Sant’Agostino è rappresentato come un vecchio saggio, vestito degli abiti vescovili, una mitra sulla testa areolata, tiene un pastorale decorato con la destra e tre libri nella sinistra. Ai suoi piedi, la piccola immagine del committente inginocchiato, un agostiniano del convento il cui nome non è indicato. Tra la figura del vescovo di Ippona e del Bambino, si trova la piccola immagine di una testa con tre facce, una di fronte e due di profilo.
Questo particolare lascia perplessi circa il significato esatto da attribuirle: si può facilmente pensare ad una rappresentazione della Trinità, ma questa interpretazione non è coerente con le sue piccole dimensioni e la sua posizione totalmente marginale rispetto al resto della composizione. Tuttavia occorre tener presente che una tradizione della rappresentazione della Trinità sotto forma di testa a tre volti esisteva già all’epoca: ne abbiamo un esempio nel castello di Vignola, nella sala così detta degli Evangelisti dove, al di sotto di un albero, si trova una grande immagine di questo tipo; l’affresco è stato datato al XV secolo, non se ne conosce l’autore.
Nel Museo Stefano Bardini di Firenze, vi è un dossale di altare dell’inizio del XV secolo rappresentante una figura dello stesso tipo, stavolta barbuta, attribuita a Pagno di Lapo Portigiani (immagine 4); sempre nella stessa città, all’interno di Palazzo Vecchio, al centro della volta della cappella di Eleonora di Toledo, sposa di Cosimo I de’Medici, troviamo la stesa iconografia ad opera del Bronzino. Un altro Vultus Trifrons si trova nel refettorio dell’abbazia di San Salvi, sempre a Firenze, sulla volta decorata, assieme alla parete sottostante, con la scena dell’Ultima Cena di Andrea del Sarto. Ancora, ne abbiamo un esempio scolpito nella piccola Orsanmichele.
A Perugia (circa 95 km da Norcia), esistono varie rappresentazioni di questo tipo e anche nella regione alpina.
L’uso del vultus trifrons come raffigurazione della trinità fu contestato già a partire dal Medio Evo, poiché lasciava trasparire un’evidente ambiguità; Sant’Antonino di Firenze (1389/1459) aveva già lanciato delle aspre critiche a questa figura di “cerbero cattolico” ma fu solo sotto Papa Urbano VIII, nel 1628, che questo tipo di rappresentazione fu dichiarata eretica ed infine sotto Benedetto XIV, l’uomo a tre volti fu bandito dal repertorio cristiano a seguito della definizione dei canoni di figurazione della Trinità.
Il fatto curioso è che, allo stesso tempo, esistono moltissime rappresentazioni del diavolo tricefalo, molto comune nell’immaginario popolare del Medioevo: fu Dante Alighieri stesso a descrivere Lucifero, nell’Inferno della sua Comedia “Oh quanto parve a me gran maraviglia, quand’io vidi tre facce a la sua testa!”
In un affresco della chiesa di Santa Maria Maggiore e in una scultura sulla facciata della chiesa di San Pietro a Tuscania (immagine 10), troviamo due rappresentazioni di Satana tricefalo, come è trifrons anche il Diavolo del famoso affresco di Buffalmacco nel Camposanto di Pisa, e potremmo elencare ancora molti esempi.
Per comprendere l’origine dell’ambiguità e dell’ambivalenza delle raffigurazioni della Trinità e del Diavolo, abbiamo trovato molto interessante lo studio di Raffaele Pettazzoni, che ne spiega le ragioni in un articolo comparso nel 1946, intitolato “The Pagan Origins of the Three-headed Representation of Christian Trinity” di cui riportiamo un breve passaggio: “Come è possibile che si siano sviluppate due opposte applicazioni cristiane della stessa forma di rappresentazione? Ideologicamente è impossibile concepire che il diavolo a tre teste sia l’immediato antecedente iconografico della Santa Trinità o vice versa. Ciò che era pagano può divenire Cristiano; ma ciò che era, per la Cristianità stessa, diabolico, non può divenire divino. Le due opposte applicazioni iconografiche, una diabolica ed una divina, non derivano l’una dall’altra ma entrambe derivano da un comune prototipo pagano. Ma l’approccio è diverso perché lo spirito è diverso. Da un lato c’è uno spirito religioso vivace, lo stesso che aveva portato alla distruzione degli idoli pagani e che ora si esprime nella degradazione delle loro immagini al livello di demoni. Dall’altro lato c’è un’intuizione estetica usata al servizio del pensiero teologico (…) una forma che sembra fornire la soluzione ad un problema impossibile, quello della rappresentazione iconografica del mistero della divinità Una e Trina” .
Per tornare all’affresco della chiesa di Sant’Agostino, ci poniamo la domanda di quale possa essere il ruolo di questo piccolo vultus trifrons, vista la sua taglia e la sua posizione, assolutamente marginale rispetto al resto della composizione.
In Umbria e in generale nell’Italia centrale, troviamo delle rappresentazioni dell’Estasi di Sant’Agostino durante la sua visione della Trinità: ne abbiamo un esempio nella chiesa di Sant’Agostino a Gubbio, dove si trova un affresco di Ottaviano Nelli datato tra il 1420 e il 1430, con il santo inginocchiato, vestito in modo semplice, la mitra che fluttua dietro di lui o ritratta nell’atto di cadergli dalla testa. Con la mano destra mostra il suo cuore, dove si scorge una miniatura della Trinità, come un riflesso di quello che appare in cielo: “L’affresco di Gubbio riprende la sua iconografia da un repertorio visuale stabilito dalla stigmatizzazione di San Francesco (…) la somiglianza è rinforzata dal Nelli nell’attenzione all’abbigliamento degli Eremiti a discapito del più familiare mantello di Agostino, e dalla rimozione della mitra per rivelare la tonsura del santo”.
Un altro esempio ci è dato da una tavola, datata seconda metà del XIV secolo, rappresentante Sant’Agostino e sua madre Santa Monica in una cappella, davanti alla visione della Trinità che sorge dall’altare, il Padre in alto, il Figlio sulla croce e cherubini tutti intorno. Attualmente conservato presso la collezione Drey a Monaco, non se ne conoscono né la provenienza né l’autore .
Particolarmente interessante, una predella di Filippo Lippi raffigurante il Santo seduto nell’atto di scrivere, quando una Trinità trifronte appare nello studio (1438 ca). Ci domandiamo dunque se questo piccolo vultus trifrons, nella lunetta del portale di una piccola chiesa di provincia, non sia altro che un’ingenua rappresentazione dell’estasi del santo.
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