Sartre e il concetto di libertà

di Maurilio Ginex 21/08/2017

Uno dei temi più discussi all’interno della corrente esistenzialista che ha attraversato il Novecento, viene rappresentato dal tema della libertà e dal rapporto che quest’ultima ha con l’uomo. Il progetto del proprio sé davanti all’essere, si configura come un arduo “ostacolo” da “superare”. Tale virgolettatura sta ad indicare quanto sia continuamente in movimento il dipanarsi del progetto della vita di ogni uomo ed evidenzia quanto in realtà sia complesso il meccanismo che intercorre tra le scelte dell’uomo che guarda il suo futuro (imminente o prossimo) e le possibilità che si prospettano per ricongiungersi ai propri obiettivi.
Nel 1943, una delle figure più illustri dell’ambiente intellettuale francese, Jean-Paul-Charles-Aymard Sartre, scrive il suo capolavoro che gli diede la fama internazionale: L’essere e il nulla. Quest’opera, rappresentante di uno dei capisaldi dell’esistenzialismo novecentesco, affronta tutte le dinamiche della dimensione umana, sotto il punto di vista dell’esistenza.

Jean-Paul-Charles-Aymard Sartre (Parigi, 21 giugno 1905 – Parigi, 15 aprile 1980) è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo, critico letterario francese, considerato uno dei più importanti rappresentanti dell’esistenzialismo, che in lui prende la forma di un umanesimo ateo in cui ogni individuo è radicalmente libero e responsabile delle sue scelte, ma in una prospettiva soggettivista e relativista. In seguito Sartre diverrà un sostenitore dell’ideologia marxista e del conseguente materialismo storico.

All’interno del testo confluiscono le molteplici influenze che hanno costituito gli studi dell’autore a monte della stesura dell’opera, da una parte la matrice husserliano-heideggeriana sul tema del rapporto coscienza-mondo ed essere umano-essere delle cose, da un’altra parte quella hegeliana sulla Fenomenologia attraverso la mediazione di Kojève che ha permesso all’autore di sviluppare la contrapposizione tra l’essere dell’uomo e l’essere delle cose, insomma una quantità di matrici che hanno permesso a Sartre di arrivare fino alla radice dei problemi esistenziali che accompagnano l’uomo nella propria vita e di indagare sul nocciolo dei perché dell’esistenza.
Un’opera , dunque, densa e carica di temi, che porta alla luce in maniera molto preponderante quel tema iniziale su cui era stata fatta menzione, ovvero, il tema della libertà dell’uomo dinanzi alle scelte. Sartre attua una differenziazione tra l’essere in-sé delle cose, visto come un qualcosa di immutabile, fermo, statico; e l’essere per-sé della coscienza, ovvero, l’essere umano (Sartre 2002) visto ovviamente come elemento di irrequietezza e in movimento perenne.
Su questo frangente, vediamo chiaramente come la matrice husserliana fa il suo corso, poiché attraverso Husserl apprendiamo come la coscienza è sempre “coscienza” di qualcosa.
L’essere in-sé in Sartre rappresenta quel mondo di elementi auto-sufficienti di fronte alla coscienza dell’uomo, e che rivelano il mondo dato, nella sua manifestazione immediata, intravedendo la non-essenzialità umana.
L’in-sé , dunque, nell’ottica sartriana, non è mai diverso da ciò che è, rappresentando il reale essere nella sua essenza. Di contro l’essere per-sé, nella sua mobilità e irrequietezza, assume le caratteristiche di una negazione di se stesso su cui si apre il nulla dell’essere. Qui vediamo come la matrice hegeliana subentra all’interno dello sviluppo del concetto, l’essere per-sé della coscienza dell’uomo genera la negazione di se stesso, proprio perché nel continuo movimento attua un logoramento di sé a partire da sé. Perché questo? Per rispondere al quesito, Sartre evidenzia come l’essere umano (l’essere per-sé) essendo diretto continuamente verso un progetto futuro, non è mai ciò che è (in funzione del proprio passato), ma è sempre ciò che non è (in funzione di un futuro che deve ancora arrivare). Si ha constatazione della negazione hegeliana, nel momento in cui si prende coscienza che l’essere del “per-sé essendo” è volto verso il futuro e  non verso qualcosa di concreto e definito come “l’essere in-sé delle cose” che sono immutabili e statiche. Esso è condannato ad essere sempre qualcosa di diverso ed estraniato da se stesso, proprio per questa sua caratteristica di essere volto verso il futuro che ancora non è. Giunti alla consapevolezza che l’essere concreto si sintetizza nelle cose, nell’in-sé, Sartre evidenza come al di fuori ciò, non vi sia altro che il nulla – come poc’anzi riportavamo all’interno del discorso.
Diversamente, il nulla non può essere un prodotto delle cose, che staticamente, sono ferme e inermi lì davanti all’uomo, poiché il nulla è un prodotto della coscienza dell’uomo che “è”, come dice l’autore, “presenza alle cose” e in quanto presenza ha la mansione di dar senso a quegli elementi che costituiscono il mondo, poiché all’interno della loro qualità di essere concretamente, sono allo stesso tempo inermi e prive di coscienza, dunque senza senso e significato.
Sartre pone in analisi, dunque, il fatto che l’uomo, attraverso un processo di autocoscienza con le cose del mondo, comprende quel processo di annullamento del sé, estraniandosi. Allo stesso tempo quel processo di annullamento è anche delle “cose” e “dell’in-sé“, proprio per via del potere di dar senso e significato a tali elementi: è il concetto di poter scegliere la differenzia “dell’in-sé“, dal “per-sé”. Il “per-sé” della coscienza dell’uomo assume la propria libertà in questa negazione, o meglio, in questo annullamento doppio che attua nei confronti di sé, in quanto non è mai ciò che è ma soltanto ciò che sarà, e parallelamente delle “cose”, in quanto padroneggiando il loro senso e significato, può anche optarne l’annullamento. Con questa duplice mansione si scorge il fatto che in fondo l’uomo, proiettato nella sua condizione esistenziale in cui fa esperienza di questo nulla nullificante, si ritrova ad essere protagonista di una libertà che lo accompagna nelle sue scelte, nei sui progetti, nel suo divenire. La libertà, evidenzia Sartre – sulla scia segnata precedentemente da Kierkegaard -, rappresenta l’angoscia su cui l’uomo si affaccia. Essere padrone delle proprie azioni, valutando da sé e senza intercessioni, la qualifica delle nostre scelte prese a monte, risulta per l’uomo angosciante. L’opera di Sartre che affronta questo tema della libertà, alla quale l’uomo è impossibilitato a sottrarsene, dà la possibilità di scorgere la traccia di quella lettura dettagliata, condotta dall’autore nei confronti di Heidegger e del suo “Essere e tempo” (1927).
L’uomo di Heidegger prende coscienza dell’angoscia nel momento in cui di fronte ai progetti che si prefissa fa esperienza del suo essere gettato nel mondo e della nullità dell’essere a cui si espone, cosa che può essere superata tramite una presa di coscienza nel cosiddetto, heideggerianamente, essere-per-la-morte, in Sartre all’interno di questa “gettatezza” l’uomo ha il dovere di prendere coscienza dell’angoscia come una condizione dell’essere di fronte allo scegliere del futuro. Lungi dall’essere determinati da valori precostituiti (idealismo), l’uomo genera il progetto di sé attraverso la libertà verso cui è condannato: conoscere sé stesso.

Simone de Beauvoir e Jean Paul Sartre: si conoscono a luglio alla Sorbona. Lui, 24 anni, basso, vestito senza cura, strabico, con scarsa propensione all’igiene personale. Grande affabulatore. Lei, la ragazza dell’alta borghesia. Bella, dalla pelle chiarissima, che viene subito attratta dal magnetismo dell’intellettuale.

L’angoscia è dettata da questa consapevolezza, dal sapere che si è liberi di fronte all’essere, poiché si è, per dirla con Jaspers, naufraghi dell’essere, senza quei punti di riferimento che ti veicolano verso una decisione. Nell’azione l’uomo genera se stesso, la libertà nasce dall’atto concreto che si manifesta attraverso l’intenzione umana, “ogni azione deve essere intenzionale” , dice Sartre, “essa deve, effettivamente, avere un fine e il fine a sua volta si riferisce a un motivo”(5). Mediante la consapevolezza della propria libertà, si prende consapevolezza agendo senza influenze e senza condizionamenti, si acquista coscienza del progetto scelto per il mio sé – dice nuovamente Sartre a riguardo: “(…) Io sono infatti un esistente che impara la sua libertà mediante i suoi atti” -, mediante l’agire dunque comprendo di essere libero. Non essendoci strutture basate su valori che determinano le mie intenzioni e non essendo agito da nient’altro che me stesso, i valori rappresentano qualcosa che assume senso nel momento in cui progetto me stesso, sono i valori che diventano il prodotto del mio progettare.
Però questa totale libertà, assume dei tratti che conducono ad una accezione negativa di questa libertà: Sartre parla propriamente di un essere condannato ad essere libero. In espressioni simili, diventa chiaro il fattore che non vi sia una totale felicità alla base di questa libertà, poiché nella libertà di scelta – facendo quest’esperienza diretta dell’angoscia, generata dall’ignoto che si prospetta di fronte alla scelta stessa -, si cela un approccio all’angoscia che porta l’uomo a fuggire da sé e da tale libertà. Sartre definirà questa fuga con il termine “malafede”, che deve essere intesa come forma di menzogna nei confronti di se stessi: essere nei confronti di noi stessi in malafede.
Nel momento in cui pratichiamo la menzogna verso noi stessi, sfuggendo, per paura, all’angoscia generata dalla libertà verso cui siamo condannati, ci sottraiamo al tenere testa alle difficoltà, ai mali, che ontologicamente sono costitutivi della nostra esistenza. Su tale discorso Sartre, edifica un ragionamento che differenzia le funzioni che nell’agire umano, assumendo la volontà e le passioni. Nel capitolo dell’opera, intitolato, “Essere e fare: la libertà”, l’autore ci introduce il rapporto che intercorre in forma soggettiva da due diversi fronti: la volontà, le passioni dell’individuo e la libertà.  Scrive l’autore: “(…) la realtà-umana, nel suo stesso nascere, decide di definire il suo essere proprio mediante i suoi fini”. Dunque nel raggiungimento intenzionale e volontario del proprio fine si scorge, l’individuo in quanto tale, si svela il suo essere. In questo gioco di volizioni, la libertà diventa il fondamento pre-intenzionale dei fini personali dell’uomo, raggiungibili attraverso la volontà e tramite le passioni irrazionali, tutti elementi che già agiscono sull’uomo.
Diversamente c’è da sottolineare come Sartre evidenzi il fatto che nel momento dell’atto, dell’azione, della messa in pratica della scelta, la libertà sia un momento contemporaneo alla volontà o alla passione: vi è soltanto da capire quali entità – tra la volontà e passioni irrazionali -, giochino in questa libertà nell’agire. L’uomo è libero di lasciarsi abbandonare alle passioni, alla paura, al sentimento, alla gioia e farsi trasportare da questi elementi, per giungere a finalità prodotte da questi fattori inconsci. Di contro l’uomo può ritrovarsi ad essere volontariamente libero di assumere un determinato comportamento ed essere intenzionato a raggiungere un fine prestabilito. Si parla di modalità dell’essere o come Sartre stesso dice espressamente: “(…) in rapporto alla mia libertà non vi è alcun fenomeno psichico privilegiato. Tutte le mie maniere di <<essere>> la manifestano ugualmente (…)”.
Si parla di vere e proprie modalità di essere, in cui si manifesta la libertà di scelta del come agire: allora si potrà scegliere di essere volontà o passione, si optare un fine partendo da un punto scelto dal singolo, oppure scegliere ugualmente e in ogni caso l’auto-progettarsi della propria soggettiva libertà.

 

Per approfondimenti:
_Jean Paul Sartre, “L’essere e il nulla” – Edizioni Il Saggiatore, Milano 2002;
_Ernst Bloch, “Teoria ontologica del non-essere-ancora”;
_G. Fornero e S. Tassinari, “Le Filosofie del Novecento” – Edizioni Bruno Mondadori, 2002;
_M. Heidegger, “Essere e tempo” – Edizioni Longanesi, Milano.

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