
08 Gen Il Kenya e l’epopea dell’Africa bianca: welcome to paradise
di Giuseppe Baiocchi del 09-01-2022
Correva l’anno del 1º luglio 1895, quando fu ufficialmente proclamato il protettorato dell’Africa Orientale Britannica, da cui nacque pochi anni dopo (1902) la prima Costituzione. Il tutto era servito principalmente per contrastare l’espansionismo alemanno-tedesco guglielmino in quella stessa porzione di Africa Orientale. I tedeschi stavano costruendo una ferrovia verso l’interno a partire dal porto di Tonga: i britannici si lanciarono nell’impresa e costruirono la propria linea, lunga 950 chilometri, da Mombasa, sulla costa, al lago Victoria. L’operazione portò via ben cinque anni e mezzo con la sua ultimazione nel 1901. Prima di allora, gli unici viaggi all’interno erano le spedizioni arabe alla ricerca di schiavi o un’avventura da cavalieri solitari, alla Joseph Thomson (1858 – 95) che coniò il celebre motto “chi va piano, va sano e va lontano”: avventure intraprese con un esercito di portatori pronti a disertare e sotto continua minaccia di un attacco da parte delle tribù nomadi dei Masai. Gli operai indiani della ferrovia, importati dagli inglesi, morirono in gran numero, non a causa delle lance dei Moran (giovani guerrieri) Masai, che sembravano accettare la ferrovia e la superiorità della “magia” bianca con le loro armi belliche, ma per la dissenteria, la malaria, il tifo, le punture di mosca tse-tse, o semplicemente per il caldo. Molti altri caddero preda dei leoni mangiauomini di Tsavo, come ci ha raccontato minuziosamente dal Tenente Colonnello John Henry Patterson (1867 – 1947) nel suo celebre The Man-Eaters of Tsavo (1907). Sui due leoni, oggi si è scritto molto, addirittura che uccidevano perché erano resi nervosi per alcuni problemi ai denti.. in realtà il territorio selvaggio del Kenya, lasciava poco alla fantasia e molto alla realtà come ci ricorda in questo stralcio lo stesso Patterson: «Pozze di sangue contrassegnavano i luoghi ove la belva si era fermata per indugiare nella tipica abitudine dei leoni mangiatori di uomini, ovverossia leccar via con la ruvida lingua la pelle della vittima e arrivare così al sangue fresco. Fui portato a ritenere come questo fosse un loro tipico marchio di fabbrica a causa di un mio successivo ritrovamento di due corpi umani semi divorati: la pelle delle vittime era stata asportata, fatta a brandelli e sparsa tutto attorno al corpo; la carne appariva secca, come se fosse stata succhiata. Nel luogo ove il corpo della vittima era stato divorato mi trovai di fronte ad una scena raccapricciante. Il terreno tutto attorno era pieno di sangue e di pezzi di carne e ossa, ma la testa della jemadar era stata lasciata intatta, fatta eccezione per i fori dei denti canini utilizzati dal leone per afferrare e uccidere la povera vittima; la testa si trovava a poca distanza dai resti del corpo, con gli occhi ancora sbarrati nell’ultima espressione di orrore e di terrore impressa nel suo volto»2.

Nella foto i Leoni di Tsavo imbalsamati. Dopo 25 anni, le pelli furono vendute al Chicago Field Museum per 5.000 dollari, e oggi sono in esposizione, insieme ai loro crani, in una teca dedicata. Dal libro nacque il celebre film “Spiriti nelle tenebre” (The Ghost and the Darkness), film del 1996 diretto da Stephen Hopkins. A destra il Tenente Colonnello John Henry Patterson.

A sinistra la stazione di Railway presso Nairobi. A destra Hugh Cholmondeley, 3° Barone Delamere (1870 – 1931).

Nella foto di destra Denys George Finch Hatton (24 aprile 1887-14 maggio 1931), aristocratico inglese cacciatore di selvaggina grossa e amante della baronessa Karen Blixen (conosciuta anche con il suo pseudonimo, Isak Dinesen – nella foto di sinistra), una nobildonna danese che scrisse di lui nel suo autobiografico libro Out of Africa , pubblicato per la prima volta nel 1937. Nel libro, il suo nome è sillabato: “Finch-Hatton”.
I Kikuyu, il cui territorio si estendeva da Nairobi fino alle pendici del monte Kenya, e che in seguito avrebbero superato in ambizione politica tutte le altre tribù, venivano impiegati come uomini di fatica o servitori domestici. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale (1914-18) furono arruolati, con le altre tribù, come portatori nei Fucilieri d’Africa e nel Carrier Corps, e morirono a migliaia in una delle più vergognose campagne mai condotte dall’esercito inglese, in cui, all’inizio delle ostilità, 300.000 soldati dell’Impero Britannico furono respinti da 14.000 tedeschi (3.000 tedeschi e 11.000 africani), sotto il comando del conte Paul Emil von Lettow-Vorbeck (1870 – 1964) che dovette ricorrere anche al saccheggio per procurarsi le provviste per tutta la durata della guerra. Quando si concluse, le forze britanniche erano state ridotte a 35.000 uomini, e le tedesche a soli 1.300.

Africa orientale tedesca, truppe davanti davanti le case degli ufficiali. A destra: Paul Emil von Lettow-Vorbeck, chiamato anche il Leone d’Africa, era un generale dell’esercito imperiale tedesco e comandante delle sue forze nella campagna tedesca dell’Africa orientale.
Nel 1920 il protettorato fu diviso in due parti: protettorato del Kenya, costituito dalla fascia costiera di dieci miglia, sottoposto alla sovranità del sultano di Zanzibar; colonia del Kenya, sottoposta alla sovranità britannica e costituita da tutti gli altri territori del retroterra.
Le zone di produzione erano le seguenti: Gilgil e Nakaru erano i centri della compravendita di bestiame, Thika era il caffè, Njoro era il grano, Naivasha era ovini e bovini, e Londiani, nell’ovest, era il lino.
Tutte le leggi sulla terra avevano chiaramente favorito gli europei a discapito della popolazione africana. Gli altipiani sarebbero rimasti esclusivamente bianchi in eterno. Fu una politica miope e i Kikuyu fecero la loro prima protesta organizzata nel 1922 solo due anni dopo il Kenya divenne una colonia ufficiale della Corona.
Ma gli anni Venti segnarono l’inizio di un’era più stravagante ed euforica. I coloni iniziarono a rimpiazzare le loro case di fango e canniccio con un’architettura più fastosa. Costruirono residenze a un piano in stile “Surrey Tudor” – un’architettura tipica del Kenya e dei suoi costruttori indiani, che cercarono di imitare Edwin Lutyens – con tetti di tegole invece che di lamiera ondulata, con focolari di pietra e grandi, comodi soggiorni, e con spaziose verande sostenute da pilastri di mattoni.
Un Ealing Equatoriale provocato dagli infissi universalmente in acciaio, dall’angustia delle finestre stesse, volutamente piccole per tenere alla larga il temutissimo sole, e dalla cupezza delle pietre giallo-grigiastra, che gli artigiani indiani scalpellavano dalla roccia per fare pareti solide come casermoni. Anche i giardini vennero tracciati splendidamente: prima venivano seminati e spianati i prati, poi venivano scavati i margini, su una scala degna dei castelli di Sissinghurst o di Cranborne. Il suolo era ricco, non c’era stagione morta, e il giardino era sempre al massimo del suo splendore, con canna scarlatta, frangipani, bougainvillea alternata a tenere rose inglesi, gigli dal lungo stelo, fucsie e, come tocco finale, i viali di jacaranda, di Nandi flame e di eucaliptus. L’aria profumava di gelsomino e mimosa. I numerosi boys addetti ai giardini annaffiano e potavano tutto il giorno, facendo oscillare i pangas sui fitti fili d’erba kikuyu che formava la superficie del prato, dei campi da tennis e di croquet.
I coloniali avevano riesumato le insegne della loro civiltà – l’argenteria, i ritratti e le stampe di famiglia, pezzi pregiati di mobilia, porcellane e tutte le chincaglierie che potevano essere sottratte alle vecchie soffitte delle case di famiglia che avevano lasciato per sempre. Molti commissionarono ad artigiani indigeni passabili imitazioni di mobili stile Seicento inglese.
Con la loro abbondanza di servitù – a cui gli ordini andavano impartiti quotidianamente – gli aristocratici e gli ufficiali del ceto medio finirono col diventare schiavi degli immancabili riti della vita col maggiordomo. La tavola veniva imbandita – più volte – con le stuoiette segnaposto con scene di caccia, la coppa di petali di bougainvillea, la bottiglia di piri-piri (una innovazione presa in prestito dalla colonia indiana) e lo sherry, che si beveva con la minestra. Lo strabiliante talento africano per la preparazione dei cibi europei, in particolare dei pudding inglesi, fu fonte di insperato piacere. Dal canto loro gli africani erano strabiliati dal numero di pasti che gli europei reclamavano ogni giorno, e dalla quantità del cibo consumato. Sembrava che gli europei non facessero altro che mangiare.
Questi vecchi coloniali fecero di tutto per conservare lo stile di vita delle nobili famiglie inglesi del contado, sostituendo la volpe da una coda di volpe portata dall’Inghilterra che veniva tenuta da un indigeno, il quale doveva fuggire dagli inglesi a cavallo.

Dal giorno della sua apertura, la vigilia di Capodanno del 1913, il Muthaiga Country Club ha occupato un posto speciale negli affetti dell’Africa. Con la sua miscela distintiva di comfort, cultura e fascino, si è affermato come uno dei club dei membri più illustri e popolari del continente. Ancora oggi, le sue tipiche pareti rosa ospitano alcuni dei grandi ricordi e delle pietre miliari della ricca storia dell’Africa orientale. Non è solo la storia a rendere il Muthaiga Club così speciale. Oggi, alcuni dei suoi momenti più belli sono contemporanei: le sue accoglienti camere da letto con bagno privato e i cottage con i loro comfort moderni, le sue strutture ricreative e per il fitness all’avanguardia, la sua biblioteca recentemente ampliata con oltre 15.000 libri. E, naturalmente, c’è il cibo, di cui il Club è giustamente orgoglioso: sontuosi banchetti di arrosti freschi e specialità del giorno seguiti dai nostri chef di formazione classica.

Nella riserva naturale Hippo point, una tipica casa di campagna inglese d’Africa e una torre eccentrica vivono circondate dalla natura selvaggia. Hippo Point è una riserva naturale privata, a circa settanta chilometri a nord di Nairobi su un istmo tra il lago Naivasha e il lago Oloiden, a un’altitudine di 2.000 metri. Grazie al suo microclima quasi perfetto, vi risiedono oltre 350 specie di uccelli e circa 1.200 animali. La proprietaria, Dodo, è un’interior designer di origine tedesca sposata con Michael Cunningham-Reid, figliastro di uno dei più illustri rappresentanti del Kenya coloniale, Lord Delamere. Figura chiave dell’era post-coloniale, nipote di Lord Mountbatten di Burma, Delamere fu uno dei pochi inglesi dell’epoca a stringere stretti rapporti con la nuova élite africana, e fu il primo straniero a ottenere il passaporto della neonata Repubblica del Kenya. Ph. Maganga Mwagogo.

Da sinistra a destra: Josslyn Victor Hay, 22° conte di Erroll (1901 – 1941), Alice de Janzé (nata Silverthorne 1899 – 1941) e Diana Caldwell Cholmondeley (1919 – 87).
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