15 Dic Stauffenberg: “lunga vita alla Sacra Germania”!
di Jessica A. Liliane Tami e G. Baiocchi del 25-04-2023
Ricorda così l’ufficiale di Stato Maggiore, il conte Ulich de Maiziere (1912 – 2006): «per Stauffenberg deve essere stata una decisione molto difficile, poiché era un uomo profondamente religioso e inoltre sapeva che nell’attentato oltre ad Hitler sarebbero morti anche tutti quelli che erano con lui in quella stanza». La morte di un uomo, per evitare la morte di milioni, per abbattere il tiranno, per liberare la Germania dalla dittatura nazista, per porre fine alla guerra. Ma c’è un dilemma di fronte al quale l’attentatore è solo, solo di fronte alla sua coscienza: quando per un cristiano è lecito uccidere? Non c’è una risposta, neanche nei dieci comandamenti, il quinto afferma “non uccidere” neppure il tiranno, senza eccezioni.
L’arma per uccidere consisteva in due chili di esplosivo. Stauffenberg è un mutilato, un grande invalido di guerra, ma nella resistenza tedesca contro Hitler, nessuno è determinato quanto lui. Philipp von Boeselager, uno dei congiunti del 20 luglio del 44 ricorda come ammirava molto Stauffenberg: «aveva solo tre dita, ma era deciso a compiere un attentato per il quale aveva un impedimento fisico e nessuno era più indicato di lui. Non poteva togliere le sicure alle bombe, non era in grado di attivare l’innesco e così via, eppure era l’unico ad avere sufficiente coraggio e la possibilità di avvicinare Hitler, tutti gli altri non avevano così tanto fegato, oppure erano nazisti convinti». La bomba, nascosta in una borsa porta documenti deve esplodere durante una riunione dell’Alto Comando Strategico. Così il 20 luglio del 1944 a Rastenburg (oggi Ketrzyn) nella Polonia occupata, nella famosa Tana del lupo (Wolfsschanze), oggi completamente abbandonata, Stauffenberg deve riuscire laddove altri hanno fallito, poiché i precedenti attentati al Führer sono andati falliti. Il dittatore sembra irraggiungibile e soprattutto invulnerabile.
Secondo lo storico Matthew Fforde, Hitler aveva l’abitudine di cambiare continuamente le date dei suoi incontri e questo fatto l’aveva salvato in diverse occasioni di attentato. Tale “fortuna del diavolo” aveva addirittura dato convinzione ad Hitler, di essere “protetto” dalla provvidenza, anche se essendo ateo, nonché anti-cristiano, aveva una concezione molto “particolare” della provvidenza.
Il Führer nella sua residenza bavarese di Berchtesgaden sembra vivere in un mondo irreale: a vigilare sulla sua incolumità sono una scorta speciale delle Leibstandarte Schutzstaffel (SS), (le SS-Begleitkommando des Führers), le quali hanno l’unico compito di proteggerlo.
Ricorda Kurt Larson una delle guardie del corpo di Hitler: «eravamo responsabili dell’incolumità del Führer, controllavamo la zona più vicina fino a 50, 100 metri, soprattutto quando si trovava in grandi spazi o nelle piazze, in quei casi però c’erano anche molti agenti in borghese».
Avvicinarsi ad Hitler ed eliminarlo, è questo l’addestramento che viene impartito, nel segreto più assoluto, negli altipiani delle Highlands scozzesi ad un’unità speciale dei servizi segreti britannici. L’operazione Foxley dal giugno del 1944 prepara degli agenti per l’attentato e il piano prevede anche la partecipazione di alcune donne. I ricognitori inglesi hanno deciso che il luogo migliore per agire è la residenza privata del tedesco, il Berghof: gli agenti progettano di contaminare l’acqua potabile e di cospargere i vestiti del dittatore di sostanze velenose. Ad Obersalzberg, durante la sua passeggiata quotidiana, Hitler diventa un bersaglio facile, ma i tiratori scelti non entreranno mai in azione, poiché non solo risultò impossibile far entrare un uomo armato all’interno della zona di sicurezza, che veniva predisposta intorno al fiume; ma il comando britannico ritenne che oramai, a quel punto della guerra, Hitler sarebbe servito più da vivo che da morto, poiché se lo avessero ucciso, gli alleati avrebbero perso il vantaggio degli errori strategici che Hitler, dal 1943 in avanti, iniziava a commettere, imponendoli ai generali.
Intanto, vicino Salisburgo, in Austria, presso il Castello di Klessheim avviene la presentazione di nuove uniformi ed armi, da parte di alcuni progettisti militari, al dittatore tedesco: è il 7 luglio del 1944. Uno degli alti ufficiali si comporta in un modo inconsueto, è il Generale di Brigata Hellmuth Stieff (1901 – 44) e sta progettando un attentato a Hitler: nel suo zaino è contenuta una bomba, ma al momento dell’attentato il generale non ha il coraggio di concludere l’atto e di lì a 14 giorni verrà arrestato.
Uccidere Hitler: ad alcuni manca la determinazione, ad altri l’occasione propizia o la lucidità per capire che è necessario porre fine al massacro, che nel 1944 la guerra è irrimediabilmente perduta. Determinazione e possibilità di avvicinare Hitler, Stauffenberg le possiede entrambe.
Ancora von Boeselager ricorda: «Stauffenberg che era un brillante ufficiale dello Stato Maggiore, era certamente consapevole del fatto, peraltro evidente, che dal punto di vista militare Hitler avrebbe condotto la Germania alla rovina. Era ovvio che, una volta persa la guerra, la Germania sarebbe stata annientata, era chiaro fin dall’inizio; e poi Stauffenberg era anche a conoscenza dei crimini nazisti e come chiunque avesse una coscienza non poteva da un punto di vista morale, far finta di niente, sentiva l’obbligo morale di cercare di porre fine alla dittatura nazista. Chiunque fosse a conoscenza dell’esistenza dei campi di concentramento avrebbe dovuto lottare per far cadere quel regime scellerato».
Il conte infatti non era il tipico “sicario”, ma proveniva da una famiglia aristocratica cattolica bavarese, poi diviene ufficiale avendo una carriera militare florida; non ha un temperamento violento, inoltre dopo la campagna africana è invalido, perdendo un occhio e una mano. Dunque non si tratta di un profilo addestrato per un attentato, ma è fuori dubbio un uomo d’azione e con grande capacità organizzativa e crede fortemente che i dettami della coscienza debbano prevalere sul giuramento di fedeltà a Hitler.
Ma la strada che ha condotto von Stauffenberg fino all’attentato è lunga e difficile.
Il giovane ufficiale partecipa, nel 1940, alla campagna contro la Francia con grande euforia e scrive alla moglie Lydia a maggio: «è una avanzata incredibile, una vera e propria invasione, una marcia inarrestabile che i francesi non hanno nemmeno provato a contrastare, a migliaia si arrendono e quando non si sentono sorvegliati scappano, ognuno di loro porta a cuore unicamente la propria sorte: stiamo assistendo allo sconvolgente inizio del crollo di una grande nazione, una disfatta non solo militare, ma soprattutto psicologica». La vittoria fulminea della Francia fa esultare il popolo tedesco: la prima guerra mondiale è stata vendicata. Stauffenberg dirà: «Hitler ha compiuto un unico errore: Dunkerque, li stanno convergendo le truppe britanniche, un errore che certamente il Führer non ripeterà (…) quell’uomo ha fiuto per le cose militari, a differenza dei suoi generali, aveva capito che la linea Maginot doveva essere travolta». Un “piccolo borghese”, così una volta lo aveva definito, ma ora di lui dice: «il padre di questo uomo non era un piccolo borghese, il padre di questo uomo è la guerra».
In Unione Sovietica, il giovane ufficiale sperimenta quanto sia criminale la guerra di Hitler, ma malgrado ciò continua a fare il suo dovere servendo la Patria, come hanno fatto i suoi antenati, poiché nelle sue scelte contava anzitutto l’educazione di famiglia e la coscienza del servitore dello Stato: questi due elementi hanno orientato le sue decisioni professionali; chi proveniva da una famiglia nobile o da una famiglia di funzionari, diventava poi un servitore dello Stato: un concetto all’epoca molto sentito.
Stauffenberg si considera il rampollo di una antichissima e nobile stirpe, gli Schenk von Stauffenberg: da sei secoli nel Duomo di Bamberga è costudita la statua di un principe svevo, il cavaliere di Bamberga (Bamberger Reiter), simbolo di dedizione al Sovrano e per il nostro protagonista la dedizione diventa uno stile di vita. Lui stesso si considera un personaggio storico, un autentico aristocratico, scelto per assumere una grande responsabilità verso il proprio casato e la propria terra. Cos’è dunque che lo indurrà a non seguire più il suo Sovrano, come esige la tradizione di famiglia? Claus viene educato in Svevia e qui viene iniziato al mondo della musica, della poesia e dell’arte: un mondo che continuerà ad affascinarlo anche quando sarà un militare di carriera. Così lo ricorda suo nipote Otto Philipp Schenk von Stauffenberg: «fece un’ottima carriera e uscì con il massimo dei voti dalla scuola militare e a 36 anni era il colonnello più giovane dell’esercito, ma di certo non era il tipico militare, poiché aveva tanti altri interessi, un orizzonte di vedute estremamente ampio; ad esempio era dotato di una sensibilità musicale davvero straordinaria».
Coraggioso, brillante, nobile, il giovane colonnello tedesco pensa di essere un prescelto. Nella sua città natale in Svevia si appassiona al mondo ideale di un poeta che canta la nascita di un nuovo uomo tedesco: quel poeta è Stefan Anton George (1868 – 1933) e Claus lo chiama “il mio maestro”. George definisce Stauffenberg un giovane regale, un vero e proprio ragazzo prodigio e saranno per il Nostro, gli anni dell’entusiasmo e della passione. Spesso si rifugia in un luogo segreto, nelle alture del Giura di Svevia per riflettere sui versi di George e ritiene che nella Germania segreta, si nasconda un genio creatore che egli ha il compito di risvegliare.. un genio che proviene dall’antica Grecia, poiché l’uomo tedesco è diventato (o forse lo è sempre stato) il suo erede.
Molti mesi prima della catastrofe di Stalingrado, Stauffenberg è pronto a portare a termine il progetto «un cambiamento radicale sarà possibile solo con l’eliminazione di Hitler ed io sono pronto a farlo». Così il 26 gennaio del 1943 si reca da Fritz Erich G. E. von Manstein (1887 – 1973) il miglior generale di Hitler, il quale potrebbe portare la Wehrmacht dalla parte della resistenza. I due uomini sono uno di fronte all’altro, il colloquio è riservato, ma sincero e alla fine Stauffenberg non otterrà l’appoggio tanto agognato: è deluso, von Manstein non vuole un suo coinvolgimento e spiga le sue motivazioni, asserendo al Colonnello come un Comandante che occupava una così grande posizione di responsabilità, non poteva in alcun modo intimare alle sue truppe di disobbedire agli ordini, perché questo avrebbe inevitabilmente portato alla disfatta del fronte e poiché i tempi non sono maturi, neanche il popolo è pronto.
I generali dello Stato Maggiore dunque, erano perfettamente consapevoli della situazione, ma erano pochi quelli pronti all’azione. Famoso il detto “i Feldmarescialli prussiani non si ribellano”.
Corre il primo Gennaio 1943 e Stauffenberg viene promosso Tenente-Colonnello e trasferito come ufficiale di Stato Maggiore alla Divisione Panzer che combatte sul fronte libico. Il suo nuovo comandante è Johannes Erwin E. Rommel (1891 – 1944) una leggenda vivente e rappresenta anche una fonte di speranza per la resistenza, ma per Claus l’avventura militare in Africa durerà solo pochi mesi: 7 aprile 1943 un attacco aereo britannico a bassa quota lo ferisce in maniera seria mutilandolo. Così ricorda Klaus Burk, sottotenente del 10° Panzer Divisien «d’un tratto vedemmo l’auto di Stauffenberg crivellata di colpi, lui non c’era più, non si vedeva più nessuno; il rottame era in mezzo al deserto in una distesa pianeggiante e abbiamo proseguito fino al centro di comando tattico, dove era stabilito che ci saremmo incontrati e lì seppi che Stauffenberg era rimasto gravemente ferito e che era stato portato all’ospedale militare». Dunque l’incidente parrebbe essere la fine di tutti i suoi progetti, di tutte le sue speranze? Gli viene amputata la mano destra, ha perso l’occhio sinistro e gli restano solo tre dita alla mano sinistra, ma incredibilmente vuole andare avanti lo stesso, uscire dall’ospedale militare e uccidere Hitler. Invalido, ma più ostinato di prima: tornato in famiglia affronta prima una rapida convalescenza e poi la guarigione e sempre più spesso dichiara che bisogna “salvare la Germania” e che come ufficiale dello Stato Maggiore è ancora corresponsabile di quello che accade. Le prospettive belliche tedesche oramai sono ben poche relative ad una vittoria: lo scacchiere africano è perso, è iniziata la ritirata di Russia, sono anche iniziati i bombardamenti sulle città tedesche e soprattutto un secondo fronte si è aperto con lo sbarco in Normandia da parte degli americani ed inglesi.
Certamente è lecito pensare che se Hitler fosse stato ucciso, rimanevano tutti gli altri uomini del regime: Hermann W. Göring, Heinrich L. Himmler, P. Joseph Goebbels, Alfred E. Rosenberg e gli altri elementi di spicco, senza contare le Waffen SS, la Gestapo, i Gauleiter – insomma il regime nazista nell’estate del 44 è ancora ben saldo. Sicuramente il nazismo sarebbe proseguito con un altro leader. Questo problema viene posto tra gli ufficiali militari della resistenza ed è per questo che l’eventuale attentato avrebbe dovuto colpire tutti i gerarchi in un solo colpo: un’operazione difficilissima.
Ai primi significativi dissensi al regime hitleriano in ambito militare si andarono ad affiancare altri di tipo religioso, quali quelli del cardinale Clemens August von Galen e del vescovo Theophil Wurm, che protestarono contro l’attuazione del cosiddetto programma eutanasia. Anche alcuni movimenti, quali l’Orchestra Rossa e la Rosa Bianca, iniziarono sommessamente a manifestarsi nel 1938, quando gruppi dell’Abwehr e dello Heer cominciarono a pianificare un rovesciamento del regime di Hitler; i primi che ipotizzarono tale opzione furono i generali Hans Oster e Ludwig Beck ed il feldmaresciallo Erwin von Witzleben, che stabilirono in seguito contatti con numerose autorità politiche, come Carl Goerdeler e il conte Helmuth James von Moltke.
Ma i militari non sono gli unici ad attuare una resistenza contro Hitler; nel 1940 a Kreisau nella Slesia un gruppo di civili di estrazione sociale molto diversa si riunisce per discutere sul futuro della Germania. Sono avvocati, religiosi, sindacalisti, politici socialdemocratici e anche aristocratici. I loro nomi: il conte Helmuth James von Moltke (1907 – 45), il conte Peter Yorck von Wartenburg (1904 – 44), Adam von Trott zu Solz (1909 – 44), il filosofo ed eroe di guerra Ernst Jünger (1895 – 1998), Julius Leber (1891 – 1945), Carl Friedrich Goerdeler (1884 – 1945), il gesuita Alfred Delp (1907 – 45), Adolf Reichwein (1898 – 1944), Hans Bernd von Haeften (1905 – 44), Nikolaus-Christoph von Halem (1905 – 44). Saranno i membri del circolo Kreisau, completamente annientato tra l’anno del 1944 e quello del 1945. Erano alleati contro la dittatura e contro i crimini dei nazisti, ma non erano legati da una comune fede politica. Volevano far rinascere la democrazia e lo stato di diritto in Germania, dove la dignità dell’uomo fosse rispettata senza differenza di razze. Il circolo cercò di accreditarsi presso gli Alleati, affinché questi appoggino il loro temerario progetto, ma il circolo non verrà preso mai in seria considerazione dagli inglesi. Gli Alleati non volevano far capire all’opinione pubblica che anche all’interno della Germania, c’era una buona Germania, una coalizione che poteva e doveva essere rispettata, se non lodata.
Altra resistenza tedesca al partito avvenne con i membri intellettuali della “Rosa bianca”. All’inizio dell’estate del 1942, Hans Scholl e Alexander Schmorell formarono un gruppo di studenti dell’Università di Monaco che volevano eludere la cooptazione nazista e mantenere la loro indipendenza intellettuale. Includono Sophie Scholl, Christoph Probst e Willi Graf. Sono formati dal loro professore universitario Kurt Huber, con il quale discutono questioni fondamentali della riorganizzazione politica. Nell’estate del 1942, i primi volantini della Rosa Bianca invitavano alla resistenza contro la dittatura criminale. Seguono altri due volantini nell’inverno 1942/43. Gli studenti cercano anche di stabilire contatti in altre città. A Ulm, attorno a Hans Hirzel si formò un gruppo di studenti che rimase in contatto con Hans e Sophie Scholl. Il 18 febbraio 1943, Hans e Sophie Scholl pubblicarono il sesto volantino all’Università di Monaco e furono arrestati durante il processo. I fratelli Scholl e Christoph Probst furono condannati a morte il 22 febbraio 1943 e assassinati lo stesso giorno. Nell’aprile 1943, il “Tribunale del popolo” condannò a morte Alexander Schmorell, Willi Graf e Kurt Huber e altri aiutanti e complici, inclusi membri del gruppo di Ulm, a lunghe pene detentive. Nel 1942 si formò anche ad Amburgo un gruppo che ebbe contatti con gli studenti di Monaco tramite Traute Lafrenz e Hans Leipelt. Nell’autunno del 1943, la Gestapo scoprì le attività di questo gruppo di Amburgo e arrestò più di 20 persone. Negli anni che seguirono, altri dieci oppositori del regime associati ai rami di Monaco e Amburgo della Rosa Bianca furono assassinati o portati alla morte.
Continua l’eccidio degli ebrei e per la resistenza tedesca, la vergogna di non aver fatto nulla, diventa peggiore del disonore per un attentato fallito. Bisogna costruire dalle ceneri del nazismo una nuova Germania, ma nella resistenza non c’è accordo su come bisogna procedere. Una sorta di costituzione destinata non solo all’opinione pubblica, ma solo ad una cerchia ristretta di persone: una costituzione che quasi esprime un’ultima volontà per un’altra Germania. Obbedienza, silenzio e fedeltà sono i cardini di tale ordine di pensiero in cui il futuro della Germania è visto sull’ispirazione e nel segno della tradizione di Goethe, Schiller, Hölderlin, Beethoven, non di Hitler. A questo progetto è giusto sacrificare molto di più della vita. Nascosto nel complesso della Wolfsschanze, la “tana del lupo”, Hitler si appresta alla sua ennesima riunione ed è qui che Stauffenberg si appresta ad ucciderlo insieme a tutti gli altri gerarchi, tra cui vi è anche Benito Mussolini, nuovo Capo di Stato dell’auto-proclamatosi Repubblica di Salò.
Il mattino del 20 luglio 1944 von Stauffenberg si recò nuovamente alla Wolfsschanze, dove era stato convocato allo scopo di riferire sulle divisioni che la milizia territoriale stava creando in previsione dell’avanzata sovietica e avrebbe dovuto presentare il suo rapporto ad Hitler durante la riunione quotidiana che questi teneva insieme al suo stato maggiore. In compagnia del colonnello vi erano il tenente Werner von Haeften e il generale Hellmuth Stieff; sia von Stauffenberg che von Haeften portavano una bomba nelle rispettive borse; ognuno dei due ordigni, preparati da Wessel Freytag von Loringhoven, era composto da circa un chilogrammo di esplosivo al plastico, avvolto in una carta di colore marrone; questi avrebbero dovuto essere innescati a tempo, attraverso un detonatore formato da una sottile molla di rame che sarebbe stata progressivamente corrosa da un acido.
Una volta giunto a Rastenburg, von Haeften ordinò al pilota di tenersi pronto a ripartire per la capitale da mezzogiorno in avanti e, lasciato l’aeroporto, i tre si diressero in automobile alla Wolfsschanze; il dispositivo di sorveglianza del quartier generale di Hitler era formato da tre anelli, difesi da campi minati, casematte e barriere di filo spinato, superabili attraverso tre posti di blocco; ogni ufficiale aveva a disposizione un lasciapassare, valido una sola volta, e tutti dovevano essere soggetti alla perquisizione da parte di un ufficiale delle SS; i due cospiratori, convocati personalmente da Hitler, riuscirono facilmente a oltrepassare il dispositivo, presentandosi all’interno della “tana del lupo” intorno alle ore 11.00.
La riunione in cui avrebbe dovuto essere presente il Führer era in programma per le 13.00 e i due ufficiali, dopo una breve colazione, si recarono dal generale Fellgiebel che, insieme al generale Stieff, avrebbe dovuto trasmettere la notizia della morte di Hitler e quindi bloccare qualunque comunicazione verso l’esterno, per dare tempo ai cospiratori di avviare l’operazione Valchiria. Poco dopo le ore 12:00, insieme ai generali Walther Buhle ed Henning von Thadden, von Stauffenberg si recò dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel per sottoporgli il contenuto della sua relazione e, dopo averne ottenuto l’approvazione, venne informato dell’anticipo della riunione alle 12.30 a causa dell’arrivo di Benito Mussolini, che sarebbe giunto in visita nel pomeriggio.
Mentre von Stauffenberg stava percorrendo a piedi i circa 300 metri che lo separavano dall’automobile, guidata dal tenente Erich Kretz, che lo attendeva, il generale Heusinger stava terminando la sua relazione e la sua frase «Se non facciamo ritirare immediatamente il nostro gruppo di armate che si trova accanto al lago Peipus, una catastrofe…» fu interrotta dall’esplosione che avvenne alle 12.42. Il colonnello, insieme al tenente von Haeften, salì in macchina e ordinò all’autista di partire; egli ritenne che l’attentato fosse riuscito ma, nella confusione e nella fretta, non era riuscito a vedere nulla di quanto fosse realmente accaduto, mentre il generale Fellgiebel vide un uomo barcollante uscire dall’edificio distrutto, appoggiato al braccio di Keitel; quell’uomo era Adolf Hitler, sopravvissuto quasi incolume all’attentato, riportando infatti solo alcune bruciature alla gambe e la perforazione del timpano destro. Lo scoppio della bomba aveva invece ferito a morte tre ufficiali, tra cui il colonnello Brandt, e lo stenografo. A testimonianza del suo medico Erwin Giesing, Hitler accusò un costante dolore all’orecchio destro, con sporadiche e copiose uscite di sangue dallo stesso. Tuttavia le lesioni ai timpani avrebbero potuto essergli fatali: uscendo dalla sala riunioni qualcuno aveva voluto pulirgli le orecchie con dell’acqua, ma all’ultimo momento gli era stato impedito di farlo; consultato in seguito per una cura, il professor Carl Otto von Eicken, stimato otorinolaringoiatra dell’ospedale della Charité di Berlino, aveva spiegato a Hitler che introdurre acqua, per di più sporca, non sterile, nei canali uditivi avrebbe sicuramente causato la sua morte.
L’allarme generale non scattò subito perché le mine nella foresta erano spesso innescate dai cervi. Alle 12:44 von Stauffenberg uscì dalla tana del lupo telefonando a un conoscente, ritenuto membro della cospirazione, il capitano di cavalleria della riserva Leonhard von Möllendorf, con cui aveva fatto colazione, per convincere il sottufficiale di guardia, il sergente Kolbe della Führer-Begleit-Division, a lasciarlo passare al posto di controllo esterno e a recarsi all’aeroporto. Durante il tragitto von Haeften riuscì a liberarsi della seconda bomba, che fu in seguito ritrovata dalla Gestapo, ed entrambi s’imbarcarono sull’aereo messogli a disposizione dal generale Eduard Wagner per fare ritorno a Berlino.
Dopo l’esplosione, da Rastenburg il generale Fellgiebel doveva informare Berlino dell’accaduto, ma i segnali a sua disposizione erano solo due, ossia quello di avvio dell’operazione Valchiria e quello di arresto; non era stata presa in considerazione l’ipotesi che la bomba scoppiasse dando quindi avvio al colpo di Stato, ma che Hitler potesse comunque sopravvivere all’attentato. Nell’impossibilità di contattare von Stauffenberg, le comunicazioni con l’ufficio del generale Olbricht furono confuse e il generale, per non compromettere definitivamente il colonnello, parlando con il generale Fritz Thiele disse semplicemente «è successa una cosa terribile, il Führer è vivo». La confusione delle informazioni fu tale che la milizia territoriale non venne messa in movimento fino all’arrivo a Berlino di von Stauffenberg.
Questi diede il via al piano, comunicando a tutti i distretti la morte del Führer, nonostante il rifiuto del generale Fromm a collaborare. Fromm infatti aveva parlato personalmente con il feldmaresciallo Keitel, il quale gli aveva riferito che il Führer era vivo e che aveva ripreso il controllo della situazione.
Nonostante il ritardo nell’avvio delle operazioni, riprese solo alle 16.00, furono diramate per radio le nomine per il nuovo regime, ma queste comunicazioni iniziarono a essere smentite dai messaggi provenienti da Rastenburg: la lentezza e le esitazioni nell’attuazione delle operazioni, unite al fallimento dell’attentato, furono fatali ai cospiratori.
Verso le 18.00 il comandante del III gruppo della difesa, generale Joachim von Kortzfleisch, fu convocato al Bendlerblock, ma si rifiutò di obbedire agli ordini di Olbricht, sostenendo che il Führer non era morto. Venne così arrestato e tenuto sotto sorveglianza e al suo posto venne nominato il generale Karl Freiherr von Thüngen, che tuttavia non fu in grado di mobilitare le sue truppe. Il generale Fritz Lindemann, che avrebbe dovuto leggere alla radio un proclama al popolo tedesco, non si presentò, né la radio né il quartier generale della Gestapo vennero occupati, e alle 18.45 la radio tedesca iniziò a diffondere ripetutamente un messaggio che spiegava che il Führer era stato oggetto di un attentato che l’aveva però lasciato illeso e che era in atto un colpo di stato.
Inutilmente von Stauffenberg cercò di smentire la notizia; a Praga e Vienna i comandanti territoriali che avevano iniziato ad arrestare le SS liberarono i prigionieri, ristabilendo l’ordine. Alle 19:00 circa Hitler effettuò diverse telefonate, mentre il ministro della propaganda Joseph Goebbels si attivò per smentire la notizia della sua morte. Il maggiore Otto Ernst Remer, che si era presentato per arrestare lo stesso Goebbels, dallo stesso ministro fu messo in contatto con Hitler, che lo rassicurò sulle sue condizioni, lo promosse colonnello e gli ordinò di fermare il colpo di stato e arrestare i cospiratori.
Remer, prima di assolvere il suo compito, ricevette la notizia che un’unità corazzata, allertata dai cospiratori, si era radunata nella Fehrbelliner Platz. Remer si mise immediatamente in contatto con questi e, nonostante l’autorità di comando su tutte le forze armate disponibili nella capitale che Hitler gli aveva conferito, ricevette risposta che l’unità avrebbe obbedito solo agli ordini di Heinz Guderian. L’eventuale intervento di un’unità corazzata avrebbe messo i cospiratori in una condizione di vantaggio rispetto ai reparti della divisione Großdeutschland che lui comandava; tuttavia la situazione venne risolta dal tenente colonnello Gehrke, che convinse gli equipaggi dei panzer della stabilità della situazione, richiamando la loro fedeltà al Führer.
Il colonnello Remer ordinò alle sue truppe di circondare ed isolare il Bendlerblock, senza entrare nell’edificio. Alle ore 20:00 Witzleben arrivò al Bendlerblock, dove discusse con Stauffenberg che insisteva ancora sul proseguimento del colpo di stato. Nello stesso momento, il sequestro del governo di Parigi venne interrotto quando il feldmaresciallo Günther von Kluge venne a sapere che Hitler era vivo. Alle 20.30 il feldmaresciallo Keitel diffuse un messaggio in cui si affermava che Heinrich Himmler era stato nominato comandante dell’esercito territoriale al posto di Fromm e che da quel momento si sarebbe dovuto obbedire solo agli ordini che provenivano da lui. Alle 22.30, dopo una breve sparatoria all’interno del Bendlerblock, i principali congiurati vennero arrestati dal generale Fromm. Poco dopo la mezzanotte del 21 luglio, il colonnello Claus von Stauffenberg, il generale Friedrich Olbricht, il colonnello Albrecht Mertz von Quirnheim ed il tenente Werner von Haeften, su ordine del generale Fromm, vennero arrestati e fucilati nel cortile del Bendlerblock. Pochi minuti dopo lo Standartenführer Otto Skorzeny arrivò con una squadra di SS e, dopo aver vietato altre esecuzioni, arrestò i congiurati rimasti e li consegnò alla Gestapo, che immediatamente si attivò per scoprire tutte le persone coinvolte nell’attentato.
Remer, prima di assolvere il suo compito, ricevette la notizia che un’unità corazzata, allertata dai cospiratori, si era radunata nella Fehrbelliner Platz. Remer si mise immediatamente in contatto con questi e, nonostante l’autorità di comando su tutte le forze armate disponibili nella capitale che Hitler gli aveva conferito, ricevette risposta che l’unità avrebbe obbedito solo agli ordini di Heinz Guderian. L’eventuale intervento di un’unità corazzata avrebbe messo i cospiratori in una condizione di vantaggio rispetto ai reparti della divisione Großdeutschland che lui comandava; tuttavia la situazione venne risolta dal tenente colonnello Gehrke, che convinse gli equipaggi dei panzer della stabilità della situazione, richiamando la loro fedeltà al Führer.
Pochissimi riuscirono a sfuggire al Tribunale del Popolo: von Stauffenberg fu arrestato e fucilato alla schiena, assieme al conte Claus Schenk von Stauffenberg, il suo aiutante Werner von Haeften, al cavalier Albrecht Mertz von Quirnheim e Friedrich Olbricht nella stessa notte del 20 luglio 1944, nel cortile del Bendlerblock, sede del Comando Supremo dell’Esercito, a Berlino. Prima che la raffica lo falciasse ebbe il tempo di gridare al plotone di esecuzione: «Lunga vita alla nostra sacra Germania»!
Successivamente le ceneri dei congiurati furono sparse nelle fogne cittadine su ordine di Hitler affinché «i resti dei traditori non contaminassero il suolo tedesco».
Su ordine del Führer tutti i membri delle famiglie dei colpevoli dovevano essere eliminati. Questo portò anche all’arresto, alla deportazione e uccisione di molti innocenti, che avevano la disgrazia di condividere il nome, anche senza essere parenti, dei congiurati. Per quanto riguarda la famiglia Stauffenberg, il fratello maggiore, Berthold, fu giustiziato. La moglie di Stauffenberg, Nina, e i suoi quattro figli (la donna era incinta della quinta figlia, Konstanze, che sarebbe nata il 17 gennaio 1945, a Francoforte sull’Oder, durante la prigionia), furono arrestati dalle SS. I quattro figli furono messi sotto falso nome in un orfanotrofio in Bassa Sassonia. Successivamente e fino alla fine della guerra Nina venne tenuta prigioniera per futuri scambi presso il lago di Braies in provincia di Bolzano. Liberati dall’arrivo delle truppe alleate, tutti i membri della famiglia poterono finalmente riunirsi dopo la fine della guerra. Nina è morta il 2 aprile 2006.
Appena un mese dopo, il 19 agosto, altre vittime di rilievo le troviamo nel feldmaresciallo von Kluge ed i generali Wagner e von Tresckow, che si suicidarono; quest’ultimo prima della sua morte disse a Fabian von Schlabrendorff: «Il mondo intero ora ci diffamerà, ma io sono ancora del tutto convinto che abbiamo fatto la cosa giusta. Hitler è l’acerrimo nemico non solo della Germania, ma del mondo intero». Durante un interrogatorio, Karl-Heinrich von Stülpnagel fece il nome del feldmaresciallo Erwin Rommel; pochi giorni dopo, il consigliere personale di Stülpnagel, Cesare von Hofacker ammise sotto tortura che Rommel era un membro attivo della cospirazione e, nonostante non vi fosse stata alcuna partecipazione diretta da parte sua, il feldmaresciallo fu costretto a togliersi la vita il 14 ottobre 1944.
Altri congiurati, tra cui l’ammiraglio Wilhelm Canaris, ex capo dell’Abwehr, e il generale Hans Oster, furono arrestati e giustiziati il 9 aprile 1945 nel campo di concentramento di Flossenbürg..
Oggi a Berlino, nella prigione di Plötzensee dove furono eseguite le sentenze di morte, c’è un museo commemorativo per le vittime del processo.
A distanza di tanti anni, un anziano Jünger, unico scampato (per volontà di Hitler) al processo successivo all’attentato, ricorderà il valore di una Germania diversa, una Germania non nazista e che ha dato la vita per tentare quel colpo di mano che avrebbe consentito al paese di avere un immediato futuro diverso e salvare molte vite: «esistono situazioni nelle quali non bisogna badare al successo, anche se con questo ci si mette naturalmente fuori del terreno politico. Fu il loro caso: vinsero moralmente, dove storicamente naufragarono. Il loro coraggio, il loro sacrificio, non furono il coraggio e il sacrificio che s’incontrano sul campo di battaglia, ma di natura superiore; non tali da essere coronati dalla vittoria, ma dalla poesia».
Nel dopoguerra, a Berlino, la Bendlerstrasse fu ribattezzata Stauffenbergstrasse. Vi è stato eretto un monumento alla Resistenza tedesca e nelle vicinanze un museo, aperto nel 1994, onora tutti i partecipanti al “complotto del 20 luglio”, insieme ad altri oppositori al nazismo.
Per approfondimenti:
_Ian Kershaw, Operazione Valchiria, Bompiani, 2016;
_Enzo Biagi, La seconda guerra mondiale – Parlano i protagonisti, Rizzoli, 1992;
_Enzo Biagi, La seconda guerra mondiale, sesto volume, Fabbri Editori, 1995;
_David Fraser, Rommel – l’ambiguità di un soldato, Mondadori, 1993;
_Daniel Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler, Mondadori, 1997;
_Peter Hoffmann, Tedeschi contro il nazismo, il Mulino, 1994;
_Ian Kershaw, Hitler. 1936-1945, Bompiani, 2001;
_Salmaggi e Pallavisini, La seconda guerra mondiale, Mondadori, 1989.
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