L’avversione di Otto al nazismo, fin dagli albori, lo pose come l’acerrimo nemico di Hitler, per quanto riguardava le posizioni del Führer sull’istituzione monarchica. È tristemente famosa la frase del nome in codice dell’Anschluss “Operazione Otto” e altrettanto forti furono le frasi di Hitler sprezzante sul passato dell’Austria-Ungheria, che definiva “impero meticcio”. Ancora due inviti da parte del cancelliere tedesco vengono rifiutate nettamente da Otto. Una posizione diversa, rispetto a quella presa dagli Hohenzollern, specialmente dal Kronprinz August Wilhelm Heinrich Günther Viktor Hohenzollern (1887 – 1949, il primogenito del Kaiser Guglielmo II) il quale aveva pubblicamente appoggiato Hitler durante la campagna elettorale, per avere in cambio una restaurazione della propria famiglia. L’arciduca ricorderà come una volta incontratosi con il principe prussiano, questi si presentò in camicia bruna delle SA, mettendolo «a forte disagio». Come in altri casi politici, Hitler sfruttò il nome della Casa reale per prendere voti, poi una volta al potere, scaricò gli Hohenzollern, non restituendo alcun “Trono e Altare”.
Una settimana dopo l’annessione dell’Austria, il giorno di compleanno del Führer, il Ministro austriaco della Giustizia emette un mandato d’arresto contro Otto d’Asburgo e si legge nella nota «alto tradimento», poiché domandò aiuto alle Potenze straniere per impedire l’annessione. La stampa di lingua tedesca è dura, additandolo come «un reietto degenerato degli Asburgo» e un «criminale in fuga»: inizia la caccia all’uomo, che terminerà solo con la fine della seconda guerra mondiale. Il primo tentativo di rapimento da parte nazista, avviene nel 1939, quando un commando della Gestapo tenta di rapirlo: a Parigi, Otto soggiorna in un hotel di boulevard Raspail e, dopo l’armistizio del 1940, esso figura nella lista dei 76 nomi stabilita dall’alto comando come “elementi pericolosi e sovversivi”. Le autorità francesi hanno ordine espresso di arrestare tali individui; addirittura Walter Richard Rudolf Hess (1894 – 1987) voleva assassinarlo immediatamente dopo l’arresto avvenuto. L’arciduca si trovava in una situazione di immenso pericolo: la sera del 9 giugno 1940, quando il governo francese era già stato trasferito a Bordeaux, Otto è invitato ad un pranzo al Ritz da un ex ambasciatore americano presso il re dei belgi, per le 20:30. Una cena alquanto surreale se si pensa che cinque giorni dopo le truppe tedesche entravano trionfalmente a Parigi. La città è un deserto e gli uomini possono sentire il rumore dei loro passi che risuono nella sottostante piazza: «Eravamo i soli ospiti dell’albergo. Era incredibile quando ci penso… […] La cena era stata servita secondo le regole dell’albergo da camerati in frac come se niente fosse. La cena fu sontuosa, la discussione entusiasmante». Curioso che il libro degli ospiti del Grand Hotel veda, dopo la firma dell’arciduca, quella del feldmaresciallo Erwin Johannes Eugen Rommel (1891 – 1944), avvenuta pochi giorni dopo; qualche anno più tardi Otto d’Asburgo affermerà «di sicuro il mio nome non gli sarà sfuggito»! Il giorno dopo egli partirà per la Spagna ed il Portogallo, aiutando anche un centinaio di compatrioti austriaci alla frontiera con la Spagna franchista. A breve approda negli Stati Uniti, dove a Washington, convince l’amministrazione Roosevelt a dichiarare il 25 luglio “l’Austrian Day” e pubblica articoli per la rivista “The Voice of Austria”.
Il prestigio della sua figura è tale che viene ricevuto anche presso la Casa Bianca dal presidente e sua moglie, incontrerà banchieri e industriali. Le sue conferenze affascinano il pubblico americano: le sue esposizioni sono chiare e precise, per un pubblico che conosce a malapena la Mitteleuropa. Sarà anche grazie al lavoro di Otto d’Asburgo, che alla conferenza dei ministri degli affari esteri che si era tenuta a Mosca il 19 ottobre 1943, gli alleati dichiararono che a conclusione del conflitto l’Austria sarebbe dovuta essere libera e indipendente, annullando, de facto, l’Anschluss. Infaticabile difensore dell’identità dell’Austria Otto d’Asburgo lavorerà a Washington fino al 1944, mentre la sua famiglia si era trasferita in Québec. Il suo ruolo negli Stati Uniti diviene essenziale, poiché egli si sforzò di far capire l’importanza dell’equilibrio geopolitico mitteleuropeo verso gli americani, ricordando loro molto spesso i gravi errori dei trattati post 1918, dove l’incoscienza, l’ignoranza e il disprezzo avevano regnato sovrane sui paesi sconfitti.
Scoperto ben presto il piano egemonico comunista di Stalin nei confronti dell’Austria, che prese il nome di “Morghenthau” (dal nome di un segretario di Stato americano al Tesoro che l’aveva elaborato), vi si oppose con grande energia. Tale programma prevedeva la divisione dell’Austria in due parti: Vienna sarebbe andata sotto il controllo dell’Unione Sovietica (come poi avverrà per circa dieci anni) insieme a metà del territorio austriaco. I negoziati, quando Otto ne viene a conoscenza, sono già in uno stadio avanzato. Il presidente americano riferisce all’arciduca che è possibile ancora rivedere tale piano a condizione che lo richieda il Primo Ministro britannico, un certo Winston Churchill. L’inglese decretò, con molta semplicità che «la strada per l’India, vitale per l’Inghilterra, passava per Vienna e che quindi bisognava modificare il piano d’occupazione dell’Austria». Un lavoro oscuro e silenzioso quello dell’arciduca: se il piano Morgenthau fosse stato applicato l’Austria sarebbe scomparsa. L’armata Rossa entra in Vienna il 12 aprile 1945, presentandosi come “liberatrice” e facendo temere un trionfo bolscevico alle elezioni. Stalin ordinerà l’edificazione di un monumento alla loro gloria in piazza Schwarzenberg, ancora presente, inquadrato oggi da una fontana.
Memoriale sovietico di guerra a Schwarzenbergplatz, Vienna.
L’Austria viene così “salvata” in quattro zone e non data interamente ai sovietici. La zona britannica controlla la Stiria, la Carinzia e il Tirolo orientale; la zona francese occupa il Tirolo settentrionale e il Vorarlberg; la porzione americana la parte sud dell’Alta Austria e Salisburgo; infine la Russia la Bassa Austria, il Burgenland e la parte dell’Alta Austria. Vienna stessa è scorporata in ben cinque zone, dove nel primo distretto era presente la sede amministrativa delle quattro potenze di occupazione e la capitale divenne dal 1948 il crocevia della guerra fredda.
L’esilio per Otto d’Asburgo sembra finire e dopo 25 anni può tornare nella sua terra (1945 – 1946): altra speranza effimera dopo tanti sforzi. Su richiesta del governo austriaco, gli Alleati ristabiliscono le leggi anti-Asburgo del 1919. L’accanimento ingiustificato porta la firma del presidente repubblicano Karl Renner (1870 – 1950), colui che nel 1938 aveva approvato l’annessione dell’Austria da parte di Hitler. La famiglia è costretta a ripartire per l’esilio, mentre l’Europa andava trasformandosi in quel “campo di battaglia” tra le due ideologie imperialiste che si affrontavano. L’arciduca risiede in Francia, ma viaggia spesso come conferenziere. Per lui, l’evento più importante nell’immediato dopoguerra è il matrimonio: a 39 anni nel 1951, sposerà a Nancy, antica capitale del ducato della Lorena, la regina ventiseienne di Sassonia-Meiningen.
L’atmosfera è particolare: oltre alle 80.000 persone presenti, è presente una scorta di soldati in uniforme ungherese e diversi dignitari sfilano con le uniformi dell’antico Impero. I due si conobbero nel 1950, dopo lo scoppio della guerra di Corea. I campi dei rifugiati ungheresi in Germania erano scossi dalla paura del vicino confine sovietico: «È così che ho incontrato la mia futura sposa. Lei cooperava con la caritas che si occupava degli ungheresi con i quali ne condivideva la sorte. I beni della sua famiglia che si trovavano in zona di occupazione sovietica, quella che sarebbe poi diventata la “Repubblica democratica tedesca”, erano stati confiscati integralmente. Questa giovane donna coraggiosa, esiliata come lo ero io e proveniente da una famiglia provata dalla sorte, mi ha subito attirato».
Dopo il matrimonio la coppia si trasferisce in Baviera, nella confortevole villa di Pöcking sul lago di Starnberg a sud di Monaco, romanticamente lo stesso luogo dove trovò la morte Ludwig II il 13 giugno del 1886. Le nascite si susseguono: Andrea (1953), le gemelle Monika e Michaela (1954), Gabriella (1956), Walburga (1958), Karl (l’erede tanto atteso nel 1961) e Georg (1964). Sulla moglie l’arciduca asserirà: «La favola non è mai terminata. Abbiamo avuto sette figli, cinque bambine e due bambini. Penso che le famiglie numerose siano una buona cosa, sia per i bambini come per il Paese».
Dopo la liberazione da parte sovietica dell’Austria nel 1955 (Trattato di Belvedere), Otto ottiene nuovamente la nazionalità austriaca, senza il permesso di tornare sul suolo natio. Nel 1957 Otto dichiara di riconoscere apertamente la Repubblica d’Austria, ma ancora i socialisti si oppongo forzatamente al suo rientro. Ancora il 31 maggio del 1962, egli rinuncia “in conformità all’articolo 2 della legge del 3 aprile 1919 al suo ruolo di membro del casato degli Asburgo-Lorena e alle rivendicazioni di sovranità che ne derivano. Nonostante i suoi gesti di distensione, il “dottor Asburgo” fa ancora paura in Austria. Solo nel 1966, il 31 ottobre, potrà rimettere piede su suolo austriaco, ma continuerà sempre a risiedere in Baviera, ottenendo anche la cittadinanza tedesca nell’aprile de 1978: tale operazione gli permetterà di candidarsi alle elezioni del parlamento europeo del 1979. Il ministro presidente della Bassa Austria accetterà la doppia cittadinanza – vietata in Austria – poiché il dottor Asburgo-Lorena ha merito di aver fatto «ricomparire sulle carte geografiche del mondo l’Austria, dopo la seconda guerra mondiale».
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