03 Nov Teologia e magistero nel Pontificato di Papa Francesco I
di don Mauro Tranquillo dello 03-11-2020
Per continuare il nostro esame con uno dei temi-chiave del pontificato bergogliano, da noi ampiamente commentato negli ultimi convegni, esamineremo ora il messaggio che il Papa ha rivolto ai partecipanti del XVI Congresso internazionale della Consociatio internationalis studio Iuris canonici promovendo, del 6 ottobre 2017, in occasione del centenario della promulgazione del codice piano-benedettino (1917). Per Papa Bergoglio, il lavoro di Papa Sarto sul diritto «segnò, all’indomani ormai della fine del potere temporale dei Papi, il passaggio da un diritto canonico contaminato da elementi di temporalità a un diritto canonico più conforme alla missione spirituale della Chiesa». Non c’è nemmeno da commentare l’inesattezza storica di questa affermazione; ma appare chiaramente il disprezzo per l’aspetto visibile e giuridico della Chiesa, aspetto che è la forma stessa, filosoficamente intesa, che definisce la Chiesa (non è, come sembra sempre dire Papa Francesco, una sorta di accessorio che è meglio perdere che conservare); la natura “spirituale” della missione della Chiesa viene, nella migliore tradizione gnostica, messa in contrapposizione con la sua essenza di società giuridicamente perfetta. Ma il discorso del Pontefice è molto esplicito nel seguito: il codice viene elogiato (nella visione bergogliana) per aver svolto un ruolo fondamentale “«nella emancipazione dell’istituzione ecclesiastica dal potere secolare, in coerenza col principio evangelico che impone di “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (cfr. Mt 22,15-22). Sotto questo profilo, il Codice ha avuto un doppio effetto: incrementare e garantire l’autonomia che della Chiesa è propria, e al tempo stesso – indirettamente – contribuire all’affermarsi di una sana laicità negli ordinamenti statali». Al di là della falsità dell’asserto, è chiaro che il Papa vuol presentare la laicità dello Stato in termini positivi, secondo il concetto tipico di Dignitatis humanae e di tutti i Papi post-conciliari, concetto condannato dal Magistero in numerosissime occasioni, e definito “manicheo” da Bonifacio VIII in Unam Sanctam, quasi che le due società non avessero un medesimo Principio da cui derivano, e l’inferiore non dovesse rispondere alla superiore.
C’è un’insistenza particolare sulla revisione del ruolo del diritto nella Chiesa, «dove il dominio è della Parola e dei Sacramenti, mentre la norma giuridica ha un ruolo necessario, sì, ma di servizio». Revisione che è legata direttamente alla dottrina del Vaticano II: Francesco parla infatti del codice del 1983, ricordando come Giovanni Paolo II lo abbia presentato come la traduzione dell’ecclesiologia conciliare in linguaggio canonistico: «L’affermazione esprime il capovolgimento che, dopo il Concilio Vaticano II, ha segnato il passaggio da un’ecclesiologia modellata sul diritto canonico a un diritto canonico conformato all’ecclesiologia. Ma la stessa affermazione indica anche l’esigenza che il diritto canonico sia sempre conforme all’ecclesiologia conciliare e si faccia strumento docile ed efficace di traduzione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II nella vita quotidiana del popolo di Dio. Penso, ad esempio, ai due recenti Motu proprio che hanno riformato il processo canonico per le cause di nullità del matrimonio». Se da un lato si ammette che il ruolo del diritto, da costitutivo della società, è diventato accessorio (e che l’ecclesiologia conciliare non corrisponde alla precedente, anzi ne è il capovolgimento), dall’altro si ricorda che, anche in questo caso, il processo è lungi dall’essere concluso. Il richiamo alla nuova legislazione matrimoniale ci fa capire che non si può congelare nemmeno il diritto in una forma conchiusa, ma che la «traduzione degli insegnamenti del Vaticano II nella vita quotidiana del popolo di Dio» è un processo in infinito divenire, anche a livello canonico: l’influenza che deve esercitare il Concilio è «lunga nel tempo».
La natura di tali insegnamenti è esplicitata dal pontefice nella conclusione del messaggio: «collegialità, sinodalità nel governo della Chiesa, valorizzazione della Chiesa particolare, responsabilità di tutti i christifideles nella missione della Chiesa, ecumenismo, misericordia e prossimità come principio pastorale primario, libertà religiosa personale, collettiva e istituzionale, laicità aperta e positiva, sana collaborazione fra la comunità ecclesiale e quella civile nelle sue diverse espressioni». Il diritto canonico è visto quindi come strumento di irreversibilità e stabilizzazione della rifondazione della Chiesa. L’ecclesiologia conciliare, con il tocco di “profetismo” bergogliano, garantisce che lo spirito “pastorale” possa continuare il suo corso riaprendo la dialettica su nuovi temi.
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