12 Nov Sul concetto teorico di educazione occidentale
di Giuseppe Baiocchi del 28/07/2018
Tema decisivo della nostra cultura europea è l’educazione: in fondo educare significa coltivare una mente, un’anima, coltivare anche un corpo. Il tema educativo è fondamentale per la nostra civiltà, ma generalmente per ogni cultura che pensi al futuro. Educare significa allevare delle persone che “saranno domani”; difficile educare un cinquantenne in formato “permanente”. L’educazione è dunque un tema decisivo per quelle culture che pensano al proprio futuro, poiché pensare al divenire significa essenzialmente in-vestire nell’espressione orrenda del “capitale umano”.
Dunque l’indice migliore per capire che una società è in crisi è quella di vedere l’indice di educazione programmatica, poiché una società che non investe in educazione, non prepara il proprio futuro; si limita soprattutto a “sopravvivere”, si limita a “galleggiare”.
Educazione può essere espressa in vari modi, nelle nostre lingue: partendo dal greco παιδεία (paidéia), letteralmente sta a significare educare il fanciullo, pâis. Certo una persona matura e intelligente continua ad educarsi, tuttavia noi conosciamo che da un punto di vista medico, il nostro cervello oltre una certa età non è più modellabile: è un fatto fisico, non siamo meno intelligenti, ma la mente diviene diversa, elabora, approfondisce, ma fatica enormemente a rimodellarsi; esempio lampante lo abbiamo nell’apprendere una lingua, poiché arrivati ad una certa età, non si riesce a parlarla correttamente – se non meccanicamente. Quindi paidéia, tema platonico nelle sue origini greche, è un bel nome, dal latino educĕre, condurre fuori, far uscire, far sgorgare qualcosa dal fondo. Possiamo dunque dire che educare è l’opposto di informare: “educĕre, in-formare”. Sono due visioni del mondo completamente opposte, in questi termini che noi continuamente confondiamo, perché oramai caratteristica della nostra epoca è parlare, senza sapere ciò che si dice: senza essere informati dei termini che usiamo.
Dunque riprendendo il latino, se io “traggo fuori” qualcosa da un contenitore, significa che in tale oggetto vi è qualcosa; che quel contenitore non è un vuoto, se io “traggo fuori” un elemento: ciò significa che la scatola non è vuota. Ciò sta a significare che una concezione della persona che educo, non è la visione di un contenitore svuotato di sé, platonicamente parlando, ma sta a significare che nella mente di quel individuo vi è “in potenza” il tutto: da qui “educare”.
Bisogna conoscere e ri-conoscere il valore di quella persona che ho di fronte, capire le potenzialità dell’individuo ed essere così talentuosi da trarne fuori il meglio. È la visione maieutica (maieutiké, sottinteso: téchne) della paidéia propria dei cardini della nostra Europa.
L’educazione maieutica consiste nel “far partorire” la persona che ho di fronte – la donna che sta per partorire ha bisogno del medico che trae fuori il neonato -, poiché ciò che il pâis ha in sé, non riesce ad emergere da solo, ma ha bisogno di un “medico” che lo aiuti (le analogie tra medicina e filosofia, sono infinite). A questa visione educativa, se ne contrappone un’altra: vi è il docente, la scatola vuota del dicente, e il primo che in-forma; ovvero mette la propria forma in quella scatola. È una scelta decisiva per una civiltà, prima di tutto si deve intendere bene quale modello scegliere: quello dell’educazione dove la relazione tra docente-discente, sia composta dal primo che si sforzi di comprende l’intelletto del secondo; oppure un modello in cui c’è il docente che conosce e trasmette il suo sapere in forma costrittiva al discente? Vogliamo il modello informativo? Finché il nostro Ministro dell’Istruzione (passato-presente) non decida tale indirizzo, l’educazione non potrà funzionare.
Quale il fine per cui educo? I due modelli non sono compatibili. A che serve educare? L’educazione deve essere finalizzata all’utile, o alla virtù – parafrasando Aristotele. Deve essere un’educazione che serve alla professione – qualunque essa sia – o serve a formare un “uomo buono”?
Certamente ci appaiono oggi domande insensate, ma sono più attuali che mai, poiché abbiamo un modello di educazione che deve “servire”. La scuola al “servizio” della professione. È certamente una contraddizione in termini, un paradosso: la scuola al servizio, letteralmente, sta a significare che il periodo della vita in cui un individuo è in scholé, ovvero in ozio, è tutto organizzato al fine dell’occupazione. Perché? È una contraddizione in termini. Come può un elemento in ozio a “servire”? La contraddizione si annulla se si afferma che il periodo dell’educazione non deve essere rivolto a “servire” qualcosa, ma è rivolto a “formare” – a dare forma – a quella persona che io educo: a renderla buona, ma non sotto il punto di vista morale, ma sotto il punto di vista etico – che è integro, in forma, padrone delle proprie capacità.
Il modello educativo che non è finalizzato al “servire” qualcosa, ma si indirizza verso la costituzione dell’uomo nella sua libertà: nell’essere umano che certamente poi si professionalizzerà, si specializzarà, ma sempre partendo dalla sua integrità in quanto “forma”.
Il servizio della scuola è il tradimento dell’essenza stessa del plesso scolastico e non meramente sotto il profilo letterale del termine, poiché il senso della terminologia si identifica con il suo fine educativo. Certamente nell’età antica l’uomo libero (lībĕr – figlio) era colui, a differenza degli individui impegnati nei lavori manuali, che dirigeva – l’élite che comandava. I “veri liberi” (i figli di) erano il vero limite dell’antichità, ma per tale ragione noi oggi dobbiamo eliminarne l’idea di fondo? Nella nostra epoca dobbiamo essere “per tutti” e non per la libertà di pochi, ma certamente non tutti “al servizio”. Nonostante l’imposizione dei media e delle piattaforme multimediali, dobbiamo tornare “liberi”, per non rischiare di rimanere all’interno della miopia, della cecità, del processo educativo totalizzante che mira unicamente alla “professionalizzazione” in quanto tale. È molto più attuale il processo formativo rivolto a formare l’uomo “buono”, il quale possiede la capacità di specializzarsi liberamente, che l’individuo educato alla mera professionalizzazione.
Proprio oggi la velocità di trasformazione lavorativa, legate alle tecniche professionali di occupazione, vuole un’educazione formata nel senso più alto del temine, come indicato. Proprio questo termine angosciante dell’occupazione, ci rende “occupati”; ma perché devo essere “occupato”? Voglio lavorare e non essere occupato: perché quando lavoro devo essere occupato? Perché non libero? Dobbiamo usare un linguaggio educativo di formazione verso i giovani, che li spinga verso una strada di autonomia e quindi di libertà.
Quindi due stadi: il primo è certamente il modello – comunicazione, educazione o informazione -; il secondo consiste nel chiedersi se essere al servizio dell’utile o della virtù. Proprio tale ultimo termine dal greco Aretè (ἀρετή) significa propriamente la capacità di compiere qualsiasi cosa “al limite”, di averne “la potenza” – rendere il pâis (fanciullo) potente di tutto. Ma tale “potenza” può essere esercitata unicamente se si è “liberi” dal servire questo o quello. Se si possiede una educazione al servizio non si sarà mai totalmente in libertà (discorso differente nel servire un’ideale superiore ideologicamente, soggettivo, in piena libertà di spirito). Tale prerogativa legata all’asservimento, non ci renderà mai pronti ad affrontare di slancio i radicali mutamenti di contesto della nostra epoca – legata alla velocità – della nostra contemporaneità.
Un terzo modello può essere incentrato sul “come”, educare: educare tutto – bisogna trarre fuori quell’essere in potenza. Il docente dovrebbe in primis capirne la natura; esso potrebbe essere paragonato ad un medico. L’insegnante non può pensare di “trarre fuori” la stessa potenza da chiunque, poiché la natura di coloro che incontra e di coloro con i quali entra in comunicazione (la parola – opposto di informazione) è diversa. Deve Cum-prendere quella natura: non esiste una educazione strettamente egualitaria – i regimi totalitari ci hanno provato e hanno fallito miseramente. Anche il fisico va educato: in Italia la sottovalutazione fisica (educazione ginnica) è folle; ancora altro elemento messo da parte è la musica, il linguaggio più universale che l’uomo occidentale ha conosciuto.
Perché ginnastica e musica? Perché i greci pensavano che le basi della paidéia operavano nel ragazzo, la forma e l’armonia tra le parti. Se il fanciullo veniva educato al linguaggio universale della musica, esso poteva muoversi armonicamente, controllando la situazione (data dal ritmo) dei movimenti delle parti del suo corpo, formando in lui, naturalmente, un’idea di colleganza, di composizione, di forma. Naturalmente se si è così educati, nella propria vita non “ si stonerà” mai (se si esclude l’amore), qualsiasi sia la propria attività, addirittura ci sembrerà innaturale tutto ciò che vìola le leggi dell’armonia, della composizione, della forma. Se si viene educati bene e si desidera intraprende l’arte della politica, sicuramente non si potranno commettere ruberie, perché si avrà avversione; esattamente come l’educazione porta a non commettere gesti poco consueti in pubblico.
Così ragionavano i nostri classici: l’educazione deve formare l’abitudine, se questa non ci forma verso una vita “buona”, non possiamo parlare di educazione; si possono apprendere tutte le nozioni disciplinari, ma se si è sprovvisti di educazione verso “l’abitudine” (èthos) la fatica nozionistica appare vana, fine a se stessa. Non a caso i latini riprendono il termine mores affermavano che l’importanza delle leggi è nulla senza l’educazione (i mores), poiché queste verranno sistematicamente disobbedite. Ed è qui che torniamo alla scuola e alla sua importanza, quando questa è rivolta alla virtù, alla bontà e non quando essa è rivolta a dare qualche informazione: può dare un milione di nozioni, ma non formerà mai l’abitudine alla vita buona (la Chiesa insegna l’idea giusta dell’abitudine all’educazione, solo per citarne un esempio in ambito prettamente medievale). È proprio dall’armonia educativa che nascono l’aritmetica, la geometria, la filosofia, l’architettura e tutte le discipline che compongono l’avere umano. Non a caso la Politeia (πολιτεία) di Platone è la somma opera della filosofia occidentale, che parte dall’archetipo della ginnastica e della musica: educazione e armonia delle parti.
Per approfondimenti:
_Platone, Teeteto, o Sulla Scienza, Milano, Feltrinelli, 2005;
_Dialoghi di Platone. Teeteto, Fratelli Bocca, 1892;
_C. Kahn, Platone e il dialogo socratico, Vita e Pensiero, Milano 2008;
_F. Adorno, Introduzione a Platone, Laterza, Roma-Bari 1995;
_Franco Volpi, M. Heidegger, L’essenza della verità: sul mito della caverna e sul Teeteto di Platone; Adelphi, Milano, 1997;
_Aristotele, Le tre etiche, Milano Bompiani, 2008;
_Aristotele, Etica Nicomachea, Bari, Laterza, 1999;
_Lucia Caiani, Lettura dell’Etica Nicomachea di Aristotele, Torino, UTET, 1998;
_Franco Volpi, È ancora possibile un’etica? Heidegger e la “filosofia pratica” – Acta Philosophica, vol. 11 (2002).
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