06 Ago L’introduzione del reato di tortura in Italia
di Miriana Fazi 07/08/2017
La Camera ha approvato il disegno di legge che introduce il reato di tortura nell’ordinamento italiano con 198 voti favorevoli, 35 contrari e 104 astenuti. Il ddl – di iniziativa parlamentare e a prima firma di Luigi Manconi del Partito Democratico – era stato approvato dal Senato con lo stesso testo lo scorso 17 maggio e quindi è diventato legge. Il corpus normativo del codice penale si è ampliato con l’aggiunta dell’articolo 613- bis. Quest’ultimo disciplina il reato di tortura per la prima volta nella storia dell’ordinamento italiano, che finora è stato tacciato d’inadempienza in merito agli obblighi di incriminazione previsti da varie Convenzioni di matrice europea e internazionale.
Il testo della norma si profila come frutto di un atteggiamento compromissorio che forse, parzialmente, ha “snaturato” l’originale attitudine della disposizione in esame.
In ogni caso, mentre l’articolo 613 bis tipizza la condotta che integra reato di tortura, l’articolo 613 –ter si atteggia a coronamento della disposizione, delineando i parametri normativi dell’’ istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura.
Cosa dispone l’articolo 613 bis?
È prevista la reclusione da 4 a 10 anni per chi “con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa (…), se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”. La fattispecie è aggravata – da 5 a 12 anni di reclusione – se i fatti di cui sopra “sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio”.
N0n rilevano sul piano della punibilità le “sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”. Alcune aggravanti sono previste allorché dai fatti anzi citati conseguano:
_una lesione personale: la pena è aumentata fino a 1/3;
_una lesione personale grave: aumento di 1/3;
_una lesione personale gravissima: aumento della metà;
_la morte quale conseguenza non voluta: 30 anni di reclusione;
_la morte quale conseguenza voluta: ergastolo.
Nel caso dell’istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura (art. 613-ter), si applica la reclusione da 6 mesi a 3 anni al pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio “il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso“.
La disciplina di cui all’articolo 613 bis estende i propri effetti fino a recare modifica all’art. 191 c.p.p., in tema di prove illegittimamente acquisite. Il nuovo comma 2-bis stabilisce la inutilizzabilità delle dichiarazioni o delle informazioni ottenute mediante il delitto di tortura, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale. Ulteriori disposizioni prevedono:
_il divieto di respingimento, espulsione o estradizione di una persona verso uno Stato, quando vi siano “fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura”; a tal fine si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani;
_l’esclusione dall’immunità diplomatica agli stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale; in tali lo straniero è estradato verso lo Stato richiedente nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, in caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, verso il tribunale stesso o lo Stato individuato ai sensi dello statuto del medesimo tribunale.
Ma perché è stato necessario introdurre il reato di tortura in Italia? Dal più recente rapporto di Amnesty International emerge che 112 Paesi nel mondo praticano ancora la tortura. Molti di questi, per contrastare un simile atteggiamento- unanimemente percepito come illecito, si sono dotati di una fattispecie repressiva apposita; ma in questo composito gruppo di Paesi riformatori non figurava l’Italia. Tuttavia il bel Paese ha finito per doversi allineare a questa tendenza: un’ulteriore procrastinazione avrebbe comportato embarghi non indifferenti allo Stato, nel lungo periodo.
Il peso cruciale di questi dati si sommava alla preoccupazione general preventiva che si atteggia a scopo primigenio di ogni stato di diritto. Pertanto, a prescindere dalla radice del sistema giuridico – common law o civil law che sia – non si può contravvenire all’esigenza di rispettare il principio di tassatività e determinatezza della fattispecie penale. Essa, infatti, invade lo spazio di libertà del cittadino, incidendovi in maniera più o meno invasiva in base alla qualità della sanzione (pecuniaria o detentiva). Il reato di tortura, è stato così finalmente predisposto dal legislatore per dirimere quelle controversie aventi ad oggetto fatti di reato non altrimenti incriminabili o, comunque, incriminabili mediante misure ingiustificatamente meno severe rispetto agli standard internazionali.
Alcuni recenti fatti di cronaca, come i casi “Cucchi”, “Aldrovandi” e “G8 di Genova” hanno infine riportato in auge la diatriba sulla necessità di introdurre una fattispecie apposita.
Se ci poniamo il quesito di cosa sia il reato di tortura per l’ONU, osserviamo come la “Convenzione Onu” del 1989 definisce la tortura come “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione”.
La stessa Convenzione precisa che, ai fini della qualificazione del reato di tortura, l’azione deve essere posta in essere da un pubblico ufficiale “o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito”.
Come obblighi internazionali, il divieto di tortura è previsto da numerose convenzioni internazionali sui diritti umani, come la Convenzione Onu contro la tortura del 1989, la Convenzione Europea per la Prevenzione della Tortura e della pene o trattamenti crudeli, e la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. In particolare, la Convenzione Onu del 1989 contro la tortura obbliga gli Stati ad inserire nel proprio diritto penale interno il reato di tortura. Sono moltissimi gli Stati, che proprio al fine di conformarsi a tale obbligo, hanno previsto il reato di tortura nel codice penale e, in alcuni casi, ne hanno sancito il divieto anche a livello costituzionale.
Ora operiamo uno sguardo al diritto comparato: il reato di tortura nel resto del mondo.
Turchia
Nel 2016 lo Stato turco ha abolito “l’Istituzione nazionale per i diritti umani”, a seguito del tentato golpe del 15 luglio 2016.
Il leader turco Erdogan ha stretto ancor più le maglie del controllo e della repressione. Sono aumentate le segnalazioni di torture e maltrattamenti durante i periodi di custodia, nelle zone del sud-est a maggioranza curda, ma ancor di più a Istanbul e ad Ankara. Lo stato d’emergenza ha eliminato tutte le tutele per i detenuti e ha permesso pratiche precedentemente vietate: il periodo massimo di detenzione preventiva è stato portato da 5 a 30 giorni e sono state introdotte misure per impedire per 5 giorni ai fermati in custodia preventiva l’accesso a un legale e per registrare le conversazioni tra cliente e avvocato durante la detenzione e passarle ai pm. Le visite mediche sono effettuate in presenza di poliziotti e i loro esiti arbitrariamente negati agli avvocati dei detenuti. Nell’ultimo anno migliaia di persone sono state rinchiuse in centri di detenzione illegali.
Iran
In Iran la tortura è una tecnica impiegata per estorcere “confessioni”. I detenuti sotto l’autorità del ministero dell’Intelligence e dei Guardiani della rivoluzione sono stati regolarmente sottoposti a prolungati periodi di isolamento. Le denunce di torture sortiscono spesso effetti contrari: fanno proseguire e inasprire le torture e portano a pesanti sentenze. Secondo Amnesty International, i giudici continuano a considerare ammissibili le “confessioni” come prove a carico dell’imputato. Per chi viene arrestato spesso è ignorato il diritto ad accedere a un legale ed è negato anche l’accesso a cure mediche adeguate ai prigionieri politici. Sono in vigore pene disumani e degradanti, equiparabili a torture, quali fustigazioni, accecamenti e amputazioni.
Russia
In Russia torture e maltrattamenti sono pratica diffusa e sistematica durante la detenzione iniziale e nelle colonie penali. Sono stati denunciati recentemente uccisioni, arresti e torture di gay rinchiusi in prigioni segrete in Cecenia. Musa Mutaev, kirghiso, autore del libro Il sole verde, ha subito svariate torture e vessazioni fisiche e psicologiche prima di riuscire a fuggire nel 2004 in Norvegia e diventare scrittore. Nel suo libro racconta i sistemi di terrore usati dalle forze russe per estorcere confessioni indotte: scosse elettriche, rottura di arti, sangue.
Egitto
La drammatica fine di Giulio Regeni, il ricercatore italiano vittima di violenze inaudite e trovato morto in strada il 3 febbraio 2016, è lì impressa nella memoria, a triste monito delle disumane pratiche poliziesche in Egitto. Associazioni per i diritti umani hanno documentato decine di casi di decessi in custodia dovuti a tortura, maltrattamenti e mancanza di accesso a cure adeguate. Si sono praticate torture e maltrattamenti durante le fasi dell’arresto, come pure durante gli interrogatori. Molti sono stati vittime di sparizione forzata. I metodi utilizzati comprendevano duri pestaggi, scosse elettriche o costrizione a rimanere in posizioni di stress.
Israele
Amnesty International leva il dito anche contro Israele. Torture o maltrattamenti sono inflitti nell’impunità a detenuti palestinesi (minori compresi) da agenti dell’esercito, della polizia e dell’agenzia israeliana per la sicurezza (Isa), in particolare nelle fasi dell’arresto e dell’interrogatorio. Le pratiche segnalate: percosse, schiaffi, incatenamento in posizioni dolorose, privazioni del sonno, posizioni di stress e minacce.
Dal 2001 ci sono state mille denunce, ma il ministero della Giustizia, competente in materia dal 2014, non ha avviato alcuna indagine penale.
Palestina
In Palestina la polizia come pure le altre forze di sicurezza della Cisgiordania, la polizia di Hamas e le altre forze di sicurezza di Gaza hanno abitualmente e impunemente torturato o maltrattato detenuti, compresi minori. Tra gennaio e novembre 2016 la commissione indipendente palestinese ha ricevuto 398 denunce tra tortura e altri maltrattamenti (163 da detenuti in Cisgiordania e 235 da detenuti a Gaza) ma non sono mai state condotte indagini indipendenti.
Regno Unito
Il Regno Unito è stato uno dei più veloci nell’attuazione della Convenzione contro la tortura dell’Onu del 1984 e nel prevedere la pena più severa, la detenzione a vita. Il riferimento normativo è il Criminal Justice Act del 1988 dove, nella Parte XI, c’è un’apposita sezione dedicata alla tortura commessa da un pubblico ufficiale e comprende sia quella fisica (“grave dolore o sofferenza“) che quella psicologica (è “irrilevante” se le sofferenze che consentono di definire un atto come tortura siano di tipo “fisico o mentale” o se “siano stati provocati da azioni o da omissioni”).
Qualche obiezione l’hanno però suscitata i commi 4 e 5 dell’articolo 134, che escludono la presenza di reato di tortura se chi ha posto in atto la condotta idonea a provocare gravi dolori o sofferenze possa provare di averlo fatto in virtù di una legittima autorità, giustificazione o scusa. La spiegazione? I commi sono stati inseriti in ottemperanza alla parte finale dell’articolo 1 della Convenzione Onu, in cui il termine tortura “non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate”. Per esempio “un chirurgo che provoca sofferenze nell’esercizio legittimo della sua professione“.
Un’ulteriore disposizione normativa contro la tortura è inserita nello Human Rights Act del 1998, la legge che ha recepito nell’ordinamento interno la Convezione Europea sui Diritti dell’Uomo.
Stati Uniti
Sul fronte Stati Uniti, l’ottavo emendamento della Costituzione americana proibisce di infliggere “pene crudeli e inconsuete“. Non si parla esplicitamente di tortura ma, dagli anni Ottanta, la Corte Suprema americana ha stabilito che la tortura è contro la legge in base all’ottavo emendamento. In seguito agli attentati dell’11 settembre, però, nel 2003 il dipartimento di Giustizia americano dichiarò che “l’ottavo emendamento non trova applicazione” quando si tratta di ottenere “informazione di intelligence da parte di combattenti catturati“. Nel 1994 il “Torture Act” (formalmente noto come Titolo 18, Parte I, Capitolo 113C del Codice statunitense) ha proibito la tortura da parte di dipendenti federali contro persone “in loro custodia o sotto il loro controllo”, fuori dagli Stati Uniti. Ciò non ha impedito lo scandalo delle torture nelle prigioni militari all’estero, Guantanamo in prima fila. Solo dopo anni di polemiche, il presidente George W. Bush, nel 2007, ha firmato un ordine esecutivo per proibire alla Cia qualsiasi trattamento inumano nei confronti di prigionieri catturati nella lotta al terrorismo, impegnandosi a rispettare l’articolo 3 della Convenzione di Ginevra che vieta la tortura contro i prigionieri di guerra. Nel 2009 il presidente Barack Obama ha messo al bando l’uso della crudeltà durante gli interrogatori ovunque nel mondo. Dal 2005 è inoltre in vigore negli Usa il Detainee Treatment Act, che proibisce “pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti” del personale nelle prigioni militari.
Germania
In Germania il divieto di tortura è di fatto contenuto nella Costituzione. Non esiste una norma specifica nell’ordinamento tedesco, ma è presente una serie di articoli di legge del codice penale in cui la fattispecie della tortura è specificata in maniera molto esplicita, con pene di reclusione che possono andare da 3 ai 10 anni. L’articolo primo della Legge fondamentale della Repubblica federale sancisce che è “dovere di ogni potere statale rispettare e proteggere la dignità dell’uomo”. Sempre nel testo costituzionale, al comma 1 dell’articolo 104, si afferma che le persone tratte in arresto “non possono essere sottoposte né a maltrattamenti morali, né a maltrattamenti fisici”.
Non solo. Nel codice penale vi è un esplicito ancoramento agli articoli 3 e 15 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, in cui si afferma che nessuno individuo può essere “sottoposto alla tortura oppure a punizioni o trattamenti disumani o umilianti“, nonché che queste disposizioni valgono anche “se la vita della nazioni è minacciata dalla guerra o da altra emergenza di natura pubblica“.
Francia
La Francia ha ratificato nel febbraio 1986, poco più di un anno dopo la sua stipula, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. È all’articolo 1 della Convenzione che si possono richiamare i giudici francesi quando incorrono in un reato di tortura: questo non è infatti definito con precisione dall’ordinamento giuridico d’oltralpe. Sono i giudici che definiscono, caso per caso, gli “atti di tortura e di barbarie“.
Generalmente, si tratta di azioni violente estremamente gravi, che si traducono in un oltraggio all’integrità fisica della vittima ma senza che ci fosse intenzione di uccidere. L’autore di tali atti dimostra una crudeltà estrema, che suscita l’indignazione generale. Il grado di punizione per tali atti dipende dalle conseguenze, dagli strumenti impiegati e dalle caratteristiche della vittima. Secondo il Codice penale francese, articolo 222, l’autore rischia la condanna a 15 anni di reclusione criminale; la pena può essere aumentata a 20 anni se le vittime sono bambini sotto i 15 anni, persone vulnerabili come anziani, ammalati, invalidi o donne incinte, o ancora se gli atti sono stati commessi utilizzando o minacciando l’uso di un’arma. La pena può arrivare a 30 anni se gli atti di tortura o di barbarie sono commessi su un minore di 15 anni da un parente legittimo, naturale o adottivo o da qualsiasi altra persona che ha un’autorità sul minore, o ancora se gli atti sono commessi da una banda organizzata o in modo ripetuto su un minore di 15 anni o su una persona vulnerabile o se questi atti hanno provocato una mutilazione o un’infermità permanente. Se la vittima muore, può scattare l’ergastolo.
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