Tuttavia, sottolineare l’importanza e il valore particolare di questa conferenza, non implica che alla fine, anche in questo caso, si possa dire che si sono prese decisioni sensazionali o dall’effetto dirompente. Su molti temi la distanza tra i paesi resta troppo grande. Eppure la Merkel ha cercato in ogni modo – aiutata anche dalla sua innata capacità diplomatica – di ottenere quel minimo grado di condivisione che permette di arrivare ad un compromesso. Anche a scapito dell’efficacia delle decisioni prese. Difatti, così è stato, e traspare in un modo o nell’altro nel communiqué finale.
Riguardo al cambiamento climatico, vero e proprio pomo della discordia e tema fondamentale della conferenza, i paesi del G20 si sono limitati a “prendere atto” della decisione statunitense di abbandonare l’Accordo di Parigi, ma allo stesso tempo hanno sancito che esso è – e resta – “irreversibile” per le altre parti contraenti. Se l’UE, Germania e Francia in testa, riusciranno a legare la Cina (principale paese inquinatore al mondo) e l’India agli impegni presi nella capitale francese, come pare avverrà, e considerando anche che molti singoli Stati degli Stati Uniti hanno già detto che si impegneranno per rispettare l’accordo, la decisione trumpiana non sortirà il tanto paventato effetto di rendere de facto inefficace il trattato. Peraltro, va segnalato che – mai come in questa occasione e su questo tema – si è verificata una notevole frattura tra i paesi mondiali, e specialmente tra i paesi del G7 e gli USA. Alcuni commentatori hanno già coniato l’espressione “G19 +1” per sintetizzare l’isolamento dell’America di Donald Trump sul tema, ma forse sarebbe più corretto parlare di un “G6 +1”. Infatti, di certo nell’ambito del G7 la frattura è nettissima, mentre in ambito G20 alcuni paesi potrebbero pur sempre scegliere di schierarsi dalla parte degli USA (ad esempio Arabia Saudita, o Turchia).
Allo stesso modo, parlando di commercio internazionale – un altro tema avvelenato – si è consumata un’altra frattura silenziosa nello scontro tra i fautori del protezionismo e quelli del libero commercio. Così, quantunque nel comunicato finale si scriva che il commercio internazionale va stimolato, in qualità di volano della crescita mondiale, si aggiunge anche che contro le pratiche commerciali scorrette va riconosciuto un ruolo agli “strumenti di difesa”. Ma quali? E su quali prodotti? Come sempre, l’ambiguità dell’espressione non è un buon segno, perché indica che i diretti interessati che hanno fatto pressione per inserire questa piccola frase (ovvero gli Stati Uniti) potranno sfruttare tale vaghezza per avere più margine di manovra. Le voci di corridoio indicano l’acciaio europeo come probabile bersaglio di nuovi dazi che Washington sarebbe pronta ad imporre, arrivando anche al 25%. Così, le relazioni transatlantiche verrebbero invelenite anche sotto l’aspetto commerciale, dopo quello del climate change e il già menzionato fallimento del TTIP.
Riguardo al terrorismo poco si è fatto, ma va detto che il G20 non è il luogo privilegiato dove discuterne e prendere decisioni degne di tale nome. Tra i paesi partecipanti non si riesce nemmeno a trovare una definizione comune riguardo a quali soggetti annoverare tra i gruppi “terroristi” e quali no. Per i Turchi sono i Curdi, ma non per gli Occidentali, mentre il legame tra Arabia Saudita e frange estremiste conclamate è stato ampiamente dimostrato, ma tant’è.
Riguardo all’immigrazione e – lato sensu – alla cooperazione allo sviluppo verso l’Africa, pur in assenza di decisioni definitive, va riconosciuto che la Cancelliera si è prodotta in un notevole sforzo in prima persona per promuovere uno schema di patti bilaterali tra i paesi industrializzati e quelli africani, onde stimolare l’afflusso di capitali e sostenere lo sviluppo economico soprattutto dei paesi della fascia centrale del continente africano. Se non altro, questa rappresenta una novità che mai prima d’ora un paese organizzatore del G20 aveva messo in atto. Al contrario, il problema degli sbarchi di migranti sulle coste italiane non è stato affrontato nel forum, ma la discussione – che di sicuro ci sarà stata a livello informale – principalmente tra il nostro paese e gli altri partecipanti ha fatto registrare toni abbastanza diversi da quella solidarietà di facciata che gli altri paesi sembrano fare a gara per mostrarci, appunto solo a parole.
È stata poi la volta del colloquio Trump/Putin. Analizzato in ogni fotogramma e studiato fin nella mimica facciale o nel linguaggio del corpo, i due maschi alfa, come è stato detto, hanno optato in realtà per una sorta di basso profilo durante il summit. Il presidente statunitense, peraltro, appena il giorno prima dell’inizio del G20, a Varsavia, aveva tenuto un discorso dai toni quasi da scontro di civiltà tra l’Occidente ed il resto del mondo, ammonendo la Russia di smettere di interferire negli affari di altri paesi sovrani. D’altronde, la Polonia non è solo uno dei pochi paesi della NATO che rispetti l’impegno del 2% del PIL da destinare alle spese militari – come hanno sempre richiesto gli Americani – ma anche uno di quelli dove la russofobia è più radicata.
Ma, al dunque, tra i due uomini forti ha prevalso la sintonia o il presunto sforzo per trovare un’intesa (e – chi può dirlo – forse qualcosa di altro?). Tuttavia, l’Ucraina è argomento poco importante per l’America (mentre vale l’opposto per Putin) perché si possa giungere ad una soluzione che non sia il congelamento dello status quo. In modo analogo si è arrivati ad un nulla di fatto sulla Corea del Nord, stante la volontà della Cina di gestire un suo alleato come il regime di Pyongyang che – seppur pericoloso – fa comunque parte di quello che Pechino considera il giardino di casa sua, dove quindi non tollera ingerenze, neppure dagli Stati Uniti. Il principale risultato è stato dunque sulla Siria: un cessate il fuoco nella zona sud-occidentale del paese, che si aggiunge ad altre quattro zone di de-escalation già negoziate in altra sede. Non è un granché, ma probabilmente si voleva dimostrare che il conflitto siriano potrà essere risolto unicamente da un accordo russo-statunitense, cosa che è vera solo in parte, perché in gioco ci sono molti altri attori, dall’Iran alla Turchia, dall’ISIS ad Assad.
In fin dei conti, cosa resta del vertice di Amburgo? Senza alcun dubbio rimarrà la frattura, abbastanza profonda finora, che si è venuta a creare tra gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali. Se aumenterà o meno in futuro dipenderà dalle scelte di Trump. Gli Europei, tuttavia, sembrano aver ormai capito che devono prepararsi a tempi duri. A voler guardare il lato positivo, questo potrebbe essere lo stimolo tanto agognato per far sì che il Vecchio Continente raggiunga finalmente una maggiore unità politica. In ogni caso, l’UE dovrà iniziare a giocare quel ruolo da player mondiale che si addice al suo peso economico e demografico. O altri faranno al posto suo… Nella geopolitica esiste infatti una legge ferrea, l’horror vacui, ed è curioso che soprattutto i sostenitori della distensione Putin-Trump (piuttosto che Russia-USA) non considerino quest’ultimo aspetto.
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