Il vultus trifrons della chiesa di S.Agostino a Norcia

di Elisa Di Agostino 17/10/2017

La chiesa e il convento di Sant’Agostino a Norcia costituiscono un insieme molto interessante sia per quanto riguarda l’architettura, che per la decorazione, scultorea e pittorica. Questa chiesa, gravemente danneggiata dal sisma del 30 ottobre 2016 che ha provocato il crollo della copertura e di una parete, fu eretta nel XII secolo e poi rimaneggiata e ristrutturata nel XIV. Nonostante i danni, presenta un interessante portale con decorazioni zoo e fitomorfe ad incorniciare una lunetta affrescata. I soggetti presenti in questo piccolo spazio non hanno nulla di particolarmente interessante, se non fosse per un piccolo particolare, quasi invisibile ad occhio nudo, che abbiamo riscontrato ingrandendo le fotografie e che ha necessitato uno studio più approfondito per essere spiegato come segue.
Quest’opera venne restaurata negli anni ’90 grazie ad un’iniziativa locale per il restauro e la tutela delle opere d’arte, “una mostra, un restauro”, a seguito del quale è stata riportata alla luce la piccola figura di un committente inginocchiato accanto a Sant’Agostino , ma non risulta essere stata studiata o analizzata in modo specifico.
L’affresco mostra la Madonna con il Divin Bambino benedicente tra due santi, rispettivamente Sant’Agostino, sulla destra, e San Nicola da Tolentino, sulla sinistra. Quest’ultimo fu un personaggio assai famoso all’epoca dell’esecuzione dell’opera, nel XIV secolo. Questo Santo, nato nel 1245 a Sant’Angelo in Pontarno (nei pressi di Macerata, a 90 km da Norcia), fu un colto predicatore dell’ordine degli Agostiniani. Considerato santo ancora in vita dai suoi contemporanei, morì nel 1305; è rappresentato con la tonsura e gli abiti tipici del suo ordine, un libro nella mano sinistra, la destra alzata, una colomba poggiata sulla spalla, rappresentante lo Spirito Santo nell’atto, forse, di suggerirgli le parole per le sue prediche.
Al centro la Vergine, vestita di rosso con un mantello blu e bianco, tiene con la sinistra il Bambino e mostra la destra: l’indice e il pollice sono uniti, in un gesto spesso rappresentato in epoca medievale, come ad esempio nella cappella degli Scrovegni a Padova ad opera di Giotto, nella Madonna dell’Umiltà ad Urbino ad opera di Lorenzo Salimbeni e anche in scultura sulla facciata del Duomo di Orvieto, ad opera Andrea Pisano (1347 ca). I colori accesi e marcati delle vesti e dell’incarnato della Vergine e del Gesù Bambino sono particolarmente esaltati dalla tinta verde del tendaggio di sfondo. Il Cristo, vestito solo di un velo bianco, che conserva traccia di iscrizioni non più leggibili, e di una catenina di coralli al collo, è rappresentato di tre quarti, mentre benedice con la manina destra Sant’Agostino alla sua sinistra.

Dettagli della lunetta del portale della chiesa di Sant’Agostino a Norcia, San Nicola da Tolentino, la Vergine con Gesù Bambino e Sant’Agostino. Il particolare del vultus trifons é stato messo in evidenza. 

Sant’Agostino è rappresentato come un vecchio saggio, vestito degli abiti vescovili, una mitra sulla testa areolata, tiene un pastorale decorato con la destra e tre libri nella sinistra. Ai suoi piedi, la piccola immagine del committente inginocchiato, un agostiniano del convento il cui nome non è indicato. Tra la figura del vescovo di Ippona e del Bambino, si trova la piccola immagine di una testa con tre facce, una di fronte e due di profilo.
Questo particolare lascia perplessi circa il significato esatto da attribuirle: si può facilmente pensare ad una rappresentazione della Trinità, ma questa interpretazione non è coerente con le sue piccole dimensioni e la sua posizione totalmente marginale rispetto al resto della composizione. Tuttavia occorre tener presente che una tradizione della rappresentazione della Trinità sotto forma di testa a tre volti esisteva già all’epoca: ne abbiamo un esempio nel castello di Vignola, nella sala così detta degli Evangelisti dove, al di sotto di un albero, si trova una grande immagine di questo tipo; l’affresco è stato datato al XV secolo, non se ne conosce l’autore.
Nel Museo Stefano Bardini di Firenze, vi è un dossale di altare dell’inizio del XV secolo rappresentante una figura dello stesso tipo, stavolta barbuta, attribuita a Pagno di Lapo Portigiani (immagine 4); sempre nella stessa città, all’interno di Palazzo Vecchio, al centro della volta della cappella di Eleonora di Toledo, sposa di Cosimo I de’Medici, troviamo la stesa iconografia ad opera del Bronzino. Un altro Vultus Trifrons si trova nel refettorio dell’abbazia di San Salvi, sempre a Firenze, sulla volta decorata, assieme alla parete sottostante, con la scena dell’Ultima Cena di Andrea del Sarto. Ancora, ne abbiamo un esempio scolpito nella piccola Orsanmichele.
A Perugia (circa 95 km da Norcia), esistono varie rappresentazioni di questo tipo e anche nella regione alpina.
L’uso del vultus trifrons come raffigurazione della trinità fu contestato già a partire dal Medio Evo, poiché lasciava trasparire un’evidente ambiguità; Sant’Antonino di Firenze (1389/1459) aveva già lanciato delle aspre critiche a questa figura di “cerbero cattolico” ma fu solo sotto Papa Urbano VIII, nel 1628, che questo tipo di rappresentazione fu dichiarata eretica ed infine sotto Benedetto XIV, l’uomo a tre volti fu bandito dal repertorio cristiano a seguito della definizione dei canoni di figurazione della Trinità.
Il fatto curioso è che, allo stesso tempo, esistono moltissime rappresentazioni del diavolo tricefalo, molto comune nell’immaginario popolare del Medioevo: fu Dante Alighieri stesso a descrivere Lucifero, nell’Inferno della sua Comedia “Oh quanto parve a me gran maraviglia, quand’io vidi tre facce a la sua testa!
In un affresco della chiesa di Santa Maria Maggiore e in una scultura sulla facciata della chiesa di San Pietro a Tuscania (immagine 10), troviamo due rappresentazioni di Satana tricefalo, come è trifrons anche il Diavolo del famoso affresco di Buffalmacco nel Camposanto di Pisa, e potremmo elencare ancora molti esempi.
Per comprendere l’origine dell’ambiguità e dell’ambivalenza delle raffigurazioni della Trinità e del Diavolo, abbiamo trovato molto interessante lo studio di Raffaele Pettazzoni, che ne spiega le ragioni in un articolo comparso nel 1946, intitolato “The Pagan Origins of the Three-headed Representation of Christian Trinity” di cui riportiamo un breve passaggio: “Come è possibile che si siano sviluppate due opposte applicazioni cristiane della stessa forma di rappresentazione? Ideologicamente è impossibile concepire che il diavolo a tre teste sia l’immediato antecedente iconografico della Santa Trinità o vice versa. Ciò che era pagano può divenire Cristiano; ma ciò che era, per la Cristianità stessa, diabolico, non può divenire divino. Le due opposte applicazioni iconografiche, una diabolica ed una divina, non derivano l’una dall’altra ma entrambe derivano da un comune prototipo pagano. Ma l’approccio è diverso perché lo spirito è diverso. Da un lato c’è uno spirito religioso vivace, lo stesso che aveva portato alla distruzione degli idoli pagani e che ora si esprime nella degradazione delle loro immagini al livello di demoni. Dall’altro lato c’è un’intuizione estetica usata al servizio del pensiero teologico (…) una forma che sembra fornire la soluzione ad un problema impossibile, quello della rappresentazione iconografica del mistero della divinità Una e Trina” .
Per tornare all’affresco della chiesa di Sant’Agostino, ci poniamo la domanda di quale possa essere il ruolo di questo piccolo vultus trifrons, vista la sua taglia e la sua posizione, assolutamente marginale rispetto al resto della composizione.
In Umbria e in generale nell’Italia centrale, troviamo delle rappresentazioni dell’Estasi di Sant’Agostino durante la sua visione della Trinità: ne abbiamo un esempio nella chiesa di Sant’Agostino a Gubbio, dove si trova un affresco di Ottaviano Nelli datato tra il 1420 e il 1430, con il santo inginocchiato, vestito in modo semplice, la mitra che fluttua dietro di lui o ritratta nell’atto di cadergli dalla testa. Con la mano destra mostra il suo cuore, dove si scorge una miniatura della Trinità, come un riflesso di quello che appare in cielo: “L’affresco di Gubbio riprende la sua iconografia da un repertorio visuale stabilito dalla stigmatizzazione di San Francesco (…) la somiglianza è rinforzata dal Nelli nell’attenzione all’abbigliamento degli Eremiti a discapito del più familiare mantello di Agostino, e dalla rimozione della mitra per rivelare la tonsura del santo”.
Un altro esempio ci è dato da una tavola, datata seconda metà del XIV secolo, rappresentante Sant’Agostino e sua madre Santa Monica in una cappella, davanti alla visione della Trinità che sorge dall’altare, il Padre in alto, il Figlio sulla croce e cherubini tutti intorno. Attualmente conservato presso la collezione Drey a Monaco, non se ne conoscono né la provenienza né l’autore .
Particolarmente interessante, una predella di Filippo Lippi raffigurante il Santo seduto nell’atto di scrivere, quando una Trinità trifronte appare nello studio (1438 ca). Ci domandiamo dunque se questo piccolo vultus trifrons, nella lunetta del portale di una piccola chiesa di provincia, non sia altro che un’ingenua rappresentazione dell’estasi del santo.

L’affresco del Vultus Trifrons, si trova all’interno della cappella del IX secolo, la parte più antica della Rocca Flea, una particolare rappresentazione della Trinità con un unico corpo e tre teste. Apparsa fin dal XII secolo nelle architetture romaniche e proto gotiche, questa iconografia ebbe notevole sviluppo tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo, quando sembrò agli artisti il modo migliore di rappresentare il mistero trinitario. Il Vultus Trifrons ebbe, però, anche una valenza negativa, quale emblema del demoniaco, per questo il suo utilizzo fu abbandonato già dal XVI secolo ed espressamente vietato da papa Benedetto XIV nel 1745. L’affresco gualdese, è riconducibile alla mano di un pittore perugino sicuramente influenzato da Pietro Lorenzetti. 

Dall’altro lato San Nicola da Tolentino è rappresentato come pendant con una colomba bianca sulla spalla, esattamente come in un affresco di Simone Martini a Siena, datato 1324 dove troviamo il beato locale Agostino Novello al centro della composizione, con un angelo sulla spalla che gli suggerisce le parole: “(…) una delle più interessanti ed espressive tavole commissionate dagli Agostiniani (…) è il Beato Agostino Novello di Simone Martini, all’incirca del 1324, che va contro la tradizione, piuttosto diversa, dei dossali istoriati dei santi degli ordini mendicanti (…). Il punto focale, nella tavola di Simone Martini, è il ritratto del frate Agostino, con la tonsura e senza barba (…) concentra l’enfasi nell’apprendimento e nell’istituzionalizzazione religiosa. Comunque il modo in cui Agostino é situato nella tavola di Simone, entro uno arco di legno, mentre riceve l’ispirazione da un angelo, rivela un altro importante aspetto del movimento agostiniano: l’enfasi di un’esistenza eremitica e spiritualmente ascetica.”
In un periodo storico difficile per i mendicanti agostiniani, un ordine relativamente giovane all’epoca dell’esecuzione dell’affresco , che non aveva un santo fondatore come San Francesco per i francescani, viene scelto come Santo patrono uno dei Padri della Chiesa che deve però essere condiviso con gli altri ordini agostiniani già esistenti. In questa delicata epoca di affermazione sociale, gli eremiti/mendicanti cercano un’iconografia che si ricolleghi alla storia di Sant’Agostino ma che sia anche testimonianza della vocazione pauperistica e spirituale propria del loro ordine “(…) il quattordicesimo secolo fu chiamato l’età Agostiniana, durante la quale persino il corpus delle loro scritture si espanse, poiché gli studiosi ricercarono nelle biblioteche e nei manoscritti (…) Agostino di Ippona scrisse molto poco sulle immagini, ma quello che disse non era positivo” .
Questa mancanza di riferimenti portò i committenti o comunque gli ideatori delle opere a prendere ispirazione dagli altri esempi, come i cicli francescani di Giotto ad Assisi (è il caso dell’affresco di Ottaviano Nelli di cui abbiamo parlato precedentemente) ma svilupparono anche caratteristiche originali, particolari e nuove. Nella nostra lunetta troviamo dunque una rappresentazione in linea con la nuova iconografia dell’ordine dei mendicanti agostiniani, che mette in scena la Vergine con il Bambino tra il santo patrono, con i suoi attributi, e San Nicola da Tolentino che, come abbiamo detto, era molto famoso all’epoca, ed che fu tra i primi beati dell’ordine degli eremiti agostiniani.
Il voltus trifrons sarebbe dunque effettivamente la rappresentazione della trinità ma raffigurata come attributo identificativo di Sant’Agostino, come le stigmate per San Francesco o la ruota per Santa Cristina.
 
Per approfondimenti:
_Pettazzoli Raffaele, “The Pagan Origins of the Three-headed Representation of Christian Trinity”;
_Bourdua Louise, Dunlop Anne, “Art and the Augustinian Order in Early Renaissance Italy” – edizioni Ashgate, Bodmin, 2007;
_Cordella Romano, “una lunetta e un nicchione da salvare” atti del congresso “una mostra un restauro, XII mostra nazionale di grafica dei maestri contemporanei per il restauro degli affreschi del portale e del terzo nicchione nella chiesa di Sant’Agostino a Norcia”, Norcia, 1991;
_Alighieri Dante, “Divina Commedia” – Edizioni Mondadori.

 

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