Il cristianesimo «anarchico» di Lev Tolstoj

di Valerio Pignatta del 31-10-2019

Lev Nikolàevič Tolstoj nacque nel 1828 a Jasnaia Poljana, nel governatorato di Tula, dal conte Nikolaj Il’ič e dalla principessa Marija Nikolaevna Volkonskaja e morì ad Astrapovo (ribatezzata nel 1918 Tolstoj) nel 1910. Non è questa la sede dove trattare le vicende che lo hanno visto protagonista del mondo letterario russo ed internazionale, che oltre a essere molto numerose si prestano a studi vasti e complessi, che riguardano soprattutto gli aspetti letterari dell’opera di Tolstoj.

Lev Nikolayevich Tolstoj nel 1849 posa giovanissimo per uno studio fotografico di San Pietroburgo.

Ci concentreremo invece intorno alla svolta morale che verso i cinquant’anni di età egli diede alla sua vita. Dopo aver trascorso un esistenza coronata da successi, amori, guerre, viaggi e fervori letterari, Tolstoj si ritrovò a dover affrontare una profonda crisi di natura spirituale, che lo spinse ad analizzare gran parte delle dottrine religiose esistenti – sia occidentali che orientali – alla ricerca di un nutrimento spirituale che appagasse il suo forte desiderio di identificare lo scopo della propria vita. Questo viaggio interiore lo condusse alla scoperta del proprio senso della vita nei Vangeli, il cui messaggio lo rifornì di un rinnovato vigore, aprendogli una nuova e fertile età senile traboccante di amore e impegno, non più letterario ma sociale, per l’umanità¹.
La nuova vita di Tolstoj fu caratterizzata, in sintonia con la parola di Gesù, dalla riscoperta della semplicità e dal valore della vita contadina, assieme a una profonda avversione nei confronti del potere degli Stati, delle Chiese organizzate e delle classi agiate. «In generale – scrivono Vladislav Lebed e Gloria Gazzeri nella nota introduttiva a una raccolta di saggi tolstojani – lo scopo della ricerca religiosa di Tolstoj fu di riportare il cristianesimo alla sua primitiva purezza e giungere ad una religione universale, valida per tutti i popoli basata sul Vangelo e su quelle verità fondamentali che sono comuni a tutte le religioni. Per lui l’unica legge valida è quella dell’amore. Mettere in pratica la legge dell’amore conduce ad una nuova dimensione spirituale, ci fa nascere alla vera vita»².
Se volessimo riassumere in un breve quadro introduttivo il concetto spirituale della vita di Lev Tolstoj nella sua vecchiaia, potremmo riportare anche le parole di Pietro Citati, che intrecciano la vita e l’opera dello scrittore russo in maniera mirabile: «Ciò che importa è accettare la volontà di Dio. Non desiderare nulla, obbedire, accogliere con amore tutto quello che ci viene chiesto: fare quello che è necessario, quello di cui abbiamo bisogno, quello a cui trascina irresistibilmente la nostra vocazione. “Ti agiti, ti dibatti, sempre perché vuoi nuotare in una direzione che ti è propria. Ora accanto, incessantemente, e vicino ad ognuno, scende il torrente divino, infinito, dell’amore, sempre nella sola e stessa direzione eterna. Quando ti sarai sfinito in tentativi di fare qualcosa per te stesso, di fuggire, di diventare sicuro, abbandona tutte le direzioni che sono tue, gettati in questo torrente, e ti porterà, e sentirai che non ci sono limiti, che sei tranquillo per sempre libero e felice”. Quando diventeremo così mobilmente e fluidamente passivi, acquisteremo la qualità suprema del cuore: la gioia, la calma, la tranquillità, la capacità di agire con facilità e senza sforzo, come se l’azione sgorgasse spontaneamente dalla fonte dell’Essere. Allora non ci proporremo più delle grandi azioni: amare tutto il genere umano, essere laboriosi e astinenti. “Si può fare una grande malvagità, ma un’opera buona non si può farla che piccola”. Quello che conta, in ogni opera buona, è la perfezione formale: l’amore, l’attenzione, la pazienza, la precisione con cui viene compiuta»³.
Ciò che Tolstoj intendeva con “amore” non era molto diverso da quello che Pëtr Kropotkin (1842 -1921) intendeva con “mutuo appoggio”, e su cui aveva scritto un intero volume⁴. I due pensatori furono in contatto epistolare e indubbiamente si influenzarono reciprocamente⁵.

All’inizio del 1851, il giovane conte Tolstoj decise volontariamente di recarsi nel Caucaso e di unirsi ai ranghi dell’esercito zarista. L’esempio del fratello maggiore di Nikolai, che aveva già prestato servizio nel Caucaso settentrionale, convince Lev Nikolaevich della decisione giusta. Nei suoi diari, ha scritto: «partecipai alle operazioni militari. Volevo davvero mettere alla prova il mio coraggio. E guardare anche con i miei occhi cos’è la guerra». Tolstoj vive nel villaggio di Starogladovskaya nella regione di Kizlyar, incontra i suoi compagni di lavoro e fa amicizia con gli abitanti degli altipiani (ceceni Balta Isaev e Sado Misirbiev) , prende parte alle operazioni militari, si prepara agli esami per il grado militare e nel settembre di quell’anno diventa Junker della 4a batteria della 20a brigata di artiglieria.

Sostiene George Woodcock (1912-95), uno dei massimi storici dell’anarchismo, che nel principe Kropotkin Tolstoj vedeva un esempio vivente delle rinunce da lui stesso compiute solo nelle proprie teorie e nelle proprie opere. Per tale ragione nutriva nei confronti dello scienziato anarchico un sincero rispetto e una profonda ammirazione. Al tempo stesso possiamo facilmente constatare l’influenza che Proudhon esercitò sullo scrittore di Jasnaja Poljana a partire dalle letture che quest’ultimo fece del libro Che cos’è la proprietà? Nel 1857⁶. Cinque anni dopo Tolstoj compì un viaggio a Bruxelles andando a trovare Proudhon, con il quale discusse appassionatamente il problema della pubblica istruzione. Possiamo poi aggiungere che l’insegnamento che Tolstoj cercò di mettere in pratica sui suoi studenti contadini era di carattere estremamente libertario e «il tipo di libera collaborazione fra insegnanti e allievi che cercò di attuare nella pratica era molto vicino ai metodi propugnati da William Godwin nell’Enquirer»⁷. Tutta l’opera saggistica e politica del Tolstoj maturo si colloca quindi nell’alveo dell’anarchismo, che lo scrittore russo sviluppò in seguito secondo una propria personale interpretazione di tipo più spirituale.

Tra le idee portanti dell’anarchismo cristiano di Tolstoj vi è sicuramente l’ideale della nonviolenza, che egli trasse dall’insegnamento evangelico. Tale concetto, su cui non scese mai a compromessi, destò a suo tempo l’ammirazione e l’interesse del Mahatma Gandhi, il quale dichiarò di essersi convertito alla filosofia della nonviolenza (ahiṃsā) proprio grazie alla lettura di Tolstoj⁸. Lo scrittore russo credeva che la nonviolenza fosse una caratteristica fondamentale dell’essere umano e che mettendo in pratica tale principio si sarebbero risolti buona parte dei problemi che affliggono l’umanità. È da Henry David Thoreau (1817-62), da Ralph Waldo Emerson (1803-82) e dai trascendentalisti americani, che qualche storico dell’anarchismo fa risalire il principio tolstojano di fondare i rapporti umani sulla persuasione pacifica⁹.
Anche per quanto riguarda il rifiuto di obbedire a istituzioni in antitesi con i dettami della propria coscienza e all’uso di questa disobbedienza come arma politica e sociale si potrebbero benissimo ritrovare delle similitudini fra Tolstoj e questi pensatori libertari. Per Thoreau la disobbedienza civile costituì infatti un elemento fondamentale del proprio rapportarsi con le istituzioni¹⁰, proprio come lo fu per Tolstoj. Con ogni tipo di istituzione. Altri, nel variegato mondo libertario “teistico”, hanno espresso posizioni diverse al riguardo. Ad esempio, la disobbedienza civile per Vernard Eller (1927 – 2007) significa fare deliberatamente azioni illegali solo contro un governo o un potere che consideriamo illegittimo¹¹. Lo scopo di ogni protesta per un cristiano sarebbe quella di spingere le persone a far conoscere loro la verità nella speranza di spronarle ad agire per il bene. Per Eller la cosa migliore sarebbe quella di protestare usando la conversazione, lettere, articoli, libri, film ecc. per far percepire alla gente il contenuto della propria convinzione e dare agli altri la possibilità di riconoscere quello per cui si sta protestando, ossia testimoniare a favore di una presa di posizione. Tuttavia, se le persone non vogliono cambiare il loro atteggiamento di fronte ad una problematica, lo si deve accettare. Non si può imporre agli altri la nostra convinzione di possedere la verit๲. Usare la disobbedienza civile o i metodi legali solo per forzare gli altri e ottenere l’attenzione pubblica sulla propria causa secondo Eller non è corretto. In fondo si tratta della solita competizione per il potere. Ci sono però anche per lo studioso americano delle azioni di disobbedienza alle autorità o a una legge ingiusta che vanno messe in atto per ubbidire a Dio.
Anche il filosofo e teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer (1906-45), che Eller classifica quale pensatore alquanto vicino, teologicamente e politicamente, all’anarchismo, ha assunto una posizione abbastanza libertaria rispetto alla disobbedienza civile. Bonhoeffer in realtà non è mai stato un anarchico cristiano, ma è importante perché, secondo Eller, dimostrerebbe (come aveva già affermato Karl Barth) che l’anarchismo cristiano deriva dall’orientamento escatologico della Bibbia¹³. Per Bonhoeffer approvare le autorità mondane o lottare contro di loro significa sempre rimanere in schiavitù. L’unica libertà è quella di ignorarle e obbedire solo all’autorità di Dio. Alla fine della sua analisi però Bonhoeffer legittima chiaramente il potere della Chiesa e dello Stato. Egli sostiene che si debba disubbidire alle autorità illegittime e immorali, ma che si debba ubbidire totalmente a quelle che sembrano essere in accordo con Dio. In ciò la sua analisi diverge molto rispetto a quella di altri pensatori libertari come Jacques Ellul (1912-94) o dello stesso Tolstoj¹⁴.
Anche rispetto alla nonviolenza Tolstoj occupa un posto tutto suo e piuttosto radicale. Il teologo americano Eller si discosta al quanto da Tolstoj e si pone in una posizione più mediata. Per lui, solamente grazie al potere della resurrezione – e solamente grazie a questo potere – siamo in grado di rinunciare alla violenza e anche all’autodifesa. Questo perché la resurrezione ha fatto capire che Dio volendo può resuscitare qualsiasi essere se decide di farlo, per cui il cristiano non ha e né deve più aver paura. La vera nonviolenza è basata sulla fede e sulla resurrezione. Il cristiano deve accettare che la pace non è un qualcosa che è alla portata dell’essere umano, ma è una qualità che viene solo da Dio.
Per Eller senza la capacità della resurrezione l’uomo non è in grado di mettere in pratica la nonviolenza; prima deve sperimentare la resurrezione, e poi sarà in grado di applicare e vivere la nonviolenza. I pacifisti che si richiamano alla Bibbia ignorano, per Eller, questa premessa fondamentale¹⁵.
Per Tolstoj invece non ci sono appigli nelle Scritture che possano limitare un’interpretazione più che integrale della nonviolenza. È un puro dovere dell’uomo che si professa cristiano e basta. Il “non uccidere” biblico, anzi, per lui si estende sino a comprendere il mondo animale, del quale si fece intransigente difensore¹⁶.
Ma la nonviolenza per Tolstoj non significava limitarsi a non usare le armi o a non uccidere. Essa includeva anche di evitare di offendere il prossimo, di ingiuriarlo, di scandalizzarlo e persino di doversene difendere in caso di aggressione da parte sua. Insomma, ciò che Gesù aveva sommamente saputo fare. La visione di Tolstoj è dunque molto più radicale e cristiana di quella di Eller. Tolstoj non elaborò nessuna teoria o speculazione a giustificazione di ipotesi maggiormente “ragionevoli”, ma si attenne rigorosamente alla lettera del Vangelo, senza tuttavia ricavarne rigide norme applicative. Egli in ultima analisi affermò semplicemente che l’importante è divenire consapevoli che Dio è in noi e che si può manifestare secondo la sua volontà. Se qualche volta lo si sente dentro di sé è giusto agire secondo quella propria percezione o esperienza. In altre parole, se si sente che Dio è un’entità buona allora si prova a diventare un essere umano buono, ci si prodiga ad aiutare dove si può e quando si può, senza arroganza verso se stessi o pensando di dover raggiungere la perfezione. Inoltre, secondo Tolstoj la resurrezione altro non è che una farsa inventata dagli uomini. Secondo lo scrittore russo: «Il miracolo della resurrezione è in netto contrasto con l’insegnamento di Gesù; e appunto perciò era tanto difficile obbligare Gesù risorto a dire qualcosa che fosse degno di lui: perché l’idea stessa che egli potesse risorgere era in netto contrasto con tutto quanto il senso della sua dottrina. Bisogna non aver capito affatto la sua dottrina, per poter parlare della possibilità di una sua resurrezione nel corpo. Gesù aveva persino negato esplicitamente la resurrezione¹⁷, quando aveva spiegato come bisogna intendere la resurrezione di cui parlavano gli ebrei»¹⁸.
Secondo Tolstoj la resurrezione di Gesù fu la menzogna principale usata ai tempi degli apostoli e dei martiri dei primi secoli della storia cristiana, quale prova basilare per la dimostrazione agli increduli e ai dubbiosi della verità della dottrina di Gesù¹⁹.
La resurrezione, secondo l’autore di Guerra e pace, fu usata come riprova della natura divina della dottrina insegnata dal Cristo da parte delle nascenti Chiese cristiane, che ricorsero quindi sin dall’inizio all’inganno²⁰.
Ma per il nobile russo tutto il pensiero cristiano fu travisato sin dall’inizio. Tolstoj infatti così riassunse il problema della manifesta incoerenza tra la vita della stragrande maggioranza dei cristiani e il messaggio evangelico: «Tuttavia gli uomini, in generale, non percepiscono la dottrina di Cristo come un cammino verso la perfezione. La maggior parte della gente l’ha intesa come una dottrina redentrice, riscatto dal peccato per mezzo della grazia divina, trasmessa dalla chiesa per cattolici e ortodossi, acquistata per mezzo della fede per protestanti e calvinisti.²¹ Questa interpretazione ha fatto scomparire la sincerità e la serietà dell’impegno personale di fronte alla morale cristiana. I teologi delle varie chiese possono ben predicare a sazietà che questi mezzi di salvezza non impediscono affatto all’uomo l’impegno morale, ma anzi lo aiutano. Certe premesse portano con loro conseguenze inevitabili e nessuna argomentazione potrà impedire alla gente di trarle. L’uomo imbevuto di questa fede nella redenzione non cercherà più di assicurarsi la salvezza per mezzo dei suoi sforzi personali; troverà ben più comodo accettare il dogma insegnatogli e attendere dalla grazia divina il riscatto delle colpe commesse. È ciò che accade alla maggior parte dei cristiani»²².

Tolstoj venne scomunicato ufficialmente dalla Chiesa ortodossa nel 1901, una di quelle Chiese che secondo il celebre scrittore russo, stravolgendo il significato del messaggio evangelico non era diventata altro che espressione della «legittimazione del potere costituito».²³ Il provvedimento non venne mai revocato e ancora oggi trova numerosi sostenitori tanto in Russia quanto in Occidente. Tolstoj, dunque, sottolineò sempre l’importanza della coerenza e della necessità «di non tradire le

proprie idee con la propria vita, di non tradire la propria dignità umana sottomettendosi a un’istituzione»²⁴. Per Tolstoj: «nessuna forma di governo, né elettiva, né ereditaria, né per diretta unzione divina, è stata fino ad oggi in grado di salvarsi dalla corruzione e dall’abuso del potere per fini privati. Al contrario, è risaputo che proprio le cariche rovinano gli uomini, e il miglior privato cittadino diventa inevitabilmente tanto più corrotto quanto più alta è la carica che viene a ricoprire»²⁵.
Anzi, la partecipazione a qualsiasi titolo alle istituzioni statali da parte di uomini intelligenti e onesti ottiene come risultato solo quello di attribuire autorità morale a un organismo che di per sé non potrebbe mai averne. Senza quelle persone l’essenza brutale dello Stato sarebbe sotto gli occhi di tutti²⁶.
E in merito a quest’ultima convinzione Tolstoj fu esplicito: «Ogni governo, per poter essere un governo, deve essere composto dagli individui più insolenti, più brutali, più corrotti»²⁷.
E per ribadire tale concetto aggiunse: « A queste associazioni a delinquere chiamate governi viene interamente rimessa la violenza contro la proprietà, contro la vita, contro il naturale sviluppo spirituale e morale di ogni individuo»²⁸.
Dalla scomparsa di queste associazioni “criminali” sarebbe derivata secondo il nobile russo la scomparsa stessa o la diminuzione della violenza, base organizzativa su cui esse si fondano²⁹.
La fine di tutti i governi non avrebbe comunque significato anche l’estinguersi degli aspetti positivi della legge, dell’istruzione e della giustizia, che avrebbero continuato a esistere in una forma purificata dai mali del potere centralizzato³⁰. In ciò Tolstoj si avvicinava molto alle idee professate da un altro grande pensatore libertario inglese suo contemporaneo, William Morris (1834 – 1896), il quale sosteneva nelle sue opere che la scomparsa dello Stato, e quindi della proprietà privata, avrebbe semplicemente purificato la società, la quale si sarebbe elevata a una forma superiore senza aver più avuto la necessità dell’esistenza di un diritto civile o penale³¹.
Ovviamente, per il nonviolento Tolstoj il metodo da adottarsi per eliminare i governi sarebbe dovuto consistere in quel che oggi si potrebbe definire un boicottaggio totale dell’amministrazione pubblica , che avrebbe portato lentamente, ma inesorabilmente, alla sua estinzione indolore: «Per cambiare veramente qualcosa, ognuno dovrebbe cominciare col cambiare se stesso, invece di voler ammaestrare o forzare gli altri. Come? Rifiutandosi di prender parte a tutto ciò che tiene in piedi i governi e quindi le leggi e il dominio d’un uomo sull’altro. Rifiutandosi di pagare tasse dirette o indirette e rifiutando di riscuoterle sotto forma di stipendi o pensioni varie. Rifiutando la protezione offerta dallo stato. Possedendo soltanto ciò che nessun altro rivendica per s黳².
Insomma, per Tolstoj la realizzazione di una società veramente conforme al bene non passa attraverso una rivoluzione politica bensì, come per Godwin e Proudhon, attraverso un rinnovamento morale capace di minare la società esistente dall’interno delle sue basi. Coloro che vogliono intraprendere questo rivolgimento sociale dovono cominciare da loro stessi, operando scelte che li portino a cessare di cooperare con il sistema vigente, rifiutandosi di servire nell’esercito o nella polizia, di adire i tribunali, di pagare le tasse ecc.
Il suo pensiero non si scagliò solo contro le istituzioni, ma anche nei confronti di tutti i luoghi comuni sugli “idoli” della nascente società capitalistica: «Tutti i perfezionamenti esterni che possono sognare gli uomini religiosi o gli uomini di scienza si compiano pure; tutti gli uomini si convertano al cristianesimo e tutti i miglioramenti desiderati […] si avverino […]; se l’ipocrisia che regna oggidì sussiste, se gli uomini non professano la verità che conoscono, ma continuano a simulare la credenza in ciò a cui non credono, la stima per ciò che non stimano, la loro condizione non solo rimarrà la stessa, ma diverrà peggiore. Più gli uomini saranno al coperto dal bisogno, più aumenteranno i telegrafi, i telefoni, i libri, i giornali, le riviste; più cresceranno i mezzi per propagandare le menzogne e le ipocrisie contraddittorie, e più gli uomini saranno disuniti, per conoscenza infelici, come avviene presentemente»³³.
Così quando Lev Tolstoj nel 1894 scrisse Il regno di Dio è in voi, considerata la sua opera spirituale più importante, non fece altro che ricalcare alcune idee che già furono di diversi gruppi e interpreti della semplicità materiale della vita cristiana liberata dalle false illusioni della società materialista. Per Tolstoj la libertà e la fratellanza – e in generale le qualità morali dell’essere umano – erano ben più importanti di un progresso realizzato ma fine a se stesso³⁴.

lya Yefimovich Repin, Leo Tolstoj su seminativo – olio su tela, 1887.

Ricordiamo che, in sintonia con la posizione tolstojana, secoli prima Francesco d’Assisi (1182 – 1226) aveva messo in guardia contro i pericoli della cultura e della scienza, che a suo parere facevano «inorgoglire e dimenticare lo spirito di carità e la pura semplicit໳⁵. Anche Gandhi fu molto influenzato da queste analisi distruttive che Tolstoj fece della civiltà occidentale.
Lo scrittore russo predicò inoltre il concetto del vivere del proprio lavoro che egli aveva mutuato dal contadino e filosofo russo Timofej Bondarev (1820-98),³⁶ e che sarà attuato in seguito dalle comunità tolstojane inglesi posteriori. I cristiani primitivi, i Diggers, il filosofo danese Søren Kierkegaard (1813-55) e molti altri libertari precedenti si erano parimenti espressi allo stesso modo. In maniera non dissimile da quanto sostenuto dai cristiani libertari dei secoli precedenti, anche Tolstoj interpretò il Vangelo come vessillo degli umili e dei poveri, sostenendo in vari saggi che i ricchi e gli orgogliosi non sarebbero potuti entrare nel Regno dei Cieli. Egli puntualizzò però la questione in maniera veramente acuta: «Ma gli umili e i mendicanti ci entreranno, nel Regno di Dio, solamente quando saranno umili e mendicanti non perché non sono riusciti a diventare famosi e ricchi, ma perché non avranno voluto commettere quei peccati che bisogna commettere per diventare importanti e ricchi»³⁷. Per usare le parole del Cristo, Tolstoj sostenne che l’uomo non può servire due padroni (Dio e Mammona), ma è necessario che scelga tra uno dei due³⁸.
Affinché l’umanità potesse vivere in pace e fraternamente tutti i beni (ciò che egli chiama il Regno di Dio sulla terra), e le istituzioni statali sarebbero dovute a suo parere essere abolite. Quando la legge, lo Stato e la proprietà sarebbero stati aboliti, la produzione cooperativa li avrebbe sostituiti, la distribuzione sarebbe avvenuta secondo il principio comunistico secondo cui ognuno riceve secondo i propri bisogni, ma senza nulla di superfluo⁴⁰.
Tolstoj si schierò, così come i primi cristiani e gli Anabattisti, contro il giuramento, rifacendosi alle parole di Gesù nel Vangelo che invitavano proprio ad evitarlo⁴¹.
Secondo Tolstoj, l’essere umano è totalmente nelle mani di Dio e non può sapere se potrà far fede a ciò che giura di fare. In questo divieto del giuramento appaiono evidenti le implicazioni anarchiche, dato che i militari, i funzionari pubblici, i magistrati, i giurati, ecc. prestano giuramento allo Stato. Se coloro che desiderano seguire gli insegnamenti di Gesù applicassero la sua parola, sostiene Tolstoj, è palese che la maggior parte degli Stati moderni non potrebbe più reggersi a meno di dichiararsi esplicitamente anticristiana⁴². Un corollario di questo insegnamento consiste nel non ricorrere mai ai tribunali per difendere i propri diritti, che deriverebbe secondo Tolstoj direttamente dal comandamento cristiano di non opporsi al male col male⁴³. Anche questa presa di posizione ha intrinseche caratteristiche anarchiche che furono e saranno proprie di numerosi movimenti libertari della storia.
Già in Guerra e pace il romanziere russo aveva espresso chiaramente le responsabilità personali che ognuno dovrebbe prendere rispetto alla problematica del male: «Noi siamo convinti che una guerra risulti dal concorso di milioni di volontà umane, fra le quali quella del condottiero o del diplomatico non ha maggior peso di quella dell’ultimo soldato. Infatti, se quel caporale qualsiasi non avesse voluto riprendere servizio, e se non l’avessero voluto dieci, cento, mille altri, il numero degli effettivi si sarebbe ben presto ridotto di troppo, e, di conseguenza, la guerra non si sarebbe fatta»⁴⁴.
Circa trent’anni dopo (nel 1896) riprese il concetto con parole che non lasciano adito a dubbi: «Prendete ch’io serva nell’esercito? Bene, potete ordinare finché vi pare, ma io non mi presenterò, perché considero l’assassinio di massa alla stessa stregua dell’assassino privato, e soprattutto mi ripugna l’idea di uccidere dietro ordine d’un comandante, che considero l’atto più vile che un uomo possa commettere»⁴⁵. E invitando a disertare gli eserciti nel 1898 scriveva: «Destatevi, fratelli, non ascoltate né quegli scellerati che, fin dalla vostra infanzia, vi infettano col diabolico spirito del patriottismo opposto al bene ed al vero, e soltanto necessario a questo scopo: di privarvi delle vostre sostanze, della vostra libertà e della vostra dignità umana; né quei vecchi ingannatori che predicano la guerra in nome di un Dio crudele e vendicativo inventato da loro e di un cristianesimo pervertito e falso; né tanto meno Ricordiamo che, in sintonia con la questi nuovi Sadducei che, nel nome della scienza e della civiltà, avendo come loro solo intento la continuazione del presente stato di cose, si radunano in assemblee, scrivono libri e fanno discorsi promettendo di organizzare una nuova e pacifica vita per gli uomini senza che questi facciano alcuno sforzo. Non credete loro! Credete soltanto alla vostra coscienza, che vi dice che non siete né bestie, né schiavi, ma uomini liberi, responsabili delle vostre azioni e perciò che non potete farvi omicida né di vostra volontà, né per volontà di comandanti, i quali vivono di tali omicidi. E basta solo che vi destiate perché comprendiate tutto l’errore e l’insania di ciò che avete fatto o state facendo e, compresola, smettiate quel male che voi stessi aborrite e che vi rovina»⁴⁶.

Leo Nikolaevich racconta la storia di un cetriolo di sua composizione ai nipoti Sonia e Ilyusha (particolare), 1909. Foto di V. G. Chertkov (Collezione del Museo statale di L. N. Tolstoy).

Nel 1881, data della sua rinascita spirituale, Tolstoj rinunciò con atto notarile a tutti i diritti d’autore sulle opere che avrebbe scritto da allora in poi, convinto con ciò di rispettare l’assoluta gratuità del messaggio evangelico e di coloro che vi si attenevano. Da allora, in effetti, si dedicò con successo alla divulgazione instancabile di quella che egli definiva la “verità del Vangelo e la sua giustizia”, commisurando ad esse ogni istituzione umana e ogni comportamento sociale⁴⁷.
Per quanto riguarda invece il vivere in prima persona la verità evangelica alla lettera, fu un passo che mai gli riuscì, nonostante egli lo difendesse a parole quale unica via per arrivare a Dio. Tolstoj si arrovellò sul compiere questo salto per vari decenni. Tuttavia non riuscì mai a mettere in pratica l’esortazione di Cristo: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi»⁴⁸. Il nobile russo cercò di aggirare questo scoglio promuovendo riforme economiche che avrebbero condotto da sole alla redistribuzione delle ricchezze nella società, e spesso progettò nei suoi Diari una fuga in qualche eremo della Russia centrale o del Caucaso, ma senza mai realizzarla.
A proposito di questa violenta contraddizione interiore che consumò Tolstoj sino ai suoi ultimi giorni, Igor Sibaldi afferma: «Per trent’anni portò dentro di sé questo tumore psicologico del primo passo non compiuto, il costante rimorso di non aver dato lui stesso quell’esempio tanto nobile e tanto facile; e nondimeno non recedette mai, non cercò mai di individuare negli ingranaggi della dottrina del Vangelo una qualche molla sbagliata, con la quale giustificare la propria riluttanza alla limpida scelta che il Vangelo sembrava imporgli prima di ogni altra: sostenne anzi fino alla fine che quella scelta di povertà era non soltanto necessaria, ma anche e soprattutto facile»⁴⁹.
Nel Vangelo Tolstoj amò sempre quell’infinita irriducibilità e spietatezza della ragione che non si ferma davanti a niente pur di soddisfare la propria sete di conoscenza e di comprensione. Anche Dio è compreso in questa razionalità e infine umanizzato, dato che viene da Gesù chiamato Padre. Nella visione di Tolstoj non ci sono riferimenti nei Vangeli a un Dio Creatore. Se Dio è quindi semplicemente padre di ogni uomo, che comprende a sua volta di esserne il figlio, viene a mancare l’incommensurabile distanza che da sempre sta tra la divinità e l’essere umano. Un Dio fattosi uomo non poteva essere per Tolstoj, con il suo retaggio anarchico, che motivo di estrema esultanza⁵⁰.
Questo andava per lui di pari passo con la direttiva di Gesù di non dare a chicchessia la qualifica di “maestro”⁵¹, con la condanna della preghiera in pubblico⁵², con la proibizione dei voti, del giuramento e del giudizio che si poteva ricavare dal Discorso della Montagna, e infine con l’esempio della vita e della fine di Gesù, incomparabile con l’ἐκκλησία dei credenti suoi contemporanei e da essi assassinato.
Come sostiene Woodcock: «L’anarchismo di Tolstoj è l’aspetto esterno, espresso nel comportamento, del suo cristianesimo. L’assenza di vero conflitto fra questi due aspetti è dovuta al fatto che la sua è una religione senza misticismo, addirittura una religione senza fede, perché, con Winstanley, egli fonda le sue convinzioni sulla ragione e le sottomette alla prova della verità. […] È una religione umanizzata: il regno di Dio dobbiamo cercarlo non fuori di noi, ma in noi stessi. Perciò l’atteggiamento di Tolstoj rientra chiaramente nell’ambito del pensiero anarchico; la sua idea dell’immanenza del regno di Dio è affine all’idea proudhoniana di una giustizia immanente, e il suo concetto di una religione fondata sulla ragione lo pone in stretto rapporto con Godwin e Winstanley»⁵³.
La fiducia di Tolstoj nella ragione umana fu totale, da lui ritenuta l’unico strumento in grado di far conoscere Dio e la verità: «Per liberarsi dalle mistificazioni della fede in genere, l’uomo deve capire e ricordare che l’unico mezzo di cui egli è in possesso è la sua ragione è di conseguenza, ogni predicazione che affermi qualcosa contraria alla ragione è un inganno o un tentativo di eliminare l’unico strumento di conoscenza che Dio ha dato all’uomo. Per essere libero dagli inganni della fede, l’uomo deve capire e ricordare che lui non possiede nessun altro mezzo di conoscenza, tranne la sua ragione. Quelli che dicono di credere non alla ragione, ma a Mosè, a Cristo, a Budda, a Maometto, alla Chiesa, al Corano, alla Bibbia ingannano se stessi, perché qualunque sia la loro fede, essi credono non in colui che rivela loro la verità in cui credono, non in Budda, Cristo o la Bibbia, ma alla ragione che dice loro di credere a Mosè, a Cristo, alla Bibbia e di non credere a Budda o Maometto, e viceversa. La verità non può entrare nell’uomo che per il tramite della ragione, perciò l’uomo che pensa di conoscere la verità per mezzo della fede e non con la ragione inganna se stesso e usa male la sua ragione; non la usa per quello a cui è destinata, ma per risolvere la questione a chi di coloro che trasmettono una dottrina e affermano che essa è vera bisogna credere e a chi bisogna non credere. Mentre la ragione è destinata non a decidere a chi bisogna credere e a chi bisogna non credere – questo la ragione non può risolverlo – ma a verificare l’esattezza di quello che viene proposto. Questo la ragione può sempre farlo e a questo è destinata»⁵⁴.
L’insegnamento di Tolstoj diede origine a un movimento politico-religioso che porta il suo nome, e che dalla Russia si estese a numerosi paesi europei e all’America. I seguaci di Tolstoj pagarono con il carcere e l’esilio la propria propaganda anarco-cristiana, il loro rifiuto del servizio militare ecc. Gli ultimi di loro in Russia furono arrestati e deportati negli anni Trenta del Novecento.
Uno degli esempi più importanti dell’influenza di Tolstoj sui movimenti anarco-cristiani è stato il gruppo dei Catholic Workers guidato da Dorothy Day (1897 – 1980), che vide la luce negli Stati Uniti negli anni Sessanta⁵⁵.

Bibliografia:

  1. Lev N. Tolstoj, La Vera Vita (Dottrina cristiana), pubblicata la prima volta in inglese a Londra nel 1898 col titolo The Christian Teachering, ora in Lev N. Tolstoj, La Vera Vita – Il denaro – Come leggere il Vangelo, A.I.I.-Manca, Genova, 1991 pp. 1-134, cfr. pp. 3-8.
  2. Vladislav Lebedev e Gloria Gazzeri, “Nota introduttiva” a Lev N. Tolstoj, La Vera Vita – Il denaro – Come leggere il Vangelo, cit., pp. IV-V.
  3. Pietro Citati, Tolstoj, Adelphi, Milano, 1996, p. 291.
  4. George Woodcok, L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Feltrinelli, Milano, 1966, cit. p. 196 Cfr. Pëtr Kropotkin, Il mutuo appoggio, Anarchismo, Catania, 1979.
  5. Valerio Pignatta, Storia delle eresie libertarie. Dai testi sacri al Novecento, Odoya, Bologna 2012.
  6. Ibidem, p. 182.
  7. Ibidem, p.183.
  8. Si veda Pier Cesare Bori e Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj. Un carteggio e dintorni, Il Mulino, Bologna 1985.
  9. Max Nettlau, Breve storia dell’anarchismo, L’Antistato, Cesena, 1964, cit., p. 260. Nettlau sostiene che la linea Emerson-Thoreau-Tolstoj-Gandhi fosse una linea di combattimento tanto valida e notevole quanto quella rivoluzionaria.
  10. Di Thoreau vedasi Henry D. Thoreau, Disobbedienza civile, SE, Milano, 1992 e il famoso Henry D. Thoreau, Walden ovvero la Vita nei boschi, Rizzoli, Milano, 1990.
  11. Vernard Eller, Christian Anarchy: Jesus’ Primacy Over the Powers, Eerdmans Pub Co, Grand Rapids, Michigan, 1987 , cit. p. 210.
  12. Ibidem, pp. 210 – 216.
  13. Ibidem, p. 160.
  14. Sulle tendenze anarco-cristiane di Bonhoeffer si veda il sesto capitolo a lui dedicato nell’opera di Eller Christian anarchy. Cfr. Vernard Eller, Christian Anarchy: Jesus’ Primacy Over the Powers, Eerdmans Pub Co, Grand Rapids, Michigan, 1987, cit., pp. 159-268.
  15. Vernard Eller, Christian Anarchy: Jesus’ Primacy Over the Powers, Eerdmans Pub Co, Grand Rapids, Michigan, 1987, cit., pp. 176 – 182.
  16. Tolstoj considerò il diventare vegetariani il primo scalino dell’evoluzione spirituale umana. Cfr. Lev Tolstoj, Il primo gradino (1895), ora in Lev N. Tolstoj, Contro la caccia e il mangiar carne, Isonomia, Este, 1994, pp. 23-64. Vedi anche: Roberta De Giorgi, Le rôle des Tolstoïens dans la popularisation du végétarianisme en Russie – In: LA REVUE RUSSE. – ISSN 1161-0557. – 44 (2015), pp. 109-118 oltre che Lev N. Tolstoj, Perché sono vegetariano, Principi di una vita etica, Piano B Edizioni-Elementi, Prato, 2016.
  17. Luca 20, 37-38.
  18. l’opera di Tolstoj inedita in italiano dal titolo Concordanza e traduzioni dei quattro Evangeli [1881], le cui conclusioni sono riportate ora, a cura di Igor Sibaldi, in Lev N. Tolstoj, Il Vangelo spiegato ai giovani, Guanda, Milano, 1995, cit., pp. 119-132, cfr. 128.
  19. Lev N. Tolstoj, Concordanza e traduzioni dei quattro Evangeli [1881], stralci ora in Lev N. Tolstoj, Il Vangelo spiegato ai giovani, Guanda, Milano, 1995, cit., pp. 119-132, cfr. p. 128.
  20. cit
  21. Martin Lutero, La libertà del cristiano, in Roland H. Baiton, Lutero, Einaudi, Torino, 1960, pp. 197 – 198.
  22. Lev N. Tolstoj, Contro la caccia e il mangiar carne, Isonomia, Este, 1994, cit., p. 29.
  23. Idem, “Per una rivoluzione culturale”[1901], ora in Lev N. Tolstoj, Scritti eretici, Edizioni La Baronata, Lugano, 1986, cit., pp. 103-120, cfr. p. 118. Sulle diatribe fra T. e la Chiesa ortodossa, vedi Pavel Basinskij, Fuga dal paradiso. La vita di Lev Tolstoj, Castelvecchi, Roma, 2014.
  24. Così Marco Bucciarelli nella “Nota introduttiva” a Lev N. Tolstoj, Scritti eretici, Edizioni La Baronata, Lugano, 1986, cit, p. 13
  25. Lev N. Tolstoj, “La salvezza è in voi”[1894], uno stralcio del quale si può trovare ora in Lev N. Tolstoj, Scritti eretici, Edizioni La Baronata, Lugano, 1986, cit., pp. 21-24, cfr. 23.
  26. Idem, “A una signora liberale”[1896], ora in Lev N. Tolstoj, Scritti eretici, Edizioni La Baronata, Lugano, 1986, cit., pp. 49-57, cfr. p. 51.
  27. Idem, “Il concetto di nazione”[1900], ora in Lev N. Tolstoj, Scritti eretici, Edizioni La Baronata, Lugano, 1986, cit., pp. 77-78, cfr. p. 83
  28. Ibidem, p. 84.
  29. Idem, “La schiavitù moderna”[1900], uno stralcio del quale si trova ora in Lev N. Tolstoj, Scritti eretici, Edizioni La Baronata, Lugano, 1986, cit., pp. 101-102, cfr. p. 101.
  30. Idem, “Il concetto di nazione”[1900], ora in Lev N. Tolstoj, Scritti eretici, Edizioni La Baronata, Lugano, 1986, cit., pp. 77-78, cfr. p. 86.
  31. William Morris, Notizie da nessun luogo, Garzanti, Milano, 1984, pp. 90-91.
  32. Lev N. Tolstoj,“La schiavitù moderna”[1900], uno stralcio del quale si trova ora in Lev N. Tolstoj, Scritti eretici, Edizioni La Baronata, Lugano, 1986, cit., pp. 101-102, cfr. p. 102.
  33. Lev N. Tolstoj, Il regno di Dio è in voi, Publiprint-A.I.I.-Manca, Trento-Genova, 1988, cit., p. 358.
  34. George Woodcok, L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Feltrinelli, Milano, 1966, cit. p. 203.
  35. Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Einaudi, Torino, 1985, cit., p. 38.
  36. Mark Bevir, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885 – 1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, anno 7, n.1, gennaio – giugno, 2000, p.66.
  37. Lev N. Tolstoj, Il Vangelo spiegato ai giovani, Guanda, Milano, 1995, cit., p. 141.
  38. Ibidem, p. 51.
  39. George Woodcok, L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Feltrinelli, Milano, 1966, cit. p. 204.
  40. cit.
  41. Matteo 5, 33-37.
  42. Così Igor Sibaldi nel commentario a Lev N. Tolstoj, Il Vangelo spiegato ai giovani, Guanda, Milano, 1995, cit., p. 102.
  43. Lev N. Tolstoj, Il Vangelo spiegato ai giovani, Guanda, Milano, 1995, cit., p. 17.
  44. Idem, Guerra e pace, IV voll., Garzanti, Milano, 1989, vol. III, P. 109.
  45. Idem, “A una signora liberale”[1896], ora in Lev N. Tolstoj, Scritti eretici, Edizioni La Baronata, Lugano, 1986, cit., pp. 49-57, cfr. p. 55.
  46. Questo brano è un estratto da un articolo che Tolstoj scrisse nel 1898 per la rivista di Milano Vita Internazionale, un periodico pacifista, organo ufficiale per la Pace e l’Arbitrato Internazionale, diretta dal Premio Nobel per la Pace Ernesto Teodoro Moneta. La rivista con l’articolo di Tolstoj venne sequestrata immediatamente per apologia di reato (diserzione) e lo scritto tolstojano inneggiante al rifiuto militare non venne mai più pubblicato in lingua italiana sino ad anni recenti. Oggi possiamo ritrovare questo pezzo in Lev N. Tolstoj, Patriottismo e governo e altri scritti antimilitaristi, Senzapatria, Sondrio, 1987, pp. 37-46, cfr. per quanto riguarda la citazione p. 46.
  47. Così Igor Sibaldi nella “Postfazione” a Lev N. Tolstoj, Il Vangelo spiegato ai giovani, Guanda, Milano, 1995, cit., p. 141. Anche su questo vedi Pavel Basinskij, Fuga dal paradiso. La vita di Lev Tolstoj, Castelvecchi, Roma, 2014.
  48. Matteo 19, 21.
  49. Così Igor Sibaldi nella “Postfazione” a Lev N. Tolstoj, Il Vangelo spiegato ai giovani, Guanda, Milano, 1995, cit., p. 142. La fuga che infine compì per diventare povero nell’ottobre del 1910 lo portò direttamente alla morte. Stefan Zweig scrisse nel 1927 un dramma teatrale su questo evento dal titolo Fuga e morte di Tolstoj. In quest’opera possiamo percepire la tormentosa vicenda umana di Tolstoj, un uomo di lotta con la quotidianità familiare che lo soffoca e gli toglie il coraggio dell’adesione totale alle proprie idee e il coraggio delle azioni conseguenti. Cfr. Stefan Zweig, Fuga e morte di Tolstoj, Stampa Alternativa, Roma, 1992.
  50. Così Igor Sibaldi nella “Postfazione” a Lev N. Tolstoj, Il Vangelo spiegato ai giovani, Guanda, Milano, 1995, cit., p. 149.
  51. Matteo 23, 8-10.
  52. Matteo 6, 5-6.
  53. George Woodcok, L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Feltrinelli, Milano, 1966, cit. p. 202.
  54. Lev N. Tolstoj, La Vera Vita (Dottrina cristiana)[1898], ora in Lev N. Tolstoj, La Vera Vita – Il denaro – Come leggere il Vangelo, A.I.I.-Manca, Genova, 1991, cit. pp. 1-134. cfr. pp. 70-71.
  55. Si veda William D. Miller, Dorothy Day e il Catholic Worker Movement, Jaca Book, Milano, 1991.

 

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