
23 Ott La via pulchritudinis: dal fenomeno al fondamento
di don Riccardo Patalano del 24-10-2019

Non tutte le culture sono in ugual misura aperte al Trascendente e ad accogliere la rivelazione cristiana. Allo stesso modo, tutte le espressioni del bello – o di ciò che ritiene di esserlo – sono lungi dal favorire l’accoglienza del messaggio di Cristo e l’intuizione della sua divina bellezza. Le culture, come le espressioni artistiche e le manifestazioni estetiche, sono segnate dal peccato e possono attirare, perfino catturare l’attenzione fino a farla ripiegare su se stessa suscitando nuove forme di idolatria. Non siamo troppo spesso messi di fronte a fenomeni di vera decadenza in cui l’arte e la cultura si snaturano fino a ferire l’uomo nella sua dignità? Il bello non può essere ridotto ad un semplice piacere dei sensi: sarebbe rifiutarsi di avere piena coscienza della sua universalità, del suo valore supremo, altamente trascendente. La sua percezione richiede un’educazione, poiché la bellezza non è autentica se non nel suo rapporto con la verità – d’altronde, di che cosa sarebbe lo splendore, se non della verità? – ed essa è, al tempo stesso, «l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza» – «il bello non è forse la strada più sicura per raggiungere il bene»? A chiederlo a se stesso fu Max Jacob (1876 – 1944). Ampiamente accessibile a tutti, la via della bellezza non è, tuttavia, priva di ambiguità e di deviazioni. Sempre dipendente dalla soggettività umana, essa può essere ridotta ad un estetismo effimero, lasciarsi strumentalizzare ed asservire dalle mode attraenti della società dei consumi. Da ciò nasce l’urgente missione di educare a discernere tra “uti” e “frui”, cioè tra un rapporto con le cose e le persone fondato unicamente sulla funzionalità – uti -, e la relazione credibile e affidabile – frui -, radicata coraggiosamente sulla bellezza della gratuità, memori di quanto scrive Agostino nel suo De catechizandis rudibus: Nulla est enim maior ad amorem invitatio quam praevenire amando – non c’è invito più grande all’amore che precedere amando.

Claudio Coello, Il trionfo di sant’Agostino (particolare), 1664, Madrid, Museo del Prado.
Se la bellezza è l’immagine di Dio creatore, essa è anche figlia di Adamo ed Eva e, sulla loro scia, segnata dal peccato. Il rischio dell’uomo è quello di lasciarsi intrappolare dalla bellezza presa in se stessa, la quale da icona si trasforma in idolo: mezzo che inghiottisce il fine, verità che imprigiona, trappola in cui cade un gran numero di persone, per mancanza di un’adeguata formazione della sensibilità e di una corretta educazione alla bellezza.
Molti hanno almeno sentito nominare i trascendentali moderni, intesi se non nel senso husserliano del termine quantomeno in quello kantiano: per Immanuel Kant, «trascendentale» è «ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti, in quanto questa deve essere possibile a priori» (Critica della ragion pura, Intr., sez. VII). Meno nota è l’esistenza di un significato previo di trascendentale, non solo più antico e frutto di una lunga elaborazione concettuale, ma carico di un più forte spessore metafisico, ancor meglio ontologico: i trascendentali elaborati in filosofia dal XII secolo in poi (ma non in modo monolitico), che trovano una magistrale espressione nel pensiero di Tommaso d’Aquino.

Guido Reni (1575-1642), bottega di probabile Giovanni Andrea Sirani (1610-70): San Michele Arcangelo (particolare), prima metà del XVII secolo – olio su tela, 152x112cm.

Paolo de Maio, San Tommaso D’Aquino – Olio su tela, 80 x 70 cm.
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