Avviene la battaglia di Bastia e qui viene fuori l’uomo. Qui Carlo Fecia di Cossato non ebbe tentennamenti e la sua reazione davanti al nemico fu decisa, senza dubbi. Toltosi i nastrini delle croci di ferro tedesche (si narra come fossero state gettate in mare) alle 7,15 di mattina aprì il fuoco a distanza ravvicinata: i tedeschi dello “Uj2203“, si auto-affondano per le lesioni allo scafo appena un’ora dopo. Fecia di Cossato dirige successivamente le sue bocche da fuoco sul sottomarino tedesco “Uj2219” che dopo trenta minuti viene affondato. Stessa sorte il conte decide di farla fare alla motozattera tedesca “F612“. Nella confusione della nottata e della mattinata successiva il colpo di mano tedesco in Corsica fallisce. Carlo Fecia di Cossato giunge per ordine di Nomis di Pollone (su ordine dell’ammiraglio Somigli) prima a Portoferraio (provincia di Livorno) e successivamente, insieme a Aimone Savoia duca di Spoleto, a Palermo. La città ospita tutta la regia-marina fedele a Vittorio Emanuele III, il quale in accordo con gli anglo-americani aveva creato il governo Badoglio a Brindisi. Alcuni reparti di marina confluiranno a Nord dove aderiranno alla repubblica sociale italiana con gli ammiragli Legnani e Ferrini.
Dopo essersi fermate una settimana a Palermo, le unità sottili fra cui “l’Eliseo“, raggiunsero Malta, dopo una sosta ad Augusta. Lasciata l’isola, ai primi di ottobre, Carlo giunge a Taranto dove inizia la cobelligeranza, la quale prevede scorte ai convogli degli Alleati.
Nel frattempo nell’aprile 1944 Vittorio Emanuele III nominava Umberto Savoia principe di Piemonte “luogotenente generale del regno” asserendo come: “questa mia decisione che, ho ferma fiducia, faciliterà l’unità della nazione è definitiva e irrevocabile”. Una volta presa Roma il 4 giugno 1944, colui che successivamente sarà il “Re di Maggio” Umberto II, per volontà degli Alleati scioglie il governo Badoglio e forma un comitato di liberazione nazionale (CLN) formato dai vari Croce, Rodinò, Togliatti, Mancini, Sforza solo per citare le persone più di rilievo. Questo comitato non giura, come lo Statuto Albertino richiede, la fedeltà al Re e sarà solo l’intervento del diplomatico Alberto Tarchiani a giustificare l’imposizione, decretando un governo civile. Così il Governo Bonomi si obbligava a rispettare tutti gli impegni assunti dal precedente governo Badoglio e stabilì con Umberto Savoia che i ministri non giurassero con la formula rituale, bensì con una formula che li impegnava soltanto ad esercitare la loro funzione “nell’interesse supremo della nazione”. Inutile dire che questa azione, rispecchia il colpo di mano avvenuto nella notte del 13 giugno 1946 da Alcide De Gasperi.
Questa soluzione viene adottata anche nella regia-marina del Ministro De Courten. Il giuramento del nuovo governo poneva quindi un problema istituzionale che ebbe un impatto tremendo sulla realtà della marina italiana fortemente monarchica. Chi avrebbe seguito De Courten combattendo con un governo non fedele al sovrano? Il 9 settembre si era chiesto alla regia-marina di cambiare schieramento per espresso ordine del Re e successivamente molti comandanti di marina che avevano compiuto il sacrificio di mettere l’onore e la lealtà da parte, si vedevano schierati con un governo non fedele al loro stesso giuramento.
Carlo è stanco, è tormentato dai dubbi, ma con i suoi occhi di ghiaccio emanava sempre un grande carisma tra i marinai. Quando il 22 giugno l’amico Nomis di Pollone lo convocò insieme ai comandanti delle torpediniere per tenere loro un discorso sulla calma e l’obbedienza, il conte esce dal coro e asserisce come non avrebbe eseguito gli ordini di un governo che non prestava fedeltà al Re e il giorno seguente l’Aliseo non sarebbe uscito. Convocato dal ministro in persona a Taranto, il romano rimane fermo nella sua decisione, che lo porterà agli arresti in fortezza. L’agitazione della regia-marina, che aveva preso come un tradimento la questione del giuramento del governo Bonomi, vedevano in Fecia di Cossato un alfiere della loro battaglia etica. Il ministro è costretto il giorno dopo a scarcerarlo per calmare gli animi e invitarlo ad una “licenza” lunga tre mesi a Napoli. La città partenopea è allo sbando: affamata e distrutta, vige la corruzione in tutti i settori. Per un uomo tormentato e sfiduciato Napoli non era sicuramente la città migliore.
Qui si consuma il dramma, l’ufficiale che più di tutti era stato ligio al dovere, l’ufficiale che viene disonorato per non essersi piegato al “politicamente corretto” crolla.
Il conte Carlo Fecia di Cossato in plancia durante la navigazione.
Riporto la lettera alla madre Luisa Gené:
“Mamma carissima, quando riceverai questa mia lettera saranno successi fatti gravissimi che ti addoloreranno molto e di cui sarò il diretto responsabile.
Non pensare che io abbia commesso quel che ho commesso in un momento di pazzia, senza pensare al dolore che ti procuravo. Da nove mesi ho soltanto pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della Marina, resa a cui mi sono rassegnato solo perché ci è stata presentata come ordine del Re, che ci chiedeva di fare l’enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere il baluardo della monarchia al momento della pace. Tu conosci che cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da questa triste constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi mi circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso. Da mesi, mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d’uscita, uno scopo alla vita. Da mesi penso ai miei marinai del Tazzoli che sono onorevolmente in fondo al mare e penso che il mio posto è più con loro che con i traditori e i ladruncoli che ci circondano. Spero, mamma, che tu mi capirai e che, anche nell’immenso dolore che ti darà la notizia della mia fine ingloriosa, saprai sempre capire la nobiltà dei motivi che la guida. Tu credi in Dio, ma se c’è un Dio, non è possibile che non apprezzi i miei sentimenti che sono sempre stati puri e la mia rivolta contro la bassezza dell’ora. Per questo, mamma, credo che ci rivedremo un giorno. Abbraccia papà e le sorelle e a te, mamma, tutto il mio affetto profondo e immutato. In questo momento mi sento molto vicino a tutti voi e sono certo che non mi condannerete”.
Il conte si toglie la vita il 28 agosto verso l’una di notte, sparandosi un colpo di pistola alla tempia. Nel 1946 nell’immediato dopoguerra la marina italiana lo dimentica per molti anni con l’Italia repubblicana che gli assegna una medaglia d’argento per l’ultima missione del Tazzoli e una di bronzo per l’azione di Bastia. Solo il 27 gennaio del 1949 gli viene assegnata, con giusto merito, la medaglia d’oro al valor militare che fu appuntata al padre in Piazza S.Marco a Venezia. La marina militare ha quasi totalmente riparato alle sue dimenticanze mettendo in servizio nel 1979 il sottomarino “Fecia di Cossato” appartenente alla classe Sauro.
Il conte Carlo Fecia di Cossato è stato un fedele suddito del Re, tradito dalle circostanze storiche, ha ricevuto spesso una mistificazione totale del suo dramma. Il suo è stato un gesto estremo fuori dal comune che lo rende eroico alla posterità proprio perché rappresenta il più grande degli sconfitti che non si piega agli eventi che gli impongono nella storia. Il sommergibilista è stato l’esempio di quella unità d’Italia voluta dai Savoia, dove il concetto storico della dichiarazione di guerra era ancora un concetto personale fra sovrani e non fra stati. Il fascismo cercò di creare un’identità nazionale scavalcando la monarchia, ma la metodologia del totalitarismo a medio-lungo termine si rilevò fallimentare e cercò di trascinare nel suo crollo anche la dinastia sabauda che aveva cercato di emarginare. Con il crollo della monarchia italiana nel 1946, si concluse “un’idea italiana“, che il fascismo – nonostante tutto – non aveva eliminato e che la repubblica, sorta dalle ceneri di questa idea, ha cercato per anni di trovare una legittimità storica di “sangue” come ogni rivoluzione creativa nella resistenza partigiana, ma era un concetto debolissimo che si sbriciolò con l’onestà intellettuale di una guerra fraticida di tre schieramenti distinti: fascisti, monarchici, partigiani.
Il nostro eroe cresciuto con questa idea esistenziale non poteva capire i problemi di fondo che un governo Bonomi esprimeva, giocando sul sentimento di metà della nazione italiana, ed è proprio in questo senso che Carlo Fecia di Cossato rimane il vincitore morale di questa grande sconfitta nazionale.
No Comments