Ebbene se i greci e i romani hanno plasmato lo stile classico, massima di perfezione, per il genio nella riuscita trasfigurativa dell’elemento naturale (quindi divino) nell’architettura, il romanico e il gotico rappresentano nella storia dell’uomo una rottura stilistica e figurativa che non avrà precedenti. Difatti già lo stile rinascimentale è da considerarsi il primo neo-classico, proprio per la ripresa di elementi di spiccata sensibilità antica, come la cupola o il cassettone. L’architettura nella storia umana ha sempre rappresentato un elemento di identità, ed è per questo che l’individuo nei secoli, non avendo trovato nuove vie si è sempre rifatto ideologicamente, come matrice archetipa, allo stile classico: tutti i secoli, tranne il medioevo, epoca lunghissima che va dal 900 d.C. al XV secolo. Eppure nel Seicento e nel Settecento, lo stile gotico e romanico attraversano – per paradosso – un’epoca di abbandono e disinteresse, poiché veniva considerato uno stile oramai passato di moda e fuori metrica.
Ebbene la grandezza dello stile architettonico medievale che ha posto un’architettura stilisticamente unica nella storia – se si esclude l’epoca contemporanea dove vige una architettura decostruttivista minimalista, che si conforma al nichilismo odierno –, che noi riconosciamo con il romanico e il gotico, nasce dalla fede. Il barbaro che ha conquistato l’Impero romano è stato l’uomo scelto da Cristo per la sua salvezza: dunque vige nella mente umana quel meccanismo di distacco dall’epoca antica pagana.
Il poeta tedesco Christian Johann Heinrich Heine (1797 – 1856) meglio di chiunque altro identifica la forza del medioevo con tutta l’essenza di questa frase: «un amico mi chiese perché non si costruivano più cattedrali come le gotiche famose, e gli dissi: gli uomini di quei tempi avevano convinzioni; noi moderni, non abbiamo altro che opinioni, e per elevare una cattedrale gotica ci vuole qualcosa di più che un’opinione».
Pioniere del neo-gotico l’architetto inglese Augustus Welby Pugin Northmore (1812 – 52) è stato il primo intellettuale che abbia rivalutato il gotico nella coscienza pubblica, dopo secoli di indifferenza.
Contrasts è considerato uno dei libri manifesto che ha segnato una svolta nella storia dell’architettura, per il suo atteggiamento moralistico nei riguardi di quest’ultima. Il saggio, fu un gesto di provocazione per creare una svolta nella storia del gotico, che da problema di “gusto” passa a problema etico. La fortuna di questa architettura medievale, ha tre filoni principali: il primo si può identificare nel fenomeno edonistico, in cui gioca un ruolo accessorio, presto sentimentale; il secondo prende l’aspetto di un richiamo alla razionalità di fondo illuministico (il gotico inteso come “storia della ragione”); infine vi è un ritorno alla fonte storicistica che coincide in Gran Bretagna con una forma di ricerca archeologica autoctona, la quale si indirizza ai monumenti medievali.
Questo libro è importante perché contribuisce a dare al gotico la carica di stile cattolico che entra in polemica con la religione inglese protestante e Pugin crea un’opera singolare, poiché costituisce una anticipazione di metodi propri dell’operare dell’architetto moderno.
L’architetto inglese, rende riduttivo il modello classico e neoclassico ed enfatizza il modello del gotico. L’opera architettonica di Pugin, infatti, tende sostanzialmente a introdurre in questo stile un’austerità che porta l’uomo alla suggestione; la tendenza va all’indietro, risalendo alle fonti della tradizione sassone-romanica nel suo innestarsi con il gotico.
L’autore brucerà queste esperienze nell’arco di una formidabile attività di due decenni, fino alla soglia della follia che lo colpisce poco più che quarantenne. Contrasts, oggi rinominato anche Contrasti Architettonici o la questione del gotico, rappresenta il momento più felice e positivo del pensiero dell’architetto britannico.
Un tema introdotto è quello della morale ed ecco l’etichetta di “manifesto”: servire o guidare è il compito dell’architetto, il quale dovrà farlo in modo giusto. Nelle pagine del piccolo volume, serpeggia l’odio per quella Londra che presto si sarebbe detta Vittoriana, caratterizzata per le ciminiere fumose, per le banche pretenziose e per le chiese monotone e spoglie, costruiti secondo i criteri della più severa economia: produci e avrai l’anima salva. Pugin scrisse l’opera nel 1835, nel cuore delle campagne violentate dalle ferrovie, nelle città sfigurate e dai ritmi di vita mutati. Come conseguenza di questo disorientato sgomento per molti ci fu il riaffermarsi e la riscoperta dell’età medievale: modello di unità civile e religiosa, l’arte appariva al servizio di esigenze collettive pure e disinteressate e si esprimeva non nel linguaggio “universale del classicismo”, ma nelle forme molteplici e fortemente accentuate in senso locale del gotico. Dunque il ritorno al Medioevo in Inghilterra prese varie strade. Nel tardo Settecento vi fu un primissimo revival gotico, nei primi decenni dell’800 vi fu un’indagine estesa e sistematica degli archeologi che indagarono sulla conoscenza scientifica dello stile nelle cattedrali. Il gotico è dunque stimato da Pugin, proprio per l’unità della fede cattolica medievale non ancora incrinata dagli scismi, né inquinata dalle istanze umanistiche che diede una stabilità sociale e dell’eccellenza artistica proprio in quel periodo. Il cattolicesimo di stampo medievale aveva permesso rapporti di lavoro più sereni ed umani ed il medioevo si identificava come uno strumento di concreta partecipazione alla vita sociale.
D’altronde la sua avversità per il mondo umanistico e rivoluzionario è di antica origine, poiché era figlio di un trattatista e disegnatore architettonico francese Auguste Pugin (1762 – 1832), che come molti altri era immigrato in Inghilterra a seguito della Rivoluzione francese e aveva sposato Catherine Welby della famiglia Welby di Denton, nello Lincolnshire.
L’autore, nel trasferire in campo architettonico i temi di un dibattito religioso e sociale, si mostrò agguerrito oppositore del protestantesimo conoscendo appieno le interpretazioni negative della riforma anglicana con le sue iniquità. Per l’architetto dunque la realtà disgregata che aveva seguito lo Scisma di Enrico VIII (1491 – 1547) poteva recuperare la compattezza spirituale perduta solo attraverso la via della restaurazione.
Rinnovamento e restaurazione auspicati da Pugin non investono il solo campo politico, ma coincidono con un semplice riuso dello stile gotico, il quale ricompone lo spirito del passato e imprime quel carattere medievale (quindi pre-riformistico) che informava della sola vita, le opere delle antiche devote generazioni. L’architetto, difatti, si convertirà al cattolicesimo intorno al 1835, ma il messaggio di Contrasts non è solo quello che riguarda il ripristino della vera architettura cattolica. Da questi pochi concetti, decisivi non possiamo non osservare la straordinaria contemporaneità del suo messaggio. Attuando una brevissima regressione, oggi le chiese non si sono forse protestantizzate? Non hanno perso forse la loro sacralità e addirittura la loro forma tipologica? Esempi lampanti certamente ce lo dimostrano e ci indicano gli errori che si sono succeduti dal Concilio Vaticano II.
L’oggetto deve essere fatto bene e bisogna immettere nel lavoro la qualità per il dettaglio. L’architetto inglese criticò anche la produzione in serie, la quale alienava l’uomo e contestò anche i nuovi materiali, quali il cristallo e il ferro.
Uno dei limiti dell’autore sarà sempre l’aver pensato grandi idee e progetti, finalizzati poi con realizzazioni mediocri per una mancanza perenne di fondi.
In Contrasts, però, non parla l’architetto deluso, bensì il teorizzatore ancora convinto della possibilità di ricreare la purezza e l’onestà dell’artigianato antico, tutto ciò condizione indispensabile per un buon risultato: la presenza sincera e costante dello spirito cattolico.
Pugin si opponeva al revival indiscriminato dello stile gotico – detestava soprattutto la contraffazione volgarmente goticheggiante di qualunque oggetto di uso comune, ma avrebbe apprezzato un’edilizia gotica sorta sotto l’egida della fede cattolica. Questo volume contribuì a diffondere il già vivo interesse per lo stile gotico. Un altro tema affrontato nel libro è il restauro; Pugin rimane profondamente offeso dai restauri arbitrari che mutilavano gli antichi organismi reintegrandoli poi con interventi anacronistici, stiticamente incoerenti e peggio malamente eseguiti, addirittura a questi interventi scellerati, preferisce la pace dell’abbandono. Non è forse un altro suo pensiero attualissimo? Anche in concomitanza con molti restauri contemporanei alquanto discutibili, all’interno dei quali la corrente accademica del contrasto “vecchio/nuovo” si è oramai imposta da anni, con l’antica scusante del “falso storico”.
Secondo Pugin nell’Inghilterra Ottocentesca non vi era una consapevolezza di come conservare e mantenere in buono stato i monumenti: così la città diventa la prima illustre vittima del vandalismo e dell’industria e tutti si muovono nella profana vitalità della metropoli. Infine la città moderna, clamorosa e sgradevole, aveva definitivamente travolto anche il ricordo della quiete comunità medievale. Agli intellettuali non restava che ricostruirla nel pensiero nostalgico e commosso per commemorarne la scomparsa. L’aspirazione a ritmi e ambienti di vita più umani, collocano Pugin tra gli iniziatori di un nuovo e non ancor decaduto modo di sentire.
Nel suo capitolo sullo stato di decadenza degli edifici ecclesiastici, in questo capitolo cruciale del testo dell’autore, quest’ultimo esamina con attenzione forte critica – spesso con il classico sarcasmo britannico -, lo stato degli edifici ecclesiastici, dopo che su di loro sono passati tre secoli di devastazioni di ogni genere, di abbandono, di restauri orribili. Come punto iniziale, parla delle cattedrali a suo dire i monumenti più splendidi che restano del passato e che meritano perciò più di ogni altro la massima considerazione.
In un’epoca dove c’era scarsa sensibilità verso l’antico, Pugin fu il primo intellettuale che pose l’attenzione sulle fabbriche che superavano tutte le altre strutture per altezza e per splendore: sintomo di una mancanza di rispetto verso Dio e verso la storia. Il suo rimpianto e disgusto nel constatare che larghe parti di queste costruzioni sono state inutilmente sfigurate, e che gli attuali proprietari di tali edifici, non meritano di occuparli per la loro grande superficialità ed ignoranza. L’architetto continua la sua trattazione, parlando della funzionalità delle chiese, le quali venivano edificate destinando ad ogni singola parte un uso ben specifico. Così il coro era destinato ai soli ecclesiastici, ognuno dei quali sedeva nel proprio stallo, la navata centrale era progettata per ospitare l’immensa congregazione di fedeli, i quali erano uniti gli uni agli altri, senza considerare il proprio grado sociale; mentre i bracci del transetto offrivano ampio spazio per le processioni solenni del coro; i chiostri formavano un deambulatorio quieto e riparato per la meditazione degli ecclesiastici e infine la sala capitolare era un nobile ambiente dove essi si incontravano sovente e risolvevano questioni di tipo spirituale. Ora, denuncia, le chiese hanno perso la loro funzione, partendo dalla loro apertura, che a differenza del passato, sono aperte solo poche ore ogni giorno, questo per evitare, già nell’Ottocento, deturpazioni e profanazioni da parte del popolo ignorante che ha perso la fede. Secondo l’inglese, il suo popolo ha perso la moralità e la religiosità, un tempo caratteristiche inscindibili di un popolo forte come quello inglese. Pugin, inizia ad elencare le varie categorie di persone che frequentano oggi le chiese: dalla persona che vi entra solo perché vi abita vicino, a quella che vi accede solo per sentire le melodie, sempre più scadenti, a quelle che entrano solo per vedere la chiesa perché turista. In sostanza non si entra più in chiesa con il giusto spirito, ma con superficialità e proprio quest’ultima viene presa d’esempio dalla gente, che guardando il parroco agisce di conseguenza. Questi sono i principali tipi di visitatori di questi mirabili edifici, nessuno dei quali avverte minimamente la santità del luogo o la maestosità del progetto.
Pugin sposta il suo argomento, proprio sulla figura citata pocanzi, ovvero quella del prete il quale ha smarrito la propria funzione d’esempio. Ancora grandi scintille di contemporaneità che oggi possiamo ritrovare nel clero europeo, sempre meno pastore e sempre più “impiegato statale”.
_Augustus W. Pugin, Contrasti Architettonici o la questione del gotico, casa editrice Uniedit Biblioteca di Architettura.
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