Fecia di Cossato: la vittoria morale di un eroe sconfitto

di Giuseppe Baiocchi del 03/01/2021

Giuro di essere fedele a sua maestà il Re ed ai suoi reali successori, di osservare fedelmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, ad adempiere a tutti i doveri del mio Stato col solo scopo del bene indivisibile del Re e della Patria”. Tale giuramento, adottato in tutte le scuole italiane, deve averlo pronunciato anche il conte Carlo Fecia di Cossato classe 1908 nato a Roma, quarto di sei figli dal matrimonio tra il padre Carlo Fecia di Cossato e Maria Luisa Gené.

La famiglia di colui che oggi è considerato un vero e proprio asso della storia della marina italiana con il conferimento della medaglia d’oro, si presentava di stampo fortemente monarchico, come molte famiglie della nobiltà militare, le quali mettevano a disposizione la propria esperienza al servizio del regio esercito.

Conte Carlo Fecia di Cossato (Roma, 25 settembre 1908 – Napoli, 27 agosto 1944) è stato un militare italiano.

Il legame tra casa Savoia e la Marina italiana risale ancor prima dell’Unità di Italia: nel basso medioevo con Amedeo V il Grande, fino ad arrivare al Regno sabaudo di Sardegna e Piemonte dove si identificò l’appellativo “regia-nave” corrispondente al “regio legno”, nome usato per indicare le imbarcazioni sotto il Regno di Sardegna e Piemonte. Nel 1861 il neonato regno d’Italia riusciva ad unire le marine dello stato Pontificio (con solo Roma, rimasta ancora autonoma), il naviglio toscano e la potente flotta napoletana, imponendosi in poco tempo come una delle flotte più importanti del Mediterraneo e d’Europa.
Per non far nascere rivalità tra settentrionali e meridionali, il 6 novembre del 1881 decretò la creazione di un’unica Accademia navale: quella di Livorno, esistente ancora oggi, la quale è una delle migliori scuole navali del mondo. L’educazione civica di tale scuola è fondamentale per capire appieno il comportamento di Fecia di Cossato, profondamente fedele alla casa reale di predominanza piemontese.

Constantine Volanakis, la battaglia di Lissa – 1867, olio su tela cm 283 x 169, museo di belle arti di Budapest.

Il continuo scambio, fra prestazioni pubbliche richieste e fedeltà concessa, di questi servitori dello Stato era caratteristica di tutti gli ufficiali di marina, che seguivano rigidi giudizi: “sappia che un militare ha doveri, e non ha niun diritto. Neppure la paga s’ha diritto; essa è un dono di sua maestà il Re, nient’altro” asserivano spesso i comandanti di marina alle giovani generazioni, che potevano ambire ad un cambio di mentalità.
Il conte Fecia di Cossato cresce sotto questa istruzione secolare, amando praticare sport fin dalla primissima età. Il nuoto e l’equitazione sono le sue due discipline più amate, venendo da una famiglia di forte tradizioni militari. A vent’anni nel 1928 dopo aver superato brillantemente gli esami, si imbarca l’undici luglio sull’incrociatore Ancona con il grado di guardiamarina.
Siamo in piena epoca fascista: gli anni del consenso. Carlo non solo non è fascista, ma ha una forma di ostilità velata per la politica di corruzione dell’ormai ex-rivoluzione, essendo di elevata rettitudine e incapace a compromessi. Dopo la modifica dello Statuto Albertino nel 1925, Mussolini con un abile mossa mise la monarchia in secondo piano. Questa operazione non sfuggì al conte, che si rifiutò di avere la tessera e per due anni non avanzò di grado, rimanendo come tenente di vascello. Solo il padre, riuscì con l’inganno a far iscrivere il figlio a sua stessa insaputa: inutile l’ira del giovane che rimase esterrefatto, ma iniziò l’avanzamento di carriera militare.
La marina italiana rappresentava nel mediterraneo una forza poderosa: 6 corazzate (2 in allestimento), 7 incrociatori pesanti e 26 leggeri, 15 esploratori, 130 cacciatorpediniere e torpediniere, 115 sommergibili da media e grande crociera e un numero imponente di unità minori. Non possedeva portaerei perché non erano ritenute necessarie nel mediterraneo: uno degli errori fatali della sconfitta della regia-marina, insieme al mancato sviluppo del Radar (inventato in Italia, ma mai sviluppato. Sarà utilizzato dai britannici e farà la differenza). Sarà l’unica forza armata che arriverà preparata al conflitto che vedrà coinvolta l’Italia quel fatidico 11 giugno 1940.
Il romano dopo un breve periodo sull’incrociatore pesante “Trento” veniva destinato al sommergibile “Bausan” (dal dicembre del 1929 all’agosto del 1930), iniziando la sua esperienza sui battelli subaquei. Dal 17 aprile 1932 al maggio del 1933 navigò con l’incrociatore “Libia” e fu stanziato nelle acque dell’estremo oriente, in Cina. Successivamente dal 1934 al 1936, comandò le difese portuali in Africa Orientale, diventando a ventisei anni comandante delle difese portuali di Massaua, capitale nella colonia italiana eritrea.
La lunga successione di imbarchi e di destinazioni esotiche faranno scoprire al conte Fecia di Cossato nuove culture e nuove mentalità, arricchendo già il suo nutrito bagaglio culturale. Il 20 giugno del 1938 viene nominato comandante della torpediniera “San Martino” e successivamente comandante della “Polluce”.
La leggenda di Fecia di Cossato entra nel vivo quando il 25 febbraio del 1940, dopo un breve trascorso nel sommergibile “Colonna” (in preparazione alla scuola comando sommergibili) e imbarcato in brevi lasso-temporali sui sommergibili “Menotti“, “Bragadin” e “Settimo“, fu poi imbarcato del “Tazzoli” come comandante in seconda per fare il tirocinante nella guerra in atlantico: compie a Bordeaux un apprendistato magistrale.
betasom

Betasom (Bordeaux Sommergibile) è ottenuto dall’unione della prima lettera della parola “Bordeaux”, espressa con il nome della lettera dell’alfabeto greco equivalente dal punto di vista fonetico “beta” e la prima sillaba della parola “sommergibile”, la base navale dei sottomarini della regia marina a Bordeaux (costa atlantica meridionale francese) durante la seconda guerra mondiale.

 

Nel settembre del 1939 l’Inghilterra dichiarò il blocco totale alle forze tedesche, forte della sua supremazia marittima: era considerata indiscussa padrona del Mare del Nord. I tedeschi come risposta dichiararono un contro-blocco, inserendo anche la guerra sottomarina totale. In pochi giorni il mare del Nord e la Manica vengono disseminate di mine. Il naviglio britannico fu gravemente danneggiato.
Alla fine di agosto iniziava la guerra dell’atlantico, la quale portò grandi successi ai famosi U-Boote tedeschi contro il traffico mercantile britannico (i due terzi del fabbisogno inglese deve essere importato). Sul continente, invece, la Francia era già invasa dalla wermacht tedesca.
Saranno queste e molte altre le condizioni favorevoli a spingere Benito Mussolini ad entrare in guerra a fianco dell’alleato tedesco e giapponese l’undici giugno del 1940. Nonostante i suoi malumori Carlo esegue gli ordini del Re asserendo: “Possibile che, nel mazzo, vadano a scegliere proprio i due più antipatici!”.
Intanto il 24 giugno la Francia firma l’armistizio con l’Italia. L’evento aumenta l’influenza sul mediterraneo della regia-marina, la quale diventa un avversario ancora più ostico alla royal marine britannica. In tal senso grave fu il diniego di Hitler riguardante l’uso della marina francese in chiave italiana, per il timore che Mussolini successivamente, potesse prendere ancor più slancio in politica estera di quella che già deteneva. Inoltre il führer voleva tenere un equilibrio con il governo filo-nazista di Vichy.
Il 9 luglio mentre la regia marina, comandata dall’ammiraglio Campioni riporta un’importante vittoria morale contro gli inglesi, che per la prima volta battono in ritirata contro gli italiani, perdendo un caccia, un piroscafo e 18 aerei, Carlo Fecia di Cossato si trova in operazioni di protezione, nel Mediterraneo (tra Grecia, Nord Africa e Italia), a bordo del sommergibile “Ciro Menotti“.
Dopo queste operazioni il conte lascia il mediterraneo per essere nominato al bordo del “Tazzoli” di base a Betasom, ufficiale in seconda. Fecia di Cossato è profondamente avverso a questo conflitto che ritiene inutile: “(…) ma tutto quello che ti ho detto circa la inevitabile sconfitta che ci aspetta, non può avere e non avrà mai nessuna conseguenza sull’impegno che io metterò a combattere questa guerra in cui tutti siamo impegnati. Una mia opinione personale, che a me purtroppo sembra inconfutabile, potrebbe anche essere errata, e, in ogni caso, si vinca o si perda, il mio dovere di ufficiale e di comandante è quello di tener duro, di pestare il nemico finché avrò mezzi ed ordini per farlo, e di infondere nel mio equipaggio la sicurezza di lottare per una giusta causa verso la vittoria”. Anche da queste, poche, parole si evince il forte spirito di serietà e professionalità che accompagnerà il romano per tutta la sua breve vita.
In Atlantico sono presenti 26 sommergibili italiani, i quali hanno superato lo stretto di Gibilterra (britannico) senza perdite. Sono di base a Bordeaux, che prese l’appellativo di “Betasom”. I marinai italiani sono stimati dai tedeschi per il loro coraggio e la loro perizia tecnica e riportano importanti successi con affondamenti eccellenti: il bollettino di guerra n°71 del 18 agosto del 1940 riguarda, addirittura, l’affondamento di una petroliera di 9000 tonnellate. Con questo episodio comincia per la regia marina una lunga avventura di gloria e di sacrificio. Fecia di Cossato si trova nel bel mezzo di questa situazione ed è uno dei migliori. Scriveranno di lui: “il comandante perlustra instancabile l’orizzonte. Per lui la notte e il riposo non esistono. Sono parecchie “lune” come dice il signor Gazzana, che non tocca la sua cuccetta e non riusciamo proprio a capire come faccia a stare in piedi”. Dunque un uomo di notevole resistenza che dimostra spesso una aggressività, verso il nemico, esasperata che gli fa avere tutta la stima dell’equipaggio, anche quando diviene comandante del “Tazzoli“, avendo in seconda l’altro formidabile asso Gianfranco Gazzana Priaroggia che successivamente al comando del “Da Vinci” divenne il comandante con più tonnellaggio di navi affondate.

Anno 1942 – il conte Carlo Fecia di Cossato, comandante del regio stato maggiore generale “Tazzoli” e il tenente di vascello Gazzana Priaroggia, comandante in seconda del “Tazzoli”, in coperta in occasione dell’incontro in Atlantico con altro sommergibile italiano.

I siluratori atlantici italiani sono molti: Longobardo, Tosoni-Pittoni, Grossi, Gazzana, Leoni, Todaro, Pollina, Giovannini, Longanesi, Prini, Piomarta – tutti gentiluomini che hanno vissuto in un clima infernale dovuto al calore tremendo che vi era a bordo dei sommergibili, del fetore insopportabile e dello stress della morte, che poteva essere in agguato in qualsiasi momento.
Nel frattempo la Gran Bretagna, trovatasi dopo Dunkerque, in una situazione disperata capisce che i convogli devono avere l’adeguata protezione da parte del naviglio sottile (impegnato nel mediterraneo) e stipula con gli Stati Uniti uno scambio: 50 cacciatorbediniere di vecchio tipo “Flush Deck” per la concessione (99 anni) di cinque basi navali ed aeree britanniche nelle Antille e nell’America centrale. La situazione si riequilibra.
Nel novembre del 1940 nel mediterraneo avvenne il famoso “disastro di Taranto” dove sei navi italiane, nella base portuale, furono distrutte nella notte: un grave colpo. Un anno dopo nel 1941 nei giorni del 26-27-28-29 marzo avvenne la tragedia di “Capo Matapan” nel mediterraneo orientale: in un offensiva poderosa della regia-marina, il nemico grazie all’intelligence (che conosceva gli ordini cifrati italiani) e all’uso del radar era informato sulle mosse delle navi da guerra italiane. La sconfitta di Gaudo e Matapan si concluse con la perdita di tre incrociatori, il siluramento della Vittorio Veneto e la morte di tremila uomini. La marina italiana non si riprese più del tutto da questa sconfitta. Sempre nel 1941 la marina tedesca entrava con 21 sommergibili nel Mediterraneo con base a Salamina, nella Grecia occupata. Continuano gli insuccessi strategici, come quello del 20 marzo del 1942, quando un convoglio britannico salpato da Alessandra arriva a Malta, rifornendo l’isola (luogo strategico fondamentale per la vittoria nello scacchiere mediterraneo). Il 16 giugno del 1942 la regia-marina riporta, una vittoria in inferiorità numerica nella battaglia di Pantelleria affondando ai britannici 1 incrociatore (Kenya), 5 caccia di squadra (Bedouin, Hasty, Nestor, Grove, Aredale), 1 nave di scorta (Kujavak) e 4 piroscafi, tra cui la petroliera Kentucky. Per parte italiana solo il Vivaldi subì gravi danni.
Traslandoci di nuovo in Atlantico, Cossato appare sempre più un uomo di ferro, ma inizia ad avere un forte travaglio psicologico e fisico.
Il 15 luglio 1941 il conte guidò il “Tazzoli” in una nuova missione: il dodici agosto, affonda il piroscafo inglese “Sangara” e il diciannove la petroliera norvegese “Sildra” per rientrare in base l’undici settembre. In questa seconda missione Fecia di Cossato fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare e da parte dei tedeschi con la croce di ferro di seconda classe. Successivamente nel dicembre del 1941 partecipò, partendo da Bordeaux, al salvataggio di oltre 400 naufraghi tedeschi, che gli valsero l’importante decorazione tedesca della croce di ferro di 1ª Classe conferitagli dall’ammiraglio Dönitz.
Il marinaio Dilda il 5 settembre del 1942 annota sul suo diario: “E’ sceso a cambiarsi per il rientro (alla base). Gli tiro fuori dallo stipetto una camicia e lo osservo mentre si toglie il maglione di navigazione. Rimango di stucco: le costole sporgono esageratamente dal torace sul quale non c’è altro che bruna pelle tesa come quella di un tamburo; la spina dorsale e le scapole stanno per saltargli fuori! Gli arti sono fasci secchi di nervi e di muscoli: il ventre e lo stomaco non ci sono più”.
Carlo riesce ad ottenere risultati straordinari: l’11 febbraio 1942 partito per una nuova missione presso le coste americane (gli Stati Uniti erano nel frattempo entrati in guerra) affonda il sei marzo il piroscafo olandese “Astrea” e il giorno successivo la motonave norvegese “Torsbergfjord“. Il nove marzo colpisce e affonda il piroscafo uruguayano “Montevideo“, l’undici fu invece il turno del piroscafo panamense “Cygney“. Il tredici marzo fu la volta dell’inglese “Daytoian” e il quindici della petroliera inglese “Athelqueen“. L’asso Fecia di Cossato è oramai famoso e temuto da tutti gli avversari.
L’incarico del “Tazzoli” è molto lungo: dal 5 aprile del 1941 al 28 febbraio del 1943 (22 mesi). Appena torna in patria per le licenze, riposa continuamente, conducendo una vita spartana. I reparti tedeschi raramente in atlantico ebbero incarichi così prolungati, spiegando forse in parte l’esaurimento fisico e il logoramento nervoso di questo incredibile ufficiale di marina sempre lucido, preciso, pieno di carica e capacità umane.
Fecia di Cossato continua a mietere vittime eccellenti: Il diciotto giugno del 1942 è diretto ai Caraibi dove il due agosto affonda la greca “Castor” e il sei la petroliera norvegese “Havsten“.  L’italiano in atlantico è un vero e proprio incubo per i convogli alleati: Il dodici dicembre del 1942 furono intercettati ed affondati il piroscafo inglese “Empire Hawk” e l’olandese “Ombilin“. Il ventuno è il turno dell’inglese “Queen City” e il venticinque della motonave americana “Dona Aurora”.
Queste importanti missioni gli varranno una medaglia di bronzo al valor militare, oltre ad una fama eccezionale.
A tutto questo bisogna aggiungere alcuni difetti dei sommergibili italiani, inferiori tecnologicamente a quelli tedeschi. I sommergibili avevano una età media di dieci anni, possedevano scafi robusti e autonomia sufficiente, così come l’abitabilità. Le qualità nautiche erano più che buone, così come gli apparati motore e energia elettrica. Di contro mancava una centralina di tiro (notevole imprecisione nel lancio dei siluri), le false torri erano troppo voluminose (aumentando la visibilità al nemico), i limiti nello scafo ritardavano l’immediata immersione, rendendoli vulnerabili all’offensiva aerea nemica. Ultima, ma non meno importante, una tattica attendista obsoleta, in una guerra (anche marina) di movimento dove la stessa kriegsmarine tedesca e royal navy andavano spesso ad attaccare le basi nemiche.
Il conte Carlo Fecia di Cossato, conclusa l’esperienza nell’atlantico, come tutti i reparti della regia-marina risente fortemente delle sconfitte terrestri dell’esercito che fanno tendere la bilancia sempre più verso la disfatta, che arriva il 25 luglio del 1943 con l’arresto di Mussolini. Il romano si trova a bordo del torpediniere “Aliseo” in Corsica a Bastia. Dopo il maggio del 1943 con la conquista alleata della Tunisia, la guerra si avvicina alla penisola e nel luglio avviene lo sbarco alleato in Sicilia.
Il ministro della marina Raffaele De Courten convoca a Roma tutti gli ufficiali superiori allertandoli di future operazioni contro i tedeschi. Si arriva all’otto settembre e per Carlo Fecia di Cossato è un duro colpo al suo spirito già fortemente provato: tradire l’alleato tedesco, con il quale aveva condiviso gli anni francesi. Costante, però, era l’opinione in marina, che questo sacrificio di onore militare era richiesto dal Re, per cui l’ambiente si compattò ed eseguì alla lettera gli ordini. La sera dell’otto settembre il comando tedesco cerca di impadronirsi dei comandi italiani in Corsica, sfruttando lo sbandamento delle truppe italiane rimaste senza ordini.

L’Aliseo è stata una torpediniera di scorta della Regia Marina. Dopo il termine del conflitto, il trattato di pace assegnò l’Aliseo alla Jugoslavia, in conto riparazione danni di guerra. Con la sigla provvisoria Y9 la torpediniera venne consegnata il 3 maggio 1949.

Avviene la battaglia di Bastia e qui viene fuori l’uomo. Qui Carlo Fecia di Cossato non ebbe tentennamenti e la sua reazione davanti al nemico fu decisa, senza dubbi. Toltosi i nastrini delle croci di ferro tedesche (si narra come fossero state gettate in mare) alle 7,15 di mattina aprì il fuoco a distanza ravvicinata: i tedeschi dello “Uj2203“, si auto-affondano per le lesioni allo scafo appena un’ora dopo. Fecia di Cossato dirige successivamente le sue bocche da fuoco sul sottomarino tedesco “Uj2219” che dopo trenta minuti viene affondato. Stessa sorte il conte decide di farla fare alla motozattera tedesca “F612“. Nella confusione della nottata e della mattinata successiva il colpo di mano tedesco in Corsica fallisce. Carlo Fecia di Cossato giunge per ordine di Nomis di Pollone (su ordine dell’ammiraglio Somigli) prima a Portoferraio (provincia di Livorno) e successivamente, insieme a Aimone Savoia duca di Spoleto, a Palermo. La città ospita tutta la regia-marina fedele a Vittorio Emanuele III, il quale in accordo con gli anglo-americani aveva creato il governo Badoglio a Brindisi. Alcuni reparti di marina confluiranno a Nord dove aderiranno alla repubblica sociale italiana con gli ammiragli Legnani e Ferrini.
Dopo essersi fermate una settimana a Palermo, le unità sottili fra cui “l’Eliseo“, raggiunsero Malta, dopo una sosta ad Augusta. Lasciata l’isola, ai primi di ottobre, Carlo giunge a Taranto dove inizia la cobelligeranza, la quale prevede scorte ai convogli degli Alleati.
Nel frattempo nell’aprile 1944 Vittorio Emanuele III nominava Umberto Savoia principe di Piemonte “luogotenente generale del regno” asserendo come: “questa mia decisione che, ho ferma fiducia, faciliterà l’unità della nazione è definitiva e irrevocabile”. Una volta presa Roma il 4 giugno 1944, colui che successivamente sarà il “Re di Maggio” Umberto II, per volontà degli Alleati scioglie il governo Badoglio e forma un comitato di liberazione nazionale (CLN) formato dai vari Croce, Rodinò, Togliatti, Mancini, Sforza solo per citare le persone più di rilievo. Questo comitato non giura, come lo Statuto Albertino richiede, la fedeltà al Re e sarà solo l’intervento del diplomatico Alberto Tarchiani a giustificare l’imposizione, decretando un governo civile. Così il Governo Bonomi si obbligava a rispettare tutti gli impegni assunti dal precedente governo Badoglio e stabilì con Umberto Savoia che i ministri non giurassero con la formula rituale, bensì con una formula che li impegnava soltanto ad esercitare la loro funzione “nell’interesse supremo della nazione”. Inutile dire che questa azione, rispecchia il colpo di mano avvenuto nella notte del 13 giugno 1946 da Alcide De Gasperi.
Questa soluzione viene adottata anche nella regia-marina del Ministro De Courten. Il giuramento del nuovo governo poneva quindi un problema istituzionale che ebbe un impatto tremendo sulla realtà della marina italiana fortemente monarchica. Chi avrebbe seguito De Courten combattendo con un governo non fedele al sovrano? Il 9 settembre si era chiesto alla regia-marina di cambiare schieramento per espresso ordine del Re e successivamente molti comandanti di marina che avevano compiuto il sacrificio di mettere l’onore e la lealtà da parte, si vedevano schierati con un governo non fedele al loro stesso giuramento.
Carlo è stanco, è tormentato dai dubbi, ma con i suoi occhi di ghiaccio emanava sempre un grande carisma tra i marinai. Quando il 22 giugno l’amico Nomis di Pollone lo convocò insieme ai comandanti delle torpediniere per tenere loro un discorso sulla calma e l’obbedienza, il conte esce dal coro e asserisce come non avrebbe eseguito gli ordini di un governo che non prestava fedeltà al Re e il giorno seguente l’Aliseo non sarebbe uscito. Convocato dal ministro in persona a Taranto, il romano rimane fermo nella sua decisione, che lo porterà agli arresti in fortezza. L’agitazione della regia-marina, che aveva preso come un tradimento la questione del giuramento del governo Bonomi, vedevano in Fecia di Cossato un alfiere della loro battaglia etica. Il ministro è costretto il giorno dopo a scarcerarlo per calmare gli animi e invitarlo ad una “licenza” lunga tre mesi a Napoli. La città partenopea è allo sbando: affamata e distrutta, vige la corruzione in tutti i settori. Per un uomo tormentato e sfiduciato Napoli non era sicuramente la città migliore.
Qui si consuma il dramma, l’ufficiale che più di tutti era stato ligio al dovere, l’ufficiale che viene disonorato per non essersi piegato al “politicamente corretto” crolla.

Il conte Carlo Fecia di Cossato in plancia durante la navigazione.

Riporto la lettera alla madre Luisa Gené:
Mamma carissima, quando riceverai questa mia lettera saranno successi fatti gravissimi che ti addoloreranno molto e di cui sarò il diretto responsabile.
Non pensare che io abbia commesso quel che ho commesso in un momento di pazzia, senza pensare al dolore che ti procuravo. Da nove mesi ho soltanto pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della Marina, resa a cui mi sono rassegnato solo perché ci è stata presentata come ordine del Re, che ci chiedeva di fare l’enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere il baluardo della monarchia al momento della pace. Tu conosci che cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da questa triste constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi mi circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso. Da mesi, mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d’uscita, uno scopo alla vita. Da mesi penso ai miei marinai del Tazzoli che sono onorevolmente in fondo al mare e penso che il mio posto è più con loro che con i traditori e i ladruncoli che ci circondano. Spero, mamma, che tu mi capirai e che, anche nell’immenso dolore che ti darà la notizia della mia fine ingloriosa, saprai sempre capire la nobiltà dei motivi che la guida. Tu credi in Dio, ma se c’è un Dio, non è possibile che non apprezzi i miei sentimenti che sono sempre stati puri e la mia rivolta contro la bassezza dell’ora. Per questo, mamma, credo che ci rivedremo un giorno. Abbraccia papà e le sorelle e a te, mamma, tutto il mio affetto profondo e immutato. In questo momento mi sento molto vicino a tutti voi e sono certo che non mi condannerete”.
Il conte si toglie la vita il 28 agosto verso l’una di notte, sparandosi un colpo di pistola alla tempia. Nel 1946 nell’immediato dopoguerra la marina italiana lo dimentica per molti anni con l’Italia repubblicana che gli assegna una medaglia d’argento per l’ultima missione del Tazzoli e una di bronzo per l’azione di Bastia. Solo il 27 gennaio del 1949 gli viene assegnata, con giusto merito, la medaglia d’oro al valor militare che fu appuntata al padre in Piazza S.Marco a Venezia. La marina militare ha quasi totalmente riparato alle sue dimenticanze mettendo in servizio nel 1979 il sottomarino “Fecia di Cossato” appartenente alla classe Sauro.
Il conte Carlo Fecia di Cossato è stato un fedele suddito del Re, tradito dalle circostanze storiche, ha ricevuto spesso una mistificazione totale del suo dramma. Il suo è stato un gesto estremo fuori dal comune che lo rende eroico alla posterità proprio perché rappresenta il più grande degli sconfitti che non si piega agli eventi che gli impongono nella storia. Il sommergibilista è stato l’esempio di quella unità d’Italia voluta dai Savoia, dove il concetto storico della dichiarazione di guerra era ancora un concetto personale fra sovrani e non fra stati. Il fascismo cercò di creare un’identità nazionale scavalcando la monarchia, ma la metodologia del totalitarismo a medio-lungo termine si rilevò fallimentare e cercò di trascinare nel suo crollo anche la dinastia sabauda che aveva cercato di emarginare. Con il crollo della monarchia italiana nel 1946, si concluse “un’idea italiana“, che il fascismo –  nonostante tutto –  non aveva eliminato e che la repubblica, sorta dalle ceneri di questa idea, ha cercato per anni di trovare una legittimità storica di “sangue” come ogni rivoluzione creativa nella resistenza partigiana, ma era un concetto debolissimo che si sbriciolò con l’onestà intellettuale di una guerra fraticida di tre schieramenti distinti: fascisti, monarchici, partigiani.
Il nostro eroe cresciuto con questa idea esistenziale non poteva capire i problemi di fondo che un governo Bonomi esprimeva, giocando sul sentimento di metà della nazione italiana, ed è proprio in questo senso che Carlo Fecia di Cossato rimane il vincitore morale di questa grande sconfitta nazionale.

 

Per approfondimenti:
_Achille Rastelli, Carlo Fecia di Cossato. L’uomo, il mito e il marinaio – Edizioni Mursia 2009
_Antonio Maronari, Un sommergibile non è tornato a casa – Edizioni Rizzoli
_Gianni Oliva, I Savoia – Edizioni Mondadori 1999

 

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