10 Feb Il filone d’oro della caccia nella mitteleuropa: tempi magnifici per grandi cacciatori
di Giuseppe Baiocchi del 11/02/2024
I grandi cacciatori mitteleuropei, così come le grandi cacce della nostra recente antichità venatoria europea, trasmettono sempre un fascino romantico verso un’epoca passata gloriosa e piena di tradizioni. Il “cacciatore” di questi tempi prestigiosi, aveva un profilo molto diverso dal cacciatore odierno, poiché quella che appunto veniva definita “arte venatoria”, era in realtà l’essere votati completamente verso la caccia: una vera e propria professione. Questi uomini rappresentano la vera tradizione venatoria austriaca: per lo più proprietari terrieri, fungevano anche da veri e propri “ambientalisti” della conservazione, fungendo di rimando ovviamente anche da modelli per la società dell’epoca.
Con il passare del tempo, tutto diventa storia e le memorie di questi “antichi signori”, come li chiamano affettuosamente oggi i parenti, soddisfano bene la loro passione. L’amore per la natura e la caccia erano lo stesso comune denominatore, il vivere questa passione variava a seconda del carattere di ognuno di loro. Certamente l’Austria di fine Ottocento ed inizio Novecento possedeva un numero di selvaggina molto superiore all’epoca odierna per via della minore urbanizzazione dell’uomo e soprattutto la caccia era una professione incentivata dallo Stato: da qui le grandi battute storiche e i grandi raccolti di selvaggina autoctona.
Sotto l’Impero dell’Austria-Ungheria vigeva l’antico motto A.E.I.O.U. «Alles Erdreich Ist Österreich Untertan», ovvero «Tutta la terra è soggetta all’Austria», ma con la caduta della monarchia danubiana le imprese dei grandi cacciatori erano concluse e le loro tenute – in grande quantità – confiscate dai nuovi Stati nazionali.
Sotto l’Impero dell’Austria-Ungheria vigeva l’antico motto A.E.I.O.U. «Alles Erdreich Ist Österreich Untertan», ovvero «Tutta la terra è soggetta all’Austria», ma con la caduta della monarchia danubiana le imprese dei grandi cacciatori erano concluse e le loro tenute – in grande quantità – confiscate dai nuovi Stati nazionali.
I frammenti e i racconti ci pervengono quando nel 1984 due aristocratici sono a dialogo fra loro: da una parte il conte László Szápáry e dall’altra il barone Ernst Edwin Offermann. Capitava spesso che i due discutessero fino al mattino degli incidenti della giornata di caccia nel loro Pavillon. Durante le conversazioni non veniva mai riprodotta alcuna cassetta né presi appunti scritti perché ciò distraeva i signori da ciò che avevano da dire! Tra gli svariati invitati lo scrittore Klaus Neuberger (1955) continuava spesso tali conversazioni ascoltando incredulo l’enorme quantità di storie e aneddoti; analoga situazione avveniva con il barone Offermann. Solo successivamente, ciò che veniva ascoltato fu richiamato dalla memoria e trascritto: con il conte Karl Draskovich, il conte Franz Meran e Hans von Kienast iniziarono le trascrizioni durante le conversazioni.
Di conseguenza, molte storie emerse gradualmente e costantemente ascoltate, sono state scritte e sono state condotte molte interviste. Nel modo in cui venivano poste le domande, venivano ricordate e interrogate varie personalità, e i narratori rivelavano i loro personali ricordi, con lo scopo di creare un piccolo monumento scritto a queste persone e ai grandi della caccia, per salvare dall’oblio odierno le loro esperienze e alcuni aneddoti e per regalare al lettore alcuni momenti belli e interessanti mentre legge il grande e glorioso passato: un riflesso storico che vedrà le gesta venatorie dei Laszlo Szapary, Albrecht von Bayer, Carl Hugu Seilern, Feri Meran, Ernst Edwin Offermann ed altri.
Dunque cos’era la caccia? Il grande cacciatore dei Carpazi Herbert Nadler (1883 – 1951) scrisse: «chi non ha mai visto l’alba dopo una partita mattutina e non ha mai visto il risveglio del giorno, non sa cosa sia la caccia».
Per il famoso cacciatore e scrittore di caccia conte Zsigmond Széchényi (1898 – 1967), «la caccia è devozionale», e il filosofo José Ortega y Gasset (1883 – 1955) affermava: «Si uccide per aver cacciato […] ecco perché vai a caccia, quando sarai stanco di essere nel XX secolo, prendi la tua pistola, fischietta al tuo cane e vai nel bosco e concediti qualche ora di divertimento, per tornare ad essere un uomo dell’epoca antica».
Dunque cos’era la caccia? Il grande cacciatore dei Carpazi Herbert Nadler (1883 – 1951) scrisse: «chi non ha mai visto l’alba dopo una partita mattutina e non ha mai visto il risveglio del giorno, non sa cosa sia la caccia».
Per il famoso cacciatore e scrittore di caccia conte Zsigmond Széchényi (1898 – 1967), «la caccia è devozionale», e il filosofo José Ortega y Gasset (1883 – 1955) affermava: «Si uccide per aver cacciato […] ecco perché vai a caccia, quando sarai stanco di essere nel XX secolo, prendi la tua pistola, fischietta al tuo cane e vai nel bosco e concediti qualche ora di divertimento, per tornare ad essere un uomo dell’epoca antica».
“I bei vecchi tempi” a Vienna erano dunque un’epoca in cui era ancora possibile organizzare cacce di massa e lasciare che tutta la passione e la professione diventassero quasi religiose. Un tempo che non è più, con circostanze e condizioni che non esistono più. Proprio la società dell’epoca rese possibile tale pienezza atmosferica. C’erano ancora saloni e cocktail, séjour e pomeriggi a carte. Il biliardo era ancora di moda, nei club si giocava anche a bridge (St. Johann, Jockey Club), dopodiché di tanto in tanto si faceva visita al Red Bar dell’Hotel Sacher o al Bristol Bar. Il bacia mano alle dame era più di una semplice formalità galante, era ancora uno stile di vita, non una parola popolare. Si viveva ancora in castelli, ville, palazzi cittadini o in residenze feudali lungo la Ringstrasse o in grandi appartamenti nel terzo e quarto distretto. E non sono solo i rappresentanti dell’aristocrazia erano coloro che portavano avanti l’arte venatoria, ma anche la borghesia benestante dava il suo contributo: industriali che producevano mattoni, producevano birra o barbabietola da zucchero lavorata, così come costruttori, produttori tessili e di seta, avvocati e altri. Se uno dei signori del pomeriggio voleva premiarsi, o magari incontrare qualcuno con cui discutere di questioni di caccia, si recava al Cafe Demel, il tanto decantato tempio dei dolciumi sul Kohlmarkt. Dal K.u.K. Hofzuckerbacker si poteva inoltre portare un regalo alla moglie rimasta a casa e proprio lì, dal 1936 in poi, l’artista di alto livello conte Friedrich Berzeviczy-Pallavicini (1909 – 89) decorò magistralmente le vetrine con le sue famose e ineguagliabili decorazioni, dove molti curiosi si recavano periodicamente in pellegrinaggio per ammirare le sue ultime creazioni. Successivamente si recò a New York via Parigi. Allora la comunicazione, se non parlata di persona, si chiamava ancora “corrispondenza”. C’erano ancora spettacoli di varietà e locali notturni dignitosi. I protagonisti si incontravano nei club maschili e all’ippodromo e molti avevano la propria scuderia (ad esempio Stall Seilern e Stall Meran).
C’erano ancora maggiordomi, autisti e personale in livrea, cuochi propri – anche loro specializzati nella cucina di selvaggina – e gioiellieri specializzati in gioielli da caccia. Il titolo professionale del K.u.K, letteralmente “Imperiale e regio”. I fornitori della corte pagavano sempre qualcosa e ciò forniva grande pubblicità alle aziende. I negozi di armi avevano ancora un’ampia scelta di fucili nei calibri 12, 16 e 20, e talvolta 28 e 410.
Era ancora di moda la località di villeggiatura estiva, dove naturalmente la popolare regione del Salkammergut offriva molte opportunità per la caccia al camoscio estivo.
Questa zona era estremamente frequentata all’epoca grazie all’Imperatore Francesco Giuseppe. All’epoca e prima vi era rappresentata anche l’élite culturale, che vi svolse anche la sua opera creativa, dove i protagonisti ne trassero forza e ispirazione: Johann Nestroy, i pittori, poeti e musicisti Waldmüller, Bauernfeld, Nikolaus Lenau, Carl Millocker, Johann Strauss, gli attori Katherina Schratt e Alexander Girardi, e più tardi Franz Lehar e Ralph Benatzky. Oggi Klaus Maria Brandauer, il direttore d’orchestra Franz Welser Most e gli scrittori Barbara Frischmuth e Alfred Komarek sono i rappresentanti culturali di spicco della omonima regione. L’imperatore stesso amava molto il pittore e cacciatore Friedrich Gauermann (1807 – 12) e Franz von Pausinger (1839 – 1915), di cui conservò molti dipinti a Bad Ischl. In questo periodo, anche i “baroni del sale” e gli industriali del Greater Burgh tenevano i loro ricevimenti sociali nella zona. Il tempo in cui non si cacciava lo si trascorreva con la famiglia, rendendo omaggio, giocando a tennis, a carte e occasionalmente assistendo a concerti alle terme o dal pasticcere Zauner con il suo caffè annesso. Allo stesso tempo, si facevano trattamenti termali con salamoia in una delle numerose terme.
Si organizzavano anche gli amori autunnali dei cervi di montagna e si affittavano battute di caccia all’interno dei latifondi. Si poteva addirittura far realizzare sul posto una tradizionale pelle di camoscio o ritirare le famose “barbe di camoscio” legate artisticamente l’anno precedente.
Nei giorni in cui a Vienna non c’era la caccia, le persone si incontravano per caso mentre stavano aggiornando o ampliando la propria attrezzatura in uno dei numerosi e rinomati negozi di caccia della città, o anche semplicemente acquistando nuove munizioni. C’era il k.u.k. Springer, fornitore del tribunale del 1° distretto e di Josefstadt. Prima con Kalezky nella Babenbergerstrasse, poi con i maestri Denk, Mulacz, Kruschitz, Gschwantner e Brandeis. Il grande magazzino Groh in Kartnerstrasse aveva un proprio reparto di caccia: venivano acquistate grandi quantità di cartucce. Oppure le persone si incontravano nel 7° distretto presso il famoso tassidermista Hodek. Eduard Hodek (1827 – 1911) accompagnò il principe ereditario Rodolfo nelle battute di caccia e fu preferito dall’aristocrazia austroungarica per le sue abilità: il maestro Hodek lavorava con precisione e stile incomparabili. Lavorò anche per il Museo di Storia Naturale di Vienna e per la Haus der Natur di Salisburgo. Oppure si poteva acquistare armi con incastonature in argento presso l’argentiere di corte Halder – il padre fondatore dell’azienda era il gioielliere Franz Josef Halder (1884 – 1972) – in Michaelerplatz; ed ancora si poteva acquistare gioielli da caccia per donne. L’imperatore Francesco Giuseppe I fu il primo acquirente della leggendaria figura mitologica dello “Jagdsau” (Cinghiale da caccia mitologico) nel 1910. La miniatura avente forma di cinghiale, possedeva in capo dei palchi di cervo ed al posto della coda due palchi di camoscio: le orecchie avevano due grandi foglie ed al centro della bestia era incastonato un rubino, che simboleggiava il sangue e il desiderio della preda.
Haldersau su marmo di Salisburgo fu composto – ed è ancora in produzione presso “Halder Juwelier und Silberschmied” con argento, granato, marmo di Salisburgo e la leggenda narra che porti fortuna al cacciatore. Così nel 1910 l’Imperatore, quando aprì in suo onore la prima esposizione mondiale della caccia, Franz Halder presentò questo gioiello speciale: Francesco Giuseppe, accompagnato dal suo seguito, chiese cosa fosse questo nuovo oggetto e Halder spiegò il simbolismo umoristico a Sua Maestà; così Sua Maestà Imperiale e Regia preso il gioiello, lo consegnò a uno dei suoi aiutanti, noto per la sua mancanza di precisione, con le succinte parole «guarda, principe; forse questo migliorerà le cose». Il disegno di questa produzione proviene dal professor Waldmüller, discendente diretto del famoso pittore Biedermeier.
Era ancora di moda la località di villeggiatura estiva, dove naturalmente la popolare regione del Salkammergut offriva molte opportunità per la caccia al camoscio estivo.
Questa zona era estremamente frequentata all’epoca grazie all’Imperatore Francesco Giuseppe. All’epoca e prima vi era rappresentata anche l’élite culturale, che vi svolse anche la sua opera creativa, dove i protagonisti ne trassero forza e ispirazione: Johann Nestroy, i pittori, poeti e musicisti Waldmüller, Bauernfeld, Nikolaus Lenau, Carl Millocker, Johann Strauss, gli attori Katherina Schratt e Alexander Girardi, e più tardi Franz Lehar e Ralph Benatzky. Oggi Klaus Maria Brandauer, il direttore d’orchestra Franz Welser Most e gli scrittori Barbara Frischmuth e Alfred Komarek sono i rappresentanti culturali di spicco della omonima regione. L’imperatore stesso amava molto il pittore e cacciatore Friedrich Gauermann (1807 – 12) e Franz von Pausinger (1839 – 1915), di cui conservò molti dipinti a Bad Ischl. In questo periodo, anche i “baroni del sale” e gli industriali del Greater Burgh tenevano i loro ricevimenti sociali nella zona. Il tempo in cui non si cacciava lo si trascorreva con la famiglia, rendendo omaggio, giocando a tennis, a carte e occasionalmente assistendo a concerti alle terme o dal pasticcere Zauner con il suo caffè annesso. Allo stesso tempo, si facevano trattamenti termali con salamoia in una delle numerose terme.
Si organizzavano anche gli amori autunnali dei cervi di montagna e si affittavano battute di caccia all’interno dei latifondi. Si poteva addirittura far realizzare sul posto una tradizionale pelle di camoscio o ritirare le famose “barbe di camoscio” legate artisticamente l’anno precedente.
Nei giorni in cui a Vienna non c’era la caccia, le persone si incontravano per caso mentre stavano aggiornando o ampliando la propria attrezzatura in uno dei numerosi e rinomati negozi di caccia della città, o anche semplicemente acquistando nuove munizioni. C’era il k.u.k. Springer, fornitore del tribunale del 1° distretto e di Josefstadt. Prima con Kalezky nella Babenbergerstrasse, poi con i maestri Denk, Mulacz, Kruschitz, Gschwantner e Brandeis. Il grande magazzino Groh in Kartnerstrasse aveva un proprio reparto di caccia: venivano acquistate grandi quantità di cartucce. Oppure le persone si incontravano nel 7° distretto presso il famoso tassidermista Hodek. Eduard Hodek (1827 – 1911) accompagnò il principe ereditario Rodolfo nelle battute di caccia e fu preferito dall’aristocrazia austroungarica per le sue abilità: il maestro Hodek lavorava con precisione e stile incomparabili. Lavorò anche per il Museo di Storia Naturale di Vienna e per la Haus der Natur di Salisburgo. Oppure si poteva acquistare armi con incastonature in argento presso l’argentiere di corte Halder – il padre fondatore dell’azienda era il gioielliere Franz Josef Halder (1884 – 1972) – in Michaelerplatz; ed ancora si poteva acquistare gioielli da caccia per donne. L’imperatore Francesco Giuseppe I fu il primo acquirente della leggendaria figura mitologica dello “Jagdsau” (Cinghiale da caccia mitologico) nel 1910. La miniatura avente forma di cinghiale, possedeva in capo dei palchi di cervo ed al posto della coda due palchi di camoscio: le orecchie avevano due grandi foglie ed al centro della bestia era incastonato un rubino, che simboleggiava il sangue e il desiderio della preda.
Haldersau su marmo di Salisburgo fu composto – ed è ancora in produzione presso “Halder Juwelier und Silberschmied” con argento, granato, marmo di Salisburgo e la leggenda narra che porti fortuna al cacciatore. Così nel 1910 l’Imperatore, quando aprì in suo onore la prima esposizione mondiale della caccia, Franz Halder presentò questo gioiello speciale: Francesco Giuseppe, accompagnato dal suo seguito, chiese cosa fosse questo nuovo oggetto e Halder spiegò il simbolismo umoristico a Sua Maestà; così Sua Maestà Imperiale e Regia preso il gioiello, lo consegnò a uno dei suoi aiutanti, noto per la sua mancanza di precisione, con le succinte parole «guarda, principe; forse questo migliorerà le cose». Il disegno di questa produzione proviene dal professor Waldmüller, discendente diretto del famoso pittore Biedermeier.
Una tradizione dell’epoca d’oro della caccia era la presentazione del distintivo di caccia della rispettiva zona geografica. Modelli eleganti con lavorazioni molto solide caratterizzano gli esemplari della ditta Halder, tradizione anch’essa oggi viva nell’antico negozio viennese in Reitschulgasse 4. Le persone indossavano ancora copricapi individuali e i distintivi di caccia degli antichi maestri erano presentati sui copricapi venatori con grande orgoglio.
I tessuti venivano acquistati o confezionati su misura al Loden Plankl, a pochi passi da Michaelerplatz, o da Turczynski a Wollzeile. La ditta Morz in Mariahilferstrasse ha risolto i problemi relativi alle scarpe. La già citata Esposizione Mondiale della Caccia fu un evento straordinario e un’opera d’arte in cui è stato presentato il meglio dell’arredamento e della cultura venatoria. Le officine viennesi e la ditta Thonet hanno lavorato e costruito falegnamerie appositamente per questa mostra. E i grandi detentori del territorio della monarchia hanno sfoggiato i loro trofei unici e prestigiosi. Questa è stata una parata di performance straordinaria e incomparabile. I cacciatori più famosi da ogni parte del mondo si sono riuniti. Non solo gli amministratori forestali ne hanno parlato, ma tutti i cacciatori furono molto orgogliosi di questo evento unico, che ha portato anche alti profitti. Alcune persone furono ispirate a intraprendere nuove battute di caccia, così furono stabiliti contatti e firmati contratti di tiro. Questa grande mostra ha avuto per molto tempo un’influenza duratura sulla scena della caccia e ha plasmato anche il lato dei produttori e persino l’intero settore della caccia. Fu eretto un monumento all’ego della caccia in quanto le foto venivano pubblicate in numerose riviste venatorie, quando i maestri cacciatori annunciavano i loro percorsi o, come fece ad esempio il conte Rudolf Chotek, il quale descriveva ogni giorno l’esperienza dell’amore del cervo in interi saggi che furono pubblicati insieme alle fotografie. La notizia dei grandi percorsi per la caccia-bassa di Totmegyer si diffuse all’epoca sulle riviste indiane. Durante la stagione autunnale la caccia-bassa, che proseguiva fino all’inverno, godeva di una buona reputazione e molti tiratori avevano tempo a disposizione e disponevano anche dei mezzi finanziari necessari e della relativa indipendenza, per trascorrere settimane venatorie.
Tutti avevano dei buoni aiutanti con i quali si aveva già molta esperienza e routine. Il lavoro del cacciatore distrettuale, dell’allevatore di selvaggina, perfino dell’allevatore di cani, del boxmaker, del pastore e di altre professioni specializzate era molto stimato, e c’era anche la professione di maestro fagiano.
I tessuti venivano acquistati o confezionati su misura al Loden Plankl, a pochi passi da Michaelerplatz, o da Turczynski a Wollzeile. La ditta Morz in Mariahilferstrasse ha risolto i problemi relativi alle scarpe. La già citata Esposizione Mondiale della Caccia fu un evento straordinario e un’opera d’arte in cui è stato presentato il meglio dell’arredamento e della cultura venatoria. Le officine viennesi e la ditta Thonet hanno lavorato e costruito falegnamerie appositamente per questa mostra. E i grandi detentori del territorio della monarchia hanno sfoggiato i loro trofei unici e prestigiosi. Questa è stata una parata di performance straordinaria e incomparabile. I cacciatori più famosi da ogni parte del mondo si sono riuniti. Non solo gli amministratori forestali ne hanno parlato, ma tutti i cacciatori furono molto orgogliosi di questo evento unico, che ha portato anche alti profitti. Alcune persone furono ispirate a intraprendere nuove battute di caccia, così furono stabiliti contatti e firmati contratti di tiro. Questa grande mostra ha avuto per molto tempo un’influenza duratura sulla scena della caccia e ha plasmato anche il lato dei produttori e persino l’intero settore della caccia. Fu eretto un monumento all’ego della caccia in quanto le foto venivano pubblicate in numerose riviste venatorie, quando i maestri cacciatori annunciavano i loro percorsi o, come fece ad esempio il conte Rudolf Chotek, il quale descriveva ogni giorno l’esperienza dell’amore del cervo in interi saggi che furono pubblicati insieme alle fotografie. La notizia dei grandi percorsi per la caccia-bassa di Totmegyer si diffuse all’epoca sulle riviste indiane. Durante la stagione autunnale la caccia-bassa, che proseguiva fino all’inverno, godeva di una buona reputazione e molti tiratori avevano tempo a disposizione e disponevano anche dei mezzi finanziari necessari e della relativa indipendenza, per trascorrere settimane venatorie.
Tutti avevano dei buoni aiutanti con i quali si aveva già molta esperienza e routine. Il lavoro del cacciatore distrettuale, dell’allevatore di selvaggina, perfino dell’allevatore di cani, del boxmaker, del pastore e di altre professioni specializzate era molto stimato, e c’era anche la professione di maestro fagiano.
Grande rispetto è stato riservato al personale. Le grandi cacce si svolgevano durante la settimana, di solito martedì e giovedì, a volte per più giorni. I maestri di caccia preferivano i buoni tiratori e gli inviti arrivavano principalmente in base alla qualità di tiro dei partecipanti e non in previsione di inviti di ritorno. In alcuni casi, però, gli inviti si basavano anche sul talento dell’intrattenitore. Naturalmente qua e là il grande nome di un allevatore di piccioni di successo aggiungeva valore alle liste degli inviti. E sui percorsi e sui rifugi delle altre cacce si sapeva molto e quasi tutto, in parte pubblicato anche sulle riviste specializzate.
C’erano ancora fumettisti venatori ed uno o due scrittori di caccia si univano spesso alle squadre per raccogliere esperienze e storie, raggiungendo un’alta reputazione letteraria. Di conseguenza, gentiluomini avventurosi e ben navigati stuzzicarono il loro appetito per l’Africa, il Canada e persino l’India, ed attraverso i cronisti, le loro storie di caccia attraversavano il globo tramite diverse pubblicazioni di successo. Il richiamo dell’Africa, era glorioso, ma pericoloso: Fritz Schindelar di Vienna, lavoro nel continente africano come cacciatore professionista; tuttavia, Schlinder rinomato per i suoi calzoni bianchi immacolati e gli stivali lucenti, per la sua audacia e il suo essere donnaiolo, fu ucciso intorno al 1912 mentre assisteva il miliardario regista americano Paul Rainey, nel fotografare un leone che caricava verso la telecamera.
I viaggi tra le cacce individuali, alternate, tra Boemia, Moravia, Slovacchia, i paesi dei Carpazi, Vojvodina, Ungheria e Austria erano molto faticosi.
E poi ci sono i viaggi all’estero. Si viaggiava molto in treno, anche con l’O.K.W., ma si verificavano comunque molti guasti, soprattutto danni ai pneumatici sulle cattive strade di campagna. Alcune persone arrivavano a caccia solo all’ultimo momento, quando si mettevano in fila, dopo aver viaggiato tutta la notte – provenendo da un’altra battuta di caccia il giorno prima. I Waidmanner e gli Schützen spesso avevano bisogno nella loro vita di diversi libri di caccia e di tiro per documentare i loro percorsi e le loro esperienze.
Anche i medici partecipavano spesso alle battute di caccia, per ragioni di sicurezza e per rassicurare, così da poter intervenire tempestivamente e con competenza in situazioni di particolare importanza (colpi di rimbalzo) e in un possibile incidente di caccia. Le massaie servivano ancora il pranzo nel campo o curavano la degustazione.
Ultime, ma non meno importanti, le varie mostre di caccia (come quella annuale di Budapest) mostravano agli appassionati cosa era stato ucciso da chi e dove e le persone potevano confrontare gli esemplari.
I cacciatori professionisti che confermavano un determinato capriolo al loro capocaccia o l’ora della loro partenza seguivano il rintocco dell’orologio del campanile di una chiesa vicina, oppure utilizzavano il proprio orologio da tasca. In breve: era il tempo dei grandi gentiluomini, delle grandi cacce, delle grandi distanze, dei tiratori eleganti e bravi, il tempo del saper vivere e la gente amava la compagnia, soprattutto la battuta di caccia. Le persone cacciavano al massimo e si vivevano bene, nell’organicità del mondo.
Oggi, coloro che ricordano quelle persone pensano ancora di poter “sentire” il suono delle loro parole e la melodia dei loro racconti: a venatione mihi salus.
C’erano ancora fumettisti venatori ed uno o due scrittori di caccia si univano spesso alle squadre per raccogliere esperienze e storie, raggiungendo un’alta reputazione letteraria. Di conseguenza, gentiluomini avventurosi e ben navigati stuzzicarono il loro appetito per l’Africa, il Canada e persino l’India, ed attraverso i cronisti, le loro storie di caccia attraversavano il globo tramite diverse pubblicazioni di successo. Il richiamo dell’Africa, era glorioso, ma pericoloso: Fritz Schindelar di Vienna, lavoro nel continente africano come cacciatore professionista; tuttavia, Schlinder rinomato per i suoi calzoni bianchi immacolati e gli stivali lucenti, per la sua audacia e il suo essere donnaiolo, fu ucciso intorno al 1912 mentre assisteva il miliardario regista americano Paul Rainey, nel fotografare un leone che caricava verso la telecamera.
I viaggi tra le cacce individuali, alternate, tra Boemia, Moravia, Slovacchia, i paesi dei Carpazi, Vojvodina, Ungheria e Austria erano molto faticosi.
E poi ci sono i viaggi all’estero. Si viaggiava molto in treno, anche con l’O.K.W., ma si verificavano comunque molti guasti, soprattutto danni ai pneumatici sulle cattive strade di campagna. Alcune persone arrivavano a caccia solo all’ultimo momento, quando si mettevano in fila, dopo aver viaggiato tutta la notte – provenendo da un’altra battuta di caccia il giorno prima. I Waidmanner e gli Schützen spesso avevano bisogno nella loro vita di diversi libri di caccia e di tiro per documentare i loro percorsi e le loro esperienze.
Anche i medici partecipavano spesso alle battute di caccia, per ragioni di sicurezza e per rassicurare, così da poter intervenire tempestivamente e con competenza in situazioni di particolare importanza (colpi di rimbalzo) e in un possibile incidente di caccia. Le massaie servivano ancora il pranzo nel campo o curavano la degustazione.
Ultime, ma non meno importanti, le varie mostre di caccia (come quella annuale di Budapest) mostravano agli appassionati cosa era stato ucciso da chi e dove e le persone potevano confrontare gli esemplari.
I cacciatori professionisti che confermavano un determinato capriolo al loro capocaccia o l’ora della loro partenza seguivano il rintocco dell’orologio del campanile di una chiesa vicina, oppure utilizzavano il proprio orologio da tasca. In breve: era il tempo dei grandi gentiluomini, delle grandi cacce, delle grandi distanze, dei tiratori eleganti e bravi, il tempo del saper vivere e la gente amava la compagnia, soprattutto la battuta di caccia. Le persone cacciavano al massimo e si vivevano bene, nell’organicità del mondo.
Oggi, coloro che ricordano quelle persone pensano ancora di poter “sentire” il suono delle loro parole e la melodia dei loro racconti: a venatione mihi salus.
Per approfondimenti:
_Frevert Heinke, Meine Waidmänner und ich, BLV Verlagsgesellschaft, Monaco, 1965;
_Erste Internationale Jagd Austellung Wien 1910;
_Nadler H., Spari nel bosco. Dal mio diario di caccia, Bietti, Milano, 1965;
_Neuberger K., Tolle Zeiten & Grosse Jäger, Bernodorf, 2009.
_Erste Internationale Jagd Austellung Wien 1910;
_Nadler H., Spari nel bosco. Dal mio diario di caccia, Bietti, Milano, 1965;
_Neuberger K., Tolle Zeiten & Grosse Jäger, Bernodorf, 2009.
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