Il capitalismo incalzato più che mai da uno sviluppo tecnologico della società, che necessita di un immenso processo economico che la sorregga, ha portato lo stato sociale ad essere come un fiume senza argine che nel suo continuo divenire del flusso dell’acqua è come se variasse in ogni punto e in ogni momento. L’uomo non ha la possibilità di alimentare la propria soggettività, dunque, per stare al passo il continuo cambiamento dell’assetto sociale sopprime il proprio sé.
Jean-François Lyotard, autore de “La condizione postmoderna” (1983), spiega come la nascita del postmoderno sia identificata con l’avvento delle società industriali, a capitalismo avanzato ed eccessivamente informatizzate. Questa tesi identificativa viene collaudata da qualsiasi processo analitico nei confronti della costituzione di questo periodo storico, poiché le condizioni economiche e tecnologiche in continuo sviluppo quantitativo hanno plasmato la società in cui la comunicazione è dominata dal potere dei media. Lyotard, nel momento in cui sviscera le componenti costitutive del postmodernismo prende una posizione critica nei confronti di ciò che precedentemente erano stati i grandi racconti filosofici: illuminismo, idealismo e in fine marxismo. Racconti filosofici che l’autore chiama “metanarrazioni”. Queste, che si sono identificate come vie di salvezza per l’uomo, al fine di trovare un’emancipazione e un progresso per quest’ultimo, in realtà agli occhi di Lyotard hanno rappresentato un colossale fallimento, poiché l’uomo alla fine non si è ritrovato in una condizione emancipata e libera da quei problemi socio-politici, ma anche esistenziali, che quei racconti filosofici cercavano di combattere. Roberto Mordacci, autore de “la condizione neo-moderna” (2017), sostiene che il postmoderno sia morto e che la diagnosi dei post-modernisti sia fallita, ma vi sono varie posizioni che potrebbero contestare una tale tesi. Della razionalità, intesa in maniera illuministica come risveglio dal sonno della mente, vi è una traccia sbiadita, nel senso che se vi è una ratio che muove l’uomo verso le cose e le azioni è il prodotto di un qualcosa che da sovrastruttura è diventato struttura, ovvero, l’economia. La razionalità economica è l’unica razionalità che oggi identifica la logica esistenziale dell’uomo, a discapito di una razionalità di fondo che in altra maniera dovrebbe stimolare il sé. Dunque, se attraverso Lyotard notiamo come il postmoderno nasce nel momento in cui vi è quell’enorme sviluppo delle società industrializzate e a capitalismo avanzato, si potrebbe pensare, in maniera legittima, che sia impossibile che il postmoderno sia deceduto come riporta Mordacci nella sua tesi. Quest’oggi, con un capitalismo che ha trasceso la materia fino ad arrivare allo spirito di ogni singolo, il postmoderno è più vivo che mai.
Che una condizione tale sia viva e vegeta non è certamente un bene per l’uomo, poiché la pervasione di questa unica dimensione economica in virtù di questo violento capitalismo non può che finire per influenzare e veicolare la direzione delle forme di sapere che identificano una società. Se il capitalismo si manifesta come un potere che ha la possibilità di influenzare il sapere, allora, in virtù di questi tratti antropologici dettati da tale società, il linguaggio diventa una forma di legittimazione e normalizzazione di quel sapere, diventando funzionale al potere che manipola i soggetti stimolandoli unicamente verso quelle forme di sapere legittimate. Con il termine sapere si intende una vasta gamma di significati, in cui notiamo come si alluda al “…saper fare, saper vivere, saper ascoltare…” (4); dunque il linguaggio diventa la forma di legittimazione di una modalità d’essere determinata da questo sapere che viene normalizzato.
“La comunicazione funzionale è soltanto lo strato esterno dell’universo ad una sola dimensione in cui l’uomo è addestrato a dimenticare, a tradurre il negativo nel positivo in modo da poter continuare a funzionare, ridotto nelle sue facoltà ma atto alla bisogna e ragionevolmente efficiente.” (5)
Queste parole che Marcuse utilizza nel suo capolavoro “l’uomo a una dimensione” (1967), si ricollegano al discorso precedentemente affrontato riguardo al fallimento illuministico in una società postmoderna. La ragione non viene gestita dal soggetto, ma è un qualcosa che dall’esterno riduce le facoltà soggettive dell’uomo. La comunicazione, che nel sistema postmoderno viene gestita dalla potenza dei media, diventa il veicolo attraverso cui si istituisce l’ineluttabile doppia implicazione tra potere e sapere. Oggi, riattualizzare Marcuse sarebbe indicativo al fine di fare una diagnosi della realtà tangibile che viviamo. Gianni Vattimo, filosofo torinese, studioso del postmoderno, attua una vera e propria ripresa del pensatore francofortese, ritenendo funzionale riapplicare tutto il concetto di unicità della dimensione esistenziale dell’uomo che immerso in questa tecnologia – portata all’eccesso -, caratterizza il postmodernismo, il quale non possiede vie di fuga.

Gianteresio Vattimo, detto Gianni (Torino, 4 gennaio 1936), è un filosofo e politico italiano.
Riesumare Marcuse, che a detta di Vattimo era stato troppo dimenticato negli ultimi tempi, si manifesterebbe come una maniera ideale per comprendere come l’uomo si ritrova a vivere, senza esser portato a pensare e ragionare, quella dimensione estetizzante della realtà che i mass-media profilano come unica e migliore di qualsiasi altra. Questo aspetto che riguarda la potenza della comunicazione è l’elemento caratteristico del sistema post-moderno, in cui la razionalità viene dall’esterno e gestisce le capacità soggettive dell’individuo, il quale viene portato a pensare solo ciò che si può pensare, sulla scia di ciò che i media (intesi come televisione, libri, giornali) propongono alla gente che ascolta.
I grandi racconti filosofici hanno fallito durante la modernità, non hanno emancipato l’uomo liberandolo – come ha sostenuto Lyotard -, ma hanno eliminato progressivamente quella razionalità soggettiva che gli permetterebbe di esser tale. Probabilmente ripensare quelle “metanarrazioni” al fine di un superamento dell’imposizione implicita di questa realtà retta sul giogo comunicativo, non risulterebbe negativo nei confronti del sé, ma al contrario potrebbe ri-stimolare le pulsioni dell’uomo alimentandone la coscienza. Dovrebbe esser vista come priorità l’intenzionalità di un ritorno al soggetto che viene scosso di fronte all’oggettivazione della realtà.
Le contraddizioni del postmoderno potrebbero essere trascese a partire da una presa di coscienza del proprio essere all’interno di una società in quanto tale. I media, le industrie, il capitalismo, la tecnologia, tutti dati identificativi di un profilo sociale, tendono in univoco verso l’omologazione, senza ammettere resistenze. Questa non consiste nel rendere tutti uguali secondo un canonico profilo antropologico che identifica l’essere sociale, ma si tratta di un processo più subdolo e implicito che attraverso i media propone un’idea di realtà come unica e sola. In un contesto così alienante, in cui la potenza dei media si identifica nel costituire l’essere nelle società tecnologiche, attraverso le notizie e le interpretazioni del reale, quei grandi racconti filosofici, che per i postmoderni rappresentano racconti metafisici ormai superati, risulterebbero invece come una maniera per mettere in gioco il proprio Io attraverso l’alimentazione del proprio spirito. In virtù del fatto che il nostro presente è totalmente privo di forze protese verso il nuovo, il ripensare il passato in termini di progresso per il nostro presente potrebbe essere una via d’uscita da questa assenza di propulsione che alberga nella vita dell’uomo. Ripensare il passato, senza però copiarlo per cercare di riattualizzarlo in maniera ortodossa, ripensarlo al fine di reinterpretarlo secondo gli schemi concettuali dell’epoca attuale (6).
Quest’ultima è un periodo storico privo di soggetto, di razionalità, di pensiero e in questo caso il ripensare quel passato, che agli occhi dei post-modernisti è risultato un totale fallimento, serve a trascendere e superare il ristagno e lo stallo esistenziale che ha generato quest’idea continua di progresso senza un effettivo sviluppo umano.
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