Le percezioni temporali documentate nell’arte contemporanea

Le percezioni temporali documentate nell’arte contemporanea

di Ado Brandimarte 15/08/2017

Dalla durata biologica dell’esistenza organica, a quella mentale della memoria, il tempo si colloca fra le tematiche di maggior ispirazione per gli artisti, tuttora operanti, e quelli dell’ultimo secolo. I mezzi utilizzati sono molteplici, dalla fotografia alla pittura, materiali scultorei deperibili o capaci di rendere immortali forme fatte a testimonianza dei nostri giorni.
Artisti come lo svedese – appartenente alla corrente della Pop Art –  Claes Oldenburg (1929), con i suoi monumentali hamburger, i coni gelato, i volani e i numerosi oggetti, i quali saranno concrete tracce inestinguibili per le generazioni future. Lo svizzero  – ideatore del “nuovo realismo” – Jean Tinguely (1925-1991) rimane nella storia per il suo livello performativo, con composizioni meccaniche in movimento. Egli ambiva a scongiurare la probabile distruzione della società moderna, già nei primi anni sessanta. Anche Andy Warhol (1928-1987) – massimo esponente della Pop Art (arte popolare) – nelle sue opere ha abbracciato la tematica temporale, diffondendo e parallelamente conservando le memorie della cultura di massa, immortalando il fenomeno dell’adulazione idolatrica degli anni settanta. Il suo campo lo vede muoversi dalle immagini sacre, fino alle Star del cinema, arrivando – infine – agli oggetti di uso comune come Campbells Soup Cans e Brillo Soap Pads Boxes. In questo scritto si focalizzerà l’attenzione su tre artisti dell’arte contemporanea: il franco-polacco Roman Opalka (1931-2011), l’italiano Giuseppe Penone (1947) e il britannico Damien Hirst (1965), in loro sono condensati tre approcci molto differenti al tema.
Roman Opalka nacque nel 1931 in Francia, ad Abbaville-Saint-Lucien. Trascorse l’infanzia in Polonia, paese d’origine dei genitori, vivendo gli orrori della guerra. La sua famiglia infatti, fu deportata in Germania nel 1939, dove visse in condizioni di vita precarie fino al 1945, quando fu liberata dagli americani. Negli anni successivi al 1945, l’artista cominciò a studiare litografia alla Scuola di Arte e Design di Lodz, completando i suoi studi artistici a Varsavia presso la locale Accademia di Belle Arti. I primi lavori di Opalka, una serie di monocromi bianchi, rientrano nelle tendenze riduzionistiche; ma nel 1965 darà una svolta alla sua pittura, sviluppando una ricerca catalogativa concettuale, la quale verrà portata avanti fino alla sua morte, avvenuta nel 2011 meritando l’appellativo di “artista che dipinse il tempo”.

Roman Opalka

Come egli steso disse: “La mia morte è la prova logica ed emotiva del completamento del mio lavoro“. In ogni opera della serie, Opalka dipinge la progressione numerica in bianco su una tela completamente nera, partendo dal bordo a sinistra in alto, la numerazione dei giorni è in ordine progressivo e riempie tutta la superficie della tela. La serie di numeri non parte dallo zero, considerato dal pittore come “fuori dalla tela”, ma dall’uno “elemento base di un tutto”.
Nel caso di errori, l’artista non cancellò mai il numero sbagliato, ma riprende ogni volta la progressione numerica a partire dal numero giusto lasciando la parte inesatta. Nel 1972 dopo aver dipinto il primo milione, iniziò a schiarire progressivamente dell’1% il nero del fondo, per arrivare al grigio e poi al bianco totale, raggiunto con il numero 7.777.777. Nello stesso anno l’artista iniziò a registrare la sua voce, mentre scandiva in polacco la successione numerica di ogni cifra nell’esatto momento in cui la stava dipingendo – pratica che egli definì molto utile dipingendo bianco su bianco.
Sempre nel 1972, decise di abbinare un autoritratto fotografico in bianco e nero scattato nel medesimo giorno di lavoro. Nelle sue foto Opalka mantiene fissi alcuni elementi, come l’espressione, la distanza dall’obiettivo, lo sfondo e la camicia: l’intento è far emergere le trasformazioni “scultoree” del suo volto, testimonianza dello scorrere del tempo.
Traslandoci in Italia, l’artista Giuseppe Penone nasce a Garessio, in provincia di Cuneo, il 3 aprile 1947. Da giovane frequenta l’Accademia di Belle Arti di Torino e nel 1967 entrerà a far parte del movimento dell’arte povera. La sua ricerca nasce dal desiderio di ritrovare un senso e un legame con la natura, infatti nel bosco di Garessio mette in atto una serie di performance mirate a sondare le possibilità che l’uomo ha di interagire con il mondo naturale e di modificarlo.

Giuseppe Penone

Nel 1970 inizia a indagare il rapporto tra il corpo umano e l’ambiente esterno, questa volta cittadino in sintonia con le tendenze della body art (arte del corpo). Il suo primo successo verrà intitolato “Continuerà a crescere tranne che in quel punto“. Questo lavoro nasce dal un contatto tra l’artista e un albero: un lavoro tanto intenso da avergli fatto maturare la convinzione che all’interno dell’elemento arboreo ci sia una memoria. Per questo la decisione di fermare il momento del contatto. Penone vuole rappresentare la mano dell’uomo, nell’atto di lasciare la sua impronta indelebile sulla natura. Quest’opera parla della capacità dell’essere umano di modificarne il corso. Il calco della sua mano è stato realizzato in acciaio e in bronzo. Altra mirabile composizione è il “Cedro di Versailles“. In seguito al lavoro “Continuerà a crescere tranne che in quel punto”, l’albero cresceva e il contatto rimaneva fissato all’interno del legno. Il ragionamento dell’artista fu quello di ritrovare il momento esatto del contatto, da quello ha immaginato che internamente al legno vi fosse la forma stessa dell’albero, al quale ha ridato la luce seguendo la venatura. L’opera fu una piccola rivoluzione all’interno della pratica scultorea, poiché e si ricollega all’idea michelangiolesca, la quale si presenta – spesso – come una scultura “primitiva“, all’interno della materia.
Diversamente Damien Steven Hirst, artista Inglese nato a Bristol nel 1965, tratta il tema della morte. Proveniente dagli studi presso il Goldsmiths College di Londra, è considerato il maggior esponente del gruppo britannico conosciuto come “Young British Artist”. Il tema della fine-vita lo accompagna per tutto il percorso artistico. Steven Hirst apre interrogativi sul senso dell’esistenza e sulle prospettive umane della mortalità, così come l’esorcizzazione della stessa, attraverso lo strumento della medicina, della religione, della procreazione o dell’esaltazione della materialità: concetti profondi, molto spesso in contrasto con la crudeltà della forma.

Damien Steven Hirst

Sua prima opera di grande successo fu il “For the love of God”, (Per l’amor di Dio), una scultura prodotta nel 2007. Quest’opera è una riflessione sulla caducità dell’esistenza umana, la vanitas. Raffigurante un teschio umano, il manufatto è realizzato con platino, denti umani e 8.601 diamanti, per un totale di 1.106,18 carati. Il teschio, simbolo della mortalità dell’uomo, viene qui unito al diamante – materiale più durevole esistente in natura e simbolo di eternità. Questa scultura quindi, si pone come simbolo del tentativo estremo di sconfiggere la morte. Del 1991 è il suo “The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living” (L’impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo)Quest’opera è stata il simbolo dell’arte britannica per tutti gli anni novanta: il corpo imbalsamato di uno squalo-tigre di quattro metri, immerso nella formaldeide all’interno di una grande teca di vetro.
Il titolo riassume in modo molto preciso il concetto dell’evocazione della condizione umana, la quale è sospesa tra la morte e la vita, materializzando l’idea di quest’ultima e fermando il naturale processo di decomposizione del corpo deceduto.
 
Per approfondimenti:
_http://www.ikongallery.co.uk/programme/current/gallery/299/-giuseppe_penone/ ( 2/06/16)
_http://www.ikongallery.co.uk/programme/current/gallery/299/-giuseppe_penone/ (2/06/16)
_www.artribune.com/2013/01/penone-la-scultura-la-natura-e-lartista/(5/06/16)
_www.scultura-italiana.com/Biografie/Penone.htm (13/06/16)
_www.mart.tn.it/penone
_http://www.demetra.net/2013/06/10/giuseppe-penone-lartista-che-dialoga-con-tronchi-foglie-radici/
_http://www.flashartonline.it/article/roman-opalka/
_http://falsariga.altervista.org/l-artista-che-dipinse-il-tempo/
_http://damienhirst.com/biography/solo-exhibitions
_https://www.theguardian.com/artanddesign/jonathanjonesblog/2011/nov/24/damien-hirst-modern-art-tate
_https://it.wikipedia.org/wiki/Damien_Hirst
_http://www.damienhirst.com/the-physical-impossibility-of
_http://www.nytimes.com/2007/10/16/arts/design/16muse.html
_https://en.wikipedia.org/wiki/Roman_Opa%C5%82ka

 

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