Umberto II, il Re gentiluomo

di Giuseppe Baiocchi del 15/01/2018

Sua altezza reale Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria di Savoia, abbreviato Umberto II è stato l’ultimo Re di Italia. Spesso gli italiani si sono interrogati sull’eventuale colpa della monarchia: guerra, fascismo, sconfitta. Questa che sto per raccontarvi è una tragedia che rimane, ancora oggi, al centro di una delle tante coscienze nazionali irrisolte del nostro paese.
La casa reale sabauda ha avuto un disegno politico lungo mille anni che, per noi contemporanei, si traduce in uno straordinario patrimonio in opere architettoniche, pittoriche, ambientali, e di istituzioni culturali.

Umberto II, nato Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria di Savoia (1904 – 1983), ultimo Re d’Italia. ©collezioni MauryFert.

Nella grande muraglia del passato, quale è stato il ruolo di Umberto negli eventi che videro la fine della casata dei Savoia? Raramente se ne parla, quasi questo argomento per la Repubblica sia veramente un tabù. Il tempo passa e la storia si dimentica.
Attraverso lo studio di saggi storici di comprovata veridicità e fonti di archivio ho cercato di ricostruire gli eventi seguendo meramente i documenti storici, senza scendere nella soggettività. Questo articolo vuole essere un’inchiesta, ma è soprattutto una tragedia umana, una favola triste sullo sfondo di un secolo tremendo.
Nato nel 1904 dal matrimonio di Elena (principessa del Montenegro) e Vittorio Emanuele III (Re di Italia) è il terzogenito di quattro figli, unico erede maschio. Cresciuto nell’affetto e nella deferenza di gentiluomini e gentildonne all’interno di meravigliose ville e giardini, Umberto riceve una rigida educazione, vivendo la sua infanzia molto lontano dalle tragedie e dalle catastrofi della successiva storia italiana e Europea.
Nell’immensa e sanguinosa strage della prima guerra mondiale, la pace Europea significherà una serie di tanti irreparabili eventi, ma per le monarchie è un vero terremoto. Molte di queste vengono abbattute e solo l’imperialismo inglese di Re Giorgio V si rafforza. L’Italia, uscita vincitrice dal conflitto, diventa la seconda monarchia Europea dopo la scomparsa dell’impero zarista russo nel 1917 con l’omicidio dello Zar Nicola II (trucidato nel 1918) da parte delle forze bolsceviche (nel 2008 l’esecuzione reale è stata condannata, come omicidio sommario, dal tribunale russo) e dopo la caduta dell’Impero Austro-Ungarico che viene soppiantato da un potere borghese-massonico tutto francese e anglo-americano.
Per Umberto, questo periodo coincide con la fine della propria infanzia che vede l’allontanarsi del padre il quale passerà la guerra al fronte. La guerra è stata l’uovo del drago, dal quale sono nati mostri assetati di sangue: fascismo, bolscevismo, nazismo. Il precettore di Umberto è l’ammiraglio Conte Attilio Bonaldi che lo allevò con incredibile severità: Umberto doveva essere ubbidiente, non doveva mai discutere un ordine, mai permettersi una opinione. Nel 1921 a soli diciasette anni è già un personaggio pubblico. I Savoia erano una dinastia militare e il principe ereditario doveva essere un militare anche lui. Le qualità di Umberto sul finire dell’adolescenza non piacevano a Bonaldi, poiché il principe era gentile, cortese, allegro, elegante e obiettivamente bellissimo. 
La Marcia su Roma il 28 ottobre del 1922 porterà, come è noto, il fascismo al potere. Un potere dovuto ai 306 deputati (di cui 35 del partito nazionale fascista) che votarono la fiducia al Governo di ampia coalizione presieduto dall’onorevole Benito Mussolini . Casa Savoia, stanca della mancanza di riforme e figuracce internazionali come la sconfitta di Adua del 1896, lascia agire Mussolini e gli accorda la fiducia. Comincia così quella tempesta, che porterà alla distruzione il vecchio ordine delle cose.
Oltre a quella fascista, c’era ancora un’altra destra in Italia e in Europa che si plasma intorno alle antiche famiglie reali con le loro coorti, i loro gentiluomini e le loro gentildonne con il loro seguito di aristocratici: principi, duchi, marchesi, conti. Questo mondo si darà convegno a Napoli il cinque novembre del 1927 per le nozze di Amedeo, figlio del duca d’Aosta (in abito meharista) con Anna, figlia del duca di Guisa della famiglia reale francese. I gioielli di Anna appartenevano alla regina francese Maria Antonietta ghigliottinata durante la rivoluzione. Scrive il Corriere della Sera il giorno dopo il matrimonio: “a voler rifare la genealogia della nuova principessa sabauda, una stirpe così pura e antica, bisognerebbe ripercorrere mille anni di storia” e segue un elenco di antenati celebri: “San Luigi, tre imperatori di Bisanzio, tutti i Re di Francia, di Navarra, di Spagna, quelli di Napoli, delle Due Sicilie, d’Ungheria, di Polonia”.

Napoli 5 novembre 1927 – Nozze delle altezze reali Amedeo di Savoia Duca delle Puglie con la Principessa Anna di Francia. ©collezioni MauryFert

Tornando sul principe di Piemonte Umberto, quasi un attore del cinema americano, egli commosse milioni di donne facendosi vero e proprio mito per l’universo femminile. Molte donne confessarono il loro amore per il principe come per Tancredi o Rinaldo. In fondo al cuore di tutte, era il figlio del Re: un mito irraggiungibile. Se aggiungiamo la grande cortesia, la disponibilità, la mitezza con un fondo di riservatezza e di tristezza, sarà sempre molto stimato dal popolo.
Nel 1928 Vittorio Emanuele III, chiese ad Umberto (all’epoca aveva 24 anni) di intraprendere un lungo viaggio: andrà in Egitto, in Eritrea, in Somalia italiana e in Palestina. Per la sua formazione doveva assolutamente lasciare l’Italia. Tornato in patria, a Torino, il Principe del Piemonte era diventato amico di una attrice di spettacolo Carolina Mignone con la quale era stato visto spesso. Molti millantano un amore, altri una semplice avventura, ma il Re non voleva scandali e “Milly”, così veniva chiamata da Umberto, doveva uscire dalla vita del Principe ereditario. Umberto si congedò da Mignone con gentilezza, le regalò un anello e le disse: “si ricordi che le persone che mi sono care lo saranno per sempre. La mia amicizia per lei non finirà mai”.

Nella foto di sinistra, il Principe di Piemonte Umberto di Savoia sbarca ad Alula (22 marzo 1928), in Migiurtinia, nella Somalia italiana, accompagnato dal Governatore Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon. Nella foto di destra l’attrice Carolina Mignone.

Non si conoscono molti altri grandi amori del Principe, che inizia ad essere controllato  dall’OVRA (la polizia segreta del regime, ufficializzata con le leggi fascistissime del 1925) che aveva un intero dossier (mai ritrovato) su di lui.
Nel 1929 Vittorio Emanuele III, inaugura la XXVIII legislatura. Questo sarà un anno di grandi mutazioni sia in Italia, che nel mondo. Il Re affronta i tempestosi tempi nuovi, rimanendo legato alle tradizioni e al cerimoniale monarchico. “Coloro che non hanno conosciuto l’Ancien régime non potranno mai sapere cos’era la dolcezza della vita” asseriva il principe di Benevento Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord. Le guardie con i cappelli impennacchiati, le vesti multicolori, gli ornamenti dorati, i paramenti scarlatti, le guardie del Re, gli ufficiali, i trombettieri e i musici sono uno spettacolo abbagliante durante tutta la cerimonia. 
Il Re aveva accettato la dittatura fascista senza entusiasmo, come il minore dei mali: “i governi  erano destinati a durare qualche anno, le dinastie secoli”.
Ma Vittorio Emanuele III aveva sottovalutato la manovra politica di Benito Mussolini che nel 1925 con le leggi definite “fascistissime” aveva inserito una modifica allo Statuto Albertino dove si ratificava che il principe ereditario di Vittorio Emanuele III (Umberto, appunto) sarebbe stato eletto direttamente dal Gran Consiglio del fascismo. Dunque un gravissimo “scacco al Re” – un tradimento alla fiducia accordata in quel 1922. Una manovra di ricatto, che Mussolini userà per controllare abilmente la monarchia italiana e tenerla sotto controllo. Per il maestro di Predappio la monarchia doveva essere sottoposta al fascismo.
Sempre nel 1929, ci fu la conciliazione tra stato italiano e vaticano. Umberto con le sorelle visiterà quello stesso anno il Papa e per il principe piemontese fu un evento di particolare gioia, essendo di grande fede cattolica. Della corte papale facevano parte, per diritto ereditario, le grandi famiglie dei principi romani: i Colonna, gli Orsini, i Borghese, gli Odescalchi, i Patrizi, i Ruspoli con i loro castelli nell’agro-romano e i loro splendidi palazzi rinascimentali, barocchi o settecenteschi. Umberto sarà lieto di frequentare quel mondo, prima separato dai Savoia e di essere riconosciuto, con la benedizione del Papa, come principe ereditario.
Ma il 1929 è ricordato per la catastrofe economica che colpisce la finanza statunitense che sconvolgerà l’Europa. Una serie di fallimenti industriali colpiranno il vecchio continente nel quale avviene un crollo dei consumi e si presenta un forte stato di disoccupazione dalle conseguenze gravissime.
Questa crisi sarà la premessa al secondo conflitto mondiale.
Nel frattempo Umberto, sempre nel 1929, è a Bruxelles dove annuncia il fidanzamento con quella che poi sarà sua moglie Marie José di Sassonia Coburgo-Gotha – figlia del Re del Belgio. Sempre a Bruxelles un giovane studente anti-fascista Ferdinando De Rosa, si fece largo tra la gente e gli sparò un colpo di rivoltella: Umberto rimase impassibile, tanto da far impressione ai belgi presenti. Alla corte del Belgio, si poteva incontrare il meglio della cultura Europea: da Einstein a Claudel, da Pau Casals a George Bernard Shaw.
Il matrimonio sarà celebrato a Roma il 28 Gennaio del 1930. Per Maria José sarà indubbiamente un matrimonio d’amore, con Umberto che aveva ventisei anni e lei ventiquattro. Da anni lei era destinata a lui, fantasticando spesso sul momento delle nozze, mentre per Umberto il matrimonio era un altro dei suoi doveri, che da futuro Re, doveva ottemperare dovendo consegnare un erede maschio al trono. Non sarà un matrimonio semplice.

Marie José Carlotta Sofia Amelia Enrichetta Gabriella di Sassonia Coburgo-Gotha, nota come Maria José del Belgio (Ostenda, 4 agosto 1906 – Thônex, 27 gennaio 2001), nata principessa del Belgio, fu l’ultima regina d’Italia come consorte di Re Umberto II.

La principessa indossava un vestito confezionato dalla sartoria Ventura di Milano con uno strascico lungo ben sette metri con in capo un antico velo di merletto bianco sormontato da un diadema di casa Savoia, ornato di pietre preziose; il tutto disegnato dalla mano dello stesso principe ereditario. Dopo le nozze avvenne la visita in vaticano. La prima residenza dei principi di Piemonte sarà nella vecchia capitale sabauda Torino, dove Umberto si trovava benissimo. Ha molti amici nell’alta società torinese, tra cui Edoardo Agnelli il quale, se non fosse morto troppo presto, avrebbe ereditato il grande impero economico della FIAT.
Sotto la superficie della cortesia mondana Umberto è attento alle realtà del potere, ancora presenti in Europa, legate al mondo delle dinastie.
Il “mestiere di moglie” di José comprende la presenza alle cerimonie, alle inaugurazioni, ma soprattutto mai occuparsi delle questioni statali. Maria José poteva andare continuamente in vacanza, ma questa pratica annoiava la principessa, che preferiva impegnarsi in prima persona nelle questioni culturali e sociali.
La figlia del Re belga era interessata all’arte, alla filosofia, alla letteratura: non era certamente antifascista, ma frequentava intellettuali molto lontani dal regime, tra i quali Benedetto Croce o Umberto Zanotti Bianco. Più tardi nel 1946 confesso all’amico Zanotti Bianco “sento in qualche modo di dover espiare la fede che ho avuto in Mussolini. La sua vitalità allora mi aveva affascinato”.
I coniugi lasceranno Torino per trasferirsi a Napoli: lo spirito poco assoggettabile al regime, rendeva la cultura partenopea affine ad entrambi, i quali avevano ormai una forte diffidenza verso la politica estera di Mussolini, sempre più aggressiva contro le potenze europee con le quali i Savoia avevano relazioni centenarie.
Ma gli anni scorrono veloci e ci portano al discorso di Benito Mussolini a Piazza Venezia il due ottobre del 1935: il Duce della oramai passata “rivoluzione fascista” annuncia la guerra contro l’Etiopia e agli italiani promette l’impero. “Un ora solenne sta per scoccare nella storia della patria. Durante tredici anni abbiamo pazientato mentre si stringeva, attorno di noi, sempre più rigido il cerchio che vuole soffocare la nostra irrompente vitalità. Con l’Etiopia abbiamo pazientato quarant’anni! Ora basta!”.
Maria José parte infermiera della Croce Rossa per la guerra, il marito Umberto resta in Italia: per lei è la grande avventura. La guerra in Etiopia è un successo, il regime arriverà all’apice dei consensi storici. Pietro Badoglio, capo delle forze armate coloniali in Abissinia entra a Roma da trionfatore, ma nonostante il successo anche il maresciallo è sfavorevole all’alleanza con la Germania nazista di Hitler, che si andava prospettando.
Anche la principessa belga torna in Italia ed è convinta, come la maggior parte degli italiani, che l’Impero assicurerà agli italiani grandezza e prosperità. Gli eventi, come tristemente noto, precipitarono nel giro di pochi anni. La politica agricola completamente errata del Regime che basò tutto sulla agricoltura auspicando uno stato rurale, dopo tre rivoluzioni industriali, fa entrare l’Italia in crisi economica – crisi che può essere superata solo con una guerra, dove come detto lo spazio etiope si presentava come spazio di interesse per lo slancio della “vitalità italiana”. L’Italia, garante della sovranità austriaca contro le pretese tedesche, si accorda con Francia e Inghilterra per operare in Etiopia senza ricevere sanzioni, ma le speranze di Mussolini vengono disattese dalla Gran Bretagna. Giorgio V  vedeva l’anacronistica espansione coloniale italiana con preoccupazione in chiave coloniale, nello specifico nel Sudan e nel Somaliland, possedimenti britannici.
L’embargo contro l’Italia, spinto dagli inglesi, fa mutare la politica estera del governo fascista che si avvicina definitivamente all’unica nazione, tra l’altro potentissima, del continente: la Germania nazionalsocialista.
Nell’agosto del 1936 si tengono a Berlino le olimpiadi, che per Hitler sono l’occasione di far ammirare al mondo la grandezza della Germania nazista. Gli italiani e i tedeschi si preparano a riavvicinarsi: ospite delle Olimpiadi sarà il principe di Piemonte, notoriamente anti-tedesco, Umberto. E’ un gesto dimostrativo che precede trattati di amicizia e poi di alleanza.
Intanto la prima figlia, Maria Pia nascerà nel settembre del 1934 e il secondo figlio Vittorio Emanuele nasce a Napoli il 12 febbraio del 1937: è una grande festa popolare, poiché assicurare la continuità della dinastia era cosa di primaria importanza. Il lieto evento smentisce le voci che il regime fascista faceva circolare intorno al Principe, accostandogli il reato della pederastia: accuse false e infamanti. Per deridere l’erede al trono si usava l’appellativo di “stellassa” in dialetto milanese: stellina. Alla festa per l’erede maschio partecipa anche Galeazzo Ciano, ministro degli esteri. Ciano ha sposato la figlia di Mussolini Edda e sono in molti a pensare che quando il tempo verrà sarà lui il successore di Mussolini. I due delfini si conoscono con un misto di amicizia e di diffidenza. 
Continua, nel frattempo, la grande mondanità internazionale di Umberto. Deve presenziare al festival del cinema di Venezia o al cafè society. Intorno a lui aristocratici, artisti, giornalisti, architetti, cinematografi, intellettuali – insomma la crema della società. Questa è una realtà che Umberto, a differenza di Maria José, ama moltissimo. In questi ambienti è sempre allegro e di buono umore, non dimostra mai quella alterigia che una altezza reale, per di più erede ad un trono oramai imperiale potrebbe dimostrare.
Nel dicembre del 1937 Amedeo di Savoia duca d’Aosta (cugino del principe di Piemonte Umberto) parte per l’Africa orientale italiana di cui è diventato Vice-Re per stabilizzare la difficile situazione degli indigeni etiopi che imperversavano con bande armate a cavallo, rendendo il neonato impero poco sicuro per i proletari italiani. Secondo disegno del regime, infatti, emigravano per avere gratuitamente appezzamenti di terreno e proprietà a discapito degli africani. Scrive il duca d’Aosta nel suo diario: “sto navigando su un superbo incrociatore che mi porta verso la grande avventura della mia vita”. Sarà avventura, ma anche morte per il Duca. La nomina di un Vice-Re monarchico e non fascista verrà presa con grande orgoglio e grande responsabilità dalla monarchia italiana che dal punto di vista politico-amministrativo, rende la situazione meno instabile abolendo le vessazioni di Graziani verso il popolo indigeno.

Amedeo Savoia, Duca D’Aosta – eroe dell’Amba Alagi in Etiopia.

Il terzo duca d’Aosta segue la costruzione di acquedotti e strade, controlla i lavori delle abitazione dei coloni ai quali non doveva mancare nulla. Amedeo Di Savoia nella sua tesi di laurea auspicava una integrazione totale tra italiani e popolazione dell’impero dove, in accordo con Italo Balbo, auspicava una parità di diritti tra le due parti per riavvicinarsi a quella integrazione creata già dall’Impero Romano. Solo un anno più tardi in italia venivano invece promulgate le leggi razziali per l’indignazione di molti italiani e della monarchia stessa. 
Nel maggio del 1938 Vittorio Emanuele III riceve Adolf Hitler in Italia: si parla già di asse Roma-Berlino. Perfetto amore? Niente affatto. Il Re non si vuole impegnare e tra casa Savoia e i nazisti non corre buon sangue. Da anti-tedesco non nutre stima per Hitler, ma la pressione di Mussolini è insostenibile. Così non si firma un patto di alleanza con impegni precisi. Hitler dirà successivamente: “al quirinale si respira aria da tomba” chiedendo al Duce quando potrà congedare il Re. Quest’ultimo a sua volta accuserà Hitler di essere un pazzo, un degenerato e di prendere droghe.
Il due marzo del 1939 viene incoronato Papa con il nome di Pio XII il cardinale Eugenio Pacelli. Questi non vuole la guerra e cerca una intesa con Vittorio Emanuele III e la trova. Non sarà in grado di influire sul corso degli eventi, ma si crea un’intesa per tenere a freno Mussolini: ne fanno parte sicuramente la principessa Maria Josè, con più prudenza Umberto, con infinita prudenza Re Vittorio Emanuele III. In questo movimento sono simpatizzanti anche una parte della fronda fascista, capeggiata da Italo Balbo, Galeazzo Ciano, Dino Grandi e Giuseppe Bottai. C’è anche Badoglio, ma di tutta questa corrente rimangono poche tracce – quasi che qualcuno abbia voluto cancellarne la memoria.

da sinistra a destra: Eugenio Pacelli (Pio XII), Maria José, Umberto Savoia, Italo Balbo, Galeazzo Ciano, Dino Grandi e Giuseppe Bottai.

Il Re in quel momento avrebbe avuto la forza di fermare Mussolini? Casa Savoia era popolare, Umberto e Maria José erano molto amati, i nazisti venivano guardati con diffidenza. Il Re, forse, avrebbe potuto osare.
La situazione fra monarchia e regime si incrina ancora alle nozze del principe Aimone di Savoia Aosta, principe di Spoleto (fratello del duca di Aosta, Amedeo). Il primo luglio a Firenze avviene il matrimonio con Irene, figlia del Re di Grecia. L’evento può essere visto come una piccola prova di forza della antica Europa tradizionale delle dinastie che fa apparire di nuovo la gloria e lo splendore del mondo di ieri. Quel mondo che in fondo al cuore, sia Hitler che Mussolini detestavano. Umberto, fa parte a pieno titolo di questa alta società, che non è ancora del tutto esautorata e vive a pieno titolo tutto con entusiasmo. Tutte le famiglie monarchiche sono presenti al matrimonio, ma un ombra velata è intrisa nell’aria: l’assenza di Benito Mussolini. La Grecia e l’Italia avevano già avuto un momento di attrito, voluto dal Duce il quale iniziava già ad aguzzare, dall’Albania, il suo sguardo sulla penisola ellenica.
Si arriva alla guerra: il secondo conflitto mondiale era iniziato nel settembre del 1939 con l’invasione nazista alla Polonia. Le truppe di Hitler sbaraglieranno nel giro di pochi giorni i polacchi e Stalin darà loro una mano attaccando anche lui la Polonia da est. L’Italia non interverrà nei primi mesi di guerra.
Il 24 febbraio del 1940 nasce la terza figlia di Umberto: Maria Gabriella. Nel frattempo Mussolini non ha ancora deciso quando entrare in guerra al fianco dell’alleato tedesco. Il Amedeo Savoia e Italo Balbo, in questo periodo, si avvicinano ancor più al principe di Piemonte. Ancora dal diario di Amedeo Savoia si evince come poco prima dell’entrata in guerra, in un aspro confronto con Mussolini, il Duca disserta come l’esercito non sia preparato ad una guerra di medio-breve durata, di come i soldati del regio-esercito non erano né per numero, né per mezzi sufficientemente pronti. Il suo comando sconsiglia l’entrata in guerra al Duce, ma un Mussolini stizzito lo ascolta e lo congeda. Amedeo per senso del dovere ubbidisce agli ordine rimanendo in africa orientale, nonostante i consigli di Vittorio Emanuele, circa un suo rientro in Italia insieme a Italo Balbo. Ancora dal suo diario, Amedeo scrive: “ho preferito rimanere a Massaua dove ci sono ben 250.000 italiani che non posso abbandonare”.
Nel diario di Ciano il 22 febbraio del 1940, egli annota: “il principe di Piemonte è molto anti-tedesco e convinto della necessità di rimanere neutrali. E’ preoccupato per l’orientamento sempre più favorevole ai tedeschi della nostra politica (…) la Germania per noi è un terreno di manovra”.
Il migliore amico del duca d’Aosta, dott. Edoardo Borra scrive che ai primi di Aprile del 1940, Amedeo Savoia si trovava a Roma (confermato nel diario stesso del duca). Il progetto, scrive Borra, prevedeva di sostituire alla presidenza del consiglio Mussolini con Galeazzo Ciano per tenere l’Italia fuori dalla guerra. Nell’idea erano coinvolti il principe Umberto, Aimone di Savoia duca di Spoleto, Adalberto di Savoia duca di Bergamo, Italo Balbo ed altri sopra citati. Il Re, del resto, nei giorni precedenti aveva riferito a Ciano che la monarchia era pronta ad intervenire, militarmente se necessario, per dare un corso diverso agli eventi. Un operazione difficile, che porterà Aimone segretamente ad incontrare gli inglesi in Svizzera nel 1941. Nelle fasi concitanti dell’otto settembre 1943 questo carteggio è andato perso o distrutto.
La principessa Maria José, ispettrice della Croce Rossa è profondamente ostile ai nazisti. Dal diario di Ciano, questi scriverà su di lei: “è soprattutto inquieta per la minaccia di invasione del Belgio. Le ho lasciato capire che secondo le nostre informazioni la cosa sembra assai probabile”. Maria José avvertirà il fratello, Re Leopoldo del Belgio ed ai primi del 1940 sarà proprio lei a chiedere a Aimone e a Balbo di venire a Roma per cercare di impedire la guerra.
Per Umberto, arriva l’avvicinarsi del conflitto: avrà lo sgradito compito di “comandante in capo delle truppe della Armata Nord“, attestata sul confine delle Alpi francesi. E’ tuttavia sempre meno convinto della guerra.
La domanda che sorge spontanea è chiedersi il perché dopo tanto complottare, nessuno si è mosso? La risposta giace all’interno degli eventi militari: il 10 maggio del 1940 l’esercito tedesco passa all’offensiva contro la Francia e Mussolini viene tirato giù dal letto dall’ambasciatore tedesco a Roma che gli consegna il dispaccio. Anche in Francia come prima in Polonia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Olanda e Lussemburgo, la wehrmacht si dimostra completamente superiore e in poche ore l’equilibrio europeo è capovolto. Nessuno sembra in grado di competere con Hitler: chi in Italia non era d’accordo è ridotto al silenzio. Un silenzio che Umberto manterrà per sempre. Da fonti certe e autorevoli l’ex Re, prima di lasciare Cascais per la malattia che lo porterà alla morte nel 1983 passerà molte serate al caminetto a bruciare documenti.
10 Giugno 1940, l’Italia dichiara guerra alla Francia e all’Inghilterra. L’ambasciatore francese a Roma Andre Francois Ponsè asserirà a Ciano: “non scavate fossati troppo profondi, ve ne accorgerete, i tedeschi saranno duri padroni”. L’offensiva italiana voluta da Mussolini dette risultati molto modesti: qualche chilometro quadrato di terreno occupato sulle Alpi e a Mentone sul mare Ligure. Intanto i tedeschi avevano conquistato 2/3 della Francia, Parigi compresa.
Le testimonianze degli ufficiali della Armata Nord Occidentale su Umberto sono di un individuo cortese, serio, onesto. Perché, dunque, si è lasciato coinvolgere da quella offensiva che Roosevelt definirà “il colpo di pugnale nella schiena”? Ancora una volta Umberto, da soldato, esegue gli ordini. Oramai non c’era più nulla da fare: il bastone del comando era saldamente nelle mani del Duce. A contrastarlo c’è il rischio di vedere nel giro di 48 ore i tedeschi a Roma.
E’ il momento, questo, dove Mussolini per l’opinione pubblica italiana ha ancora una volta ragione sugli eventi che accadono. Un celebre aforisma di Longanesi asseriva: “Mussolini ha sempre ragione”.
Dopo l’armistizio (separato da quello tedesco) della Francia con l’Italia – inizia per Umberto una situazione che si avvicina ad un esilio anticipato: fino ad allora l’istituto Luce, con molta parsimonia, lo aveva diverse volte ripreso, ma dalla battaglia sulle Alpi in poi non lo farà più. Del principe di Piemonte e della sua popolarità il Duce ne ha avuto evidentemente abbastanza. Forse era stato informato sulla partecipazione di Umberto a quella che possiamo chiamare “partito anti-guerra”? E’ lecito supporlo. Di certo Umberto nelle pellicole dell’Istituto Luce dal giugno del 1940 al luglio del 1943 in tutto comparirà sugli schermi dei cinema italiani poco più di un minuto. Maria Josè è sempre seguita dalla polizia e i telefoni di casa Savoia sono sotto stretta sorveglianza da parte dell’OVRA. Furono travati microfoni al Quirinale.
Contrariamente alle previsioni di Mussolini la guerra sta andando male: nel marzo del 1941 l’Africa orientale è perduta. Scrive sul suo diario il duca d’Aosta: “perdere un Impero non succede tutti i giorni. Vedere la mia opera, alla quale ho dedicato tre anni della mia vita andare a pezzi sotto la bufera è cosa non comune. Affogo nel lavoro l’amarezza dell’ora, mantengo la mia serenità. Anche se scrivo l’ultima pagina di questo grande dramma voglio scriverla bene”. Il 18 Maggio avverrà la resa agli inglesi che gli renderanno un antica pratica miliare “l’onore delle armi”. Sarà internato nel Kenya britannico dove morirà di tubercolosi nel marzo del 1942.
Maria Josè prende atto degli eventi catastrofici che hanno portato la Monarchia italiana a perdere l’Impero e si convince sempre più che sia importante giungere ad una pace di compromesso il prima possibile. Si rivolge al vaticano: la morte di Amedeo di Savoia l’ha profondamente commossa. Si informa con il pontefice su come poter aiutare alcuni amici ebrei tormentati dalle leggi razziali, sempre più aspre e severe. Con il pontefice dialoga anche su una possibilità di contattare gli anglo-americani. Pacelli rassicura Maria José, asserendo come egli avesse la possibilità di poter entrare in comunicazione con gli anglo-americani in via segretissima. Nel frattempo, il Re inizia a operare un carteggio con i britannici: gli alleati riconoscendo l’Italia come nazione sovrana imponevano a questa, di non richiedere rivendicazioni territoriali e di dover sul campo meritare di essere alleato. Gli inglesi promettevano anche di aiutare con armamenti il regio esercito a patto di sbarcare senza problematiche in Sicilia. Questa idea presupponeva che la monarchia si liberasse del fascismo tramite un colpo di Stato e affidasse le forze armate a Badoglio. Lo stesso Maresciallo affermava che arrestare Mussolini era semplicissimo: bastavano due divisioni dei Granatieri i quali dovevano nella notte circuire Villa Torlonia e arrestare Mussolini imprigionandolo.

Umberto II, possedeva i seguenti titoli: Re d’Italia, Re di Sardegna, Re di Cipro, di Gerusalemme e di Armenia, duca di Savoia, principe di Carignano, principe di Piemonte, principe di Oneglia, principe di Poirino, principe di Trino, principe e vicario perpetuo del Sacro Romano Impero, principe di Carmagnola, principe di Montmélian con Arbin e Francin, principe balì del ducato di Aosta, principe di Chieri, principe di Dronero, principe di Crescentino, principe di Riva di Chieri e Banna, principe di Busca, principe di Bene, principe di Bra, duca di Genova, duca di Monferrato, duca d’Aosta, duca del Chiablese, duca del Genevese, duca di Brescia, duca di Piacenza, duca di CarignanoIvoy, marchese di Ivrea, marchese di Saluzzo, marchese di Susa, marchese di Ceva, marchese del Maro, marchese di Oristano, marchese di Cesana, marchese di Savona, marchese di Tarantasia, marchese di Borgomanero e Cureggio, marchese di Caselle, marchese di Rivoli, marchese di Pianezza, marchese di Govone, marchese di Salussola, marchese di Racconigi, con Tegerone, Migliabruna e Motturone, marchese di Cavallermaggiore, marchese di Marene, marchese di Modane e di Lanslebourg, marchese di Livorno Ferraris, marchese di Santhià, marchese di Agliè, marchese di Barge, marchese di Centallo e Demonte, marchese di Desana, marchese di Ghemme, marchese di Vigone, marchese di Villafranca, conte di Moriana, conte di Ginevra, conte di Nizza, conte di Tenda, conte di Romont, conte di Asti, conte di Alessandria, conte del Goceano, conte di Novara, conte di Tortona, conte di Bobbio, conte di Sarre, conte di Soissons, conte dell’Impero Francese, conte di Sant’Antioco, conte di Pollenzo, conte di Roccabruna, conte di Tricerro, conte di Bairo, conte di Ozegna, conte delle Apertole, barone di Vaud e del Faucigny, alto signore di Monaco e di Mentone, signore di Vercelli, signore di Pinerolo, signore della Lomellina e Valle Sesia, nobil homo, patrizio veneto, patrizio di Ferrara.

Il giorno seguente, il Re avrebbe dovuto proclamare il fascismo come esautorato, ma la guerra sarebbe continuata. Altre idee riguardavano invece il bisogno di concordare con gli anglo-americani quando fare il colpo di Stato e quando operare l’armistizio delle forze armate. Bisognava evitare, se possibile, di trasformare l’Italia in un campo di battaglia e salvaguardare le popolazioni civili, già profondamente segnate dalla guerra. Maria José non rinuncia al grande gioco politico con la complicità del marito Umberto. Questa complicità non è vista bene da Re Vittorio Emanuele III che voleva le donne di casa Savoia fuori dalla vita politica. Il rapporto tra Umberto e suo padre si fa sempre più tormentoso. Vittorio Emanuele era un uomo intelligente, che gli anni lo avevano reso cinico e sfiduciato: manca di fiducia anche nei confronti del figlio e la nuora gli sembra una “esaltata irresponsabile”. E’ convinto anche lui che la guerra sia perduta, ma non si decide ad intervenire e senza il Re l’esercito non si muove. Ancora Umberto Zanotti Bianco (fondatore e primo presidente di Italia Nostra) aiuterà la principessa nei movimenti per arrivare al colpo di Stato.
Ha scritto un diario inedito, dal quale rimangono ancora pochi volumi custoditi dalla associazione nazionale per il Mezzogiorno d’Italia (ente di studio, di cui Zanotti Bianco è stato il fondatore). Per liberare l’Italia dal fascismo si punta sul colpo di Stato militare. Il 7 febbraio del 1943 scrive di essersi incontrato con Maria José.
Zanotti Bianco ha interpellato i comunisti clandestini che gli hanno negato l’appoggio militare verso la monarchia in caso di golpe. Invierà alla Regina, dopo la guerra una foto con scritto: “a sua maestà la Regina, amica fedele nel tempo delle persecuzioni”.
Il bombardamento del 19 luglio 1943 a Roma convincerà Vittorio Emanuele III sulla necessità di agire. Maria José aiutata da Zanotti Bianco, da Giuliana Benzoni e da dame di corte come Ninì Pallavicino, Sofia Iaccarino e Guendalina Spalletti ha ottenuto una rete di appoggi: Il maresciallo Caviglia, Ivanoe Bonomi, Vittorio Emanuele Orlando, preziosissimo il cattolico Guido Gonella, artefice del contatto con il Vaticano. Sia pure con grande ritardo il Re si muove nella direzione da lei suggerita.

Da sinistra a destra: Zanotti Bianco, Giuliana Benzoni, Ivanoe Bonomi, Vittorio Emanuele Orlando, Guido Gonella, Enrico Caviglia.

Il 25 luglio del 1943 il Re fa arrestare Mussolini e nomina il maresciallo Badoglio presidente del Consiglio. Dopo tante sconfitte e tante sofferenze la gente è stanca del fascismo. Si legge dal diario di Zanotti Bianco che Maria José ricevette l’ordine dal ministro della real casa duca di Acquarone di partire subito da Roma, per andare in esilio ed isolamento nelle montagne piemontesi a Sant’Anna di Valdieri. Il Re, spiegò Maria José: “non ha osato parlarmi direttamente, perché avrebbe dovuto dirmi cose troppo amare. Mi rimproverò di aver complottato contro di lui tenendo contatti con elementi liberali e socialisti. In casa Savoia, aggiunse, le donne non si sono mai occupate di politica”. Maria José si rifugiò invece, in Svizzera luogo che non gli permetteva più di intervenire in nessun ambito.
Corre l’otto settembre del 1943, l’Italia alleata della Germania nazista e in guerra contro Inghilterra, Stati Uniti e Unione Sovietica chiede la resa: è la sconfitta.
Gli Alleati sbarcano a Salerno con i tedeschi che si impadroniscono di tutto il resto del territorio italiano. La famiglia reale con il primo ministro Badoglio lascia Roma e si rifugerà a Brindisi. In quelle ore drammatiche, grazie agli scritti del conte Francesco di Campello (ufficiale d’ordinanza del Principe dal 15 gennaio 1943 al 20 giugno 1944), possiamo capire come Umberto II non era d’accordo con la scelta paterna di lasciare la capitale. Campello in data otto settembre scrive: “butto la mia poca roba nella valigetta e scendo con il Principe di Piemonte. Non posso trattenermi dal dirgli francamente che questa fuga precipitosa mi sembra una vera pazzia. Condivide quanto vado dicendo. Non credo di esagerare, scrivendo di averlo veduto disperato per la fuga e per questa confusione generale. Il principe, ad ogni modo, è pienamente d’accordo con me: è nero. Non gli ho sentito dire una parola, tranne ripetere tra sé e sé – Dio, ma che figura! Che figura! – Lo supplico, con quella libertà che mi prendo essendo stato suo compagno di giochi da bambino di riflettere se per il bene della causa, della dinastia, del paese non sarebbe stato molto meglio per lui tornare a Roma. Arrivo financo a dirgli che avrebbe potuto rientrare a Roma come Re Umberto II”.
In un intervista Rai del 1979 fatta ad Umberto II a Cascais (/kɐʃ’kaiʃ/) in Portogallo, il sovrano ci descrive quei momenti: “l’aver lasciato, in quel modo, Roma può essere stato uno sbaglio. Senza avvisare i ministri, i quali non hanno avuto la possibilità di raggiungere il Re e prendere le loro disposizioni. Il mio rammarico è che queste persone sono state dimenticate negli attimi più concitati”.
Sulla mancata difesa di Roma, sotto un certo profilo, ha ragione Umberto: le truppe italiane erano certamente superiori per numero, ma erano inferiori in armamento e soprattutto erano inferiori anche da un punto di vista psicologico per la mancanza di ordini, poichè non vi era un piano di difesa organizzato.
Spesso la storiografia contemporanea tende a svalutare l’ex-Re, osservando in lui un uomo vittima di personaggi molto più forti di lui: Vittorio Emanuele III (Re e suo padre), lo stesso Mussolini (Capo del Governo), la moglie Maria José del Belgio. Umberto avrebbe voluto intervenire, ma era costretto ad attenersi alle norme che l’educazione monarchica gli aveva insegnato, relegandolo spesso ai margini. La vera essenza di Umberto verrà fuori solo troppo tardi, quando finalmente il padre gli consegnerà le chiavi del regno e in pochi mesi farà vedere a tutti il suo spessore politico e morale, troppo spesso non ricordato dalla storia.
Dopo l’armistizio si instaura il regno del sud e Umberto entra in contatto con gli alleati e sembra non aver altro pensiero quello di combattere per risollevare l’onore della casata dei Savoia.
Nel dicembre 1943 gli americani risalgono lentamente la penisola contrastati dalla accanita difesa tedesca. Al governo Badoglio e al Re Vittorio Emanuele III viene riconosciuta pochissima autonomia. Il capo della missione alleata anglo-americana, generale britannico Noel Mason MacFarlane in un rapporto scriverà sul Re: “il Re appare patetico, vecchio e alquanto rimbambito”. I partiti anti-fascisti vorrebbero che lui abdicasse. Accetterebbero, se pure di mala voglia e provvisoriamente, che Umberto diventasse Re, ma Vittorio Emanuele III non se ne vuole andare: “a casa Savoia, si regna uno alla volta” asseriva spesso.
Umberto sbarca a Brindisi con la frustrazione di un militare che non ha potuto combattere: decide di mettersi in contatto personalmente con gli anglo-americani chiedendo di poter costituire una armata italiana per combattere le truppe tedesche al fianco degli alleati. Gli Anglo-americani sono sospettosi, vorrebbero addirittura che il Principe vestisse in borghese senza divisa. Gli americani sono fortemente prevenuti nei confronti della monarchia italiana che considerano collusa con il fascismo. Gli inglesi hanno un atteggiamento assai più aperto, ma nessuno degli Alleati si fida dell’esercito Regio. Il governo Badoglio e la corona hanno bisogno di una forza militare: combattere al fianco degli alleati vuol dire il riconoscimento della cobelligeranza, uno status quo fondamentale per il futuro politico del paese.
A Nord, Mussolini ha fondato con l’ausilio dei tedeschi la Repubblica Sociale Italiana: uno stato senza l’approvazione degli italiani, controllato dai nazisti con Roma occupata da quest’ultimi.
Dunque la situazione presenta tre forze su suolo italiano: al Sud il governo di Brindisi e il Re (coadiuvato dagli anglo-americani), La repubblica fascista di Salò a Nord (coadiuvata dai tedeschi) e i partigiani di derivazione comunista, socialista e reduci dell’esercito regio stanchi di farsi comandare da comandi inadeguati: è la guerra civile.
Umberto risoluto dalla sua azione, organizza il primo reparto militare italiano inquadrato delle truppe alleate. E’ il primo raggruppamento italiano motorizzato: 5000 uomini e Umberto ricorda come “gli americani accettavano che noi si combattesse accanto a loro, ma con molte esitazioni politiche e ricordandoci spesso che eravamo stati loro avversari”. Il reparto italiano a dicembre si distingue per la battaglia di Montelungo sul fronte di Cassino. Umberto si impegna nelle azioni militari tanto che gli americani lo propongono per una medaglia al valore.

Foto su pellicola Kodak che ritraggono il Principe Umberto in operazioni militari a Tavernelle (Appenino Tosco – Emiliano) al Comando della 210^ Divisione.

Il generale Clark, comandante delle forze alleate in Italia, dichiarerà nelle sue memorie: “il Principe si comporta con grande coraggio: più di una volta mi attraversò l’idea, che come rappresentante di Casa Savoia non solo egli fosse pronto a morire in battaglia, ma che si esponesse volontariamente alla morte”.
E’ il 1944 e Umberto lavora alla costituzione del corpo italiano di liberazione. Gli alleati gli impediscono di assumerne il comando per timore di rinvigorire troppo l’ascendente di Casa Savoia sugli italiani, spingendo Vittorio Emanuele III ad abdicare in favore del figlio. Chiedono che la monarchia si rinnovi, che salga sulla scena il Principe, mai direttamente colluso con le scelte del regime. L’insistenza degli alleati è pressante, quasi umiliante per l’anziano Re il quale coinvolgerà il figlio nella delicata questione. Finalmente Umberto dopo aver dimostrato le sue doti militari si avvicina a pieno diritto alla gestione delle scelte politiche ed è il vero punto di svolta nella vita pubblica e privata del principe di Piemonte.
Vittorio Emanuele III non vuole abdicare, gli viene prospettata una reggenza, ma è contrario per un carattere meramente giuridico: l’istituto della reggenza in termini statutari (Statuto Albertino), implicava che il reggente sarebbe dovuto essere approvato dalle camere e queste in quel dato momento non esistevano più. Si impegnerà una volta liberata la capitale ad affidare la luogotenenza al figlio.
Il governo è a Salerno e il 4 Giugno gli alleati entrano a Roma. Il giorno successivo il Re, nomina Umberto “Luogotenente generale del Regno” una tenenza temporanea, dove tutti i poteri passano in mano ad Umberto. Vittorio Emanuele III si auto-sospende e si trasferisce a Napoli in Villa Maria Pia, rilegando le sue attività alla pesca.
Nella Roma liberata, Umberto si trasferisce al Quirinale, formalmente è il rappresentante del Re, ma in realtà agisce di sua spontanea volontà. Il luogotenente garantisce il riassestamento della vita democratica. Dopo lo scioglimento del Governo Badoglio affida il Governo all’anziano Ivanoe Bonomi che rappresenta una forma politica completamente anti-fascista. Umberto si ritaglia un ruolo super partes, ponendosi a garanzia di una legalità costituzionale ancora incerta, manifestando la propria idea di monarchia moderna. Questa idea si basa su un concetto di attualità, dove la monarchia diventa collante e elemento di moderazione fra diverse etnie, diversi dialetti, diversi costumi e usi del popolo italiano.
Con la fine della guerra, l’Italia inizia a rinascere dalle sue macerie, ma la parabola dei Savoia giunge al tramonto: 2 giugno 1946 si svolge il referendum istituzionale tra Monarchia e Repubblica. Un Referendum imposto dalle forze di occupazione anglo-americane rimaste sulla penisola.
Umberto facendo fede agli impegni presi, indice le elezioni per l’assemblea costituente e apre il referendum popolare sulla questione istituzionale fondamentale per l’assetto del paese. L’Italia si trasforma in una immensa arena elettorale. Le sinistre avrebbero preferito che ha decidere su monarchia o repubblica fosse stata l’assemblea costituente (di stampo repubblicano e filo-atlantista), temendo la fedeltà del sud Italia alla monarchia. La data stabilita per le due consultazioni è il due giugno. Umberto chiede al padre di abdicare, comprendendo che l’unica possibilità di vittoria si trova nelle sue mani, comprende che l’istituto monarchico può salvarsi solo attraverso il rinnovamento. Vittorio Emanuele III ancora non vuole abbandonare il potere nelle mani del figlio, abdicando solo il 9 maggio a ventisette giorni dalla data del referendum. Abdica a Napoli alla presenza del notaio e parte alla volta di Alessandria D’Egitto: non vedrà più l’Italia. Il nuovo Re d’Italia diviene il Principe Umberto II – denominato successivamente “il Re di Maggio” poiché il suo regno durò solo 33 giorni, nel mese di Maggio. Acclamato, in taluni casi fischiato, in altri ignorato, Umberto II annuncia che in caso di vittoria la Monarchia farà indire un nuovo referendum di conferma per accreditarsi come “Re democratico”, ma il tempo è poco e in molte regioni italiane il governo repubblicano, imposto al Re, vietò anche di poter fare propaganda per parte monarchica.
Vota l’89% degli aventi diritto. Si contano i voti e il 4 giugno la monarchia ha un notevole vantaggio, ma in una sola notte la situazione si rovescia! La Monarchia è sconfitta con il 54% degli italiani votante repubblica.
Il 10 giugno il presidente della Corte di Cassazione Pagano comunica che mancano ancora i dati di alcune sezioni, riservandosi di dare il risultato definitivo il 18 Giugno, tre giorni dopo, come data ultima per sciogliere i dubbi sul referendum. Il 13 mattino il Governo assegna le funzioni di capo dello stato al presidente del consiglio Alcide De Gasperi, in accordo con il partito comunista di Togliatti, con il partito socialista e quello repubblicano, pur in assenza del risultato definitivo. La domanda che sorge è se la nostra repubblica ha avuto la maggioranza dei voti degli italiani.
Solo più tardi in molte città verranno a galla situazioni equivoche, brogli e subito dopo pochi giorni, come detto, le schede del primo scrutinio saranno bruciate così da rendere impossibile la veridicità delle votazione, richiesta dal Re per un riesame dopo il rovescio avvenuto in una notte. Vengono presentati i ricorsi. Umberto ordina alla famiglia di partire per l’estero e decide di rimanere in Italia fino alla sentenza della corte di cassazione. La corte si limita a dare il quadro dei risultati, ma non proclama la repubblica. Il governo sostiene che i risultati sono scontati e proclama la repubblica, senza aspettare il 18 giugno. Nella notte del 12 giugno si riunisce il consiglio dei ministri e definisce come il capo del governo sia anche capo provvisorio dello stato. Umberto II è messo davanti alla decisione della sua vita: sciogliere il governo, fare arrestare i ministri, incitare gli italiani alla rivolta, chiedere l’aiuto dell’esercito fermamente monarchico; oppure partire, lasciare il suo paese. In un clima da guerra civile, sceglierà la seconda ipotesi anteponendo prima il bene degli italiani al suo legittimo diritto a governare. Andrà in maniera volontaria a Cascais in Portogallo per 34 anni. Maria José andrà a vivere in Svizzera con i figli.
In un messaggio del 13 Giugno del 1946 con la chiara contestazione dei risultati fraudolenti del referendum, Umberto II si rivolge al popolo italiano: “Nell’assumere la luogotenenza generale del regno prima e la corona poi io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo liberamente espresso sulla forma istituzionale dello stato e uguale affermazione ho fatto subito dopo il 2 Giugno, sicuro che tutti avrebbero atteso le decisioni della coorte suprema di Cassazione, alla quale la legge ha affidato il controllo e la proclamazione dei risultati definitivi del Referendum. Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatti dalla corte suprema, di fronte alla sua riserva di pronunziare il 18 Giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli, di fronte alla questione sollevata e non risolta sul modo di calcolare la maggioranza, io ancora ieri ho ripetuto che era mio diritto e dovere di Re, attendere che la Coorte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta. Improvvisamente questa notte, in spregio alle Leggi e al potere indipendente e sovrano della Magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo con un atto unilaterale e arbitrario poteri che non gli spettano e mi ha posto nella alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza. Italiani! Mentre il paese, da poco uscito da una tragica guerra, vede le sue frontiere minacciate e la sua libertà in pericolo, io credo mio dovere fare quanto sta ancora in me, perché altro dolore e altre lacrime siano risparmiate al popolo che ha già tanto sofferto. Confido che la magistratura, le cui tradizioni di indipendenza e di libertà sono una delle glorie d’Italia, potrà dire la sua libera parola. Ma non volendo porre la forza al sopruso, né rendermi complice dell’illegalità che il governo ha commesso lascio il suolo del mio paese nella speranza di scongiurare agli italiani nuovi lutti e nuovi dolori. Compiendo questo sacrificio, nel supremo interesse della patria sento il dovere come italiano e come Re di elevare la mia protesta contro la violenza che si è compiuta. Protesta nel nome della Corona e di tutto il popolo, entro e fuori i confini, che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge e in modo che venisse dissipato ogni dubbio e ogni sospetto. A tutti coloro, che ancora conservano fedeltà alla monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all’ingiustizia io ricordo il mio esempio e rivolgo le esortazioni a volere evitare l’acuirsi di dissensi che minaccerebbero l’unità del paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace. Con l’animo colmo di dolore, ma con la serena coscienza di avere compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri, io lascio la mia terra. Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove. Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome dell’Italia e il mio saluto a tutti gli italiani. Qualunque sorte attenda il nostro paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli. Viva l’Italia!”.
Con questo messaggio Umberto II non riconosce la Repubblica e si avvia all’estero (non esilio) nella convinzione che si tratti di un gesto pacificatore. Continua ad essere considerato Re, da tutte le Monarchie europee (anche da Papa Pio XII – Pacelli) e non cessa mai di esserlo, fino alla morte.
Giovedì 24 Marzo 1983, nella abbazia di Hautecombe (risalente al XII secolo) su suolo francese, si è celebrato l’ultimo saluto al Re di Maggio Umberto II.

A sinistra l’abbazia di Hautecombe in Francia. A destra una foto che ritrae i moltissimi manifestanti accorsi ai funerali del Re Umberto II.

L’abbazia che ospitava già il riposo di Carlo Felice e della regina Maria Cristina ha visto presenti moltissimi italiani accorsi per l’ultimo saluto. Pesanti le assenze della repubblica italiana che dimostra una totale mancanza di coraggio civile, non inviando nemmeno una corona di fiori, perché in questa Italia, i morti hanno un colore politico e questo è francamente molto triste. Ancora una volta le monarchie europee si riuniscono per congedare un uomo che ha detta di molti era considerato un vero gentiluomo. Sulla sua bara, spoglia, richiese soltanto la bandiera italiana sabauda e segui il rito “more nobilium” con la bara posata in terra, sul pavimento della chiesa, anziché sul catafalco. E’ stato un addio difficile, quasi proibito e tutti hanno avvertito che l’epilogo è stato ingiusto.
 
Per concludere riprendo le parole espresse da Re Umberto II riguardanti  l’istituto monarchico: “La repubblica si può reggere col 51%, la monarchia no. La monarchia non è un partito. È un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini incredibile volontà di sacrificio. Deve essere un simbolo caro o non è nulla”. 
 

 

Per approfondimenti:
_Falcone Lucifero, L’ultimo Re, i diari del Ministro della Real Casa 1944/1946 – edizioni Mondadori 2002
_Francesco di Campello, Un principe nella bufera. Diario dell’ufficiale di ordinanza di Umberto 1943-1944, Le Lettere
_Edoardo Borra, Amedeo di Savoia, terzo Duca D’Aosta e Viceré di Etiopia – edizioni Mursia
_Maria José di Savoia, Giovinezza di una Regina – edizioni Mondadori
_Lucio Lami, Umberto II il re di maggio. Dalla monarchia alla repubblica, Edizioni Mursia
_Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943 – Edizioni Castelvecchi
_Aldo Alessandro Mola, declino e crollo della monarchia in Italia. I Savoia al referendum del 2 giugno 1946 – Editore Mondadori 2006

 

Si ringrazia Maurizio Lodi  per le foto.

 

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