04 Lug Rifiuto e desiderio anoressico nel rapporto con l’altro
di Giacomo Filippo Stefanoni 06/07/2018
Il DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) include lʼanoressia nervosa nella più ampia categoria dei disturbi della nutrizione e dellʼalimentazione, definendola sulla base di tre criteri fondamentali: la restrizione dellʼassunzione di calorie e la conseguente significativa perdita di peso; lʼintensa paura di aumentare di peso o ingrassare; le alterazioni del modo con cui lʼindividuo vive il proprio peso o la forma del proprio corpo. Da un punto di vista psicodinamico, tuttavia, questa definizione, per quanto utile a livello diagnostico-categoriale, non rende giustizia allʼesperienza soggettiva del paziente, al profilo globale del funzionamento mentale ed allo stile di personalità.
Con quanto detto si vuole sottolineare come lʼanoressia nervosa sia infatti caratterizzata da una sintomatologia definita che può manifestarsi, però, in individui con quadri clinici molto distanti tra loro sia per la gravità, sia dal punto di vista dellʼorganizzazione di personalità. Nel declinare dunque il termine anoressia nervosa al plurale, ossia anoressie nervose, si cerca di dare rilievo alle differenze proprie di ogni individuo che nel corso della sua vita può sviluppare una sintomatologia anoressica.
Massimo Recalcati, noto psicanalista lacaniano, individua alla base del rifiuto del cibo la presenza di diversi desideri sia consci che inconsci che contribuirebbero allʼemergere della sintomatologia. In questo modo diviene maggiormente chiaro come, nonostante i sintomi canonici dellʼanoressia siano simili in ogni individuo, alla loro base esistano dei desideri e delle aspettative molto differenti, legati alla storia ed alla soggettività propria di ciascuno. Di seguito verranno proposti, senza pretese di completezza, alcuni quadri anoressici, descritti da Recalcati, rappresentanti diversi desideri, nel tentativo di illustrare lʼanoressia intesa come anoressie al plurale, vincolate alle differenze strutturali psichiche di ogni soggetto.
– Rifiuto come desiderio di separazione.
Questa declinazione della patologia è tipica delle anoressie infantili ed adolescenziali, poiché collegata al passaggio puberale. Fino a questo momento, infatti, nel bambino prevale la spinta a corrispondere al desiderio dellʼAltro, essendo soddisfatto nellʼappagare il genitore. Tale caratteristica infantile esageratamente compiacente tende poi, con lʼadolescenza, a rovesciarsi in unʼopposizione che nega ogni forma di discendenza, filiazione e debito simbolico che, generalmente, si risolve con il passaggio allʼetà adulta. Il soggetto anoressico trova però difficoltà a svincolarsi dallʼopposizione adolescenziale, perché il desiderio infantile di compiacere lʼAltro, di realizzare il desiderio materno, direbbe Lacan, è stato imposto al bambino dal genitore in una modalità troppo intrusiva, cancellatrice di ogni senso del limite. La paura di non riuscire a staccarsi dallʼAltro diventa carburante di una guerra esagerata per dimostrare a sé stessi e al prossimo di essersi effettivamente separati, ma proprio perché necessitante di una continua dimostrazione questo desiderio sottende il mantenimento della dipendenza dallʼAltro. Il cibo assume così le sembianze di contenitore del desiderio altrui e viene rigettato. La volontà di non mangiare difende la singolarità del soggetto contro la volontà genitoriale del: “devi mangiare”. Il rifiuto dellʼoggetto sostiene dunque il desiderio di rivendicare la propria posizione di soggetto contro lʼinsistenza della domanda oggettivizzante dellʼaltro. Con le parole di alcune giovani pazienti di Recalcati (2011): “Per mia madre sono solo una bocca aperta da riempire”; “Non sono un tubo digerente”.
– Rifiuto come desiderio di controllo.
Il rifiuto del corpo nellʼanoressia, al contrario del corpo-teatro isterico, assume connotazioni di un corpo-barriera silenzioso e freddo. La non accettazione della dimensione corporea, nellʼanoressia, può essere rifiuto del corpo sessuale e rifiuto di un corpo ingovernabile che per sua natura si trasforma e cambia. In questo modo il corpo è inteso come un corpo con delle necessità, ma la volontà anoressica non riconosce nessuna altra volontà se non quella della propria coscienza per cui non può esistere nulla che non sia sotto il controllo diretto dellʼIo. Il controllo si manifesta così come forza dominatrice del mentale sul somatico, che deve quindi assoggettarsi agli ordini imposti, servendo la volontà disciplinatrice della coscienza. Anche in questo caso, è evidente come il desiderio di controllo e la paura di perderlo rimandino lʼuno allʼaltra, cosicché il controllo rischia continuamente di sfociare nella perdita dello stesso. Secondo G. Bateson (1972), infatti, lʼidea stessa di essere «capitani della propria anima» rimanda sempre ad unʼepistemologia dellʼautocontrollo destinata inevitabilmente al fallimento; inoltre, secondo C. G. Jung, ogni atteggiamento caratterizzato da eccessiva unilateralità corre sempre il rischio di rovesciarsi nel suo opposto.
-Rifiuto come desiderio di affetto.
Secondo D. W. Winnicott i disturbi alimentari in età evolutiva rappresentano un dubbio del bambino sullʼaffetto dei propri genitori, ed il rifiuto dellʼoggetto-cibo diventa una modalità per interrogare lʼaltro su questo sentimento. La negazione dellʼoggetto di godimento può essere, in alcuni casi, unʼinvocazione al segno dellʼaffetto del genitore. Precisamente il soggetto anoressico respinge il nutrimento concreto per un nutrimento affettivo e non mangia, rifiutando lʼoggetto per realizzare il desiderio di essere lʼoggetto del desiderio dellʼAltro. Secondo questa modalità il corpo diviene ostaggio di un ricatto che può oscillare verso forme estremamente radicali, arrivando sino allʼesercizio di un potere assoluto. Indubbiamente questa manovra contiene spesso una parte perversa, in quanto, giocando con la vita e la morte, rende il genitore impotente nelle mani dellʼindividuo anoressico che si fa strumento della sua angoscia. Il rifiuto del cibo sottende un desiderio di certezza assoluta sullʼaffetto dellʼAltro che viene tradotto dalla buona o cattiva relazione alla buona o cattiva alimentazione, fino alle forme più disperate dove il soggetto anoressico si fa morto per vedere se il genitore può sopportarne la perdita.
-Rifiuto come desiderio di difesa.
Lʼanoressia in questo caso svolge metaforicamente la stessa funzione delle mura di un castello, arroccando il soggetto allʼinterno e tenendo lʼAltro-nemico allʼesterno. La funzione difensiva del rifiuto del cibo protegge lʼindividuo «dallʼincontro traumatico con il godimento dellʼaltro» (Recalcati 2010), preservandolo dalla riduzione ad oggetto utile solo per il soddisfacimento del desiderio altrui. Stupri, intrusioni, lutti e tradimenti sono infatti tra gli elementi scatenanti di questa modalità anoressica che, solidificando i confini del corpo, crea unʼarmatura difensiva. Il rifiuto non svolge più una funzione dialettica con il prossimo, ma agisce come barriera verso la sua violenza distruttiva. «La negazione dellʼessere come strumento per la conservazione dellʼessere» è evidente nelle parole di una giovane paziente di Recalcati (2011): «se la pelle aderisce perfettamente alle ossa, io divento una mummia e le mummie non hanno più paura di nulla».
-Rifiuto come desiderio di “snascita”.
Questa declinazione dellʼanoressia si inserisce nella clinica delle psicosi gravi, in quanto sembra che il soggetto smetta di interrogare lʼAltro attraverso la propria sintomatologia, recidendo così ogni legame. Ellen West, celebre paziente di L. Binswanger, descriveva la sua anoressia-bulimia come “brama di morte”: un desiderio di fine che esclude la vita spingendo il soggetto fuori dalla scena del mondo. Questa modalità è drasticamente differente da tutte le altre perché non nasconde nessun tentativo dialettico comunicativo con lʼAltro. In questi casi il desiderio è difficilmente analizzabile perché diviene un desiderio di non desiderare.
La fine di ogni passione è perseguita e voluta con tutta la passione dellʼessere: quasi una occidentaleggiante rilettura delle religioni orientali che secondo la filosofa Maria Zambrano (1988): «si sforzano di cancellare la differenza umana, di reintegrare ciò che è caratteristico nellʼuomo alla sua origine, di cancellare la nascita; tutte pretendono di snascere (desnacer)». Il soggetto, quindi, per essere aiutato, non necessita più solamente di considerare il proprio desiderio, ma ha bisogno che esso rinasca; attraverso la reintroduzione del desiderio nella e per la vita, il terapeuta tenta di riaccendere nel soggetto quella scintilla «che consente alla vita di continuare ad esistere» (Recalcati 2011).
-L’ingombro fallico e il rifiuto della castrazione nell’anoressia.
Con J. Lacan il discorso freudiano sullʼinvidia del pene si capovolge, mostrando lʼassenza fallica non più come povertà, ma come ricchezza: «il fallo non è più considerato unicamente come simbolo del potere, quanto piuttosto di una certa idiozia, di un ostacolo, di un ingombro del soggetto» (Recalcati 2011). Nella sessuazione maschile, infatti, il fallo immaginario può indicare il prestigio dellʼavere e del possesso «lʼuomo non è ma ha il fallo; la sua posizione è davvero quella del proprietario» (Recalcati 2011). Nel possedere il fallo è però sempre implicata la stessa possibilità di perderlo, che illustra come il rovescio di questa tipologia di sessuazione sia generalmente la castrazione. Nella femmina, al contrario, lʼassenza del fallo è dunque sia povertà che ricchezza, un godimento oltre la monodimensionalità fallica che eleva il discorso verso un apertura con lʼAltro al di là dellʼUno. Tuttavia questo stesso discorso non può valere per la ragazza anoressica, perché, come visto precedentemente, la paura di essere oggettivata dallʼAltro si traduce nel forte rischio difensivo di oggettivare lʼAltro e, in primis, dunque, il corpo. Questo può venire così reso strumento disciplinato e controllato ossessivamente per mantenere lʼidentificazione narcisistica con un idolo fallico. In questo senso, il corpo anoressico può essere il risultato di un femminile che non accettando la natura del corpo, con le proprie caratteristiche e bisogni, finisce per schierarsi allʼopposto più radicale, ovvero dentro la cultura-legge maschile. Facendo questo una ragazza anoressica rischia di divenire una parodia della cultura di controllo occidentale e, essendo sprovvista di un fallo concreto, di utilizzare il proprio corpo come se fosse un fallo ideale, simbolo di potenza e grandiosità. Esso diviene un corpo che assomiglia allʼideale fallico di un maschio nevrotico e un poʼ misogino: un corpo-fallo che non può mai fallire, pegno la propria forza e perfezione. Per lʼanoressica che scappa dalla natura della sua femminilità opponendosi ad essa non cʼè il tempo per notare che la vagina non è solo lʼassenza del pene. Non calcolando la diversità in quanto tale, rischia di adeguarsi alla legge maschile del padre-fallo, diventandone lʼestremizzazione grottesca, un fallorobotico, sotto il potere della volontà e non più un “fapipi” che spaventava il piccolo Hans, celebre paziente di S. Freud, proprio perché agisce fuori dalla coscienza. Con questo tentativo di negazione delle differenze e di tutto ciò che non sottostà alla volontà cosciente, lʼanoressica ambisce, come già detto, allʼUno maschilista che nega lʼAltro e ad un corpo-fallo ideale, ultra prestante, simbolo di potenza e successo.
Per approfondimenti:
_Bateson, G. (1971), La cibernetica dellʼIo: una teoria dellʼalcolismo, in Verso unʼecologia della mente, RCS Libri, Milano, 2011;
_C. G. Jung (1957-58), La funzione trascendente, in C. G. Jung, Opere vol. VIII. La dinamica dellʼinconscio, Bollati Boringhieri, Torino, 2016;
_Freud S. (1908), Analisi della fobia di un bambino di cinque anni. Caso clinico del piccolo Hans, in Casi clinici, Bollati Boringhieri, Torino, 2008;
_Recalcati, M. (2010), Lʼuomo senza inconscio, Raffaello Cortina, Milano, 2011;
_Winnicott, D. W. (1993), Colloqui con i genitori, Raffaello Cortina, Milano, 1997;
_Zambrano M. (1988), Lʼagonia dellʼEuropa, Marsilio, Venezia, 2009.
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