Il conte Lev Nikolaevic Tolstoj nasce a Jasnaja Poljana nel 1828, all'interno della personale tenuta di campagna di famiglia. Diviene fin dalla giovane età orfano di madre, insieme ai fratelli e alla sorella e la campagna russa plasmerà la sua infanzia. A quindici anni esplora le letture di Voltaire e Rousseau. Jean-Jacques Rousseau eserciterà sul giovane Tolstoj una prolungata influenza, fino a fargli indossare al collo il medaglione del filosofo ginevrino. Nel periodo della giovinezza - intorno al 1847 -, dopo una bocciatura alla facoltà di lingue orientali e una svogliata frequentazione della facoltà di diritto, lascia l'università e si stabilisce a Jasnaja Poljana con l'intento di rendersi utile ai servi della gleba. Corre il 1851: dopo quattro anni di tormenti e interrogativi sul senso della vita e insoddisfatto dell'esperienza famigliare parte per il Caucaso come sotto-tenente d'artiglieria e ben presto prenderà realmente inizio la sua attività letteraria. Il Caucaso è all'epoca luogo di formazione e d'ispirazione per numerosi scrittori russi tra cui Lermontov alla cui prosa si avvicinano gli scritti di gioventù di Tolstoj, principalmente per le scene di guerra. L'annessione del Daghestan e della Cecenia all'Impero russo zarista generano un conflitto con la popolazione locale, evento che l'autore descriverà nella novella "I Cosacchi". A Sebastopoli durante la guerra di Crimea - in veste di comandante di divisione -, si trova in uno dei più pericolosi posti della città assediata, singolare scenario da cui trae spunto un ciclo di racconti intitolato "Racconti di Sebastopoli" che analizza nuovamente il tema della guerra. La tecnica di raccontare le scene di battaglia tramite la descrizione caratteriale dei personaggi e di sottoporre questi all'interno del conflitto, renderà i suoi scritti unici dove la moralità entra sulla scena letteraria con piena forza.
Il cortile della frontiera è un seminario interculturale diviso in due sezioni, tenuto da María Belén Pérez Chada, artista e architetto, e Dolores Pérez Demaria, drammaturga e laureanda in Storia. Si tratta di due giovani artiste argentine, che hanno unito le proprie competenze per portare avanti orizzonti di ricerca comune. Attualmente sono concentrate attorno all'indagine urbano-drammaturgica, un tentativo di far emergere esperienze urbane narrative. Il tema del seminario, pur partendo quindi dal preciso contesto argentino, si dirama verso storie a noi vicine, ma spesso dimenticate. Stiamo parlando della grande emigrazione italiana all'estero, un fenomeno vastissimo e articolato, che interessò l'Argentina in varie ondate, dal 1880 circa fino almeno al 1960. Questa storia collettiva complessa e in parte caotica, vissuta da tante famiglie e individui, caduti nell'oblio, viene inquadrata grazie all'analisi perspicace e rapida di una spazialità architettonica ancora presente e visitabile nel contesto della metropoli di Buenos Aires. Si tratta dei conventillos, edifici una volta signorili, situati nella zona vicino al porto (si pensi alla Boca) trasformati poi in abitazioni per immigrati. Lo schema classico del conventillo prevedeva una forma a parallelepipedo, pianoterra e primo piano, con un cortile interno in cui, in comune, trovavano posto i servizi essenziali. Proprio questi umili cortili, animati dai migranti provenienti dall'Italia e dal resto d'Europa, divengono i protagonisti del seminario, che spiega con dovizia di particolari come da quella cultura popolare (frutto di una forte mescolanza anche linguistica) siano nati il tango e altri fenomeni assimilati dalla cultura colta: si pensi alla drammaturgia, ma anche a una certa letteratura "neorealista" in voga negli anni Venti e Trenta del Novecento. Quindi dallo spazio architettonico si passa all'esperienza teatrale di Alberto Vacarezza, autore di tanghi e farse teatrali popolari. Successivamente viene anche affrontato un autore di grande spessore, attualmente rivalutato anche in Italia (dove è stato ristampato e tradotto di recente) ovvero Roberto Arlt, scrittore per certi versi opposto e speculare a Jorge Luis Borges. Roberto Arlt, cronista e romanziere, è stato infatti un grande narratore urbano e ha descritto con sagace perspicacia la vita quotidiana della città negli anni Trenta. Non era l'unico: proveniva da un gruppo chiamato di Boedo, che rivalutava autori russi come Dostoevskij e che si nutriva di idee anarchiche e socialiste (importate non a caso dai migranti). L'osservazione della vita brulicante della città non si può quindi scindere dalla critica sociale, che mette in luce le disuguaglianze e la miseria, ma anche la "disperata vitalità" (per citare Pasolini) del sottoproletariato urbano e persino della piccola-borghesia urbana, resa più povera e cattiva dalla crisi economica del 1929. Nel seminario ad ampio raggio, che vuole fornire una serie di spunti da approfondire, si affrontano anche temi più astratti come il conflitto in atto tra globalizzazione culturale e identità nazionali, meticciato e autonomia delle culture. Come si vede si tratta di temi cocenti nell'attuale contesto italiano ed europeo, che affronta problematiche legate alla sempre crescente crisi dell'unione economica e monetaria europea, la quale si accompagna alla crisi umanitaria dei nuovi flussi migratori, che generano reazioni di stampo populista e identitario. Tuttavia i temi affrontati non evadono dal circuito comparatistico di storia-architettura-arte. Il seminario si terrà in spagnolo. Sarà chiamato a moderare e a tradurre i testi Primo De Vecchis, dottore di ricerca in Letterature comparate e studioso di Roberto Arlt.
Il progetto annuale “Costruire Abitare Pensare” vuole esaminare la crisi contemporanea dell’abitare sia in termini teorici generali, ossia ricorrendo alle spiegazioni, alle categorie ermeneutiche e alla presenza dei maggiori pensatori contemporanei, sia focalizzandosi sulla condizione specifica riscontrabile ad Ascoli Piceno, entro un confronto tra patrimonio storico-architettonico cittadino, organizzazione e sviluppo urbano attuale e rispondenza alle esigenze dell’abitare contemporaneo. Tramite la realizzazione d’iniziative dal basso impatto economico (mostre, estemporanee d’arte, convegni, presentazioni di volumi, retrospettive cinematografiche, sonorizzazioni urbane) volte all’analisi delle cause e delle conseguenze che la crisi dell’abitare contemporaneo porta con sé, l’obiettivo di tale progetto culturale è quello di incentivare lo sviluppo del capitale umano riconoscendo il valore incondizionato della persona e il senso della sua crescita, quello di esercitare una funzione “segnaletica” anticipatrice dei problemi, nonché generare valori d’uso culturali, ricadute qualitative in grado di favorire la collaborazione ed il senso di appartenenza alla comunità, incuriosire e costruire una narrazione condivisa in cui ritrovarsi, una storia, un tessuto di idee in grado di unire e far abitare realmente la città.
Vorrei iniziare questo articolo rivolgendo una domanda al ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini chiedendogli se oggi sappiamo valorizzare il nostro patrimonio artistico.
L’italiano standard non si sente “cittadino” poiché dalla sua fondazione l’Italia ha un rapporto difficile con il concetto di cittadinanza. Forse per la mancanza di rivoluzioni non possediamo l’idea di una appartenenza biunivoca del territorio (noi apparteniamo al territorio e il territorio appartiene a noi). Non c’è l’idea di essere custodi, ovvero l’agire per chi verrà dopo di noi, come dicevano i nativi americani, oggi quasi del tutto annientati: “tutto questo non l’abbiamo ereditato dai nonni, ma l’abbiamo in prestito dai nipoti”.
Oggi nel nostro paese avviene la retorica “del petrolio d’Italia” inventata da Mario Pedini, ministro dei Beni Culturali divenuto noto per essere uscito sulle liste della P2. Se noi riflettiamo bene sul significato di petrolio, capiamo immediatamente che si tratta di un esempio inaccostabile con i nostri Beni Culturali. Il petrolio per dare energia deve bruciare, il petrolio è una sostanza nera che si trova sotto il terreno e che nessuno vede e soprattutto in genere nei paesi dove si cerca, sono presenti i concessionari che arricchiscono non i cittadini, ma un gruppo ristretto di persone. Tutto ciò può difatti rispecchiarsi con il patrimonio culturale in Italia. Sono, senza nasconderlo, molto critico verso l’attuale ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini.