
25 Giu L’idea dello spazio pittorico nel trecento italiano
di Michele Lasala 28/06/2017

Cimabue, pseudonimo di Cenni (o Bencivieni) di Pepo (Firenze, 1240 circa – Pisa, 1302), è stato un pittore italiano. Nella immagine centrale: La Maestà di Santa Trinita, 1290-1300 – 385×223 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze; Pietro Cavallini: Giudizio Universale in Santa Cecilia in Trastevere (particolare), Roma 1293.

Simone Martini e Lippo Memmi: “L’Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita”, tempera e oro su tavola (305×265 cm), del 1333, presso gli Uffizi a Firenze. Si tratta di un trittico ligneo dipinto a tempera, con la parte centrale ampia il triplo dei due scomparti laterali. Considerato il capolavoro di Simone Martini, della scuola senese e della pittura gotica in generale, venne realizzato per un altare laterale del Duomo di Siena. Simone Martini: “La Maestà del Palazzo Pubblico di Siena”, affresco (970×763 cm) che occupa tutta la parete nord della Sala del Mappamondo (detta anche Sala del Consiglio) del Palazzo Pubblico di Siena. L’affresco è datato 1315 ed è considerato una delle principali opere dell’artista, nonché una delle opere più importanti dell’arte trecentesca italiana.

Giotto da Bondone: “Il Giudizio universale”, affresco del 1306 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. Occupa l’intera parete di fondo e conclude idealmente le Storie. Viene di solito riferito all’ultima fase della decorazione della cappella e vi è stato riscontrato un ampio ricorso di aiuti, sebbene il disegno generale sia riferito concordemente al maestro.
Espressionismo che poi tornerà negli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova, il luogo in cui ha avuto inizio veramente la pittura moderna e – oseremmo dire, senza alcun timore di smentita – il Rinascimento. Qui Giotto racconta lungo le pareti laterali dell’Arena le storie di Anna e Gioacchino, di Maria e di Gesù entro riquadri che sembrano quasi dei monitor; mentre nella controfacciata realizza il grandioso Giudizio Universale. Natura e architettura, in questi episodi, convivono in stretto rapporto con gli uomini e con le bestie. In tutte le scene gli ambienti sono descritti con estrema precisione, e la storia sacra entra in intima relazione con la dimensione del quotidiano; gli edifici infatti sono contemporanei a Giotto e i cieli e le campagne sono i medesimi che si possono vedere una volta usciti dalla cappella. Anzi si può perfino dire che i riquadri entro cui il pittore ha rappresentato magistralmente gli episodi biblici non siano altro che delle finestre da cui osservare, al di là delle pareti, ciò che sta accadendo proprio ora su questa e su quella roccia, sotto questo e quell’albero, o davanti a questa e a quella povera capanna. Spazio interno e spazio esterno non si confondono, ma comunicano, determinando una sorta di contemporaneità tra il nostro tempo e quello neotestamentario; come a voler suggerire che in fondo la storia di Cristo non appartiene al passato, ma al presente, perché è qualcosa che sempre accade e sta accadendo anche ora. La scena dell’Incontro alla Porta dell’Oro, dove Anna e Gioacchino si baciano fondendo i loro visi in uno solo, l’azione avviene davanti alla porta aurea della città di Gerusalemme alla presenza di alcune pie donne e di un pastore, che Giotto pone all’estrema sinistra del riquadro. Il ponte su cui Anna e Gioacchino si uniscono nell’amore è l’elemento che mette in relazione due mondi, due realtà: quello rurale dominato dal silenzio e dalla lentezza, e quello urbano fatto di rumori, suoni e innumerevoli voci. Due spazi che dialogano fra loro non soltanto grazie al medium architettonico, ma anche in virtù dei sentimenti, che dai genitori di Maria si ripercuotono nell’animo delle donne sotto l’arco e in quello del pastore con la cesta in mano poco più in là, a dimostrazione che l’umanità trascende le classi e unisce le vite di ciascuno in un unico corpo. In pochi centimetri quadri Giotto, in questo episodio come in tutti gli altri, è stato in grado di raccontare quello che uno scrittore come Pavese avrebbe fatto in un romanzo. Anche in Pavese la campagna e la città sono i luoghi dove si soffre e si ama, ma i tempi in cui tutto questo viene narrato sono più lunghi. In Giotto invece tutto accade nel presente. Qui e ora.
Nella Crocifissione del 1320 (San Francesco, Siena) questa attenta ricerca porta Pietro a dipinge un Cristo dalla anatomia fortemente accentuata inchiodato su una croce che è l’asse portante di tutta la scena. Ai piedi della stessa sono i corpi dolenti delle Marie e di Giovanni Battista, ma in alto, intorno ai suoi bracci, ruotano gli angioletti straziati dal dolore galleggiando in uno spazio fatto soltanto di aria. Il giottismo di Pietro però è già presente negli affreschi con le storie della Passione del 1315-19 nella Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Nella scena della Cattura di Cristo «lo sfondo è dipinto con il tradizionale azzurro ultramarino che nella pittura murale medievale era equivalente al fondo oro delle tavole dei mosaici; tuttavia nel cielo notturno appaiono stelle a distanze irregolari, che riprendono l’effettiva disposizione delle costellazioni, mentre la falce della luna tramonta dietro un costone roccioso» . È questo uno dei primi e lirici notturni della storia dell’arte.

Altichiero da Zevio: “La Crocifissione” è dipinta entro tre arcate, ma le diverse scene sono trattate come un unico spazio. Al centro la Croce, isolata in alto e contornata da angeli, ricorda il medesimo soggetto di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, al pari del gruppo delle pie donne. Ma straordinario è il dispiegarsi della folla attorno al Golgota, con un campionario di stati d’animo e di scene di vita quotidiana che non ha paragoni in un soggetto del genere: soldati indifferenti, passanti, spettatori incuriositi o inconsapevoli, madri coi bambini alla mano, persone che commentano… e poi le scene secondarie, come quella degli sgherri che rientrano in città, o quella delle vesti tirate a sorte, il tutto con una tale vividezza che pare di trovarsi di fronte ad un vivido spaccato di una piazza trecentesca, con un’amplissima gamma di tipi umani e di atteggiamenti emotivi.
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