Lo stile storico-romantico sull’arte del genere vandeano

di Giuseppe Baiocchi del 05-04-2020

La storia delle guerre di Vandea (1793-95-99 – 1815) nell’arte ufficiale del XIX secolo è strettamente legata a quella dei diversi regimi politici che si sono susseguiti. Gli eventi hanno lasciato un segno profondo e duraturo nella regione. Non esiste alcun potere politico che non abbia tentato di difendere la causa dell’una o dell’altra delle forze coinvolte. Poco dopo la fine della guerra, assistiamo a una vera “eroizzazione” della Repubblica.

Charles-Melchior Descourtis (1753 – 1820), Il giovane Darruder. Il tamburino Darruder vendica suo padre ucciso dai vandeani, nella battaglia di Fougères, nel 1793. 

Attraverso le immagini, la giovane Repubblica cerca di mettere in evidenza gli eroi popolari che si sono distinti durante le guerre della Vandea: i Blues. Come gli scultori, ai pittori viene chiesto di fissare nell’eternità le caratteristiche di tali personaggi. Il coraggio è il pretesto per tutte le produzioni nazionali siano esse incisioni, poesie, canzoni. Ci sono figuranti umili, riuniti, ognuno più coraggioso dell’altro, il che servì alla propaganda rivoluzionaria, come il giovane Darruder di Charles-Melchior Descourtis (1753 – 1820), oppure il granatiere di Bressuire, l’eroina di Milhier di Jean-Baptiste Lesueur (1749 – 1826), o il fabbro della Vandea che curiosamente, non hanno lasciato tracce nella storia della Vandea militare.
Sotto l’aspetto pittorico i dipinti dei generali vandeani e più in generale l’arte che ha raffigurato gli scontri delle guerre di Vandea hanno ricevuto quasi interamente l’influsso della pittura romantica. Difatti in Germania, a Jena, nel 1796, i fratelli Wilhelm August (1767-1845) e Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel (1772-1829), Johann Christian Friedrich Hölderlin (1770-1843) e Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg (Novalis 1772-1801) diedero vita a un cenacolo intellettuale dal quale ebbero origine le idee di un nuovo movimento artistico-letterario, il Romanticismo che modificò radicalmente il modo di considerare l’uomo, la natura, l’arte, la religione, la politica. In primo luogo per i romantici la natura – al pari dell’anima – si fondava su un principio di ordine spirituale ed era un’entità organica, vivente e in divenire, non riconducibile a schemi oggettivi o meccanici e non conoscibile per via razionale.
Secondo i romantici gli antichi vivevano in una comunione immediata con la natura, irrimediabilmente persa nella modernità, che aveva prodotto una frattura insanabile, fonte di infelicità, tra l’uomo e il suo ambiente naturale e spirituale. A tale comunione ormai perduta l’uomo moderno continuava ad aspirare spinto dalla nostalgia, pur essendo consapevole della sua irraggiungibilità. La vita umana veniva caratterizzata così da una tensione infinita verso ciò che stava al di là della realtà concreta. I romantici tedeschi coniarono il termine “Sehnsucht” – letteralmente desiderio di desiderare – per indicare l’insaziabile inquietudine che portava l’uomo a tendere verso una realtà ulteriore, pur sapendo che essa, nella sua più intima essenza, era impossibile da attingere, poiché i processi di meccanizzazione, poi accellerati dalla rivoluzione industriale, furono la causa della frattura insanabile tra l’uomo e la natura prodotta dalla modernità.
La potenza della téchne, della scienza – ovvero tutte quelle modalità di dominio sull’ente –, che con la filosofia moderna e contemporanea avrebbero fatto dell’uomo il fondamento del reale, hanno sostanzialmente svuotato di contenuto il Dio della tradizione, il Dio cristiano.

L’uomo moderno e contemporaneo – che fonda i suoi cardini intorno al concetto di metafisica, derivante dall’idealismo tedesco –, ha sostituito il divino, con il credo di poter essere proprio “lui” il fondamento ultimo del reale, in quanto soggettività assoluta: individualismo. Non a caso Friedrich Wilhelm Nietzsche scrisse che: “Dio è morto”, annunciandolo nelle piazze. Tuttavia il grande filosofo tedesco, era consapevole che non si trattasse di una chiacchiera da pazzo, di un folle. Di contro, la presa di coscienza drammatica di un avvenimento che ha completamente ribaltato la comprensione di tutta la nostra epoca.

Con la prima Restaurazione del 1815, la situazione si modifica in modo significativo: in effetti, in un disegno permanente di riconciliazione e pacificazione nazionale, Luigi XVIII deve soddisfare sia coloro che lo accusano di voler dimenticare i sacrifici fatti dai suoi seguaci per il suo ritorno sul trono di Francia, sia i liberali che augurano una nuova Francia. Il re, sempre tiepido per non scomodare tutti, ordinò nel 1816 di ritrarre postumi i generali vandeani, da collocare nella sala delle guardie del castello di Saint-Cloud. I primi dipinti prodotti furono presentati all’Esposizione parigina del 1817. Le famiglie coinvolte e sopravvissute alle plurime guerre vandeane furono chiamate da Luigi XVIII per recepire le risposte che il re riceveva dopo la richiesta emessa ai pittori ufficiali.
Le opere presentarono fin da subito alcune contraddizioni: alcune delle famiglie non riconobbero i loro generali che avevano cresciuto, altri hanno stigmatizzato le posizioni scelte. Ad ogni buon conto le famiglie che fornirono ai pittori elementi di autenticità furono generalmente soddisfatte.
Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson (1767 – 1824) è uno dei primi pittori francesi ad aderire al progetto del Regno. In questo ritratto a figura intera, si mostra il generalissimo dell’Esercito Cattolico e Reale l’umile Jacques Cathelineau (1759 – 1793) rappresentato in piedi, di fronte, con la testa rivolta verso sinistra. Esposto al Salon tra il 1831 e il 1869, questo olio su tela del 1825 è alto 2,20×1,50m.

Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson, Jacques Cathelineau, olio su tela del 1825 è alto 2,20×1,50m. 

Le saint de l’Anjou, così come venne ribattezzato, non è nel mezzo di una battaglia, ma è intento a dare ordini vicino ad una vegetazione dal gusto romantico. Afferra in mano una sciabola su cui è inciso il suo nome e un giglio. Porta il rosario reliquiario conservato tutt’oggi al Museo della Dobrée a Nantes. Sullo sfondo, dietro gli alberi, sono rappresentati due elementi simbolici: una croce e una bandiera bianca bianca con fleur-de-lis: Dio e il Re, sono in realtà un unicum. Questo ritratto è stato dipinto su richiesta della Maison du Roi e già nel 1817, Luigi XVIII l’aveva ordinato per il suo castello a Saint-Cloud. Successivamente, il Re accettò l’esecuzione di repliche di questo capolavoro destinato alle famiglie. Completato nel 1825, dopo la morte di Luigi XVIII, ha inciso sul retro il marchio del Re Carlo X e dei Musei reali.
Secondo generale eseguito da un pittore dalla non minore bravura è quello dello storicista Léon Cogniet (1794 – 1880), famoso per aver insegnato ad una generazione artistica di fenomeni. Anche lui non sfugge al fascino di dipingere un generale vandeano. Ne sarà un esempio “il principe di Talmont Antoine-Philippe de La Trémoille”, (1765 – 1794) olio su tela del 1825, conservato al Museo di storia dell’arte di Cholet.

Léon Cogniet “il principe di Talmont Antoine-Philippe de La Trémoille”, olio su tela del 1825. 

L’energico e simpatico personaggio, di rilievo nelle guerre vandeane, è letteralmente in posa. Stride leggermente con lo sfondo cupo di un bastimento repubblicano ligneo che sta per essere assaltato e preso. Sempre sulla destra dello sfondo, si intravedono contadini realisti che impugnano il vessillo bianco e oro del Re di Francia Luigi XVI. Talmont rappresenta l’eroe classico, in prima fila, che senza paura incoraggia, alzando il cilindro, i suoi uomini. L’impatto cromatico è di una perfezione sconvolgente se osservato da vicino, così come dettagliatissimi sono i particolari del quadro.
La monarchia zoppa di Louis-Philippe I d’Orléans (1773 – 1850) adottò un nuovo atteggiamento nei confronti della memoria delle guerre di Vandea. Dal 1830 al 1848, il regime mise tutta la sua energia nel combattere ciò che poteva ricordare la guerra civile e di conseguenza rievocare rancori mai sopiti. Tutte le forme di espressione artistica sono influenzate da questa volontà ostile, che si impegna contemporaneamente in una politica di riabilitazione repubblicana.
Molti architetti e scultori sono certamente preoccupati, poiché la monarchia di luglio interrompe i lavori di costruzione della cappella neogotica di Mont-des-Alouettes (1825 – 1968) su progetto dell’architetto diocesano Maurice Ferré e demolisce la statua di Charrette del 1826 davanti alla La cappella di Notre-Dame della pietà presso Legé e interrompe il progetto di costruzione del monumento di Fortuné Parenteau (1814 – 1882) a Quatre-Chemins-de-l’Oie.
Durante la costituzione delle Gallerie storiche di Versailles, i ritratti dei leader vandeani vengono catalogati per essere respinti. L’assenza di alcune memorie militari è quindi giustificata: «Se ci sono alcuni che sono sorpresi di non trovare i dipinti, la motivazione è data dal pensiero che ha presieduto questo lavoro, che non ha voluto perpetuare il triste ricordo della nostra discordia civile» .
Fu così che il dipinto di Thomas Degeorge (1786 – 1854) evocante “La morte di Bonchamps” commissionato nel 1828, fu rifiutato dalla giuria del Salon nel 1837. Lo Stato si impegnerà a proporre un compromesso acquistando l’opera per donarlo alla città di Clermont-Ferrand. Tale opera sarà particolarmente singolare nello stile, poiché possiede anche molti elementi dello stile artistico neoclassicista: innanzi tutto la posa, poiché Bonchamps è adagiato morente come nelle antiche tragedie greche e spirando con la sua celebre frase «Ho servito il mio Dio, il mio re, la mia patria. Ho saputo perdonare», lasciava le sue ultime volontà, tra cui il perdono di circa 5.000 repubblicani catturati il giorno prima nella battaglia di Cholet (1793) al suo attendente Charles Marie di Beaumont conte d’Autichamp (1770 – 1859). Oltre ai due protagonisti principali in pose greco-antiche – da osservare con attenzione anche il panneggio delle vesti e dei teli –, un prete sta per concedergli l’estrema unzione e un contadino vandeano invoca il miracolo, ma per i martiri Dio ha sempre altre vie. Infine la luce è magnificamente inserita per dare risalto al gruppo principale del dipinto ad olio.

A sinistra possiamo osservare due particolari del dipinto di Thomas Degeorge, “La morte di Bonchamps”, olio su tela del 1828. A destra una foto del sepolcro del generale nella chiesa di Saint-Florent-le-vieil, capolavoro dello scultore David d’Angers. 

Ancora più neoclassica è l’opera marmorea per la tomba del generalissimo, eretta nella chiesa di Saint-Florent-le-vieil, capolavoro dello scultore David d’Angers (1788 – 1856), e sicuramente il più bel monumento elevato alla memoria di un generale vandeano. Qui in questo angolo di pace, sopra le insegne borboniche e della famiglia, tutto si rifà squisitamente alla scultura classica della Roma antica, grazie all’estremo pathos che la scultura trasmette.
Le morti eroiche o il ricordo dei generali sono i motivi che attirano di più l’adrenalina degli artisti: è il caso del celebre Julien Le Blant (1851 – 1936). Pittore storicista del periodo, è considerato uno dei massimi artisti del genere vandeano: molte le scene della chouannerie e delle guerre della Vandea. Nel 1874 partecipò al Salon di Parigi e fu più volte premiato. Una delle sue opere più celebri è il cupo quadro “Esecuzione del generale Charette a Place de Viarmes a Nantes, marzo 1796” un olio su tela, del 1883 alto 1,60 m. e largo 2,80 m. Il 29 marzo del 1796, fu eseguita un’altra esecuzione celebre che stroncò la controrivoluzione: a Nantes in Place des Agriculteurs, che in seguito divenne Place Viarme, il generale vandeano François Athanase de Charette de la Contrie (1763 – 1796), è posto in primo piano di spalle. Il dipinto anche se scuro, attira l’attenzione proprio sul generale in veste bianca con dettagli rossi. Il portamento è fiero, nobile, sereno.

Julien Le Blant,“Esecuzione del generale Charette a Place de Viarmes a Nantes, marzo 1796”, un olio su tela, del 1883, alto 1,60 m. e largo 2,80 m. 

Ferito alcuni giorni prima durante un combattimento a Guyonnière, la sua testa è fasciata da uno dei famosi fazzoletti di Cholet: davanti a lui un compagno si dispera; il soldato che gli è davanti quasi si vergogna, abbassando lo sguardo. Determinato davanti al plotone di esecuzione in arrivo in terzo piano, senza macchia, affermerà prima del trapasso indicando il cuore: “Regolate bene la mira, è qui che dovete colpire un uomo coraggioso” – il romaticismo, insieme allo storicismo regnano in questo dipinto. Un sacerdote “giurato” è retrocesso in fondo alla piazza, accanto ai soldati: il militare rifiuta i sacramenti da quello che considerava un eretico. La pennellata sulle pietre lucenti per lastricati, che occupa la maggior parte dell’opera, contribuisce alla gravità della scena. Questa tela fu esposta al Salon di Parigi nel 1883.
Qualche anno prima (1878) Le Blant presentò al Salon l’opera “Morte del generale d’Elbee” del 1878. Fucilato il 4 gennaio 1794, Maurice Joseph Louis Gigost d’Elbée (1752 – 1794) verrà giustiziato nella sua poltrona, accanto ad altre vittime, dopo che le truppe del generale Turreau situate a destra, lo trascinarono, ferito, a ridosso del castello di Noirmoutier che domina la costa occidentale dell’antica contea di Poitou.

Julien Le Blant, “Morte del generale d’Elbee” olio su tela del 1878. A destra la poltrona dell’esecuzione del generale con ancora i fori di proiettile del 1794. Si trova anch’essa presso il museo di Noirmoutier. 

Tecnica pittorica legata allo storicismo, questo olio su tela 140x206cm oggi si trova al museo Noirmoutier. La scena è cruda: il generale franco-tedesco è già morto, trapassato con la testa leggermente inclinata sul corpo floscio. Sullo sfondo, con un grande realismo e minuzia di dettagli, si intravede il mare e le truppe repubblicane che si allontanano.
Nella seconda metà del XIX secolo, il ricordo delle guerre di Vandea è ancora molto presente. Ma sempre più, i criteri religiosi prevalgono sui motivi politici. L’era fu particolarmente propizia per il movimento cattolico. Con l’esaltazione dei martiri e l’inizio del processo di beatificazione, il culto delle reliquie contribuisce in gran parte a guidare il ricordo della difesa della fede e i quattro territori della Vandea militare si prestano al loro ricordo grazie alle numerose chiese.
Dal 1850 al 1913, le 90 opere d’arte che evocano le guerre di Vandea furono inviate nei saloni parigini. Ciò rappresenta una media annuale che varia tra quattro e nove dipinti. Per alcuni artisti, la guerra del 1793 non fu solo un tema occasionale, ma divenne una specialità a sé stante. Il soggetto si inserisce in un campo particolarmente apprezzato che rappresenta quindi il vertice dell’arte pittorica: la pittura dello storicismo, nella quale avviene lo sforzo massimale dell’artista per il realismo e il dettaglio dei particolari. Inizialmente è quello delle scene di battaglie, il pretesto per riproporre al grande pubblico le uniformi e le vesti della fine del Settecento.
Sarà di impatto visivo sicuramente il dipinto “Generale Lescure, ferito, attraversala Loira a Saint-Florent” di Jules Girardet (1856 – 1938); un olio su tela del 1882. Questo straordinario dipinto si trova nella Williamson Aryt Gallery di Birkenhead. La scena è epica: dopo la sconfitta del 19 settembre 1793 di Cholet, Louis Marie de Salgues, marchese di Lescure (1766 – 1793) fu ferito gravemente da un proiettile alla testa a Tiffauges.

Jules Girardet, Generale Lescure, ferito, attraversala Loira a Saint-Florent”, un olio su tela del 1882. 

Nel ripiegamento ciò che resta del suo esercito attraverso il tratto denominato dal nome del quadro. Grande realismo e tensione emotiva in tutto il dipinto, gli sguardi sui volti di ogni individuo sono molto espressivi, le nuvole possiedono un grado di realismo parossistico, aleggia una rassegnazione mista a paura: il paesaggio, ben eseguito, rende a questa opera una grande profondità prospettica.
Come in passato, la pittura storica rimane un mezzo di propaganda al servizio dei regimi politici. Lo stato è un mecenate che incoraggia la produzione artistica per la Repubblica. Questo desiderio è particolarmente evidente dopo la nomina di Edmond Turquet (1836 – 1914) alla carica di Sottosegretario di Stato per le Belle Arti per quasi quattro anni, tra il 1879 e il 1887.
Alcuni artisti sono sensibili a non irritare la committenza statale e cercano sempre di dipingere un il soggetto rappresentandolo in una luce favorevole alla causa governativa. Ad esempio, “La battaglia di Le Mans” di Jean Sorieul (1825 – 1871) del 1852 raffigura la profonda umanità di un giovane generale repubblicano. Al contrario, altri artisti lavorano per difendere la causa monarchica, sia per affermare la propria libertà artistica, sia per rispondere a commissioni private di legittimisti.
Tuttavia, i pittori evocano le guerre di Vandea senza indulgere in alcun atto di attivismo politico. Le critiche mosse ai Saloni parigini evidenziano la popolarità di questi temi, ma anche i loro limiti.
La pittura del genere nel XIX secolo inserirà della confusione, creando una nuova immagine: la figura del vandeano-chouan bretone. Non è raro infatti osservare nelle scene dei dipinti, dei personaggi della guerra di Vandea presi in prestito direttamente dal repertorio iconografico di Bretagna, Finistère o Morbihan, vestiti con pantaloni a sbuffo stretti alle ginocchia, gilet ricamati e grandi cappelli. I paesaggi stessi a volte sembrano più ispirati alla brughiera bretone che alla Vandea. Inoltre, la letteratura popolare ha anche contribuito a diffondere questa immagine della “Vandea-Chouan”, che combina due diverse realtà storiche.
Parallelamente alle scene di battaglia, i pittori ufficiali evocano molto spesso il tema della difesa della fede, in particolare attraverso la rappresentazione di messe celebrate in segreto: appaiono i famosi preti “refrattari”, ovvero i religiosi che non giurarono sulla Costituzione civile del clero (1790), l’eresia che divise la Chiesa francese durante l’epoca rivoluzionaria.
Durante la Terza Repubblica i soggetti assumono tutta l’acuità del tormentato. Essendo la religione oggetto di incessanti minacce, non è inutile invocare le reminiscenze di un passato ancora chiuso nei ricordi e mettere sotto gli occhi di ognuno le qualità dei suoi antenati cristiani, tramite l’arte.
Chiudiamo questa esperienza riavvolgendo il nastro, con un dipinto di Paul-Émile Boutigny (1853 – 1929) “Henri de La Rochejaquelein combatte a Cholet (1793)” del 1899 conservato al Museo di storia dell’arte di Cholet. In questo tardo quadro del genere, lo storicismo domina la scena di una delle battaglie più significative dell’inizio del conflitto. C’è frenesia, l’olio dei colori sulla tela rende la scena accesa. Il giovane La Rochejaquelein, forse l’eroe più amato per la sua gioventù e coraggio, crea entusiasmo allo spettatore. Posto semi-girato in primo piano con una giacca verdastra e fascia blancs attira l’attenzione per le poche persone che ha intorno.

Paul-Émile Boutigny “Henri de La Rochejaquelein combatte a Cholet (1793)”, olio su tela del 1899. 

La scena è in movimento e la luce è diffusa su quasi tutto il dipinto. Intorno a lui la battaglia si è trasformata in uno scontro all’arma bianca. Il giovane sembra quasi dire a chi lo segue: «Se mio padre fosse fra noi, vi ispirerebbe più fiducia, poiché mi conoscete appena. Io del resto ho contro di me la mia giovinezza e la mia inesperienza; ma ardo già di rendermi degno di comandarvi. Andiamo a cercare il nemico: se avanzo, seguitemi; se indietreggio, uccidetemi; se mi uccidono, vendicatemi»!

 

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