24 Set La Banda Grossi: il nuovo cinema dei fratelli Ripalti
di Giuseppe Baiocchi del 25/09/2018
Nella storia della cinematografia italiana, poche sono state le storie che hanno trattato il cosidetto “brigantaggio” italiano. L’Italia come è noto, ha da sempre difficoltà a fare i conti con la storia e il fenomeno del banditismo non fa certamente eccezioni. Banditi o patrioti? Questa è la domanda che studenti, curiosi e studiosi si devono porre oggi sul tale fenomeno.
Cinestudio, società marchigiana di comunicazione e marketing, ha prodotto il lungometraggio “La Banda Grossi” (film storico, durata 113 min) ad opera del giovane regista di Fermignano Claudio Ripalti. La pellicola, narra le vicende realmente accadute dei briganti della Banda Grossi appena pochi anni dopo quell’Unità d’Italia (1861) che tanti cataclismi culturali e politici aveva prodotto in tutta la penisola italica.
Attuando una piccola digressione, certamente la storia italiana deve alla famiglia reale dei Savoia, la scintilla ideologica, di aver voluto (sia per necessità economiche private, sia per l’occasione storica presentatosi) un’unità italiana non più solamente culturale, ma politica. La famosa frase di Ferdinando IV di Borbone delle Due Sicilie (1751 -1825), «io sto bene tra l’acqua salata e l’acqua santa», è appunto emblematica: monito del disinteresse degli Stati pre-unitari ad imbarcarsi verso un’unione forzata, di popoli culturalmente molto diversi.
Nonostante la storiografia moderna e contemporanea, si sia sforzata di mutare il senso della storia del brigantaggio, questo si presentava come una forma di ribellione, verso il nuovo Stato Piemontese, il quale oltre ad introdurre la leva obbligatoria – che sottraeva braccia forti al lavoro nei campi, per combattere guerre di cui non si conosceva nulla, nemmeno la collocazione geografica -, aveva necessariamente aumentato diverse tassazioni.
Ancora più delicata è la situazione nelle Marche, ex territorio dello Stato Pontificio, che ancora dolori riuscirà a dare ai Savoia con la brillante vittoria di Mentana, da parte del generale Kenzler, nel 1867.
Certo il contadino Terenzio Grossi (interpretato da Camillo Ciorciaro), primogenito di una famiglia di mezzadri, ha del coraggio quando evaso di prigione, sfida apertamente il nuovo Stato, soprattutto dopo le recenti vittorie di Castelfidardo ed Ancona (1860), da parte dello Stato Piemontese appena insediatosi.
La cura del dettaglio storico nel film è massimale: costumi (Daniela Cancellieri), personaggi, musiche (Enrico Ripalti), ambientazioni sono pressoché perfette. In una recente intervista lo stesso regista Claudio Ripalti ha dichiarato: «Si trattava di trasporre le vicende realmente accadute tra Terenzio Grossi e i suoi compagni, in una sceneggiatura per il cinema. Devo dire che la vicenda storica aveva già tutti i connotati e le caratteristiche per poter fare una trasposizione davvero potente. […] Mi fa anche passare un brivido, pensare che questa vicenda e questi personaggi hanno popolato e hanno vissuto proprio qui, nella nostra provincia».
Difatti l’opera cinematografica è ambientata attraverso paesaggi intensi e poetici: quelli della Regione Marche. Girato interamente tra Petriano, Urbania, Cagli e Apecchio – proprio in quei territori in cui imperversò la banda Grossi -, l’ambientazione donerà sempre quel guizzo epico, ma dai toni romantici e cavallereschi, attorno a cui ruotano almeno 30 attori principali, oltre 200 comparse, 60 giorni di riprese, 20 persone sul campo impiegate durante le riprese tra staff Cinestudio e maestranze.
Difatti “la Banda Grossi” è soprattutto una storia di “questioni umane”: il brigante-uomo a confronto con i politico-uomo. I nomi dei vari personaggi sono tutti esistiti nella storia risorgimentale, concedendo al film un fascino tutto unico. Non mancano anche personaggi ben combinati, come il prefetto di Pesaro Maria Enrico Catalano (interpretato da Roberto Marinelli), individuo che mira verso una rapida carriera politica nel nuovo Stato, di carattere anti-clericale, si dimostra un personaggio opportunista e cinico. Difatti da Terenzio Grossi, ai membri della banda, passando per le autorità sabaude, non esiste nel film “il buono per eccellenza”, se si scarta la figura del brigadiere dei Reali Carabinieri Francesco Cardinale (interpretato dall’ottimo Simone Baldassarri).
Tale sistema, scandito da quella che Isaiah Berlin (1909 – 1997) definì come “libertà negativa”, in cui ogni personaggio si muove sotto un copione fortemente egoistico, rende il film mai banale e mai politicamente corretto: in poche parole è autentico.
Se il protagonista, Terenzio Grossi, sembra suggerire nella sceneggiatura e nella trama il ruolo di eroe ribelle “che combatte il sopruso”, in realtà la chiave eroica è nel corpo dei Reali Carabinieri del brigadiere Cardinale: egli è il vero eroe del film, il paladino della giustizia, il quale come nel capolavoro di Sciascia de “I giorni della civetta” sarà il Bellodi della situazione, combattendo sia un nemico esterno, sia uno interno. Sempre sul personaggio del reale carabiniere, tutta una sfumatura storica, che porta i connotati di un’origine francese, che lo lega ancor di più a Casa Savoia.
Per quanto riguarda Grossi, non siamo di-fronte ad un Robin Hood, ma ad un uomo che si pone come un ipotetico ribelle jüngeriano. Certamente il suo “passaggio al bosco” è più concreto e violento di quello descritto dal filosofo di Heidelberg, ma la prassi è la stessa: «Passare al bosco allora, cioè la prima condizione per essere ribelli, significa abbandonare questo mare del conformismo e della manipolazione organizzata. […] Tra il grigio delle pecore, si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cosa è la libertà e non soltanto quei lupi sono forti in se stessi, c’è anche il rischio che un brutto giorno essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in branco: è questo l’incubo dei potenti». Il suo vagabondare con la propria banda si avvicina molto ad una forma nichilistica interpretata dal personaggio, il quale afferma di non essere «al servizio del Papa» (all’epoca Pio IX, di Senigallia), e di non fare certamente un banditismo buono per aiutare i poveri: il suo è una guerriglia verso uno Stato che non riconosce, peggiore del precedente – che non amava, dove l’altra alternativa sarebbe stata la miseria o l’arruolamento forzato nelle file del neo costituito regio-esercito. Non c’è nel protagonista un’ideologia politica ben marcata, non un ideale ma, al limite, una curiosità verso il suo operato, per cogliere una possibile occasione storica, se lo Stato italiano dovesse “sbandarsi”. Eppure nel suo essere ramingo, Terenzio è un uomo d’onore, un uomo propriamente ottocentesco, rispettato da civili e compagni, amato dalle donne. Un personaggio che, però, per operare il suo piano, si deve contornare di individui poco raccomandabili, i quali rivelano un altro aspetto del brigantaggio, ovvero l’inserimento nelle proprie fila di veri soggetti da forca. Il bandito Sante Frontini (interpretato da Rosario Di Giovanna) è uno di questi: ha alle spalle un’infinità di delitti e malignità, ma verrà ripagato con la sua stessa moneta, proprio sul finale del film.
Come tutti i grandi film, il finale non è positivo per nessuno, se non per la verità storica, di una sceneggiatura che è stata frutto di una raccolta fondi online, che grazie al crowdfunding (finanziamento collettivo in rete) è riuscito a coprire 1/3 del budget necessario alla produzione con ben 72.000 euro in 29 giorni, su una cifra complessiva di 200.000 euro.
Così come afferma lo stesso Enrico Ripalti, produttore del film: «La Banda Grossi è diventato il primo film italiano di maggior successo della storia crowdfunding: abbiamo avuto donazioni dall’America, dal Canada, dall’Inghilterra e quindi è segno di una storia, che partendo dal locale, può raggiungere chiunque con un interesse verso i paesi e i paesaggi della nostra terra».
Le riprese de “La Banda Grossi” iniziate l’otto marzo del 2017 hanno visto l’uscita pubblica il 20 settembre del 2018. Di rilievo anche il contributo del MIBAC (Ministero dei Beni Artistici Storici e Culturali), che ha riconosciuto “La Banda Grossi” come Film di Interesse Storico e Culturale.
Ancora dall’intervista del regista Claudio Ripalti, riportiamo: «Ho avuto ed ho la fortuna di poter lavorare con dei ragazzi strepitosi, che ognuno con le sue competenze professionali è riuscito a mettere a frutto la propria passione, il proprio talento all’interno del film, con una squadra limitata di giovani professionisti. Siamo riusciti a fare un qualcosa che solitamente richiederebbe molto molto di più tempo. Abbiamo la possibilità di aprire uno squarcio, uno spiraglio interessante all’interno del panorama cinematografico italiano. Investitori lungimiranti che credono in quello che sto dicendo, potrebbero ritenere molto interessante investire in opere di questo tipo. Noi, sotto questo punto di vista, siamo molto indipendenti: siamo in una posizione ristretta con pochi elementi, pochi fronzoli e di conseguenza pochi costi. Questo ci dà la possibilità di ottenere un prodotto di qualità a costi ridottissimi e questo è un punto di forza non da poco. Il bello in questa vicenda cinematografica, la vicenda produttiva del film, è la chance di poter lavorare con ragazzi come me, che nutrono la medesima passione e hanno la medesima volontà e interesse di vedere questa opera realizzata su grande schermo. É una chance che non dobbiamo perdere se vogliamo raccontare al mondo una vicenda che ci riguarda e una tradizione che viene fuori da tutto quello che si vede all’interno del film. Una chance che ci obbliga ad andare contro-corrente per quello che è il panorama cinematografico italiano e per le difficoltà che una produzione indipendente, come la nostra, possiede nei confronti del produrre un film. L’andare contro-corrente è una necessità che storicamente a noi uomini ci ha dato la possibilità di fare le cose migliori che abbiamo mai prodotto nella nostra storia, quindi è una necessità, ma anche un dovere di andare controcorrente. Molto probabilmente è lo stesso sentimento che doveva avere un Terenzio Grossi 160 anni fa».
Nell’Italia cinematografica dei cine-panettoni, delle commedie frivole e della centralità da sempre imperante del “mito americano”, un film che ha avuto il coraggio di parlare di noi, della nostra storia, senza fronzoli; un cinema dei paesaggi quotidiani – da dietro casa –, che da una parte ci mostra le antiche cascine contadine, dove molti di noi hanno passato l’infanzia e dall’altra parte ci rivela l’immensa professionalità e la qualità tecnologica di come si deve produrre una cinematografia contemporanea con costi assolutamente contenuti.
Per approfondimenti:
_Isaiah Berlin, Quattro saggi sulla libertà, Feltrinelli, Torino, 2005;
_Ernst Jünger, Il Trattato del ribelle, Adelphi, Milano, 1990;
_Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Adelphi, Milano, 2002;
_Giuseppe Baiocchi, Il beato Pio IX: storia dell’ultimo Papa regnante, dasandere.it, ISSN: 2532-8379;
_Giuseppe Baiocchi, Hermann von Kanzler, l’ultimo generale di Cristo, dasandere.it, ISSN: 2532-8379;
_Claudio Ripalti, La Banda Grossi, Trailer.
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