F. Werfel e lo sforzo d’animo per diventare “un austriaco”

di Giuseppe Baiocchi del 04/02/2024

Uno dei massimi prodotti letterari forniti per il filone mitteleuropeo ce lo fornisce il grande scrittore Franz Werfel (1890 – 1945) il quale viene considerato l’emblema di questo conservatorismo spirituale. La sua dignità democratica unita al suo cosmopolitismo, traspare in quasi tutte le sue opere, consegnandoci degli scritti che ci trasmettono pienamente il disorientamento dell’autore, incapace di reagire alla fine di un’epoca e parallelamente non in grado di analizzarla criticamente.
Fautore della rivista tedesca Der jüngste Tag (Il giorno del giudizio del 1913), insieme all’editore Kurt Wolff (1887 – 1963) e allo scrittore Max Brod (1884 – 1968), che si poneva come forum per nuove poesie, col tempo divenne uno dei più importanti luoghi di pubblicazione della letteratura espressionista.

Franz Werfel (1890-1945).

Esordì come lirico nell’ambito dell’espressionismo, con i volumi Der Weltfreund (L’amico del mondo del 1911), Wir sind (Noi siamo del 1913) in cui effonde l’umanitarismo e l’appassionata religiosità della sua natura, divisa fra sangue ebraico e aspirazioni cristiane.
Nonostante la sua indole votata al pacifismo, allo scoppio della Grande Guerra, si arruolò nell’Imperiale e regio esercito e fu inviato sul fronte orientale come scrittore dell’ufficio stampa austriaco. Alla costante ricerca di umanità e grazia, il suo percorso fu camaleontico e mutevole, poiché intraprese e con successo, diverse correnti: dal suo essere mistico e simbolista inquadrato in Bocksgesang (1922) e Schweiger (1923); passando successivamente all’ermetico Beschwörungen (Incantesimi del 1923); per leggerlo in chiave epica con Die vierzig Tage des Mussa Dagh (I quaranta giorni di Musa Dagh del 1933), dove viene narrata l’epopea armena nei confronti delle repressioni dei Giovani turchi; concludendo con il Werfel narratore fantascientifico Stern der Ungeborenen (La stella degli uomini futuri del 1946).

Franz Werfel in età giovanile nel 1909.

Nella sua crisi e metamorfosi, vi sarà anche il passaggio verso quella Vienna fin de siècle che per tutta la vita difese strenuamente come concetto sacro e ideale: critica implicita verso un presente tetro, che visse da esule per causa del nazismo. Del 1925 Juárez und Maximilian (Juárez e Massimiliano), narra le vicende dello sfortunato Imperatore messicano, fratello di Franz Joseph, tradito dal secondo Impero francese di Napoleone III.
In questo straordinario romanzo avviene la contrapposizione werfeliana tra il potere sovranazionale legato anche alla religione e il selvaggio istinto del nazionalismo.
Ferdinand Maximilian d’Asburgo Lorena si prestava come personaggio, per la sua indole di assoluta bontà e religiosità, ad interpretare il concetto – attraverso il quale la moralità eroica, legata a tragico resoconto, non mira a colpire gli avversari – dell’accettazione: una ricerca di amore mai trovata appieno dallo stesso autore.
Difatti, in quel caldo giorno del 1867, dalle ultime parole dell’Imperatore messicano si ascolta un congedo di gran classe in perfetto stile asburgico, che strideva non poco con quella ruvida cornice western: «Messicani! Gli uomini della mia classe e della mia razza sono creati da Dio per essere la gioia delle nazioni oppure i loro martiri. Perdono tutti. Prego che tutti possano perdonare me, e spero che il mio sangue che sta per essere versato, lo sia per il bene del paese. Viva il Messico! Viva l’Indipendenza»!
Werfel riesce a non far emergere il problema politico che la situazione poneva, ma rimanda tutto verso una traiettoria di religiosa tragedia e di candido olocausto .
Dal successo letterario arriverà anche quello cinematografico, del 1939 di William Dieterle, con il celebre Il conquistatore del Messico (Juarez) che vide protagonisti Paul Muni (Benito Juarez), Bette Davis (Carlotta del Belgio) e Brian Aherne (Massimiliano I del Messico).
Altra tematica importante l’affronta in Der Abituriententag (Anniversario dell’esame di maturità del 1928), dove un incontro di vecchi amici dell’Imperial-regio ginnasio di San Nicola, venticinque anni dopo il loro esame di licenza, risveglia memorie lontane nella mente del giudice istruttore, Consigliere di Corte d’Appello dottor Sebastian. Tra i volti ormai appesantiti dagli anni manca quello di Adler, l’artista, il più dotato, il solo a possedere il segreto della poesia. Mosso da quest’assenza, il protagonista riscrive un’antica vicenda giovanile dimenticata, simbolo dell’eterna crudeltà degli uomini verso gli eletti, quando li riconoscano come tali. Ispirandosi ai suoi ricordi personali, Franz Werfel rappresentò la mediocrità dei personaggi e la sorte di un’intera civiltà.

Monumento alla memoria di Franz Werfel in piazza Schiller presso Vienna (1998, granito e bronzo).

L’Austria imperiale vive ormai solo nei palazzi nobiliari trasformati in uffici o nella figura spettrale dell’ex ufficiale dell’esercito sconfitto che si aggira di notte per la città. Ma la celebrazione, questa volta, avviene da un talento troncato, che lo scrittore osserva come esemplare per una improbabile rinascita a tinte nere-oro.
Altro scritto fondamentale è Trauerhaus (Nella casa della gioia del 1926), dove l’unica istituzione imperiale che abbia conservato il suo splendore è il rinomato bordello della «casa della gioia», strumento per parafrasare la decadenza imperiale. Difatti all’interno del manufatto edilizio, si danno convegno militari, politici e personalità di spicco del mondo culturale cittadino, in un vivace e caotico salotto raffigurato più come etico punto d’incontro societario, che come mero luogo di visite erotiche. Il bordello si pone come baluardo della tradizione in cui Werfel dimostra il suo cattolicesimo pagano e contemporaneamente funge da specchio dell’impossibile conservazione degli Asburgo: difatti metaforicamente nel finale, la casa di piaceri chiude.
La visione dei personaggi della società viennese, verranno magistralmente descritti in Kleine Verhältnisse (Piccole proporzioni del 1931), dove si evince la compiacenza e la fede verso il sistema gerarchico piramidale dell’Impero.
Sua opera maggiore la ritroviamo in Aus der Dammerung einer Welt (Un mondo al crepuscolo, scritto a Locarno nel 1936 e tradotto in italiano “Nel crepuscolo di un mondo – storie borghesi nella Vecchia Austria”, dove l’esaltazione dell’Impero funge da deterrente verso le mire nazionalsocialiste austriache. L’aspetto mitologico presente nelle tre storie del tomo, viene rinnovato a nuova suggestione. Nei caratteri parossistici, dove nulla di negativo viene mostrato sulla Monarchia Duale, Werfel diviene autore essenziale per capire lo spirito del mito: carattere inter-nazionale, patria ideale della vita lieta e sicura, la serietà del funzionario pubblico, il gaudente edonismo. Tale analisi infatti è il vero focus sul concetto mitteleuropeo degli Asburgo; Werfel coerentemente con la propria origine ebraica e la propria formazione culturale, fa parte di quella nutrita schiera di intellettuali austriaci che nacquero dieci o vent’anni prima dello scoccare del secolo, cittadini dell’elefantiaco impero d’Austria-Ungheria. Essi dovettero fare dapprima i conti con l’alienazione umana, prodotta da una potente civiltà industriale e poi, già alla fine della prima guerra mondiale, si ritrovarono esuli e senza patria, non potendo più riconoscere in qualsiasi paese europeo quel supremo ordine sovranazionale e sovrapersonale su cui si reggeva la “Vecchia Austria”. Questo è ciò che il grande autore austriaco illustra magistralmente nel saggio introduttivo della raccolta sopra citata, dove rivivono idealizzati nel rimpianto nostalgico tipologie di ambienti, crisi d’anime e di coscienza di una borghesia alle prese con nuovi problemi esistenziali, in cui – venuto bruscamente meno il vecchio gioco delle parti, ciascuno si avvia verso quell’esilio da se stesso che costituisce la condizione tipica dell’uomo moderno.
L’idea propria del concetto dell’Impero Duale si può riassumere nella spiegazione filosofica espressa magistralmente nel prologo di tale opera, che riportiamo nella sua interezza e che non ha bisogno di ulteriore esegesi: «Anche l’idea dell’antica Austria, volle che l’uomo che l’abitava fosse trasformato e rifuso. Pretese da esso che non fosse soltanto un Tedesco, un Ruteno, un Polacco, ma qualcosa di più, qualcosa al di sopra. Sarebbe un’esagerazione chiamare questo sacrificio richiesto dall’idea un vero e proprio sacrificium nationis. Ma certo fu qualcosa di simile. Rinuncia ad una comoda affermazione di se stessi, rinuncia all’eccitante abbandono degli istinti del proprio sangue, rinuncia all’indomito bisogno di trionfo della propria stirpe. Solo chi compiva questa rinuncia, chi era deciso a questo sacrificio, poteva ottenere la consacrazione superiore dell’idea, veniva ricreato, si trasformava, da Tedesco o Ceco che era, nell’uomo nuovo, nell’Austriaco. La grande idea destinava quest’uomo ricreato, questo Austriaco, a divenire un maestro. Egli doveva diffondere la luce della propria umanità provata dal sacrificio, affinché tutti quelli che erano ancora giovani, ancora barbari, ancora legati alla terra, fossero illuminati e convertiti da questa luce. Questa destinazione […] si è conclusa col tramonto della vecchia Austria».
Il suo enorme successo di fertilissimo scrittore tradizionalista culmina in Das Lied von Bernadette (Il poema di Bernadette del 1941) e l’utopico Stern der Ungeborenen (La stella degli uomini futuri, postumo del 1946) ambientato in America. È anche autore di un romanzo su Giuseppe Verdi (1924), del quale egli rielaborò alcuni libretti d’opera: il suo romanzo verdiano non solo diede impulso alla sua carriera, ma inaugurò anche un vero e proprio rinascimento verdiano. Un contrappeso alla passione wagneriana dei tedeschi, alla quale crede anche la sua stessa moglie Alma Margaretha Maria Schindler (1879 – 1964). Non è l’unica questione su cui le opinioni dei due differiscono. Werfel, ebreo, deve fuggire dai nazisti – Alma arriva, anche se con riluttanza: “Ora dovrò fare un’escursione fino alla fine del mondo con un popolo che mi è estraneo”. Non c’è da stupirsi che Werfel, arrivato successivamente in California, dove è un autore molto rispettato, si ritiri spesso nella sua casa estiva a Santa Barbara mentre Alma tiene corte a Beverly Hills. È solo la sua malattia cardiaca a riavvicinare i due. Come se fosse una ripetizione della storia tra lei e Gustav Mahler: alla fine riuniti. Sarà anche lei a ritrovarlo. “Sono entrato nel suo laboratorio, nessun suono. Ho chiamato, nessuna risposta. Mi sono precipitata in avanti: Franz era sdraiato sul pavimento davanti alla sua scrivania, con un viso calmo, sorridente e rilassato e le mani morbide.
Werfel, studiato fino ad oggi solo nell’ambito della letteratura mitteleuropea, oggi viene riscoperto con grande interesse ad oltre un secolo di distanza.

La moglie Alma Mahler-Werfel e lo stesso Franz Werfel: “Bruno Walter suonava l’organo, Lotte Lehmann cantava. Ho fatto seppellire Werfel così: in smoking, con una nuova camicia di seta bianca, con gli occhiali nel taschino della giacca, una camicia di seta di ricambio e diversi fazzoletti nella bara.” Così Alma Mahler-Werfel ricorda nella sua autobiografia il funerale del suo terzo marito. A Franz Werfel sarebbe piaciuta l’atmosfera, soprattutto l’ambientazione musicale. “Questa è anche una delle contraddizioni della personalità del poeta”, giudicherà Marcel Reich-Ranicki decenni dopo: “La sua inclinazione più profonda non era per la letteratura, ma per la musica”.

 

Per approfondimenti:
_Werfel F., Nel crepuscolo di un mondo – storie borghesi nella Vecchia Austria, Mondadori, Milano, 1942;
_Werfel F., Nella casa della gioia, Guanda, 1993;
_Magris C., Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna, Einaudi, Torino, 2009;
_Werfel F., Anniversario dell’esame di maturità, Guanda, 2017.

 

 

 

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