Il libro del dott. Ronald Friedrich Schwarzer “Attraverso le lande asburgiche” (Durch Habsburgs Lande, Karolinger, 2023) è un viaggio meraviglioso nelle antiche terre della famiglia degli Asburgo-Lorena: qualche nome e appartenenza culturale esiste ancora, qualcun’altra si è solo assopita e aspetta un ritorno quanto mai profetico. Difatti come ci appare dalla copertina della prima edizione austriaca, la Corona austriaca – simbolo di tutti i popoli che componevano prima il Sacro Romano Impero (800 – 1806), poi l’Impero Austriaco (1806 – 67) ed infine quello d’Austria-Ungheria (1867 – 1918) –, rappresenta la vera garanzia del primo esperimento che non può non celare similitudini con quella Europa unita su basi culturali comuni come la grecità, la cristianità e successivamente la filosofia tedesca del 900.
Venti lingue venivano parlate sotto questi Regni amministrati da una delle famiglie che hanno contribuito – insieme ai Borbone – a plasmare l’Europa che oggi ancora abbiamo la fortuna e il privilegio di ammirare: il tedesco, l’ungherese, lo slovacco, il ruteno, lo sloveno, il ceco, il russo, il rom, il rumeno, il polacco, lo yiddish, il lombardo, il veneto, il ladino dolomitico, il friulano, l’italiano, il dalmatico e il serbo.
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Nel primo Natale del secolo nono Carlo Magno riceveva nelle mani di Papa Leone la corona dei Cesari romani: l’antico Imperium, la cui potenza aveva riposato per tanti secoli, era nuovamente risorta. Presenti nella simbologia vi era la Croce, nella quale si incrociavano l’orizzontalità terrena e parallelamente la verticalità ultraterrena. Il Globo imperiale posizionato sulla sinistra simboleggiava che quel Impero avrebbe portato la croce di Cristo. I due più potenti antagonisti Cesare e Cristo, venivano avvicinati nell’idea del nuovo “Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca”. E poi scoccò la sua ora destinale, nella quale un popolo capisce di ricevere un grande onore e un grande onere: l’eredità spirituale del Caesar Carolus Magnus. Fu proprio la casa d’Asburgo che resse i paesi ereditari austriaci e da allora in poi, con poche interruzioni, conservò la dignità imperiale romana fino al termine di questa. Difatti quando all’inizio del Novecento cominciò a salire l’ondata del nazionalismo tedesco1, il sovrano asburgico allora regnante, Francesco I, sciolse il Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca non chiamandosi più Imperatore romano, ma per l’appunto “Imperatore d’Austria”: il disperato tentativo di salvare la grande idea della unità dei popoli.
Non voglio enunciare qui una teoria, ma esprimere un dato esperienziale. Solo nel segno di un’idea superiore si fondarono e si fondano i regni. Le nazioni possono costituire soltanto degli Stati. Gli Stati nazionali sono nella loro intima essenza massonici, quindi di natura satanica per un uomo di fede cattolica; come tutto ciò che è demoniaco e idolatrato, sono suscettibilmente “dinamici”, minacciosi e minacciati. I veri regni invece nascono, quando alle unità demoniache naturali è aggiunto un elemento soprannaturale divino, che le trascina in alto al di sopra di loro stesse: una rivelazione o un’idea superiore: un Regno di Cristo in terra. Tale è almeno nell’ora della sua nascita. Ronald giudica che il suo mondo estinto, l’Impero d’Austria, fu precisamente uno di questi veri regni. Tuttavia egli soffre. Soffre, perché un ordine superiore è decaduto ad un ordine inferiore. Soffre della perdita di una fine della propria dignità personale, che, nonostante ogni comunanza nazionale, era scesa anche su di lui, minimo frammento, dall’idea sopra ordinata di quel Regno. L’Impero ancora in Austria è amato e come non potrebbe esserlo? Sotto gli Asburgo l’Austria ha prosperato, aveva uno sbocco marittimo e come ci ricorda Alexander Lernet-Holenia nel suo capolavoro letterario “Lo Stendardo” «In un certo senso noi siamo, per così dire, un Impero coloniale su suolo europeo […] abbiamo riunito intorno a noi un gruppo di popoli che è incomparabilmente più numeroso di noi stessi. Abbiamo dato loro tutto ciò che potevamo dare. Questo era ed è il nostro dovere di tedeschi. Li abbiamo resi maggiorenni»2.
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Confine doganale presso la cittadina di Braunau am Inn, oggi comune austriaco di 16.887 abitanti in Alta Austria, del quale è capoluogo di distretto.
Ma come si può comprendere questa consapevolezza? Ebbene l’idea dell’antica Austria pretendeva che l’uomo che l’abitava fosse in un certo senso “trasformato” e “riplasmato”. Con immensi sforzi – sia di carattere culturale, che sociale – lavorò non sul concetto di nazione e quindi di nazionalismo (che come sappiamo, ha portato solo distruzione laddove è stato abbracciato), ma su quello di essere parte di un Unicum nel quale un tedesco, un ruteno, un italiano, sentisse interiormente quella scintilla verso una appartenenza più alta, qualcosa di superiore ideologicamente parlando: un vero e proprio sacrificium nationis, in cui l’individualismo nazionale fosse messo da parte. Una rinuncia ad una comoda affermazione di se stessi, rinuncia all’eccitante abbandono degli istinti del proprio sangue, rinuncia all’indomito bisogno di trionfo della propria stirpe. Solo chi compiva questa rinuncia, chi era deciso a questo sacrificio, poteva ottenere la consacrazione superiore dell’idea, venendo così ricreato nell’uomo nuovo, nell’Austriaco: un simbolo ideale per insegnare molto alle altre civiltà. Come ci ricorda un altro grande scrittore come Franz Werfel «Egli doveva diffondere la luce della propria umanità provata dal sacrificio, affinché tutti quelli che erano ancora giovani, ancora barbari, ancora legati alla terra, fossero illuminati e convertiti da questa luce. Questa destinazione […] si è conclusa col tramonto della vecchia Austria3».
Inoltre la mitezza del cattolicesimo donava all’Impero la sua segreta sostanza di benessere sociale: un vento amabile guidato, nella sua fase finale, dal pio, Carlo Imperatore, beatificato nel 2004. I funerali “di Stato” di Ottone d’Asburgo-Lorena, figlio di Carlo a Vienna nel 2011 sono stati un simbolo di come l’Impero ritorna ancora oggi incessante, non sulle carte geografiche, non sulle mappe terrestri che gli furono proprie; ritorna in tanti cuori e in tante menti, come immagine, sogno e speranza; come una reliquia da adorare e conservare gelosamente, benché imperfetta, calma e magnifica: quell’Austria felix che faceva l’amore e non la guerra, dolce e malinconica, ritorna sommessa e luminosa, perché l’Impero asburgico è stato grande, è stato ordinato, è stato bello, è stato gentile ed è stato soprattutto molto rimpianto.
Sebbene la mia descrizione, si immerga perfettamente nel celebre filone letterario a cui Claudio Magris riuscì a donare il fortunato nome di Finis Austriae, il libro “Attraverso le lande asburgiche” non può essere inquadrato propriamente in questo genere, poiché oltre al suo humour inglese che contraddistingue l’eccellente penna di Schwarzer, il ritmo della lettura e tutt’altro che melanconico e odorante di rimpianti. Si avverte, di contro, tutta l’energia dell’autore per ricordare come queste terre, non abbiano affatto smarrito quella trazione culturale – artistica, architettonica e letteraria, di usi e costumi – propria della Vecchia Austria. D’altronde se effettuiamo una analisi della forza vitale di molti paesi oggi indipendenti e nazionali, possiamo tranquillamente riscontrare di come la loro forza spirituale si sia essenzialmente dissolta. Kafka, scriveva in tedesco, non in ceco e quando l’antica Repubblica Cecoslovacca nacque non sfornò più nessun letterato degno di nota, ad eccezion fatta per Kundera (1929 – 2023). Di questi esempi ne possiamo fare altri, tutti legati a quei micro paesi attuali come ad esempio l’attuale Slovacchia o la stessa Ungheria, che dopo il grande Marai non ha più riproposto sulla scena internazionale autori di così grande elevatura letteraria. Ebbene quella forza spirituale e culturale a trazione austro-tedesca viene ripresa nel libro di Ronald Schwarzer.
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Frammento di immagine del funerale pubblico di Otto von Habsburg nel 2011.
Nulla è al caso. Ho avuto il privilegio di conoscere personalmente l’autore nel suo palazzo viennese, chiamato – in onore di Franz Ferdinand – Ferdinandihof, nel quale si svolgono regolarmente concerti di musica barocca, così come conferenze culturali. Si respira un’aria autentica dove il politicamente corretto, simbolo della nostra epoca, è bandito. Difatti la nostra Europa è di fronte ad un bivio. Da un lato una via che passa dalla accettazione delle “disuguaglianze” come produttrice di vita. Da un altro la tentazione della “eguaglianza” intesa come giustizia. La prima via è quella della nostra storia. La seconda è quella che ci viene prospettata, e che fu preconizzata da Oswald Spengler (1880 – 1936), come “Tramonto dell’Occidente”. Siamo stati per tanto tempo il maggior polo di sviluppo del mondo, proprio perché non siamo mai stati tentati dalla filosofia della “eguaglianza”. Dobbiamo decidere, se seguitare ad essere, ciò che siamo stati, punto avanzato dell’ingegno umano o passare ad altri il testimone. Forse è già troppo tardi. Ma forse c’è ancora tempo, per una “filosofia della salvezza” che voglia invertire il corso delle cose. Forse è possibile che ripercorrendo tutta la nostra storia, sia possibile sconfiggere i virus che ci minano e recuperare i nostri valori. L’Europa che sembrava un sogno, si sta trasformando in modo concreto. E concrete sono tutte le sue proiezioni. Popoli che si ritenevano diversi, attraverso la lettura, la radio, la televisione, il turismo, si sono conosciuti e riconosciuti. Questi nuovi mezzi di comunicazione, hanno fatto riconoscere, quanto profonde siano state le seminazioni di quel “Urvolk indo-europeo”. È questo retaggio comune, cui dobbiamo far appello per tornare ad essere quello che siamo sempre stati nella nostra storia, un polo fondamentale di sviluppo del divenire umano. Senza rabbia e senza peccati di orgoglio, ma con una precisa conoscenza del nostro passato e delle nostre potenzialità. I no global, gli ambientalisti, la galassia eterogenea degli Lgbtq, sono i residui nostalgici della “Internazionale marxista” ed insieme del capitalismo liquido più abietto. Non sanno niente di storia, né dei suoi meccanismi. Sono dei puri “contemporanei”. Il loro avvento fu profetizzato oltre 150 anni fa da Fyodor Mikhailovich Dostoevsky (1821 – 81), che scrive proprio per loro come «l’amore per l’umanità si unisce all’odio o all’indifferenza per il vicino». Amano tutti per poter odiare meglio il nemico di turno. Fanno molto chiasso perché ciascuno di loro è polivalente e onnipresente. Possono essere in momenti diversi un politico, o una cantante, un sindacalista, o un “intellettuale”, cineasta, o impiegato di una ditta che produce gomme per auto. Ma sono sempre gli stessi, in abiti diversi, in continui e frenetici travestimenti e trasferimenti.
Ma Ronald non è solo un mecenate, ma soprattutto un fervente cattolico e pellegrino dei luoghi sacri: percorre a piedi interi Stati e nel suo vagabondare non poteva non conoscere alla perfezione tutti quei territori della sua amata e verde Austria. Da qui si può concepire il libro “Attraverso le lande asburgiche” nel quale oltre a luoghi tradizionalmente austriaci, l’autore ci fa comprendere come sia in Francia, che in Spagna le influenze austriache degli Asburgo siano presenti nell’arte, nell’architettura e nei dialetti parlati. L’autore indirettamente si sforza per farci comprendere come questa nostra identità europea, sebbene martoriata dalle attuali scelleratezze politiche, sia ancora viva e pronta per essere riafferrata in qualsiasi momento da un popolo che torni finalmente ad essere consapevole di sé, poiché quando si perde coscienza di se stessi, non si conosce più chi siamo e da dove veniamo, perdendo noi stessi. Perché, per buona pace dei buonisti e dei ben pensanti, un “Turco” ci sarà sempre, anche adesso che l’Impero non esiste più. L’ottomano è necessario, come un contrappeso che tiene botta agli eccessi, o come un argine che protegge la campana dal fiume impazzito. Il contrario, e non soltanto il diverso, costituisce una necessità storica, contingente, per rendere interessante l’esistenza di ogni persona. Il giorno e la notte, il caldo e il freddo, il lupo e l’agnello, l’aquila e il passero: ecco altrettanti contrari, a seconda dei punti di vista. Il resto è utopia, una bella utopia, non c’è dubbio. Dunque non siate pigri, poiché per tutto ciò che sarà menzionato in questo libro, qualcos’altro, non meno importante, sarà nascosto e potrà essere oggetto di un vostro nuovo viaggio, di una vostra personalissima cartografia del cuore. Se il viaggio è ritornare sui passi di altri in altri tempi e in altre vite, rievocare, veder riemergere fantasmi, allora mettetevi in cammino, non siate pigri, perché dalla vostra meraviglia deriva la vita autentica, quella composta da storia, arte e architettura, da antiche parlate e virtù paesane, poiché queste “lande” facevano parte di un impero assai grande che aveva una capitale bellissima e che ancora oggi non smette di meravigliarci con il suo fascino. Concludo con un messaggio di speranza, riprendendo le splendide parole tratte da “Il messaggio dell’Imperatore” di Franz Kafka: «eppure tu siedi alla finestra e ai tuoi sogni dai vita, sul far della sera».
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Nell’immagine, il fronte-retro della copertina del saggio di Ronald Friedrich Schwarzer “Durch Habsburgs Lande”, che presto vedrà l’uscita in Italia, tradotto dall’Architetto Giuseppe Baiocchi “Attraverso le lande asburgiche”. Nella foto l’autore del saggio con lo scrivente.
Per approfondimenti:
1 Di ciò approfittò la famiglia reale prussiana degli Hohenzollern, i nemici mortali dell’Austria e della sacra idea imperiale. Essa sferzò e stimolò energicamente i demoni del nazionalismo pangermanico. Dopo le vittorie sopra l’Austria e la Francia nell’anno 1870-71 riuscì a ridurre sotto il proprio dominio i piccoli Stati tedeschi, e in tal modo ad unificarli. Ed allora avvenne uno dei più brutti scherzi di parole della storia mondiale. La grande Prussia si chiamò “Impero Tedesco”, non è curioso? Quando nel migliore dei casi non era che uno Stato nazionale, ovvero il contrario di un regno unificatore di popoli nata da un’idea sopraordinata. Ma non fu tutto: i re prussiani si conferirono il titolo di Imperatori. Kaiser è la forma greca di Caesar. Ogni Kaiser è successore di Cesare, che fondò l’impero mondiale sopranazionale della civiltà occidentale. Il Cesarismo è l’opposto assoluto della regalità nazionale. Gli Hohenzollern furono fortunati re nazionali, che per odio contro i Cesari legittimi della Casa d’Asburgo usurparono un vuoto titolo imperiale.
2 Lernet Holenia A., Lo Stendardo – capitolo quinto, Adelphi, 2010.
3 Werfel F., Nel crepuscolo di un mondo, L’Impero Austriaco, prologo, p.13
4 Schwarzer F. R., Durch Habsburgs Lande, Karolinger, 2023.
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