandi generi poetici che toccano la canzone d’amore, la situazione poetica e il soggetto poetico: la canso, l’alba e la pastorela. Parallelamente all’amore verrà sviluppato anche l’argomento satirico e politico (il sirventes) con gare poetico-canore (la tenso). La maggior parte dei codici è in notazione neumatica quadrata senza indicazioni mensurali (relative al valore ritmico delle note). Dopo duecento anni, anche la tradizione trovadorica decadde per la fusione della cultura della Francia meridionale (lingua doc) con quella della Francia settentrionale (lingua doil). Le cause, come sempre, sono diverse: dai giullari, questi artisti saltinbanchi itineranti che vagavano di corte in corte – entrando spesso in maniera fissa nelle corti come menestrelli (ministeriales, da ministerium ovvero servizio fisso) – esportando il canto trobadorico; ai matrimoni tra nobili fino alle crociate come quella effettuata nel 1208-1229 che devastò la Linguadoca materialmente e culturalmente. Infine la decadenza, come spesso accade, è avvenuta anche per esaurimento del fenomeno culturale, il quale una volta raggiunto l’apice può solo scendere: semplicemente si era esaurito lo spirito. Nella Francia nel Nord vi era la figura del troviere (non quella del trobadore, figura – come detto – della Francia meridionale) che prediligeva i canti di genere narrativo come la Chanson de toile, la quale riprende elementi narrativi delle antiche chanson de geste (di cui la Chanson de Roland è la più famosa) intonate su una stessa melodia che si ripeteva.
Nella seconda metà del XII secolo il canto tovadorico e trovierico influenza le aree a lingua tedesca. Il trovadore prende il nome di Minnesänger ed il canto del Minnesang. Il tutto era organizzato in corporazioni che attuavano la parafrasi dei testi dal francese al tedesco. Una particolare struttura tedesca era quella di Bar (poema) che consiste nella successione di due piedi e una chiusa: AAB che sotto il profilo ritmico-esecutivo riprende la medesima tradizione francese.
In Italia la monodia extraliturgica fiorì nell’ambito del movimento dei laudesi, suddiviso in confraternite che praticavano i canti delle laude. Sulla scia di S.Francesco e degli ordini mendicanti, i quali proponevano una rivoluzionaria forma spirituale di devozione, rielaborano i temi dei due cicli dell’anno liturgico in un volgare vibrante di commossa partecipazione e ricco di immagini colorate. Tra i vari tipi di laudari riscontriamo quello di Cortona e quello Magliabechiano. Le laude sono uniche poiché uniscono gli elementi del canto liturgico con quelli della tradizione profana.
 
Per approfondimenti:
_Baroni, Fubini, Petazzi, Santi, Vinay – Storia della musica – edizioni Piccola biblioteca Einaudi
_Elvidio Surian – Manuale di storia della musica, vol.1 – edizioni Rugginenti (6°)
 
© L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata

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di Giuseppe Baiocchi del 19/12/2016

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Alla conclusione di questa crisi di Governo si possono trarre due conclusioni, una positiva, l'altra negativa: la prima è la rapidità con cui ha agito Sergio Mattarella, che ha mostrato piena consapevolezza delle urgenze del Paese, imponendole alle forze politiche sin dall'inizio del percorso tenendo conto delle scadenze della nazione; la seconda conclusione poco positiva è dettata dalla stessa lista dei Ministri letta il 12-06-2016 da Paolo Gentiloni, il quale suggerisce l'idea di un Governo pensato per reggere il "minimo" sia nelle sfide che nella durata. Un pensiero riconducibile a Matteo Renzi (suo predecessore) che ha disegnato un percorso congressuale con lo sguardo a elezioni ravvicinate con l'esecutivo in piena continuità con il Governo dimissionario.
[caption id="attachment_7186" align="aligncenter" width="1000"]governo-gentiloni Prima fila da sinistra a destra: Pinotti, Orlando, Minniti, Alfano, Mattarella (Presidente della Repubblica), Gentiloni, Lotti, De Vincenti, Costa, madia, Finocchiaro. Seconda fila da sinistra a destra: Lorenzin, Franceschini, Fedeli, Poletti, Delrio, Galletti, Martina, Calenda, Padoan.[/caption]
Un analisi di tutti i Ministeri con obiettivi e scadenze.
_Il ministro all’economia Pier Carlo Padoan (tecnico) prima di entrare nel governo con l’arrivo di Renzi al Palazzo Chigi, è stato un economista sia all’università, sia in organismi internazionali come l’Ocse dove ha ricoperto il ruolo di vice-segretario generale e il fondo monetario internazionale. Nel suo curriculum anche le consulenze per la banca mondiale, la Commissione Ue e la Bce.
Le sue priorità passano anche per i dossier più caldi del suo tavolo: il primo impegno sarà la risoluzione della questione “banche”, dal Monte dei Paschi di Siena agli altri aumenti di capitale in difficoltà – Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Carige – fino alla difficile cessione delle quattro “banche buone” nate dalla risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara. Nell’agenda di Via XX Settembre spicca anche la prosecuzione del confronto con l’Europa sulla manovra di bilancio 2017, in vista di una possibile correzione che dovrebbe essere chiamata a marzo dalla Commissione.
_il ministro allo sviluppo economico Carlo Calenda (Pd) ha occupato già lo stesso ministero nel governo Renzi. Nominato per tale ruolo lo scorso maggio dopo le dimissioni di Federica Guidi. Calenda, nei precedenti quattro mesi aveva ricoperta il ruolo di Rappresentante permanente d’Italia presso la Ue. Nel 2013 era stato nominato vice-ministro proprio al Mise con il governo Letta con la delega per le politiche di internazionalizzazione. Calenda è stato direttore dell’Area Strategica Affari internazionali di Confindustria e ha avuto incarichi sky Italia, Ferrari e Interporto Campano. Tra le sue priorità che dovrà affrontare nei prossimi mesi, spicca l’implementazione del piano Industria 4.0, soprattutto con la creazione di centri di competenza pubblico-privati. Calenda continuerà a lavorare alla nuova strategia energetica nazionale che potrebbe essere presentata ad aprile prima del prossimo G7 energia. Vanno poi completati la riforma delle agevolazioni per gli energivori e vanno resi operativi i riassetti del Fondo di garanzia Pmi e dei contratti di sviluppo.
_il ministro dell’interno è il sessantenne Marco Minniti (Pd) di Reggio Calabria – da sempre legato al mondo della sicurezza nazionale: sottosegretario alla Difesa, vice-ministro all’Interno e con delega all’intelligence nei governi Letta e Renzi.
I suoi obiettivi sono l’emergenza più immediata e attuale dell’immigrazione: dall’inizio dell’anno gli sbarchi sono arrivati a 175.323 record storico assoluto. Al Viminale si calcola che alla fine dell’anno potrebbero raggiungere quota 190 mila. Minniti dovrà fare i conti con l’Anci e un piano di distribuzione dei migranti in tutti i centri urbani. Oggi solo 2800 comuni accolgono immigrati – finora fermo per le proteste della maggioranza dei sindaci italiani. Ma al ministero dell’interno si giocherà anche la questione più importante e più strategica dello stesso governo Gentiloni: la riforma elettorale. Proprio negli uffici dell’Interno sono possibili verifiche e simulazioni di un nuovo modello. E’ lo sbocco decisivo per la prossima legislatura.
_Arriviamo al Ministero degli Esteri: Angelino Alfano (Ncd) è stato ministro dell’Interno dei Governi Letta-Renzi. Dal 2008 al 2011 è stato ministro della giustizia del governo Berlusconi. A Novembre 2013 è stato promotore della scissione dal Pdl e del lancio di Ncd di cui viene eletto presidente il 13 aprile 2014.
Da Gennaio il nostro Paese presiederà il G7 con tutte le riunioni preparatorie che culmineranno con il vertice dei capi di Stato e di Governo di Taormina il 26 e 27 maggio. Da Gennaio l’Italia siederà anche nel consiglio di sicurezza dell’ONU (per un anno) e a novembre avrà la presidenza di turno del consiglio.
Sempre con il nuovo anno, l’Italia farà parte della trojka dell’Osce e presiederà il gruppo di contatto per il Mediterraneo con responsabilità sul “Processo sui Balcani Occidentali” nel vertice di capi di stato e di Governo di quei paesi tra Giugno e Luglio in Italia. Il 25 marzo a Roma è invece fissato il Consiglio europeo per le celebrazioni della firma dei Trattati istitutivi della comunità europea.
_Il Sottosegretario alla Presidenza Maria Elena Boschi (Pd) è stata eletta deputata nel 2013 e nel dicembre dello stesso anno entra come responsabile delle riforme istituzionali. L’anno successivo, dopo la caduta del governo Letta, viene nominato ministro per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento. In questo ruolo ha coordinato direttamente la definizione dell’Italicum e del disegno di legge di riforma costituzionale.
Nella sua nuova veste di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la funzione di segretario del consiglio dei ministri dovrà curare la verbalizzazione e la conservazione del registro delle deliberazioni del Cdm, secondo la lettera della legge 400 sulla presidenza del Consiglio. In realtà il suo ruolo sarà più ampio e politico: dovrebbe garantire uno snodo cruciale di mediazione e coordinamento sui principali dossier che saranno gestiti direttamente da Palazzo Chigi. Tra le priorità anche quello di definire il ruolo e le delghe da affidare ad altri sottosegretari alla Presidenza del Consiglio.
_Alla Giustizia Andrea Orlando (Pd) parlamentare dal 2006. E’ al terzo mandato ministeriale in questa legislatura: prima all’ambiente con Letta, poi alla Giustizia con Renzi e ora con Gentiloni. Esponente di spicco della corrente interna “Giovani Turchi” è considerato un possibile candidato alla segreteria.
Tra i dossier aperti, c’è soprattutto la riforma della giustizia penale, una delle più qualificanti per il governo Renzi: 40 articoli (molti di delega) sui temi scottanti come prescrizione, intercettazioni, carcere, bloccati al senato per volontà di Renzi, contrario ad andare al voto (anche di fiducia) prima del Referendum su un provvedimento che divide la maggioranza e il Pd, malgrado le pressioni di Orlando. Ancora alle prime battute la riforma del Processo Civile. Da sciogliere, poi, il nodo assunzione dei cancellieri (gli emendamenti alla Bilancio sono stati fermati) e proroga delle pensioni dei magistrati: l’Anm ha sospeso la proclamazione dello sciopero in attesa di interventi del governo promessi a Renzi.
_Roberta Pinotti (Pd) è confermata al Ministero della Difesa. Il modello di difesa è in evoluzione, ma ci sono criticità contingenti: come l’impiego dei 7mila militari dell’Esercito nell’operazione “Strade Sicure”, dislocati in funzione di controllo del territorio e anti-terrorismo. Il ministro Pinotti, poi, deve seguire con il dicastero degli Esteri il dossier Libia, dove il governo Serraj stenta a decollare. In attività nel Mediterraneo davanti alle coste libiche ci sono le unità della Marina militare, un gruppo ristretto di militari sul campo, un lavoro d’osservazione d’intesa con l’Aise (agenzia informazioni e sicurezza esterna). Corposo poi il capitolo nomine: oltre al capo di gabinetto da designare, entro febbraio 2017 scadono il capo di Smd, Claudio Graziano, il numero uno dell’Estero Danilo Errico e il comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette.
_Altra conferma quella delle infrastrutture: Graziano Delrio (pd) ricopre il ruolo dal 2 aprile del 2015. Subito prima aveva ricoperto la carica di sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri. E’ stato anche ministro per gli affari regionali del Governo Letta, sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci.
In cima alla lista delle priorità c’è il trasporto pubblico locale. Lo ha detto chiaramente la legge di Bilancio, che ha gettato le basi per un maxi piano di rinnovo del parco autobus in tutta Italia. Contemporaneamente iniziaerà anche la fase operativa del programma di messa in sicurezza delle ferrovie regionali. Entro aprile 2017 andranno chiusi – anche – due provvedimento strategici. Il primo è il decreto correttivo del codice appalti. Il secondo è il Documento pluriennale di pianificazione delle infrastrutture che indicherà le priorità nazionali. Dal Mit dipendono anche l’attuazione del sisma-bonus e il nuovo glossario unico che semplificherà i titoli edilizi per gli interventi privati.
_Il Ministero del lavoro ha avuto un’altra conferma: Giuliano Gentiloni. Proviene dal mondo della cooperazione e sotto il governo Renzi ha varato il Jobs act, mentre nella legge di Bilancio 2017 ha introdotto risorse per la lotta alla povertà e messo a punto un pacchetto di misure per anticipare la pensione. Ora dovrà completare le riforme lavoristiche: a partire dalla riduzione strutturale del cuneo sui rapporti stabili, annunciata più volte nei mesi scorsi, come prosecuzione naturale degli annunciati sgravi contributivi. Bisogna poi far decollare il nuovo sistema di politiche attive, ora in capo all’Anpal; e attuare – con provvedimenti amministrativi – il pacchetto previdenziale contenuto in manovra, dall’Ape agli usuranti. Resta poi da affrontare il nodo crisi aziendali considerato che a fine anno usciranno di scena due ammortizzatori sociali: la mobilità e la cassa integrazione in deroga.
_Veniamo ora a Beatrice Lorenzin, ministro della salute (Ncd) al suo terzo mandato nello stesso ministero. Dal governo Letta in quota Forza Italia, a quello Renzi e adesso come rappresentante di Ncd.
Numerosi i dossier aperti che Lorenzin si ritrova sul tavolo. A partire dai nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), una partita da 800 mln l’anno vincolati dal Fondo sanitario: si attende il parere delle Commissioni Sanità di Camera e Senato, ma toccherà al consiglio dei Ministri l’assenso finale anche se l’applicazione verrà conclusa nel 2017. Altro nodo è il rinnovo dei contratti per medici e tutto il personale del Ssn, ma anche delle convenzioni per medici di famiglia e farmacie. C’è poi l’applicazione della manovra 2017 alla voce farmaci, in particolare per quelli oncologici e innovativi e per i vaccini. Sul fronte parlamentare spicca la legge sul rischio clinico per gli operatori sanitari, problema sempre più urgente sia per i medici che per gli ospedali: il Ddl è al Senato, ma dovrà tornare in terza lettura alla Camera.
_Altro ministero che ha ricevuto conferma è il Ministro dei beni Culturali e Turismo Dario Franceschini (Pd). E’ stato ministro per i rapporti con il parlamento nel Governo Letta, Sottosegrtario alla Presidenza – con deleghe alle riforme – nel scondo Governo D’Alema. Proviene dalla Dc ed è stato tra i fondatori della Margherita. Franceschini ha avviato un profondo riassetto del ministero, sia a livello centrale sia in periferia: rivisto numero e accorpamento delle direzioni centrali, conseguenza della riorganizzazione delle soprintendenze – elemento che fu molto criticato per gli addetti ai lavori.
Sono stati creati 20 super-musei con direttori scelti attraverso un bando internazionale a cui se ne sono aggiunti altri dieci. Obiettivo principale è mandare a regime la riforma che deve vedere anche completato il reclutamento straordinario di 500 tecnici. Ci sono poi da fare tutti i decreti attuativi della legge sul cinema, in vigore da dicembre 2016. Sul versante turismo, dopo la riorganizzazione di Enit, è atteso il varo definitivo del piano strategico.
_Proseguendo con l’analisi Valeria Fedeli (Pd) è il nuovo Ministro dell’Istruzione, unico ministero ad aver avuto una vera e propria bocciatura in difformità con lo scorso governo (l’uscente Stefania Giannini).
Valeria fedeli nasce a Treviglio nel bergamasco il 29-07-1949 con diploma tramutato in laurea in Scienza Sociali dall’Unsas. Scende in politica dopo una lunga esperienza di oltre trent’anni nella Cgil. Sul sito istituzionale del Pd si definisce “femminista, riformista, di sinistra”.
Tra i dossier più urgenti c’è l’attuazione della riforma della Buona Scuola che è stata una spina nel fianco dell’ex premier Renzi. Resta innanzitutto da capire cosa succederà alle nuove deleghe attuative della riforma, finora rimaste sulla carta. Va poi decisa la sorte del concorsone presidi: doveva arrivare a fine anno, ma ora si è tutto fermato. Con il rischio di trovarsi a settembre il solito boom di istituti retti a reggenza. Tra le prime priorità per l’università c’è l’attuazione delle misure previste dalla manovra: dalle super-borse di studio, alla no tax area per gli studenti più indigenti fino a 270 milioni per i migliori dipartimenti universitari. Da capire anche il destino del decreto sulle cattedre Natta contestato dal mondo accademico.
_Alle Politiche agricole il Ministero è stato affidato nuovamente a Maurizio Martina (Pd). Diplomato all’istituto tecnico agrario di Bergamo e laureato in scienze politiche, il 22 febbraio 2014 è stato nominato nel governo Renzi ministro delle Politiche agricole, con delega all’Expo. Con il precedente esecutivo Letta era sottosegretario nello stesso ministero. E’ a capo dell’area Pd “sinistra e cambiamento”.
Ha ottenuto con le ultime due manovre consistenti sgravi fiscali per gli agricoltori (1,3 miliardi) e agevolazioni (anche previdenziali) per i giovani. In agenda la priorità è innanzi tutto il negoziato che si apre a Gennaio per la riforma della Politica agricola comune, partita strategica per l’Italia che incassa ogni anno 4 miliardi di aiuti diretti all’Ue. Sul fronte interno dovrà completare la ristrutturazione degli enti vigilati, con la Riforma dell’Agea. Resta aperta anche la questione dell’etichettatura super trasparente dei prodotti alimentari. Dopo il latte, ora viene la pasta. Tra le sfide anche nuovi strumenti per favorire l’aggregazione delle filiere e il rilancio della ricerca.
_Gian Luca Galletti (Udc) è stato riconfermato all’Ambiente. E’ stato sottosegretario al ministero dell’Istruzione del governo Letta tra maggio 2013 e febbraio 2014, subito prima di entrare nell’esecutivo Renzi. La prima sfida arriva dall’emergenza smog: l’anno scorso Galletti ha dato vita al tavolo sulla qualità dell’aria. Ora che le polveri sottili tornano a salire, si attendono i primi risultati. Nel giro di qualche settimana dovrà firmare anche il parere sul nuovo piano ambientale dell’Ilva di Taranto. Le prossime settimane saranno, poi, decisive per l’attuazione di un pacchetto di interventi sul rischio idrogeologico: soprattutto è al traguardo un prestito Bei da 800 milioni. Ancora bisognerà lavorare sulla gestione delle acque reflue. Dopo la maxi multa chiesta da Bruxelles, andranno sbloccati i fondi fermi. Infine, c’è la partita del Dpr sulla gestione delle terre da scavo: approvato in estate, è atteso ancora in Gazzetta Ufficiale.
_Nel ministero degli Affari regionali si è operato ancora verso una riconferma: Enrico Costa (Ncd) ricopre il ruolo già da 11 mesi e mezzo, dopo essere stato sottosegretario e vice-ministro alla Giustizia.
Avamposto dei rapporti con le autonomie, il ministero (senza portafoglio) per gli Affari regionali gestisce per conto del Governo i diversi dossier da trattare con Regioni e Comuni. Partita che vede nelle conferenze la sede decisionale. L’agenda è ricca di temi caldi: il trasporto pubblico locale e la sanità, capitoli cruciali per le finanze locali. Dopo il jobs-act si sono lasciate irrisolte diverse questioni come i centri per l’impiego e il finanziamento per gli ammortizzatori. Capitolo attualissimo è quello dell’azione di rivalsa verso le autonomie in conseguenza delle multe da parte della Ue, in primis le sanzioni per le discariche abusive. Senza dimenticarci le concessioni demaniali e i nuovi limiti di distanza per l’installazione di macchinette per le scommesse.
_Il Ministero dei Rapporti con il Parlamento vede – di contro – una nuova figura. Anna Finocchiaro (Pd) è stata ministro per le Pari Opportunità durante il Governo Prodi I ed era attualmente presidente della Commissione Affari costituzionali al Senato. La lotta alla corruzione nel settore privato, lo scambio autonomatico e obbligatorio di informazioni fiscali, insieme alla gestione dei diritti d’autore sono tra le deleghe attuative della legge di delegazione Ue che sono in scadenza questa settimana. Senza il decreto inviato alle Camere il 16 il Governo non potrà dare attuazione alle tre distinte direttive con inevitabile richiamo della Commissione Ue. Entro la fine della settimana, poi, ci sarà da portare a termine anche il decreto sul terremoto all’esame definitivo della camera e in scadenza sabato 17 dicembre. Nelle stesse ore il nuovo ministro per i rapporti dovrà coordinare il lavoro di messa a punto del decreto di fine, più noto come il “milleproroghe”. Sempre entro la fine dell’anno andranno recepite anche le condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nei trasferimenti intra societari.
_Ancora un nuovo ministro per la Coesione Territoriale e Mezzogiorno, che vede nella figura di Claudio De Vincenti (Pd) l’individuo prescelto. Nel Governo Renzi ha curato dossier caldi come quello delle crisi aziendali e dei patti territoriali. Sottosegretario allo Sviluppo Economico prima, e poi vice-ministro – dal 10 aprile 2015 – è stato sottosegretario alla Presidenza. Dal novembre 2011 ha ricoperto la carica di Sottosegretario allo Sviluppo Economico fino al febbraio 2014. Ha svolto attività di ricerca e di insegnamento come professore ordinario di Economia Politica all’università La Sapienza di Roma.
Le sue priorità si aggirano intorno alla coesione gestionale (più che programmatica) già parzialmente analizzata da Sottosegretario. Dovrà far funzionare i Patti per il Sud, e aumentar dunque la spesa per le aree svantaggiate del Paese, Sud e non solo: progetti per infrastrutture materiali, sviluppo economico, servizi sociali, utilizzando per la prima volta l’Agenzia per la coesione. I soldi ci sono (circa 100 miliardi di euro da ora al 2023), ma vanno spesi.
_Torniamo ad una riconferma per il Ministero della Pubblica Amministrazione e Semplificazione. Marianna Madia (Pd) ha debuttato in politica nel 2008 quando allora era sottosegretario del Pd e Walter Veltroni la scelse come candidata alla Camera. Laureata in Scienze Politiche alla Sapienza di Roma e specializzata in economia del lavoro all’Istituto di Studi avanzati di Lucca, è entrata nella segreteria nazionale del Partito democratico nel 2013 e l’anno successivo ha debuttato al governo come ministro per la PA e la Semplificazione nel governo Renzi.
Due impegni principali: i correttivi ai decreti attuativi della riforma della Pa, a cui ha legato il suo nome, su partecipate, assenteisti e dirigenti sanitari, e la prosecuzione nel cammino dei decreti con le nuove regole per il pubblico impiego. Da questo passaggio – chiamato a riscrivere le norme sul rapporto di lavoro - contrattazione integrativa e licenziamenti per giusta causa, dipende la possibilità di tradurre in pratica gli impegni dell’intesa del 30 novembre fra Governo e sindacati in vista del rinnovo dei contratti pubblici.
_ per concludere – altra nuova nomina – Luca Lotti (Pd) al Ministero dello Sport. Toscano, classe 1982 è considerato tra i fedelissimi dell’ex premier Matteo Renzi. Lotti ha seguito molti dei dossier delicati del Governo Renzi. E’ stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’editoria e segretario del Comitato interministeriale per la programmazione economica. Due deleghe pesanti che mantiene. Tra le priorità del ministero dello Sport la prosecuzione del Piano avviato dal Governo Renzi con il Coni per il risanamento degli impianti sportivi nelle periferie italiane e seguito direttamente da Luca Lotti. La definizione delle garanzie del Governo per la Ryder Cup che sarà ospitata a Roma nel 2022. L’Italia si è infatti aggiudicata la prestigiosa competizione internazionale di golf. Tra gli altri dossier anche quello sui mondiali di sci che sono stati assegnati a Cortina per il 2021.
 
Mai in questa storia repubblicana, la cittadinanza è stata bombardata mediaticamente sulla scelta politica da compiere nell'appena concluso referendum. Mai. E' stata una violenza inaudita, una vergogna. La politica è una cosa estremamente seria, è assolutamente necessaria - nello stesso tempo - ed è una cosa molto dura da sopportare, poichè non ammette "anime belle".
Politica è anche sempre conflitto e competizione per il potere. Nella lotta per il potere - come scrisse Machiavelli nel principe - c'è il virtuosismo: prima considerazione realistica da porre in atto. La seconda è la virtus (virtù): cioè avere il potere per realizzare alcuni obiettivi, per realizzare alcuni fini. Non si deve avere il potere per il potere. Si deve avere il potere per fare. Questa la virtus del realismo politico che ritroviamo in Machiavelli.
Il politico è valutato per il fine che persegue. Quali sono i fini da realizzare politicamente oggi? Per un lungo periodo questo paese non è riuscito a porre mano a quelle necessarie riforme atte a compiere lo sforzo di far tornare il nostro paese, un protagonista della vita politico-economico-culturale della nostra epoca contemporanea.
Machiavelli sullo Stato asseriva come la mancanza del "riformarsi" e del "non riuscire a mutare le proprie costituzioni" porta questo alla decadenza. Gli esseri forti sono quelli capaci di "essere in relazione con l'altro da sè" non di isolarsi, non di resistere, non di conservarsi, ma di trasformarsi.
[caption id="attachment_7194" align="aligncenter" width="1000"] Niccolò di Bernardo dei Machiavelli ( 1469 – 1527) è stato uno storico, filosofo, scrittore, politico e drammaturgo italiano.[/caption]
Il nostro paese è da più di una generazione che non si trasforma, che chiacchiera di trasformazione, che polemizza su idee di trasformazione, ma sostanzialmente non si trasforma sui suoi elementi fondamentali. E' un paese che è rimasto stretto nel corso della sua ultima generazione tra una ideologia ormai sotterrata dalla crisi del 2007/2008, sepolta ovunque. Una ideologia liberista male interpretata (intesa come general generica deregulation) e sovrastata da una crisi economica di portata globale che ancora oggi stiamo vivendo con buona pace di chi afferma il contrario.
Di fronte a questa pseudo-innovazione - questa mal digerita ideologia liberista - sostanzialmente si finiva con l'esprimersi in una sorta di insofferenza per ogni regola, per ogni controllo ed è una delle cause della crisi globale non soltanto nel nostro paese.
Questa economia si è sposata anche con un carattere demagogico populistico variamente intesa da alcuni partiti del Nord Italia, nati federalisti e regionali e oggi "garanti della nazione italiana". Dunque nel nostro paese a questa tendenza mai morta e sepolta, si è contrapposta una tendenza sostanzialmente conservatrice.
Di fronte al liberismo della deregulation (che non ha niente da vedere con il liberalismo, che invece è una tendenza culturale-politica che vuole il controllo del mercato e del capitale-finanziario) si è posta la conservazione, anche perchè la metodologia di cambiare costituzione si presenta raffazzonata, non coerente, non presenta nulla di sistemico. Un movimento di conservazione anche legittimo e motivato, ma bloccante. Nel nostro paese c'è bisogno di riforme, eccome! Riforme costituzionali in senso federalistico, di come vada inteso il federalismo soprattutto nel mezzogiorno, soprattutto per il mezzogiorno. Riforma del sistema del Walfare previdenziale, riforme necessarie, inevitabili se vogliamo affrontare la questione di questo paese che è la questione dei giovani e dei non-nati, che stiamo già compromettendo. Bisognava rifondare le politiche industriali, attraverso opportuni sostegni mirati, con strategie industriali, perché se è vero che lo Stato non deve essere capitalista, questo deve avere funzioni immense in tutto il mondo per orientare le scelte di investimento. Questa è la realtà ed è inutile giraci intorno.
Non esiste il popolo “bello, buono e sano” e i politici tutti “cattivi”, vi è sempre una complicità tra governanti e governati. Non c’è mai la purezza e la bontà e dall’altra la cattiveria: sono solo forme complesse di intrecci più o meno virtuosi o più o meno perversi.
Altro punto del realismo politico di Machiavelli, quando ragionava sugli antichi romani - sopra la prima Deca di Tito Livio - esso ci insegnava a ragionare sull'intreccio tra forme di governo, rappresentanze politiche e i rappresentati.
Io credo che la responsabilità - di questo paese - anzitutto debba iniziare suoi ceti dirigenti, non soltanto dei ceti politici, ma anche su quelli "che dirigono" le strutture del paese: i professori universitari, ad esempio, non hanno fatto nulla che non fosse corporativismo, molti di loro insegnano benissimo - senza dubbio - ma le loro politiche sono state tutte improntate nella stragrande maggioranza a logiche di tipo corporativo.
Gli industriali hanno mantenuto in tutti questi venticinque anni, la tendenza tipica dell’industrialismo italiano: essere assicurati e chiedere favori al politico, invece di contrattare seriamente sulla base di strategie industriali condivise, giusto comportamento da tenere. L’industriale che si basa sul rapporto mercato/stato (che porta strategia, idee, danaro) è un imprenditore intelligente che guarda al futuro con rinnovato vigore. Alle volte questa ultima strategia è stata adottata, ma non in maniera sufficiente per mutare gli indirizzi fondamentali di questo paese.
L’assuefazione ha raggiunto anche molte organizzazioni: ordini professionali che non hanno saputo assolutamente riformarsi a partire dalla stessa confindustria e sindacati. Non solo - dunque - non vi è stata una riforma politica, ma soprattutto non è avvenuta una riforma sociale e si è giunti al limite estremo: o tutto ciò viene affrontato, oppure l’Italia non riuscirà a superare questa crisi globale.
I paesi occidentali hanno una chance di essere per il futuro protagonisti dello sviluppo economico e quindi sociale/culturale a livello globale: investire sul capitale umano, sostenere imprese innovative e operare nel settore della ricerca e sviluppo.
In una situazione economica di crisi che non permette né di aumentare le tasse, né stampare moneta, come possiamo garantire innovazione, ricerca, sviluppo, formazione di capitale umano?
Il blocco dei salari dei dipendenti subordinati pubblici e privati e le prospettive cupe dei giovani all’interno dei nuclei famigliari ci presentano la prospettiva di un impoverimento del ceto medio e questo è deleterio per le democrazie, le quali si reggono con un ceto medio che ha delle prospettive sociali alte.
Quando manca la prospettiva di mobilità sociale, per il ceto medio, le democrazie cessano di funzionare e si entra in una fase di carattere demagogico e populista di carattere meramente sociale. Si arriverà allora al “ci penso io” al “fidati di me”, è fisiologico.
La politica diventa “promessa assicurante”. Cattura del consenso attraverso rassicuranti promesse, cessa di essere "costituente" (in cui le forze politiche responsabili, trovano accordo su alcuni fondamentali). Dunque il vero obiettivo dovrebbe essere, l'unità del paese, il futuro della nazione con lavoro per le nuove generazioni: ma non un lavoro qualsiasi! Non un lavoro schiavistico, precario - che gli ultimi governi stanno cercando di attuare - (garanzia giovani ecc..), non come i free-lance del committente, ma un lavoro autonomo, responsabile, certo e con alcune sicurezze di base previdenziale. Nessuno può lavorare, per quanto vi sia mobilità, senza sapere se a sessanta anni o settanta, alla soglia della pensione, potrà vivere o morire sotto un ponte. Si può ammettere la mobilità, ma non si può accettare la frase: "chi sa, se avrò la pensione?” Se non si fa ciò, di fronte a questa crisi sarà impossibile uscire.
 
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a cura di Manuel Scortichini
 

Il conte Lev Nikolaevic Tolstoj nasce a Jasnaja Poljana nel 1828, all'interno della personale tenuta di campagna di famiglia. Diviene fin dalla giovane età orfano di madre, insieme ai fratelli e alla sorella e la campagna russa plasmerà la sua infanzia. A quindici anni esplora le letture di Voltaire e Rousseau. Jean-Jacques Rousseau eserciterà sul giovane Tolstoj una prolungata influenza, fino a fargli indossare al collo il medaglione del filosofo ginevrino. Nel periodo della giovinezza - intorno al 1847 -, dopo una bocciatura alla facoltà di lingue orientali e una svogliata frequentazione della facoltà di diritto, lascia l'università e si stabilisce a Jasnaja Poljana con l'intento di rendersi utile ai servi della gleba. Corre il 1851: dopo quattro anni di tormenti e interrogativi sul senso della vita e insoddisfatto dell'esperienza famigliare parte per il Caucaso come sotto-tenente d'artiglieria e ben presto prenderà realmente inizio la sua attività letteraria. Il Caucaso è all'epoca luogo di formazione e d'ispirazione per numerosi scrittori russi tra cui Lermontov alla cui prosa si avvicinano gli scritti di gioventù di Tolstoj, principalmente per le scene di guerra. L'annessione del Daghestan e della Cecenia all'Impero russo zarista generano un conflitto con la popolazione locale, evento che l'autore descriverà nella novella "I Cosacchi". A Sebastopoli durante la guerra di Crimea - in veste di comandante di divisione -, si trova in uno dei più pericolosi posti della città assediata, singolare scenario da cui trae spunto un ciclo di racconti intitolato "Racconti di Sebastopoli" che analizza nuovamente il tema della guerra. La tecnica di raccontare le scene di battaglia tramite la descrizione caratteriale dei personaggi e di sottoporre questi all'interno del conflitto, renderà i suoi scritti unici dove la moralità entra sulla scena letteraria con piena forza.

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21-22 ottobre 2016 - Libreria Rinascita (Piazza Roma n°7 - 63100 Ascoli Piceno)
Introduce: Giuseppe Baiocchi 
Modera: Primo De Vecchis
Intervengono: María Belén Pérez Chada, Dolores Pérez Demaria
Si esibisce: Luigi Travaglini e Luigi Sabbatini
 

Il cortile della frontiera è un seminario interculturale diviso in due sezioni, tenuto da María Belén Pérez Chada, artista e architetto, e Dolores Pérez Demaria, drammaturga e laureanda in Storia. Si tratta di due giovani artiste argentine, che hanno unito le proprie competenze per portare avanti orizzonti di ricerca comune. Attualmente sono concentrate attorno all'indagine urbano-drammaturgica, un tentativo di far emergere esperienze urbane narrative. Il tema del seminario, pur partendo quindi dal preciso contesto argentino, si dirama verso storie a noi vicine, ma spesso dimenticate. Stiamo parlando della grande emigrazione italiana all'estero, un fenomeno vastissimo e articolato, che interessò l'Argentina in varie ondate, dal 1880 circa fino almeno al 1960. Questa storia collettiva complessa e in parte caotica, vissuta da tante famiglie e individui, caduti nell'oblio, viene inquadrata grazie all'analisi perspicace e rapida di una spazialità architettonica ancora presente e visitabile nel contesto della metropoli di Buenos Aires. Si tratta dei conventillos, edifici una volta signorili, situati nella zona vicino al porto (si pensi alla Boca) trasformati poi in abitazioni per immigrati. Lo schema classico del conventillo prevedeva una forma a parallelepipedo, pianoterra e primo piano, con un cortile interno in cui, in comune, trovavano posto i servizi essenziali. Proprio questi umili cortili, animati dai migranti provenienti dall'Italia e dal resto d'Europa, divengono i protagonisti del seminario, che spiega con dovizia di particolari come da quella cultura popolare (frutto di una forte mescolanza anche linguistica) siano nati il tango e altri fenomeni assimilati dalla cultura colta: si pensi alla drammaturgia, ma anche a una certa letteratura "neorealista" in voga negli anni Venti e Trenta del Novecento. Quindi dallo spazio architettonico si passa all'esperienza teatrale di Alberto Vacarezza, autore di tanghi e farse teatrali popolari. Successivamente viene anche affrontato un autore di grande spessore, attualmente rivalutato anche in Italia (dove è stato ristampato e tradotto di recente) ovvero Roberto Arlt, scrittore per certi versi opposto e speculare a Jorge Luis Borges. Roberto Arlt, cronista e romanziere, è stato infatti un grande narratore urbano e ha descritto con sagace perspicacia la vita quotidiana della città negli anni Trenta. Non era l'unico: proveniva da un gruppo chiamato di Boedo, che rivalutava autori russi come Dostoevskij e che si nutriva di idee anarchiche e socialiste (importate non a caso dai migranti). L'osservazione della vita brulicante della città non si può quindi scindere dalla critica sociale, che mette in luce le disuguaglianze e la miseria, ma anche la "disperata vitalità" (per citare Pasolini) del sottoproletariato urbano e persino della piccola-borghesia urbana, resa più povera e cattiva dalla crisi economica del 1929. Nel seminario ad ampio raggio, che vuole fornire una serie di spunti da approfondire, si affrontano anche temi più astratti come il conflitto in atto tra globalizzazione culturale e identità nazionali, meticciato e autonomia delle culture. Come si vede si tratta di temi cocenti nell'attuale contesto italiano ed europeo, che affronta problematiche legate alla sempre crescente crisi dell'unione economica e monetaria europea, la quale si accompagna alla crisi umanitaria dei nuovi flussi migratori, che generano reazioni di stampo populista e identitario. Tuttavia i temi affrontati non evadono dal circuito comparatistico di storia-architettura-arte. Il seminario si terrà in spagnolo. Sarà chiamato a moderare e a tradurre i testi Primo De Vecchis, dottore di ricerca in Letterature comparate e studioso di Roberto Arlt.

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23 settembre 2016 - Corso Mazzini 90, "Biblioteca Comunale Gabrielli" Ascoli Piceno
Introduce: Giuseppe Baiocchi - Alessandro Poli
Intervengono: Danilo Serra, Adelmo Tancredi, Raffaele Mennella
Si esibisce: L'ensemble di chitarre della associazione Chitarristica Picena
 

Il progetto annuale “Costruire Abitare Pensare” vuole esaminare la crisi contemporanea dell’abitare sia in termini teorici generali, ossia ricorrendo alle spiegazioni, alle categorie ermeneutiche e alla presenza dei maggiori pensatori contemporanei, sia focalizzandosi sulla condizione specifica riscontrabile ad Ascoli Piceno, entro un confronto tra patrimonio storico-architettonico cittadino, organizzazione e sviluppo urbano attuale e rispondenza alle esigenze dell’abitare contemporaneo. Tramite la realizzazione d’iniziative dal basso impatto economico (mostre, estemporanee d’arte, convegni, presentazioni di volumi, retrospettive cinematografiche, sonorizzazioni urbane) volte all’analisi delle cause e delle conseguenze che la crisi dell’abitare contemporaneo porta con sé, l’obiettivo di tale progetto culturale è quello di incentivare lo sviluppo del capitale umano riconoscendo il valore incondizionato della persona e il senso della sua crescita, quello di esercitare una funzione “segnaletica” anticipatrice dei problemi, nonché generare valori d’uso culturali, ricadute qualitative in grado di favorire la collaborazione ed il senso di appartenenza alla comunità, incuriosire e costruire una narrazione condivisa in cui ritrovarsi, una storia, un tessuto di idee in grado di unire e far abitare realmente la città.

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Le responsabilità dell'abitare.
23 settembre 2016 - Corso Mazzini 90, "Biblioteca Comunale Gabrielli" Ascoli Piceno
Interviene: Danilo Serra

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di Giuseppe Baiocchi del 12/10/2016

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Se poniamo il quesito sul dove proviene la musica classica, dobbiamo porci alcune importanti riflessioni.
La disciplina musicale ha avuto un destino storico profondamente diverso rispetto alle altre arti. Se si parte dalla grandezza della cultura greca, la disciplina musicale - anche se ben presente - possiede scarse fonti scritte, lasciando spesso fonti extramusicali dei grandi filosofi greci. Non si riteneva che la musica fosse un'arte da tramandare alla posterità e di conseguenza questa non è stata accompagnata da una precisa coscienza storica, rendendo precluso a tale disciplina un principio di dinamico sviluppo.
La tradizione classica della civiltà musicale occidentale può iniziare partendo dalla parola greca Musichè (μουσική). Questo termine non comprendeva solo la musica, ma altre discipline umanistiche quali: la poesia, la danza e la ginnastica.
[caption id="attachment_6382" align="aligncenter" width="1000"] Alma-Tadema, Sir Lawrence (1836-1912) - Saffo e Alceo, 1881 Olio su tela 66x122 cm[/caption]
Dunque gli antichi preferiscono portare per iscritto inizialmente solo la poesia e così viene spiegata la mancanza di testi prima del III secolo a.C.
La stessa Musichè greca ha avuto forti influenze dalla civiltà mesopotamica e ne risulta (nonostante una distinta via culturale/musicale) fortemente contaminata fra le varie etnie e culture presenti. Tutti gli strumenti musicali antichi come l’arpa, la cetra, il flauto, il sistro erano tutti già sviluppati in altre aree non elleniche.
Se per le civiltà egizie, ebraiche, fenicie e babilonesi la musica era strettamente legata al rito religioso, di contro nella civiltà greca la Musichè assume un carattere più laico/ricreativo e successivamente anche educativo.
Nel periodo del VII secolo a.C. la musica sembra abbia un potere medico-religioso per acquistare successivamente una dimensione edonistica (concezione filosofica secondo cui il piacere è il bene sommo dell'uomo e il suo conseguimento il fine esclusivo della vita).
Nel tardo-citaredo (epoca che prende il nome dall’uso del poeta, il quale cantava accompagnandosi sempre con la cetra) si abbandona la pratica magico/religiosa/curativa e la musica diviene elemento per le attività ricreative.
Si forma la figura del “cantore” che si accompagna sempre con la lira, il fhorminx o il kitharis, tutti elementi di derivazione greca che si alternano spesso ad elementi musicali di tipica derivazione asiatica, come l’aulos e la syrinx.
[caption id="attachment_6383" align="aligncenter" width="1000"] da sinistra a destra: Lira, Cedra, L'aulòs e il flauto, il Flauto di Pan, Sistri, Cembalo, Tamburelli, Lira Cretese.[/caption]
Nel VI secolo in Grecia con la scuola di Pitagora detta appunto “pitagorica”, la storia del pensiero musicale ha una svolta importante. La scuola che adempiva alle funzioni di setta religiosa-filosofico-politica apre alla musica il concetto di armonia. 
Filolao dal greco antico Φιλόλαος, è stato un filosofo, astronomo e matematico greco antico. Esponente della corrente pitagorica, asseriva come i rapporti musicali esprimono nel modo più tangibile ed evidente la natura dell’armonia universale e di conseguenza i rapporti tra i suoni, esprimibili in numeri, possono essere assunti come modello di armonia universale.
Di interesse, fu parallelamente, lo studio della musica prodotta dagli astri che ruotano nel cosmo secondo leggi numeriche e proporzioni armoniche.
Lo studio matematico degli intervalli musicali, così come la divisione della scala, fa nascere proprio il concetto di armonia e di numero.
I pitagorici asserivano che “l’animo è armonia”, avvicinando la musica per la prima volta all'essere dell'uomo. La musica può contribuire a ricostruire “l’armonia dell’anima”, turbata da qualche fattore esterno, poiché essa stessa è armonia.
Una sorta di purificazione interiore, una “catarsi” che si riallaccia fortemente alla musica e alla medicina, creando il sentimento della “musica, come medicina dell’anima”. Questa possiede così una carica etica e pedagogica che sino ad allora non era stata teorizzata.
[caption id="attachment_14366" align="aligncenter" width="1000"] Fëdor Bronnikov, Pitagorici celebrano il sorgere del sole 1869[/caption]
Il VI secolo è di grande rilievo anche per la creazione della Tragedia. Questa nasce da un antico canto orgiastico (di carattere rituale) che si riservava al Dio Dionisio e prendeva il nome di Ditirambo o Tragodia. Tragedia (τραγῳδία, trago(i)día o canto del capro che nasce, appunto, dai canti diritambici.
A grandi linee, la codificazione rituale dovette avvenire in questi termini: il coro, o meglio i due semicori (con a capo il Corifeo), celebrando le lodi del Dio, venendo ad agire intorno all'altare, (la timelè o Ara) in uno spazio semicircolare che assunse il nome di orchestra (dal greco orkeomai che significa "danzare").
La timelè conserva comunque il centro dello della rappresentazione scenica.
Aumentando progressivamente il numero dei personaggi (suddivisi in menadi, ovvero uomini con maschere da donna e da satiri, uomini mascherati da uomini-bestia)  si presenta di pari passo l'esigenza di un riparo cui l'attore possa celarsi durante i cambi d'abito. Questo luogo deputato, costituito agli inizi da un semplice siparietto, dal termine greco skené (che significa appunto tenda) assumerà la definizione teatrale di "scena" e verrà ad assumere un ruolo centralizzante nella rappresentazione teatrale, che successivamente verrà sopraelevata sfruttando, in un primo tempo, un rialzo naturale del terreno, o costruendo una pedana in legno.
Il rialzo della skené e dello spazio circostante, ancora oggi è definito col termine di proscenio. Questo assetto dello spazio scenico verrà corredato dalla presenza di due corridoi laterali aperti verso l'orchestra, che servivano per le entrate e le uscite dei semicori e che prendevano il nome di paradoi.
Trattandosi quindi di rendere partecipi migliaia di spettatori che dovevano, non solo vedere, ma anche ascoltare, il problema poteva essere risolto solo con una sopraelevazione del pubblico stesso. Da questa semplice considerazione nasce la struttura plateale ad anfiteatro chiamato oggi "teatro greco".
Il teatro greco si è sviluppato in forma compiuta solo dopo l'età periclea. Gli elementi suoi caratteristici sono la cavea, area semicircolare a gradoni, dove sedevano prima due scale laterali e infine, da una serie di scalinate radiali chiamate cunei.
[caption id="attachment_14368" align="aligncenter" width="1000"] Nella foto di destra: Odeon di Erode attico sul versante sud dell'Acropoli di Atene. Grecia 161 a.C.[/caption]
Nei primitivi teatri la cavea era formata in terra battuta (teatro di Siracusa, 470 a.C,), solo nel IV secolo a. C. viene realizzata interamente in pietra (Teatro di Epidauro, 370 a. C.). L'orchestra è la zona nella quale in origine e durante tutto il periodo classico agivano i danzatori e i coristi. Più tardi la rappresentazione si sposta in un piano sopraelevato. La sckené, in origine era un fondale di tela posto nell'orchestra, di fronte alla cavea, più tardi costruita in legno per accogliere gli attori durante il cambio dei costumi, fu posto dapprima a fianco dell'orchestra, poi costruita in muratura, fu posta di fronte alla cavea di modo che la parete sull'orchestra serviva da fondale.
Un'ultima modifica portò alla formazione del proskenion che consiste in una articolazione a forma di "U" della sckené.
Tornando alla storiografia musicale greca, non si può ignorare la scuola platonica. Il filosofo greco Platone (427-347 a.C.) darà un carattere (ethos) diverso alla musicalità.
Il filosofo condannando aspramente la musica dei teatri con il loro divertimento che porta: "l’animo umano verso la disgregazione e il caos", esalta l’ethos della musica che invece, appartiene alla tradizione. Nella, ormai prossima, rivoluzione musicale del V secolo a.C. il conservatore Platone afferma come la musica deve essere una scienza – non più dei sensi – ma della ragione.
Se questa operazione si compie e la musica si identifica con la filosofia, si può giungere sino alla massima rappresentazione filosofica in forma di sophia (sapienza).
Dunque “filosofare” – se si prende ad esempio il Fedro con il suo mito delle Cicale – significa rendere onore alla musica e la sua appropriazione umana può avvenire solo quando si arriva alla sophiaConservare la tradizione, dunque, sembra essere lo scopo platonico, poiché attraverso la tradizione si tutela il suo Nomos (valore di legge).
Platone basa le sue tesi sull’invenzione del VII secolo a.C. di Terpandro poeta e musicista, il quale genera secondo una rigida legge melodica i Nomoi – termine derivante dalla legge che Platone difende fin dalla prima ora.
I Nomoi sono degli schemi melodici composti, da quanto afferma lo Pseudo-Plutarco, per la cetra e la lira: due strumenti consoni alla tradizione dorica di ethos (carattere) pacato e saggio.
Aprendo una piccola parentesi, nel III secolo a.C. lo pseudo-Plutarco (per pseudo-Plutarco si intende una fonte attribuita a Plutarco, poi smentita) nel suo trattato del “De Musica” aggiungeva come la musica poteva anche essere fondamento dell'educazione aristocratica, aprendo la via per una musicalità non solo ricreativa, ma etico/conoscitiva.
Alla scuola Pitagorica-Platonica si affianca anche il commediografo Aristofane del III secolo a.C., ma è chiaro che siamo in piena lotta accademica per quanto concerne la cultura di riferimento musicale. Si deve a Platone la rottura tra una musica puramente pensata e perciò più apparentata alla matematica in quanto scienza armonica filosofica e dall’altra parte una musica realmente udita ed eseguita. La corrente platonica sarà legata all’etica musicale, ma con un’accentuazione più spiccatamente mistica e religiosa avvicinandosi per certi aspetti alla nuova cultura del neoplatonismo cristiano.
Allievo di Platone, Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.) ritiene la musica uno strumento sociale ed educativo prendendo una posizione intermediaria tra le due correnti che si venivano formando e stabilizzando. Per Aristotele la musica ha come fine il piacere e come tale rappresenta l’ozio, cioè qualcosa che si oppone al lavoro e alla attività – da comprendere come il concetto di “ozio” non aveva i connotati negativi che possiede oggi, essendo considerato il modo più appropriato di passare il tempo per l’uomo libero e non schiavo. Dunque la musica veniva definita dal filosofo greco come “attività nobile e liberale”. Attività non manuale, quindi degna di un uomo libero.
Aristotele, rimane però nella storia musicale per alcune operazioni di grande rilievo. Innanzi tutto definisce meglio l’ethos suddividendo con precisione le categorie che rispecchiano i vari caratteri musicali:
_la dorica, equivale ad una armonia di carattere composto e moderato
_la frigia, di carattere melodico entusiasmante
_la misolidia, melodia caratteriale che induce al dolore e raccoglimento
_la lidia, equivale ad un carattere melodico di voluttuosità
Unisce la musica ancor più al sentimento umano, inserisce nella tragedia tre unità fondamentali per l’inquadramento teatrale:
_luogo: unico con la non ammissione del cambio/scena
_tempo: l’esistenza di un unico arco temporale
_azione: l’esistenza di un unico fatto
In conclusione Aristotele intendeva la pratica musicale come un arte nobile solo quando si fermava alla soglia del virtuosismo che porta fatiche eccessive, non degne di un uomo libero.
Nel IV secolo si sviluppa anche la notazione. La prima scrittura musicale greca aveva inizialmente solo una funzione privata per i musicisti e si suddivideva in vocale e strumentale. La prima impiegava i segni dell'alfabeto greco maiuscolo, la seconda segni derivati dall'alfabeto fenicio usati diritti, inclinati o capovolti.
Alla scuola pitagorico/platonica si oppone quella definita peripatetica, letteralmente di coloro che passeggiano ragionando e filosofando. Questa corrente accademica opposta, capitanata da Aristosseno (allievo di Aristotele), vedrà protagonisti molti commediografi e filosofi tra cui Democrito, Euripide (spaziamo intorno al IV e III secolo a.C.) e successivamente i suoi allievi Teofrasto e Cleonide (II e I secolo a.C.).
Euripide fu tra i tragediografi il più fervente sostenitore di questa riforma: trasfigura la tragedia da rito solenne civile-religioso a spettacolo. Inoltre ridimensiona fortemente il ruolo del Coro per far conquistare spazi di grande autonomia alla musica slegandosi dalla rigorosa corrispondenza tra sillaba e nota musicale. Introduce gli intervalli anarmonici (quarti di tono) e cromatici spezzando la concezione rigidamente razionale della musica e dando al musicista la libertà di variare l’armonia per tutta la durata della composizione rendendo il melodizzare più flessibile.
In pieno ellenismo nasce la figura del musicologo, il quale si occupa di musica non più all’interno di un percorso filosofico e pedagogico, ma specialista.
Si presta attenzione alla percezione uditiva e si osservano gli aspetti pratici dell’esperienza musicale.
Con Aristosseno si apre la strada verso una considerazione estetica della musica, che viene intesa oltre il suo carattere etico. Si definisce definitivamente il concetto di armonia: l’organizzazione ordinata di suoni denominati teleion (perfetto) i quali avevano per base l’estensione della voce umana e degli strumenti. Il teleion sostituisce i nomoi. Questo ingegnoso sistema consisteva in una serie di quattordici suoni disposti in successione discendente, con l’aggiunta al “grave” di un suono supplementare. L’Organizzazione delle ottave era suddivisa in frazioni di quattro suoni o “tetracordi” (quattro note insieme).
Oltrepassando la grecità ed arrivando nella penisola italiana, dobbiamo agli etruschi l'invenzione di alcuni strumenti a fiato (archetipi della tromba) come la Tuba, il Cornu e la Bucina. Anche gli Etruschi prima di essere influenzati nel III secolo a.C. dai Greci lo erano stati, sempre a livello musicale, dai popoli mediterranei di derivazione asiatica.
[caption id="attachment_6384" align="aligncenter" width="1021"] Alma-Tadema, Sir Lawrence (1836-1912) - Bacchanale, 1871[/caption]
La Repubblica romana e successivamente l'Impero ha acquisito totalmente la musicalità dai greci, essendo i romani una civiltà che si fonda sul diritto e non sulla filosofia. L'ideale classico con i suoi significati etici e pedagogici fu del tutto estraneo alla mentalità romana, che si limitò ad ereditare del mondo greco gli usi, le forme e la teoria della musicalità. I Romani prediligevano l'uso della musica sia come strumenti di raccordo-militare, sia come elementi di intrattenimento essenziali per feste e banchetti dove la predominanza di strumenti a fiato e a percussione,rispetto a quelli a corda, era evidente.
 
Per approfondimenti:
_Baroni, Fubini, Petazzi, Santi, Vinay - Storia della musica - edizioni Piccola biblioteca Einaudi
_Elvidio Surian - Manuale di storia della musica, vol.1 - edizioni Rugginenti (6°)
 
 © L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata

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09 settembre 2016 - Libreria Rinascita, ore 18.00 - Ascoli Piceno
Introduce: Piero Luciani
Intervengono: Armando Marozzi e Domenico Losurdo
 
Ripensare l’emancipazione dopo le esperienze comuniste. "L'esperienza comunista si è definitivamente chiusa con il crollo del muro di Berlino? Alla sinistra non resta che genuflettersi al capitale e parlare con la lingua del neoliberismo meglio di quanto non faccia la destra? Il più grande e il più radicale dei progetti di emancipazione dei popoli della terra è stato davvero sconfitto senza possibilità d'appello? Ad uno sguardo onesto nel "paradiso" capitalista sembra sopravvivere più di un problema. La storia, anzichè concludersi - come qualcuno avrebbe voluto - continua a officiare il sacrificio di intere popolazioni sull'altare del profitto. Da ciò sorge la legittimità, senza alcun intento apologetico o nostalgico, di elaborare un nuovo concetto di emancipazione. Parlare oggi di comunismo non deve significare un piatto ritorno ad esperienze storiche passate: occorre prendere atto che il comunismo novecentesco è morto, che le sue soluzioni particolari sono fallite, persino in modo tragico; significa invece che in esso vi era una scintilla che vale la pena salvare, non per ripetere il già stato, ma per riprogettare ciò che non si riuscì a costruire. Questa opera propone un contributo neo-hegeliano alla causa dell'emancipazione: tentativo inedito e paradossale sia di rovesciamento materialistico del comunismo di Marx (il cui pensiero è analizzato nel dettaglio - dagli scritti liceali fino a quelli etno-antropologici) sia di critica di principali concetti marxisti. Una nuova idea di emancipazione che passa attraverso una re-interpretazione del pensiero del gigante di Stoccarda".

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di Giuseppe Baiocchi del 23/08/2016

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Vorrei iniziare questo articolo rivolgendo una domanda al ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini chiedendogli se oggi sappiamo valorizzare il nostro patrimonio artistico.

L’italiano standard non si sente “cittadino” poiché dalla sua fondazione l’Italia ha un rapporto difficile con il concetto di cittadinanza. Forse per la mancanza di rivoluzioni non possediamo l’idea di una appartenenza biunivoca del territorio (noi apparteniamo al territorio e il territorio appartiene a noi). Non c’è l’idea di essere custodi, ovvero l’agire per chi verrà dopo di noi, come dicevano i nativi americani, oggi quasi del tutto annientati: “tutto questo non l’abbiamo ereditato dai nonni, ma l’abbiamo in prestito dai nipoti”.

Oggi nel nostro paese avviene la retorica “del petrolio d’Italia” inventata da Mario Pedini, ministro dei Beni Culturali divenuto noto per essere uscito sulle liste della P2. Se noi riflettiamo bene sul significato di petrolio, capiamo immediatamente che si tratta di un esempio inaccostabile con i nostri Beni Culturali. Il petrolio per dare energia deve bruciare, il petrolio è una sostanza nera che si trova sotto il terreno e che nessuno vede e soprattutto in genere nei paesi dove si cerca, sono presenti i concessionari che arricchiscono non i cittadini, ma un gruppo ristretto di persone. Tutto ciò può difatti rispecchiarsi con il patrimonio culturale in Italia. Sono, senza nasconderlo, molto critico verso l’attuale ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini.

[caption id="attachment_5690" align="aligncenter" width="1000"] Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del Turismo Dario Franceschini.[/caption] La riforma del Mibact è un cambiamento profondo che supera la contrapposizione ideologica tra tutela e valorizzazione”. Parlava così l’attuale ministro dei Beni Culturali nel 2014 dopo l’approvazione del consiglio dei ministri per il cosìdetto Art Bonus, ossia il decreto Cultura e Turismo. Vediamo di cosa si tratta.
Una riorganizzazione del sistema culturale italiano nel quale il contributo dei privati nella gestione e nella valorizzazione di siti e musei diventa di grande rilievo e per incentivare investimenti a coloro che si propongono come mecenati dell’arte il loro credito di imposta viene alleggerito fino al 65%.
Gli scopi della riforma sono molteplici, dall’ammodernamento della struttura del ministero, l’integrazione tra cultura e turismo, valorizzazione delle arti contemporanee, taglio delle figure dirigenziali e distinzione tra tutela e valorizzazione. La gestione di alcuni musei, venti dei quali (i più grandi) dotati di super Manager, vengono sottratti al controllo delle soprintendenze. Tra le altre cose quella dei musei gratis la prima domenica del mese. “Siamo riusciti a riportare l’attenzione per la cultura al centro delle scelte del governo e del dibattito del paese. L’obiettivo è quello di riavvicinare gli italiani al patrimonio culturale e questa per me è una cosa veramente di sinistra”.
Secondo il mio modesto parere Dario Franceschini si sta rivelando uno dei peggior ministri dei Beni Culturali che l’Italia ricordi, poiché nella riforma ha inserito le Soprintendenze sotto le Prefetture. Il Ministro ha dato il via allo smantellamento delle soprintendenze come le avevamo conosciute fino a ieri, attraverso l’istituzione di nuove commissioni regionali per il patrimonio culturale (art. 39 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), commissioni che di fatto scavalcano la soprintendenze in molti compiti. Più recentemente, accettando passivamente il decreto Madia del 2015, che ha alterato i rapporti tra prefetture e soprintendenze, Franceschini ha avvallato che quest’ultime fossero poste sotto il controllo delle prime, affidando così alle prefetture la direzione della tutele del patrimonio paesaggistico, erodendo ulteriormente il ruolo delle soprintendenze.
Poco tempo fa il Capo del governo Matteo Renzi ha scritto in un libro che soprintendente è la parola più brutta del vocabolario e che l’Arte deve dare solo emozione, di contro,  quando diventa storia dell’Arte è solo noia.
Questa riforma attua quel programma mettendo tutto sul piano della mercificazione e togliendo invece le armi alla tutela. Il soprintendente è una figura che non può e non deve essere sotto il controllo della prefettura, proprio perché soprintende.
La prefettura è quell’organo che decide se si fanno o non si fanno le grandi opere. Un esempio concreto: si può fare un autostrada in questa valle incontaminata? Il prefetto, risponde al governo e le Soprintendenze erano una garanzia poiché erano un potere autonomo che rispondeva alla scienza e alla coscienza.
Se si legano le mani alle soprintendenze si potrà fare ciò che si vuole al territorio: nuove mani sul territorio, nuove mani sulla città. Scelta ancora più agghiacciante è quella per cui il governo ha deciso che i consigli scientifici vengono nominati dagli enti locali e dal ministro. A Napoli sarebbero De Luca e De Magistris a nominare i membri del consiglio scientifico di Capodimonte. In nessun paese occidentale la scienza viene lottizzata dal governo con il manuale Cencelli. “Io lo trovo non di sinistra, ma sinistro” per riusare le parole di un grande storico dell’arte come Tomaso Montanari.
Inoltre, concetto fondamentale è quello della valorizzazione che avanza e si differenzia rispetto alla tutela. Per fare chiarezza: in precedenza sotto la tutela del Bene vi era la sua valorizzazione. Oggi si tende più a valorizzare (con spostamenti e altre operazioni) che a tutelare l’integrità del bene stesso.
Se prendiamo Pompei la sua rinascita di oggi si deve senza alcun dubbio dal governo di Enrico Letta, poichè Massimo Osanna (soprintendente di Pompei) fu nominato da Massimo Bray. Matteo Renzi cerca ancora una volta di fare il “taglianastri” appropriandosi di lavori di governi passati.
[caption id="attachment_5694" align="aligncenter" width="1000"] E' stata 'fredda' e velocissima la stretta di mano tra Enrico Letta e Matteo Renzi nella cerimonia di passaggio delle consegne con la campanella Roma 22 febbraio 2014. [/caption] In parlamento è presente una legge, la quale  prevede che le opere d’arte per uscire dall’Italia non passino più per gli uffici di esportazione delle soprintendenze, ma passino attraverso una autocertificazione di valore. Si autocertifica che un opera valga meno di un quantitativo. Una volta stabilito ciò si può portare all’estero, e solo successivamente la sua fuoriuscita si fanno dei controlli a campione.
Qualora la autocertificazione non fosse corretta, la sanzione è irrilevante: si tratta di una multa, ma una volta che l’opera si trova in un caveau di un paradiso fiscale, questa non si potrà più recuperare, come sanno bene i carabinieri del nucleo di tutela che cercano di salvare il salvabile.
Si rischia molto, anche qui, in nome del mercato. Si pensa che il mercato si autoregoli, ma in Italia si è detto ancora per tempo che la proprietà privata non è un diritto assoluto. Massimo Severo Giannini grande giurista e politico italiano asseriva: “la tela e i colori sono di proprietà privata, ma il fatto che sia un Caravaggio appartiene a tutti gli italiani” c’è una super proprietà collettiva di tutti gli italiani.
Un esempio che lascia perplessi è l’installazione inguardabile allo Spedale degli Innocenti a Firenze di Filippo Brunelleschi. Lo Spedale è il primo spazio urbano del Rinascimento, è il primo luogo dove la grammatica e i vocaboli architettonici vengono riusati in un modo che Brunelleschi ripensava l’antico riadattandolo in nuove forme originali, il germe della città moderna. Generazioni di architetti si sono idealmente “inginocchiati” di fronte a questo manufatto. Le nuove porte del museo degli innocenti lasciano basiti: due enormi porte in ottone con un carattere scultoreo che alterano una delle architetture più belle e più sacre del mondo. Bisogna, in questo paese, riavere il diritto di osservare le bellezze artistiche e architettoniche come sono nella loro naturale essenza. Allora la mia domanda viene spontanea: la generazione dei geometri che ha creato delle periferie orrende non dovrebbe piuttosto impegnarsi nel redimerle le periferie, invece che immettere ancora bruttezza in luoghi del cuore di tutti gli italiani?
[caption id="attachment_5693" align="aligncenter" width="1203"] Lo Spedale degli Innocenti - (spedale deriva dall'antico dialetto fiorentino) - ("ospedale dei bambini abbandonati", col nome che si ispira all'episodio biblico della Strage degli Innocenti) si trova in piazza Santissima Annunziata a Firenze.[/caption]
Come si può arrivare ad applicare una porta di ottone allo Spedale degli innocenti? Chi risponde? Questo studio architettonico di Firenze (che non citerò) con committenza al museo, ha avuto una soprintendenza che in questo caso non ha funzionato; riprendendo Montanelli “le soprintendenze le paghiamo per dire di NO, se ci dicono si che le paghiamo a fare?”.
L’architettura per inserire installazioni moderne forzate non può distruggere l’antico, ma deve dedicarsi (soprattutto ora) a rendere più belle le parti nuove delle città che sono diventate brutte.
Il no in questo momento è l’unica prospettiva più sicura del sì. Se si viaggia per le coste italiane, noi tutti vorremmo che le sovraintendenze e i cittadini direbbero più sì o più no al cemento? Questo paese è stato sfigurato più dai sì o più dai no? Questo è un paese di cortigiani, è un paese educato a dire sempre di sì ai poteri forti, a chi arrivava con il libretto degli assegni in mano.
Io credo sia importante, invece, dire di NO e passare giustamente da gufo. Perché chi è il gufo? Si sente dire impropriamente "gufo" o "gufi" con l'inerenza di essere disfattisti o portar male, ma i più forse non sanno che Gufo, è semplicemente: "colui che vede chiaro nella notte". Dunque semmai il contrario: gufo è colui che vede cose che possono esistere e sono nascoste, sono velate dall'apparenza. Finchè la partitocrazia continuerà ad usare sloagan come per gli ultimi tre governi non eletti dal popolo italiano, la strada è molto in salita. Bisogna, invece, riflettere su Sì a che cosa e sul NO a che cosa. La retorica sì/no è sempre sbagliata. Alla speculazione io direi di no, francamente.
Come sono stato contrario allo spostamento dei Bronzi di Riace ad Expò 2016. Molti asseriscono che questa, appunto, operazione sarebbe stata un’occasione per mostrare al “mondo” le splendide sculture bronzee, che di contro sono poco viste. Io rispondo che in un paese come questo non ha senso considerare il meridione come un corpo morto da cui estrarre organi pregiati per portarli altrove.
La sfida vera di questo paese è fare la Salerno/Reggio-Calabria non portare in giro i bronzi di Riace. Bisogna mettere i cittadini italiani (e non), in grado di arrivare a Reggio Calabria, ma non si può immaginare che la soluzione sia portare le opere fuori città o fuori Regione. Tutti li hanno visti una volta nella vita, sui propri libri scolastici, non hanno bisogno di marketing hanno bisogno di una strada per arrivarci, hanno bisogno di alberghi dove dormire. Hanno bisogno di strutture, ma l’idea semplicistica che tutto si risolva muovendo le opere è sbagliato. Sono i cittadini che si devono muovere. 
Nel caso liturgico, l’opera d’arte non deve essere esposta come un feticcio in un luogo che non gli appartiene. I quadri di altare, ad esempio, sono concepiti per l’uomo in preghiera, nasce per un contesto vivo, non per un museo astratto.
Bisogna, oggi, camminare il patrimonio, camminare le città e non andare negli ambienti scuri dei musei con un “faretto che ci illumina” un quadro fuori contesto.
Per concludere una facile base di partenza sarebbe quella di dare l’accesso gratuito a tutti i musei italiani. Dobbiamo capire che la gestione odierna dei musei non funziona poiché i più importanti sono in mano ai privati che ne prendono tutto o quasi il guadagno. I musei italiani statali rendono ogni anno 150000000 di euro. 50000000 di questi, sono destinati ai concessionari privati e 100000000 euro sono un po’ pochi, se ci pensiamo due soli giorni di spesa militare. Siamo sicuri che sia un affare? Se si facesse entrare le persone gratis nei musei – come avviene nel resto di Europa – ci sarebbe un economia dettata dal movimento delle persone: l’economia del patrimonio non è il biglietto.
Altro elemento per risollevare le sorti di questa disciplina sarebbe l’introduzione della storia dell’arte in tutte le scuole fin dalle elementari per imparare la storia dell’arte come una lingua viva e insegnare l’italiano ai nuovi italiani che arrivano sulle barche e sulle nostre coste tramite soprattutto i nostri monumenti. L’Italia si è costruita tramite la lingua delle parole e la lingua dei monumenti e entrambi oggi devono continuare a dialogare insieme: lì siamo diventati nazione e lì possiamo ridiventarlo.
 
Bibliografia
_Tomaso Montanari, Patrimonio Culturale, ripartire dall’ABC – i corsivi del Corriere della Sera
_Tomaso Montanari, Privati del patrimonio – Edizioni Einaudi
_Tomaso Montanari, le pietre e il popolo – Edizioni Minimum fax
_Salvatore Settis, Se Venezia muore – Edizioni Einaudi
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