Dopo sei settimane di stasi i rappresentanti del Terzo Stato abbandonano l’assemblea e si auto-proclamarono Assemblea nazionale, attribuendosi il potere esclusivo di legiferare in materia fiscale e riconoscendo in esso l’unico vero rappresentante della Francia, determinando la fine degli Stati Generali. Decisiva sarà la promessa, fatta da Necker, di far votare per testa e non per Stato. Un’iniziativa che non sarà attuata e che avrà il sapore della derisione per l’alto numero di rappresentanti presenti del Terzo Stato, pari al 50% dell’assemblea. Così 20 giugno 1789 il Re ordinò la chiusura della sala dove si riuniva abitualmente l’Assemblea (una sala dell’Hôtel des Menus-Plaisirs a Versailles) con il pretesto di eseguirvi dei lavori di manutenzione, cercando in questo modo di impedire qualsiasi riunione. Su proposta del deputato Joseph-Ignace Guillotin (1738 – 1814) tutti i membri si spostarono in una vicina sala adibita al gioco della pallacorda; mentre il presidente dell’assemblea, l’astronomo Jean Sylvain Bailly (1736 – 1793) si premunì di avvisare i colleghi di spostarsi. Da qui il giuramento successivo che viene appunto definito della “Palla Corda”. Qui l’importanza del tempo, che diviene strumento essenziale per capire le rivoluzioni: siamo passati dalla scala dei secoli, alla scala degli anni, poi dei mesi e infine ora a quella dei giorni, da tale data il calendario correrà come un orologio. Dal 5 maggio al 20 giugno passano 45 giorni e non sono pochi, ma sono pochissimi, rispetto al fatto che ci erano voluti due anni e mezzo per convocare gli Stati Generali (1787 – 1789), c’erano voluti almeno dieci anni per convincere Luigi XVI a prestare consiglio a Necker, c’era voluto un secolo per far capire al Regno di Francia che le leggi imposte da Luigi XIV avevano portato conseguenze economiche nefaste per il suo erede. Nella storia il tempo non è mai uniforme: a volte cammina più lentamente, altre più velocemente e in tutte le rivoluzioni corre ed è sempre molto spedito.
Dunque il Terzo Stato si riunisce qualche giorno prima del 20 giugno 1789 e inizia a prendere delle decisioni economiche senza più ascoltare l’altra frangia della società dirigente. Luigi XVI si sforza così di recuperare la situazione, già scivolata verso un punto di non ritorno, mandando il marchese Henri Evrard di Dreux-Brézéa (1762 – 1829) a parlamentare con i borghesi, per far ritornare quest’ultimi all’Hôtel des Menus-Plaisirs. Fu a questo punto che il già citato astronomo Bailly esclamò la famosa frase che racchiude storicamente la stessa Rivoluzione Francese: «La Nazione unita, non riceve ordini da nessuno». L’antico Regime viene scavalcato, superato: la borghesia ha rovesciato la piramide politica di Luigi XVI, non esistendo più la legittimità dall’alto, ma il Sovrano deve “scendere” all’interno della società, contrattando socialmente con essa. Ciò sta a significare che il contratto sociale fa nascere una nuova società, formata da individui singoli, tutti in condizioni di uguaglianza (il che ovviamente non corrispondeva a verità, poiché la rappresentanza borghese non rappresentava gli interessi di tutte le categorie sociali), che successivamente poteva dar vita alla forma di Stato istituzionale più idonea secondo “il popolo”. L’origine di questo processo è la carta Repubblicana, oggi in auge in tutte le repubbliche parlamentari, che nel primo articolo cita: «La Sovranità appartiene al popolo», dunque il popolo è Sovrano. Il Re non è Sovrano, ma eserciterebbe da adesso in avanti, la sua sovranità perché il popolo gli concede e ritiene utile, che egli rivesta tale carica. Da qui anche la famosa frase che si sussegue in tutte le Monarchie Costituzionali: «Per diritto di Dio e della Nazione» e non più solo «Per diritto di Dio» – il Trono e l’Altare si spezzano. Questa è la Rivoluzione Francese: il concetto umano, dove l’individuo si pone come fondamento del reale, vuole sostituirsi al carattere della Tradizione divina, vuole decidere al posto di Dio, perché tutto è frutto dell’intelletto e non della fede ultraterrena. Da qui l’importanza, sempre crescente, della scienza che deve risolvere per la borghesia, le domande ultime che la fede rispondeva all’uomo.
In realtà tale concetto politico non si poneva ancora come un moto rivoluzionario, ma voleva imporsi come un cambio istituzionale, traslando da una Monarchia Assoluta, ad una Costituzionale (a sovranità popolare).
La convocazione degli Stati Generali animò nei mesi seguenti il dibattito politico che si estese fino ai salotti e alle piazze della capitale, a tal punto da indurre il Monarca a schierare i suoi soldati mercenari svizzeri e tedeschi attorno a Versailles, Parigi, Sèvres e Saint-Denis. Sabato 11 luglio il Ministro delle Finanze Jacques Necker venne destituito dal re, essendosi guadagnato l’inimicizia di parte della corte per aver manifestato in parecchie occasioni delle idee filo-borghesi.
Arriviamo così al primo atto violento – ampiamente trattato dal conte Joseph-Marie de Maistre (1753 – 1821) nel suo “Considerazioni sulla Francia” –, ovvero la presa della Fortezza denominata Bastiglia, oramai in disuso e simbolo del potere regio. In realtà la sollevazione popolare è frutto di false voci fatte circolare in città dalle sette massonico-borghesi, che avevano perfettamente capito che l’occasione per acquisire il potere, tramite il Terzo Stato, non si sarebbe ripetuta. Si vocifera per le strade della capitale che le truppe regie, composte dai soldati stranieri svizzeri e tedeschi, avrebbero massacrato ben presto la popolazione se i moti fossero proseguiti.
Il marchese Bernard-René Jourdan de Launay (1740 – 1789) è l’anziano governatore della prigione politica: un uomo legato alle antiche convenzioni e in piena sintonia con l’Assolutismo monarchico. Ai suoi ordini ci sono 82 invalidi di guerra e 32 Guardie svizzere comprensive di 30 cannoni, al comando dello svizzero Ludwig Ignaz von Flüe (1752 – 1817), capitano-luogotenente nel reggimento Salis-Samade. Dai ricordi dell’elvetico, il vecchio marchese era così descritto: «Era un uomo che non aveva né grandi conoscenze militari né esperienza, e aveva poco cuore. […] Fin dal primo giorno, imparai a conoscere quest’uomo da tutti i preparativi insensati che organizzava per sua difesa della sua posizione, e dalla sua continua inquietudine e irresolutezza. Vedo chiaramente che saremmo mal comandati se venissimo attaccati. Era talmente terrorizzato che la notte prendeva per nemici le ombre degli alberi e di altri oggetti circostanti. I capi dello Stato Maggiore, il luogotenente del re, il maggiore e io stesso gli facevamo molto stesso delle rappresentazioni, da una parte per tranquillizzarlo sulla debolezza della guarnigione della quale si lamentava continuamente, e dall’altra per non farlo preoccupare di dettagli insignificanti e di non trascurare le cose importanti. Ci ascoltava, sembrava approvare, dopo agiva in tutt’altro modo e in un istante cambiava opinione; in una parola, in tutti questi fatti e gesti, faceva prova della più grande irresolutezza».
Dunque il 14 luglio 1789, una guarnigione poco efficiente e poco numerosa, vede insorgere quasi 1000 rivoltosi, che vengono affiancati da 61 Guardie francesi disertrici e ben 5 cannoni. La fortezza, nonostante il coraggio delle Guardie svizzere (vi saranno 98 morti da parte dei ribelli), viene espugnata e la prima testa conficcata nella picca sarà quella del governatore della Bastiglia de Launay. È il primo gesto di una violenza esibita.
Jean-Baptiste Lallemand – L’arresto del comandante della Bastiglia (particolare) – 1790.
Un anno dopo, il 14 luglio del 1790, la Francia pare essere riconciliata: siamo allo Champ-de-Mars (Campo di Marte), dove avviene la Fête de la Fédération (Festa della Federazione) una cerimonia festosa che celebra la Monarchia Costituzionale: è presente un’Assemblea Legislativa che funge da Parlamento.
Una messa fu celebrata da Talleyrand, già vescovo di Autun sotto l’Ancien régime. A quel tempo, la prima Costituzione francese non era ancora stata completata, e non sarebbe stata ufficialmente ratificata fino al settembre 1791. Ma il succo di ciò, era compreso da tutti e nessuno era disposto ad aspettare. Marie-Joseph Paul Yves Roch Gilbert du Motier, Marquis de La Fayette (1757 – 1834) guidò il presidente dell’Assemblea nazionale e tutti i deputati in un solenne giuramento alla Costituzione in arrivo: «giuriamo di essere sempre fedeli alla Nazione, alla Legge e al Re, di sostenere con tutte le nostre forze la Costituzione decisa dall’Assemblea Nazionale e accettata dal Re, e di rimanere unita a tutti i francesi dai legami indissolubili di fratellanza». In seguito, Luigi XVI affermò: «Io, re dei francesi, giuro di usare il potere che mi è stato dato dall’atto costituzionale dello Stato, di mantenere la Costituzione come decretata dall’Assemblea nazionale e accettata da me stesso». Il titolo “Re dei Francesi”, usato qui per la prima volta al posto di “Re di Francia (e Navarra)”, era un’innovazione destinata a inaugurare una monarchia popolare che collegava il titolo del monarca al popolo piuttosto che al territorio della Francia.
La Rivoluzione sembra cessare, concludersi con una decina di morti dell’anno prima, ma non sarà così, poiché Luigi XVI non aveva “scelto” tale tipo di Istituzione Statale, ma gli era stata imposta. Il suo bisnonno, il Re Sole, aveva avviato un procedimento sociale irreversibile per il Regno di Francia; come detto pocanzi, per depotenziare la stessa aristocrazia, aveva fatto emergere la nuova classe della borghesia, verso la quale la nobiltà si affidava. Tale meccanismo, dopo essersi oliato per un secolo, non poteva arrestarsi bruscamente, ma Luigi XVI non comprende la portata degli eventi.
Il 21 giugno del 1791, dopo una serie di avvenimenti che non saranno trattati nel dettaglio, Luigi XVI decide di andarsene: dopo aver giurato, dopo aver creato le condizioni democratiche, dopo aver approvato i governi e aver avviato la vita parlamentare in Francia cerca di portare la sua persona, insieme alla sua famiglia, a Varennes con la speranza di giungere alla piazzaforte monarchica di Montmédy. Il piano però fallisce e la famiglia reale viene catturata al confine di Varennes-en-Argonne dalla Guardia nazionale comandata da La Fayette.
Quando la famiglia reale deve tornare a Parigi, si intuisce che l’Istituzione di una Monarchia Costituzionale in Francia sarà di breve durata. Il Re a Varennes chiude una stagione, perché tutto ciò che accadrà successivamente sarà un precipitare degli eventi storici: il 16 luglio l’Assemblea sospende il Re dalle sue funzioni fino alla nuova Costituzione. Difatti sul ritorno di Luigi XVI a Parigi, si innestano le preoccupazioni di tutte le Monarchie europee di Antico Regime.
La situazione politico-sociale disastrosa della Francia favorì un forte incremento dell’emigrazione (in gran parte nobili), confermando la progressiva radicalizzazione della Rivoluzione francese. Per cercare di contenere questa espansione rivoluzionaria entro i confini francesi, il 27 agosto 1791 Leopoldo II (imperatore del Sacro Romano Impero) e Federico Guglielmo II (re di Prussia), al termine di un incontro avvenuto a Pillnitz (dal 25 al 27 agosto) rilasciarono la Dichiarazione di Pillnitz, con la quale invitarono le potenze europee a intervenire contro la Rivoluzione francese per restituire i pieni poteri a Luigi XVI.
L’indignazione della popolazione dovuta alla maldestra fuga e successivamente per la dichiarazione di guerra di due Stati stranieri è al culmine. Per la popolazione francese, se un Re doveva essere mantenuto sul Trono da armate straniere, quel Sovrano perdeva completamente la sua legittimità. Dunque il Regno di Francia, che per secoli si era mantenuto forte e aveva espanso i propri domini nel mondo grazie alla Monarchia, nel 1792 perde completamente la propria autorevolezza.
Sarà in tale contesto che sorgerà la Repubblica: il 10 agosto 1792, 25.000 dimostranti muovono verso il Municipio, situato all’Hotel de la Ville, e sollevano dal potere il consiglio comunale per instaurare la Commune insurrezionale. Il primo obiettivo è quello di assaltare il Palazzo delle Tuileries, residenza del Re difesa dai migliori soldati di sempre della Maison du Roy: 1330 guardie svizzere, i militari più affidabili e fedeli di Luigi XVI ai comandi del marchese e tenente-colonnello Jean-Roch-Frédéric, di Maillardoz (1727 – 1792) . L’ordine è chiaro per la massa sanguinaria: «assediare il castello, sterminare tutti coloro che ivi si trovano, in particolare gli svizzeri e condurre il Re e la sua famiglia a Vincennes». La situazione dalle prime ore del mattino appare disperata: il Sovrano insieme alla famiglia si fa scortare alla Sala del Maneggio, chiedendo protezione all’Assemblea Legislativa, mentre nel palazzo avviene la più cruenta battaglia della Rivoluzione Francese. Le Tuileries è presieduto oltre che dagli svizzeri, anche da nobili della corte armati che respingono con prontezza quattrocento assalitori. La massa degli insorti si ingrossa e per i difensori non ci sarà quartiere: 600 uomini e 15 ufficiali vengono trucidati, ma il corrispettivo per gli assalitori è impressionante, con 3000 uomini lasciati sul campo.
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