A cavallo tra due secoli, ma anche al confine tra due mondi: Gustav Mahler nasce nel piccolo paesino di Kaliste, tra la Boemia e la Moravia, settimo di dodici figli, il 7 Novembre 1860 da Bernhard e Marie Hermann commercianti ebrei, i quali, sebbene stretti dalle necessità economiche, non rinunciarono a dare al figlio una solida preparazione culturale. Da parte dei genitori, nonostante gli opposti caratteri che li distinguevano, vi era la volontà di inserirsi entro l’orbita culturale tedesca, e questo spiegherebbe anche la scelta di risiedere in un territorio da sempre noto per i contrasti tra tedeschi e slavi. Le doti musicali di Mahler non tardarono a manifestarsi precocissime e furono tali da convincere i genitori, dopo un primo apprendistato presso alcuni maestri del luogo che gli insegnarono pianoforte, a mandare il giovane a studiare a Vienna.
Iscritto al conservatorio della capitale austriaca a soli 15 anni, sotto gli entusiastici giudizi del maestro Julius Epstein, vi rimase per tre anni e ne uscì diplomato nel 1878, dopo aver terminato gli studi liceali l’anno precedente. Mahler si trovò ben presto inserito nella vita culturale del proprio secolo: a Vienna conobbe personalmente Hugo Wolf, discepolo di Wagner, e strinse una duratura amicizia, di reciproca ammirazione e stima, con il proprio maestro Anton Bruckner, della cui Terza sinfonia il giovane aveva già fatto una riduzione per pianoforte a quattro mani. Sebbene il compimento naturale della propria indole lo portasse a scegliere la strada del compositore, Mahler, per aiutare la famiglia bisognosa, nell’estate del 1880 esordì come direttore d’orchestra.
Questa fu la prima svolta per la sua carriera. Inizialmente nel circuito di piccoli teatri della provincia austriaca, il giovane Mahler divenne presto richiestissimo ovunque anche nelle più grandi orchestre. A soli 23 anni venne nominato vice direttore al teatro di Kassel, in Germania; conquistò quindi il pubblico di Praga dirigendo a memoria la Nona sinfonia di Beethoven. A Budapest Mahler si fece notare per la prima esecuzione integrale in ungherese della Tetralogia di Wagner e “per le impeccabili esecuzioni delle opere di Mozart” tanto che “dopo aver assistito ad una sua esecuzione del Don Giovanni, Brahms divenne suo grande ammiratore”.
La sua fama crebbe in virtù della sua conduzione attenta e ricercata, corroborata da una maniacale fedeltà alla partitura originale (dato rilevate se si considera che la filologia moderna si afferma almeno mezzo secolo più tardi), e per il suo spiccato senso musicale che lo portò ovunque ad eseguire opere di contemporanei, tra cui Wolf, Bruckner, del quale eseguì tutte le sinfonie, e a dirigere inoltre le prime esecuzioni fuori d’Italia delle opere di Mascagni e Puccini.
Ma la propria vocazione di compositore non cessò di ardere nonostante gli impegni febbrili: Mahler prese l’abitudine di scrivere le sue sinfonie e i suoi Lieder nelle pause di lavoro tra una stagione e l’altra. Fu solo il decennio in cui visse a Vienna, città che lo incoronò direttore del proprio Teatro l’8 Ottobre 1897, a donargli un po’ più di relativa stabilita: durante questo periodo il compositore produsse alcune tra le sue più note opere quali la Quarta, la Quinta, la Sesta, la Settima e l’Ottava sinfonia, oltre a tutti i Lieder su poesie di Friederich Rückert (poeta tardoromantico tedesco). Nel 1902 sposò la bellissima Alma Schindler, figlia di un noto paesaggista viennese, dalla quale ebbe due figlie. In quegli stessi anni strinse amicizia con il maestro di musica di Alma, Alexander von Zemlinsky, grazie al quale fu accolto nella cerchia di Arnold Schönberg e dei suoi discepoli.
Durante il suo periodo di direzione del Teatro di Vienna, Mahler espresse ammirazione per molti dei suoi contemporanei, tra cui Strauss, del quale difese la controversa opera Salomè; ma i rapporti del compositore con l’orchestra furono destinati a guastarsi paradossalmente proprio nel periodo di massimo apogeo di questa istituzione viennese; ciò in reazione, pare, alla tenace convinzione, e ferma volontà, con cui Mahler difendeva le sue scelte in campo artistico. Di tutto questo egli ne risentì sino a che nel 1907 non avvenne un’altra svolta fatale per la sua carriera: nell’estate dello stesso anno la figlia primogenita del compositore, che in precedenza aveva perso entrambi i genitori e sua sorella minore, morì di difertite.
Esasperato dal dolore e dagli intrighi che operavano ai suoi danni sin dalla sua nomina a Vienna, egli si dimise dalla carica di direttore artistico e rivolse il suo sguardo ben oltre i confini della capitale austriaca. Gli ultimi anni videro Mahler intraprendere numerosi viaggi negli Stati Uniti, dove eseguì opere al Metropolitan (1908-1909), diresse la New York Philarmonic Society (1909-1911), e presentò per la prima volta nel continente americano, oltre ad alcune versioni delle proprie, il repertorio completo delle sinfonie di Bruckner.
Il compositore non rinunciò tuttavia a tornare in Europa e a dedicarsi alla stesura delle sue sinfonie durante le pause di lavoro, arrivando a comporre tra le sue opere più famose quali: “Das Lied von der Erde, la Nona e la Decima sinfonia, durante le vacanze estive trascorse in Alto Adige, in Moravia e a Vienna”. L’esecuzione di tali lavori, in particolare della Sinfonia Ottava e della Sinfonia dei Mille, in una sala da concerti costruita appositamente a Monaco, costituirà forse per Mahler il suo più grande successo come compositore quando egli era ancora in vita: al termine di un concerto a New York nel Novembre 1911, ebbe un collasso; la sua salute si aggravò ulteriormente, e a causa di una intossicazione del sangue fu presto ricoverato in una clinica a Parigi e successivamente trasferito nel sanatorio Löw di Vienna, dove morirà il 18 Maggio 1911.
Artista dotato di raffinatissima sensibilità musicale, Mahler trasfuse tutta la sua intensa e ardente vita interiore nella creazione dei Lieder e delle sue Sinfonie, ciascuna delle quali, più volte rielaborata durante gli anni di lavoro, doveva essere concepita per sua stessa ammissione, come un’architettura, un “mondo costruito con i suoni”. Appare evidente, ad una prima lettura, come in questo sforzo di combinare il “Tutto”, di consegnare la propria ricerca all’assoluto, vi sia intatta una matrice faustiana del proprio pensiero che lo condurrebbe, in un certo senso, nell’alveo della sensibilità tipica del post-Romanticismo. Ma ad una più attenta analisi, la personalità di Gustav Mahler difficilmente può essere inquadrata nel solco di una estetica definita: la complesse sfaccettature del suo carattere, insieme alle vicissitudini dell’epoca in cui si trovò a vivere, ne fanno il prototipo dell’artista “di transizione”, in tutte le sue contraddizioni.
A partire dalla sua stessa condizione di ebreo-tedesco, nato al confine della regione boema, è evidente un dualismo di fondo che emerge con forza in ogni sua opera. Da un lato infatti Mahler si integrò perfettamente entro il clima culturale tedesco adottandone il linguaggio di scrittura musicale e dedicando, ad esempio, alla costruzione delle proprie sinfonie, una cura maniacale per il dettaglio che lo porterà ad indicare minuziosamente l’organico orchestrale, le dinamiche timbriche e i tempi, in ogni partitura; ma dall’atro il complesso apparato formale lascerà presagire ed emergere dal denso tessuto sonoro tutto un mondo intatto fatto di canti tradizionali, di temi corali e marce popolari, di elementi parodistici e grotteschi.
“Lo sforzo di combinare le lotte cosmiche più nobili e universali al lirismo, al canto popolare austriaco, alla descrizione della natura” è presente con forza nelle prime composizioni quali il suo “Lieder eines fahrenden Gesellen” (1883-1885), ciclo di canti che narrano la storia di un innamorato schernito dalla sua bella. Il materiale tematico presente in esso è ben più che una semplice citazione degli elementi del proprio retroterra culturale: i temi popolari vengono elaborati spesso in maniera contrappuntistica ed inseriti in un contesto sinfonico; come la melodia del terzo dei Lied della raccolta, la quale diventa poi il tema stesso della sua Prima Sinfonia presentato sotto forma di canone combinato. Caratteristiche ricorrenti sono una certa “predilezione per gli arcaismi armonici, la nostalgia della melodia slava e la curiosa insistenza sui primitivi ritmi di marcia”. La dicotomia espressa dal gusto per le melodie popolari e le tensione dell’animo di Mahler verso l’assoluto, sarà una espressa costantemente sino a toccare i vertici di tensione lirica nella sua Seconda Sinfonia detta “della Resurrezione”.
Il lavoro del compositore indica in tutte le prime opere un contenuto programmatico di carattere filosofico che ne funge da chiave interpretativa, ma si stabiliscono numerose connessioni con elementi per così dire ‘extra-musicali’, quali la “pittura michelangiolesca” e le suggestioni dell’arte poetica. In una sua lettera del 1987 ad Arthur Seidl, lo stesso Mahler ci consegna una descrizione ideale dell’ispirazione da cui fa derivare la sua Seconda Sinfonia:
“Io ho chiamato il primo tempo ‘Riti funebri’…E’ l’eroe della mia sinfonia che ho posto nella tomba, la cui vita io rifletto come se si rispecchiasse in un puro specchio da una posizione elevata. Nello stesso tempo si pone il presente problema: a che scopo sei vissuto? Chiunque allora udito questa domanda deve rispondere. E io do questa risposta nell’ultimo tempo”.
In tale ultimo tempo, come Beethoven nella Nona, Mahler inserisce le voci nel finale e presenta un monumentale apparato per solisti e coro, alla cui base vi sono le liriche di Klopstick, poeta tedesco del Settecento. Sempre Mahler spiega così il contenuto programmatico dell’ultimo movimento della Seconda Sinfonia: “La Resurrezione, la Resurrezione vi sarà concessa’. Appare Dio nella sua gloria. Una meravigliosa dolce luce penetra nel profondo dei nostri cuori. Tutto è pace e felicità. Ed ecco: Ammira! Non ci sono giudici! Non ci sono peccatori e giusti; non ci sono potenti e miserabili; non c’è punizione e premio…Un potente sentimento d’amore ci trasfigura e ci rende consapevoli della nostra condizione”.
A stati d’animo elevati fanno spesso da contraltare sentimenti crepuscolari in cui si riflettono appieno i motivi di crisi dell’epoca tra i secoli XIX e XX. Se con la Sesta sinfonia in la minore (1903-1905) i toni diventano più pessimisti e “la lotta eroica sembra finire con la sconfitta e la morte”, le sinfonie Quinta e Settima sembrano oscillare tra sentimenti di luttuosa tristezza e l’esaltazione e il trionfo della gioia. Ma è forse con il celebre “Das Lied von der Erde” (il canto della terra), composto nel 1908 sulla base di un ciclo di poesie tradotte dal cinese da Hans Bethge, che le istanze del genio di Mahler giungono al suo maggiore livello d’espressività.
Elaborato più volte come tutte le sinfonie, eccetto le ultime tre, delle quali la Nona sarà l’ultima completa di Mahler, il Canto della terra rappresenterà quasi un punto d’arrivo e, insieme, un doloroso commiato dalle gioie terrene; come scrive lo storico Grout: “In nessun altro lavoro egli ha definito e portato a equilibrio così perfettamente quel peculiare dualismo di sentimenti, quella ambivalenza di piacere estatico sottomesso a un presentimento di morte, che sembra caratterizzare non soltanto il compositore stesso, ma anche l’intero stato d’animo autunnale del tardo Romanticismo”. In “Das Lied von der erde” l’organico orchestrale si fa più asciutto e l’austerità del linguaggio musicale si fa strada in luogo delle “tessiture dense e affollate dei lavori precedenti”. Mahler ricorre ad un linguaggio quasi cameristico, un andamento contrappuntistico dalle sonorità trasparenti che contiene al suo interno, come sostiene Grout: “un implicito andamento armonico tipico dell’armonia cromatica post-wagneriana che, ridotto in questo caso all’essenziale, raggiunge una freschezza e una chiarezza che sono all’opposto dell’ampollosità e dell’enfasi che normalmente associamo ad esso”.
Incessante sperimentatore, Mahler s’impadronì delle tecniche che indebolirono l’organizzazione tonale classica, senza tuttavia distaccarsi troppo dalle istanze formali e linguistiche della tradizione romantica, ma anzi dimostrando “nella fedeltà alla scala diatonica” il suo “estremo punto di usura”; e ciò lo rese, per dirla con le parole di M. Mila, “un testimone dolente della crisi esistenziale in cui è involto l’uomo moderno”.
Se la personalità di Mahler può accostarsi, con le dovute cautele, al novero degli artisti di fine Romanticismo; pur rimanendo nell’ambito dello stesso nucleo di ideali, la figura di Richard Strauss (1864- 1949) può ascriversi piuttosto tra gli epigoni della parabola wagneriana. Considerato uno dei più eminenti musicisti tedeschi della prima metà del secolo XX, egli condivise con Mahler il fatto di dovere i suoi successi inizialmente per i meriti di direttore d’orchestra. La fama di Strauss come compositore è legata senza dubbio alla forma del poema sinfonico: è dunque con questa scelta che l’artista bavarese segue una delle ramificazioni ultime della corrente di pensiero wagneriana, la quale pure aveva annoverato tra i cultori del gemere, maestri del calibro di Liszt, Beethoven e Berlioz. L’orizzonte tracciato da questi ultimi costituisce la quinta scenica prediletta da Strauss per animare la propria immaginazione e gettare così una luce sulle vicissitudini di un mondo in profonda trasformazione. Il peso artistico della sua figura come compositore viene posto dagli storici sullo stesso piano della personalità di Debussy, definendo con entrambi “la fine di una fase e l’inizio di qualche cosa che risponde alla denominazione usuale di ‘musica moderna’”. In realtà l’opera di Strauss sembra voltare le spalle a quella del collega francese proprio nel suo ritornare sovente e con malinconica ammirazione, agli stilemi propri della vita musicale di fine XIX secolo.
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