
06 Ott La calunnia e la diffamazione nel lessico giuridico
La calunnia e la diffamazione nel lessico giuridico
di Miriana Fazi 07/10/2017
Il lessico corrente della lingua italiana è notoriamente ricco di sinonimi e di espressioni che, plasticamente, si possono considerare di significato equipollente. Tuttavia, d’altro canto, il lessico giuridico si discosta non di poco da una simile premessa: per definizione, esso necessita di un rigore che non si presti a dare adito a interpretazioni fuorvianti delle parole e, di riflesso, delle disposizioni di legge che le suddette vanno a formare.

Un esempio particolarmente calzante di discrasia tra lessico corrente e lessico giuridico può essere fornito dai concetti di calunnia e diffamazione. Spesse volte si cede alla tentazione di considerare queste due figure giuridiche come sinonimiche e anfiboliche, cadendo spesso in errore.
Se “la calunnia è un venticello”… la diffamazione cos’è? Invero calunnia e diffamazione prestano il nome a due reati di diversa natura, che hanno ad oggetto beni giuridici altrettanto diversi e sono sorretti da finalità e regimi sanzionatori divergenti. Il reato di diffamazione ex art. 595 del codice penale, infatti, è annoverato tra i “delitti contro la persona” al Titolo XII del summentovato codice.
Il dispositivo della norma prevede che: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1032 euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2065 euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro. Se l’offesa è recata a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
Come si può agilmente evincere, il bene tutelato dall’articolo 595 c.p. è “la reputazione”, intesa come corollario dell’onore e come senso di dignità e rispetto che una persona suscita all’interno della comunità sociale. Qual è l’elemento oggettivo di questo reato? Ossia: qual è la condizione che deve necessariamente verificarsi, perché il reato in questione possa dirsi integrato? È necessario che si verifichi una “condotta, che si sostanzi nell’offendere la reputazione altrui dinnanzi a una molteplicità di persone ed in assenza del soggetto nei confronti del quale viene pronunciata l’espressione diffamatoria”.
Particolari problemi, però, sorgono allorquando la diffamazione avvenga a mezzo stampa, ossia tramite televisione, giornali e ogni mezzo di divulgazione aperto a un pubblico vasto e indeterminato.
Genericamente i giornalisti godono di una scriminante particolare, nota come “esercizio del diritto di cronaca”. Tale scriminante consente loro di poter esercitare la propria professione serenamente, senza temere ripercussioni dovute a quanto scritto o riportato. In qualche modo, l’esercizio del diritto di cronaca può stimarsi come un’appendice dell’articolo 21 della Costituzione, posto a presidio del diritto di libertà di espressione.
Tuttavia, la tutela del diritto di cronaca non compre indistintamente qualunque condotta del giornalista. Si pensi, per esempio, a un giornalista che, pur non esprimendosi in termini negativi e mantenendo un profilo informale, scriva un articolo marcatamente infamatorio ai danni di un determinato personaggio. Ebbene, il giornalista in questione potrà godere della scriminante sopra riportata, solo allorquando il suo articolo presenti “profili di interesse pubblico all’informazione, tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo”. Inoltre sembra quasi pletorico menzionare il requisito di “veridicità dell’articolo” come elemento necessario ai fini dell’efficacia della scriminante in parola.

Ciò premesso, si può rivolgere l’attenzione ad altra sedem materiae. A latere della pittoresca visione rossiniana di calunnia come venticello (da: “Il Barbiere di Siviglia”), la dottrina prevalente inquadra quest’ultima (art 368 c.p.) come reato plurilesivo, ossia posto a tutela di una pluralità di beni giuridici. Tali interessi si possono ravvisare sia nella libertà di una persona innocente, che nel corretto funzionamento dell’amministrazione della giustizia.
La coscienza giuridica italiana è sempre stata attenta alla necessità di predisporre un reato simile, fin dai tempi dei codici preunitari e del Codice Zanardelli ( codice penale emanato nel 1889 e precedente all’attuale Codice Rocco, ndr); anche se in precedenza la calunnia era concepita come “reato contro la fede pubblica”.
Quale che sia la sua categorizzazione dogmatica, un elemento resta certo e imperituro nel corso del tempo: il regime sanzionatorio della calunnia vanta caratteri di peculiare severità, se analizzato comparativamente alle altre sanzioni, comminate per i restanti reati contro l’amministrazione della giustizia.
Il dispositivo della norma presenta una felice concisione, Comma uno:
“Chiunque con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni”.
Comma due:
La pena è aumentata se si incolpa taluno di un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave.
Comma tre:
“La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo”.
Anzitutto, bisogna soffermarsi sull’analisi del fatto tipico del reato in parola.
A differenza della “simulazione del reato”, ove si denuncia un reato necessariamente inesistente, senza attribuirlo a persona determinata o facilmente e univocamente determinabile, l’articolo 368 c.p. sanziona come calunnia il comportamento di chi, esplicitamente o implicitamente, incolpa un’altra persona – pur conoscendone l’innocenza – di un reato inesistente, oppure esistente, ma commesso da altri.
Ne deriva che si possono profilare diverse forme di calunnia: quella formale (o verbale, o diretta) consiste nella falsa affermazione della commissione di un reato, mediante querela, denuncia, richiesta o istanza. Il termine “denuncia” si suole intendere in maniera generica, come “qualsiasi informazione concernente fatti criminosi”. Il rischio di tale lettura ampia, secondo alcuni, risiede nell’estensione analogica (ossia nella possibilità di ricomprendere entro il termine “denuncia” anche delle condotte “non idonee a rivestire tale qualifica”, procurando punibilità al loro fautore in maniera del tutto illiberale e anti garantistica).
D’altro canto, la forma materiale (o reale, o indiretta) si verifica allorquando sia commessa mediante la simulazione delle tracce di un reato. Le due diverse condotte sono equivalenti sul piano della punibilità e, qualora dovessero ricorrere insieme, non avrebbe luogo una pluralità di reati.
Naturalmente, in ogni caso, è da escludersi la calunnia omissiva. Qualora si volesse rendere omissivo il reato di calunnia, si porrebbe una problematica difficilmente superabile. Infatti nell’ordinamento italiano difetta un “obbligo di impedire una falsa incolpazione” e in mancanza di tale obbligo è impossibile innestare l’articolo 368 c.p. sulla valvola generale del 40 c.p., clausola che consente di trasformare i reati commissivi nei rispettivi omissivi.

L’elemento soggettivo è il dolo generico, inteso come “coscienza e volontà di di portare la falsa informazione all’autorità giudiziaria”. Naturalmente i motivi che spingono l’autore a commettere un tale delitto sono irrilevanti ai fini del dolo: tutt’al più, possono rilevare come circostanze ultronee da prendere in considerazione nella ricostruzione globale del fatto.
Per di più, la calunnia colposa ( dovuta a negligenza, imperizia, imprudenza o alla contravvenzione di leggi e regolamenti) non è punibile: manca infatti una previsione espressa a tal fine, che sarebbe invece necessaria ai sensi dell’articolo 42 comma2. Non è punibile nemmeno la calunnia sorretta da dolo eventuale (ossia la forma più lieve del dolo, quella in cui gli elementi di volontà e consapevolezza sono ridotti al minimo vigore: essa si profila come accettazione del rischio che un determinato evento dannoso si verifichi in conseguenza di una propria condotta antigiuridica).
Quanto alle forme di manifestazione del reato, si discute sull’ammissibilità del tentativo. Finora il dibattito sembra propendere per la soluzione positiva. La calunnia formale si consuma al momento in cui l’Autorità ha ricevuto o percepito la notizia del reato oggetto dell’incolpazione calunniosa. La calunnia materiale, invece, si consuma nel momento in cui le tracce simulate sono state scoperte.
È curioso, infine, valutare la percezione del reato di calunnia in ambito comparatistico.
In Germania essa è concepita come condotta a forma libera. Non esistono nel dispositivo tedesco delle aggravanti e attenuanti simili a quelle contenute nei commi 2 e 3 dell’articolo 368 e, per di più, l’ordinamento tedesco consente una maggiore estensione dell’oggetto di incolpazione. Infatti rileva perfino la commissione di un illecito disciplinare, quindi la violazione di un dovere di ufficio. Così come in Italia, invece, si suole escludere la punibilità della calunnia commessa a titolo di dolo eventuale. In Spagna figura una peculiare caratterizzazione dell’elemento soggettivo: per integrare quest’ultimo si richiedono consapevolezza della falsità e temerario disprezzo per la verità.
Inoltre la Penisola Iberica conta su uno speciale meccanismo di pregiudizialità: non è consentito procedere contro il denunciante, se non dopo la sentenza, o l’ordinanza definitiva di assoluzione, o l’archiviazione emessa dal giudice che abbia giudicato l’infrazione imputata.
Per concludere, giova riservare un ultimo sguardo al sistema francese, che classifica la calunnia tra i reati contro la persona, la ritiene commissibile con qualsiasi mezzo e consente di punire la “falsità parziale”, che si verifica quando la persona accusata ha davvero commesso il reato denunziato, ma questo è descritto dall’accusatore in modo parzialmente non veritiero.
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