Il motivo principale di questa iniziale rivolta intellettuale fu dovuta principalmente per alcune gravi mancanze di metodo, da parte della classe aristocratica francese. Difatti l’assolutismo nell’aristocrazia è nemico del concetto di aristocrazia feudale, poiché si tende a centralizzare, disossando e disarticolando lo Stato, sostituendo ad una superstruttura burocratico-statale, una forma virile e diretta di autorità, di responsabilità e di parziale, personale sovranità. Luigi XVI creò il vuoto intorno a sé, perché la vana aristocrazia cortigiana di palazzo nulla più poteva significare e quella militare – la famosa Maison du Roy – era ormai priva di rapporti diretti con il paese. Distrutta la struttura differenziata che faceva da collante fra la nazione e il sovrano, restò appunto la nazione disossata, cioè la nazione come massa, staccata dal sovrano e dalla sua sovranità. Con un sol colpo, la rivoluzione spazzò facilmente quella superstruttura e mise il potere fra le mani della pura massa. L’assolutismo aristocratico prepara dunque le vie alla demagogia e al collettivismo. Lungi dall’avere carattere di vero dominio, esso trova il suo equivalente solo nelle antiche tirannidi popolari e nel tribunato della plebe, forme parimenti collettivistiche.
I philosophes erano convinti assertori della presenza , in tutte le persone, di un “lume naturale” – da cui il nome del movimento -, d’una comune capacità di conoscere e ragionare che andava eletta a principio guida delle azioni umane: in questa modalità, si aveva esatta convinzione, che la storia si sarebbe incanalata verso un’età di pace e progresso, allontanandosi dal tempo dei conflitti politici e del fanatismo religioso. Oggi sappiamo con certezza che, seppur le nostre società abbiano adottato tale sistema politico-filosofico, tale pensiero non ha prodotto un nuovo regno di “pace”, ma ha creato nuove e più atroci conflitti, all’insegna dei diritti e della democrazia.
Basti osservare il periodo del “terrore” post-rivoluzionario, fino agli interventi “umanitari” degli Stati Uniti nel Medio-Oriente.
A partire dall’elogio della ragione e dell’esperienza, i filosofi elaborarono infatti una critica radicale della tradizione – intesa nel senso politico, religioso e filosofico – e di ogni genere di assunto dogmatico: secondo loro la fondatezza d’una teoria non poteva riposare sul valore dell’autorità, ma solo sull’analisi razionale dei fatti. In tal modo, l’attività filosofica diventava sinonimo per eccellenza di spirito critico, cioè di un metodo di ricerca che aveva quali suoi cardini basilari l’osservazione empirica, l’indagine scientifica, le esperienze verificabili e le dimostrazioni razionali. Per gli illuministi, inoltre, la conoscenza non era contemplazione della verità, ma strumento di intervento sulla realtà al servizio della felicità dell’intero genere umano. Anche qui si denotano pienamente le nuove caratteristiche borghesi: la felicità non era difatti una caratteristica dell’aristocrazia, così come non esisteva nemmeno il concetto di vacanza.
La felicità, difatti, era un’idea nuova per l’Europa. L’aristocrazia non pensava come elemento cardine alla felicità, ma ragionava in termini di grandezza, di potenza, di fede, di giustizia all’interno di un dato ordine. Forse conoscevano il piacere: brutale, rapido, senza prospettive d’avvenire, che poteva costituire un’avventura all’interno di vite dominate dai doveri di carica.
Le comodità, i piaceri della vita, la sorpresa delle novità, il gusto del tempo libero e dei viaggi, tutto ciò che dà fascino a questo mondo, erano elementi completamente estranei: vi era unicamente la volontà di Dio e questa veniva rispettata da generazioni.
Le prime reazioni alla Rivoluzione avvennero in Vandea, oggi uno dei 96 dipartimenti francesi, che fu teatro della più sanguinosa guerra civile che abbia opposto la rivoluzione e l’Ancien Régime. Per tutto l’Ottocento e oltre, i termini “Vandea” e “vandeano”, a torto o a ragione, hanno indicato una visione ideologica di impronta reazionaria, cattolica, monarchica e legittimista.
La causa scatenante della rivolta fu la ribellione contro la leva obbligatoria proclamata dalla Convenzione del febbraio 1793. L’arrivo dei reclutatori, non troppo diversi da quelli regi del passato, suscitò proteste e malcontento in molte zone della Francia, ma a Sud del Corso della Loira e nei suoi dintorni accese subito le polveri delle prime spontanee sommosse popolari.
A Cholet, ai primi di Marzo, venne ucciso il comandante della guardia nazionale; pochi giorni dopo, a Machecoul, furono massacrati alcune centinaia di “patrioti”. A capo della rivolta erano Jacques Cathelineau (1759 – 1793) soprannominato “le saint de l’Anjou” e Jean Nicolas Stofflet (1753 –1796). Quasi subito si unirono agli insorti gli alti prelati e gran parte dei parroci, ancora scottati dagli effetti della costituzione civile del clero e dalle confische dei beni ecclesiastici. Ben presto le sommosse si trasformarono in un’insurrezione generalizzata, a cui la Convenzione diede la patente di “complotto aristocratico”. In realtà, la partecipazione dei nobili fu episodica e quasi mai nelle posizioni di comando.
No Comments