
22 Nov Alexander Lernet-Holenia, il noblesse oblige del novecento
di Giuseppe Baiocchi 22/11/2017
Un autore che rappresenta forse un “mito nel mito asburgico” è l’autore viennese Alexander Lernet-Holenia (1897 – 1976). Già la sua nascita è avvolta in un mistero che lo stesso autore non svelerà mai, in quanto potrebbe essere il figlio illegittimo dell’arciduca Karl Stephan d’Asburgo-Lorena, grande ammiraglio della marina imperial-regia. Il padre fu l’ufficiale di marina Alexander Lernet, nome di origine francese, il quale sposò la baronessa Sidonie Holenia già incinta dello scrittore. La stessa madre aveva origini alto-borghesi, di derivazione spagnola, poiché nel corso di qualche secolo scomparve la tilde sopra la n: Holeñia de Alma, dovrebbe essere il suo nome originario.
Queste semplici informazioni biografiche sono fondamentali per capire la letteratura mitteleuropea dello scrittore, il quale possedeva una penna molto vivace e disinvolta, attraverso la quale tentò di dare un nuovo volto al filone della finis Austriae.

Alexander Marie Norbert Lernet (Vienna, 21 ottobre 1897 – Vienna, 3 luglio 1976), è stato uno scrittore, drammaturgo, traduttore, poeta, saggista e sceneggiatore austriaco fra i più importanti, nel suo paese, del XX secolo.
Dopo la separazione dei genitori, acquisirà il doppio cognome che lo contraddistinse per il suo futuro successo letterario. Portato per gli studi, ben presto di iscrive alla Facoltà viennese di Scienze del diritto nel 1915. Giovanissimo, con lo scoppio del conflitto, si arruola presso il 9º Reggimento Dragoni, che verrà stanziato sul fronte orientale e attraverso il quale maturerà diverse sue future opere.
Negli anni venti si afferma, attraverso alcune raccolte di poesie e drammi teatrali, come intellettuale di successo e nel 1928 si trasferisce a Sankt Wolfgang im Salzkammergut dove la madre possiedeva una lussuosa residenza in riva al lago Wolfgangsee. A St. Wolfgang lo scrittore diverrà amico fraterno di Leo Perutz (1882 – 1957) con il quale intraprese un importante sodalizio artistico. Lernet-Holenia è considerato tutt’oggi come uno dei migliori allievi del più importante e significativo padre del genere storico-fantastico.
Gli anni trenta saranno anni floridi di produzione letteraria: nel 1934 scriverà il suo romanzo più importante Die Standarte (Lo stendardo), attraverso il quale si descrive la dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico. In una Vienna ancora provata dall’uscita del conflitto mondiale, determinata dalla presenza di molti ex soldati mutilati che sopravvivono tra stenti e povertà, si sviluppa a ritroso la struggente storia dell’alfiere Menis. Se da una parte l’opera è fondamentale per capire ed apprendere le cause dello sfaldamento dell’Imperiale e regio esercito austroungarico, dall’altra Lernet-Holenia non riesce pienamente a far comprendere al pubblico le motivazioni intime della crisi dell’impero, relegando spesso la débâcle ad una tragica fatalità non bene enunciata. Il processo storico in Lernet-Holenia – a differenza di altri autori – sembra effettuare il suo corso, senza troppe preoccupazioni e senza resistenza spirituale da parte dei protagonisti. All’interno del romanzo storico-sentimentale – che vede protagonisti l’alfiere Menis e la dama di corte Teresa nella splendida cornice del Konak, il palazzo reale di Belgrado – emerge un’idiosincrasia verso gli Asburgo, in specificato modo nei confronti dell’ultimo Imperatore Karl I, che sembra (poi storicamente non sarà così) abdicare il fedele giuramento d’onore verso gli stendardi che le truppe avevano protetto a costo di numerose vite. Forse tale atteggiamento proviene proprio dalla frustrazione di Lernet-Holenia nei confronti della famiglia reale, rea di non aver riconosciuto mai la sua nascita.

Un fotogramma della pellicola di Ottokar Runze del 1977, Die Standarte con l’attore britannico Simon Ward (1941 – 2012) nei panni del protagonista Menis.
Il romanzo vedrà poeticamente la fine proprio con la distruzione dello Stendardo, il quale segna sì la fine materiale e fisica della monarchia, ma non ne conclude la spiritualità che rimane intimamente viva ed eterna, in quanto il vessillo è salvato dalla cattura nemica.
Da questo celebre romanzo, il regista Ottokar Runze produrrà nel 1977 l’omonimo film che riscosse un buon successo di pubblico in Austria, con un giovanissimo Simon Ward nei panni dell’alfiere Menis.
Dalle sue esperienze belliche nel 1936 scriverà l’onirico romanzo Der Baron Bagge (Il Barone Bagge) attraverso il quale possiamo iniziare a intravvedére l’elemento della morte e del sogno, unite dalle note storiche di una cavalleria che nel nuovo formato bellico non aveva più senso di esistere.
Il romanzo è suddivisibile in due parti antitetiche e speculari, come nella nostra esistenza lo sono la vita e la morte. La storia, che vede nel tenente Bagge il suo assoluto protagonista, conosce una pausa ritmica che non attiene solo alla narrazione, ma che coinvolge lo stesso spazio e tempo, elementi che troveranno uno scopo, sempre labile, solamente nel finale. Imperante è la compenetrazione tra le due dimensioni, sì che non è possibile scinderle. Sogno e realtà acquisiscono la stessa consistenza, sono specchio di se stesse.
Questo evento si correla in maniera strettissima alla natura umana, espressa in termini di ambiguità, come il binomio vita-morte, che per l’autore sono concetti relativi. La stravaganza narrativa è paradossale e semplicissima poiché tocca la psiche umana in riferimento al concepire soggettivamente la propria e l’altrui vita: siamo abituati a chiamare morte ciò che per altri è vita, e siamo soliti chiamare sogno ciò che per altri è realtà. Questa evasione dalla vita reale è parte attiva della tradizione letteraria viennese, all’interno della quale l’atmosfera spesso è surrealistica.
Il libro, intriso degli spiriti cavallereschi già scomparsi ai tempi della stesura del romanzo, restituisce quell’atmosfera decadente e aristocratica che caratterizza proprio il suo sguardo sul mondo. Una realtà spazzata via, come la morte dei valori divini che l’uomo aveva tramandato da secoli: la lealtà, il valore, l’onore, il crollo di tutto ciò in cui quest’uomo aveva creduto, viene annientato nel 1918 appena due anni dopo lo svolgersi del “barone Bagge” lasciando posto allo spirito della nuova epoca. In questa stretta relazione la morte, di molti camerati del protagonista, segna indirettamente la fine degli ideali, una conclusione che Lernet-Holenia – come il tenente Bagge – non accetterà mai razionalmente la propria conclusione.
Difatti la tragica scoperta che il personaggio compie, viene realizzata – con il suo risveglio -, dopo una brutta ferita. Tutto il romanzo è un viaggio-sogno nel mondo dei morti. Poco prima del suo risveglio l’avvenimento viene descritto in maniera epocale e bellissima: “Ed ecco mostrarsi all’improvviso sulla strada davanti a noi un gran bagliore metallico, e avvicinandomi mi resi conto che veniva da un ponte che scavalcava il fiume in quel punto. Un fragore formidabile, come di cascate di vetro alte fino al cielo, e un vapore iridescente come d’acque bollenti veniva su dall’abisso. Ma il ponte stesso era rivestito di lamiere di metallo che rilucevano come oro. Sì, era proprio oro quello di cui il ponte era coperto. “Volete, volete passare il ponte?” urlai nel fragore delle cascate. “Si”, risposero tutti, e le loro voci rimbombarono come un coro di campane. Ma io no, io non vengo con voi, non voglio passare dall’altra parte, non voglio, dev’essere tutto un sogno, ma io voglio svegliarmi – e mi svegliai”.
La riflessione del suo stato di pre-morte che coglie Bagge, è metaforicamente un risveglio nella nuova epoca post-imperiale dove è impossibile sentirsi a proprio agio.
Dopo aver effettuato diversi viaggi oltre-oceano, nel 1939 al suo ritorno verrà arruolato nella Wehrmacht in vista della mobilitazione che precederà l’invasione nazista della Polonia.
Nei primi giorni della campagna rimane gravemente ferito e viene rimpatriato a Berlino dove viene nominato capo della sezione della Heeresfilmstelle, l’ufficio cinematografico militare. Il lavoro presso la casa di produzione cinematografica viene retribuito molto bene e gli consente di raggiungere una relativa indipendenza economica e di dedicarsi con più impegno a quella che lui ritiene la sua vera occupazione: la letteratura.
Eppure il suo rapporto con il regime – nonostante la sua tessera di partito – è difficile: l’aristocratico Lernet-Holenia è difficilmente riconducibile a schemi di partito o adunate al passo dell’oca. Come per il tedesco Ernst Jünger si avvicina molto alla figura dell’anarca, un individuo difficilmente inquadrabile in cui l’estetismo si unisce ad uno spirito di libertà.
La prima critica al regime avviene nel 1941 dove, per la frivola rivista Die Dame, viene pubblicato Mars im Widder (Marte in Ariete). La critica, magistralmente velata in una trama ironica e surreale, definisce i limiti della propaganda tedesca. Il conte Wallmoden, tenente protagonista, fa emergere tutto lo spirito mitteleuropeo, con una riflessione sul conflitto diretto verso i suoi antichi fratelli austro-ungarici.
Per quanto l’aurea di oscurità – fonte di continuo imbarazzo, che trapela nell’ufficiale – sia deprecabile, questa è infinitamente migliore di fronte all’ordine del reggimento di cui fa parte. Infatti nella nebbia artificiale del corteggiamento che Wallmoden – in mancanza di un vero scopo – effettua nei confronti della baronessa Cuba Pistohlkors, l’azione intrapresa lo fa “sentire vivo” e pienamente consapevole di essere uomo e cittadino; di contro nel rigore e nella disciplina militaresca, nel chiaro e assoluto ordine gerarchico, nel trasparente significato di simboli e parole d’ordine, la soggettività dell’individuo viene schiacciata: una chiara critica al totalitarismo in quanto tale.
Così il protagonista, richiamato tempestivamente al fronte per lo scoppio delle ostilità termina quella vita autentica, che sembra come ridotta al silenzio.
Lernet-Holenia dimostrò senza paura, una lucida coscienza del suo tempo e delle tenebre che lo avevano avvolto.
Nel racconto il viennese riporta anche, molto probabilmente, la sua ferita sul campo di battaglia che lo rilegò nelle retrovie ed anche in questo caso la letteratura ci lascia affascinati e fa riaffiorare la distanza verso un mondo con il quale non riusciva più a relazionarsi interamente: “La raffica si abbatté una decina di passi davanti a Wallmoden. Dal punto dove si era abbattuta, egli vide che un oggetto luminoso gli arrivava addosso come una freccia. Lo vide distintamente, luccicava come un raggio di mercurio. Lo colpì alla mano destra, attraverso il guanto. Wallmoden evvertì il colpo come una bastonata, e per un attimo vide tutto nero davanti agli occhi. Si tolse il guanto, la ferita perdeva molto sangue. In tutta la guerra precedente non era mai stato ferito e adesso, dopo un minuto e mezzo di combattimento già era colpito”.
Se il regime non capì le sottigliezze del suo talento letterario, sicuramente non approvò il cognome del protagonista, squisitamente ebraico. Un intervento del ministero di Goebbels proibì la diffusione di quell’opera sospetta, la quale sarebbe stata pubblicata solo nel 1947. Ma, paradossalmente, fu sotto il regime hitleriano che l’autore si affrancò a livello nazionale: nel 1942, in piena guerra, dopo il successo cinematografico di Die große Liebe (Il grande amore), scriverà: “La mia situazione personale, se nulla sopraggiungerà a rovinarla, potrebbe dirsi ideale. Io vivo dei film che vengono tratti dai miei soggetti e nel frattempo posso dedicarmi per tutto il tempo che desidero alla scrittura di quel libro che potrebbe rivelarsi davvero un capolavoro”.
Sempre dello stesso anno è Beide Sizilien (Due Sicilie), nel quale avviene un oscuro e angoscioso mistero sull’identità. In un’atmosfera sempre crepuscolare, pienamente mitteleuropea, ancora una volta la problematica della caduta viene solo sfiorata e mai analizzata in questo settennio di distanza dalla Grande Guerra.
L’intreccio del romanzo giallo diviene parodia di quel genere letterario, con un’atmosfera metafisica. Lernet-Holenia mette in scena la sfrangiata unità del soggetto. Non a caso i personaggi del romanzo si muovono e agiscono come marionette di un teatro filosofico, dall’amaro destino già scritto. La loro interiorità è azzerata, svuotata di significato; l’umanità diviene svanita, rappresentata dai brandelli del reggimento scomparso Due Sicilie. I personaggi si sforzano di trovare la verità di un iniziale delitto, ma saranno condotti attraverso il loro ragionamento – nell’epoca della scomparsa di Dio – alla morte.
Il suo distacco dai romanzi, il suo essere “Noblesse oblige” termine che letteralmente significa “Nobiltà obbligata” ci denota come questo autore abbia in sé l’onore e l’ònere di essere nobile di spirito – la nobiltà comporta sempre degli obblighi.
Nel secondo dopoguerra Lernet-Holenia fu uno scrittore anti-conformista, dal sapore politicamente scorretto, come sempre era stato: molti autori per affrancarsi si affiliarono a partiti politici, mentre il viennese lottava solitario contro le mode del momento. Aveva compreso benissimo la discendente parabola dell’intellettuale moderno, sempre più legato ad una opinione politica e non al valore delle sue opere. Celebre fu, nel Giugno del 1955 a Vienna, il suo discorso sarcastico ai colleghi del P.E.N. Club che gli procurarono non poche antipatie: “Cari amici! Astraendo dalla poca immortalità, cui questo o quello può aspirare, noi siamo figure veramente ridicole – diciamolo francamente! E la cosa più triste è che lo siamo per colpa nostra!”

Tre foto di Alexander Lernet-Holenia in tre momenti della sua vita: bambino, militare tedesco e letterato del P.E.N. Club.
Lentamente, ma inesorabilmente Alexander Lerner-Holenia cade in disgrazia per il suo conservatorismo rétro negli anni della disdegnata socialdemocrazia.
Molto prima della sua scomparsa, un grande conterraneo come lui, approdato nel Nuovo Mondo da quello di “ieri”, ne celebrò l’irresistibile originalità: Billy Wilder, che nella commedia The Emperor Waltz (1948) a lui si ispirò immaginando il ruolo di un gentiluomo ultra-snob, che alla corte del Kaiser si faceva chiamare barone Holenia.
Singolare ai limiti della stravaganza, inclassificabile, a volte squalificato, come troppo spiazzante fuoriclasse, dagli anni Ottanta vive la sua grande, postuma riscoperta. Oggi è lampante, in tutto l’Occidente, la manifestazione abissale dell’assenza di uno “Stendardo” paragonabile a quello che l’alfiere di Lernet-Holenia, cercò disperatamente di conservare.
Per approfondimenti:
_Alexander Lernet-Holenia, Il barone Bagge, Piccola biblioteca Adelphi, Milano, 1982;
_Alexander Lernet-Holenia, Lo stendardo, Edizioni Adelphi, Milano, 1989;
_Alexander Lernet-Holenia, Marte in ariete, Edizioni Adelphi, Milano, 1983;
_Alexander Lernet-Holenia, Due Sicilie, Edizioni Adelphi, Milano, 2017;
_Anacleto Verrecchia, Rapsodia viennese: luoghi e personaggi celebri della capitale danubiana, Donzelli editore, Roma, 2003;
_Roman Roček, Die neun Leben des Alexander Lernet-Holenia: Eine Biographie, Böhlau Wien, 1997;
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