La cattedrale di Santa Maria Annunziata ad Otranto, in Puglia, è una fabbrica medievale, la quale conserva una storia di commistioni culturali e di unicità interessanti. Questa chiesa fu consacrata nel 1088 dal legato Pontificio Roffredo Arcivescovo di Benevento e dedicata alla Madonna Annunziata. L’architettura è in stile romanico, come si evince dalla facciata a salienti; l’esterno mantiene sostanzialmente il suo aspetto originale nonostante il rosone ed il portale siano stati costruiti in epoche successive. L’interno è diviso in tre navate da due file di 14 colonne con capitelli eterogenei.
La facciata medievale a doppio spiovente è stata oggetto di numerosi rimaneggiamenti susseguitisi nei secoli. All’indomani delle devastazioni inflitte nel corso dell’occupazione turca del 1480, fu edificato il grande rosone a 16 raggi con fini trafori gotici di forma circolare convergenti al centro, secondo i canoni dell’arte gotico-araba. Nel 1674 fu aggiunto il portale barocco, composto da due mezze colonne scanalate per lato che sorreggono l’architrave con lo stemma dell’arcivescovo Gabriel Adarzo de Santander retto da due angeli. Ai lati della facciata si aprono due monofore. Un altro portale minore è presente sul lato sinistro della basilica; fu edificato tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo da Nicolò Fernando per volontà dell’arcivescovo Serafino da Squillace che fece scolpire la propria figura sulla struttura.
La pianta basilicale, è composta da tre navate, di cui quella centrale in rapporto di 2:1 con le due laterali. Le navate sono divise da quattordici colonne di marmi diversi e con capitelli di varie fogge, in parte provenienti da edifici antichi. Il transetto non fuoriesce dal perimetro del corpo longitudinale ed è collegato ad esso con l’arco di trionfo a tutto sesto e due archi longitudinali più bassi, mente sul presbiterio si aprono 3 absidi, inglobate nel muro perimetrale – le due laterali trasformate in cappelle oggi appaiono poligonali, mentre quella centrale è semicircolare -; il transetto è percorso da due ampi arconi ribassati che delimitano il presbiterio. Gli archi fra le colonne sono di gusto arabo di forma a ferro di cavallo. Due scale, poste nelle navate laterali, conducono alla cripta. Questa è costituita da una selva di 42 colonne, di provenienza e materiali diversi molte delle quali di reimpiego. Tra i capitelli più belli, spiccano quello dei leoni e quello delle arpie ma ve ne sono di diversissimi, dorici, corinzi, bizantini e persino di influenza araba.
L’interno, come l’esterno, risulta molto rimaneggiato dopo la riconquista cristiana del 1480 e poi in epoca barocca. Il vero tesoro medievale di questa chiesa resta il suo mosaico pavimentale, un capolavoro dell’arte musiva del XII secolo. L’opera fu voluta dal vescovo di Otranto e ideata dal presbitero Pantaleone. Proveniente dal vicino monastero di San Nicola di Casole. I lavori furono eseguiti tra il 1163 e il 1165: ad oggi è uno dei più grandi mosaici in Italia.
La complessità e la vastità dei personaggi, delle scene allegoriche e della simbologia di quest’opera hanno sollevato dubbi e discussioni tra gli storici. La struttura si articola in un gigantesco albero della vita, che comprende tutta la navata e si dirama in girali che incorniciano diverse scene.
Si passa da brani dell’antico testamento come il peccato originale di Adamo ed Eva, l’uccisione di Abele da parte di Caino, il diluvio universale, l’arca di Noè e re Salomone, a scene del tutto profane. Anche se lo stile è piuttosto semplice e privo di profondità spaziale, le figure hanno una grande dinamicità e riescono benissimo a comunicare allo spettatore l’azione ed il movimento. Tra i personaggi che possiamo identificare con sicurezza perché compare il nome, troviamo Alessandro Magno in sella a due grifoni. Secondo una leggenda, tramandata dalla tradizione del Romanzo di Alessandro dello Pseudo Callistene, il grande re greco avrebbe voluto volare fino al cielo.
Nelle immagini sono riportati alcuni personaggi celebri del mosaico, (da sinistra a destra) come Alessandro Magno, Re Artù, la sirena, Eva-il serpente-Adamo.
Per questo avrebbe spinto due grifoni a trasportarlo in volo sempre più in alto allettandoli con della carne (che tiene in mano nel mosaico). Nel pensiero dell’epoca questa scena potrebbe essere interpretata come tracotanza e mancanza di rispetto verso Dio. Un altro sovrano che ci stupisce molto trovare all’interno di questa composizione è Artù, il mitico re dei romanzi cortesi attorno a cui si costruì tutta la saga dei cavalieri della tavola rotonda. Il fatto che sia rappresentato ad Otranto in un’epoca così precoce rispetto alla diffusione a noi nota dei cicli arturiani ne fa probabilmente la più antica rappresentazione della storia.
Non solo: nel mosaico della cattedrale di Otranto il rex Arturus è rappresentato a cavallo di un caprone, notoriamente figura satanica nell’immaginario medievale. Il significato ci appare dunque oscuro, considerando che nei poemi cavallereschi Artù viene raccontato come un re giusto, devoto e saggio.
Il mosaico di Otranto è considerata oggi come un’enciclopedia del sapere e dell’immaginario medievale per la ricchezza e la vastità del repertorio a cui attinse il colto Pantaleone. Anche il fatto che il suo nome compaia scritto proprio all’ingresso della cattedrale è insolito, ma testimonia l’importanza che doveva ricoprire questo personaggio nella zona. La simbologia, sicuramente complessa ma anche criptica per i contemporanei che non hanno più le chiavi di lettura per comprendere a pieno il disegno di Pantaleone rendono questo mosaico ancora più affascinante. Le 600.000 tessere che compongono la pavimentazione della cattedrale di Otranto
sono parzialmente lacunose, ma il significato generale appare piuttosto chiaro: si tratta di una rappresentazione dell’umanità, in tutte le sue forme e di un percorso iniziatico attraverso i vizi in direzione della redenzione.
Accanto alle figure mitiche e dell’antico testamento, vediamo anche i dodici mesi dell’anno, il lavoro dell’uomo, animali mitici come l’unicorno, e reali, quasi a costituire un bestiario. Mostri come le sirene, simbolo del peccato carnale, centauri, rappresentazione della bestialità, un drago, un leone con una sola testa e quattro corpi, un’amazzone e alte strane creature arricchiscono il repertorio incredibile che Pantaleone pensò per la decorazione di questa meravigliosa cattedrale.
Il mosaico di Otranto è la rappresentazione della vita, in tutte le sue contraddizioni e nella continua lotta tra bene e male, peccato e salvezza: come infatti accanto al paradiso compare una rappresentazione dell’inferno, accanto ai simboli dei peccati capitali vi sono rappresentazioni delle virtù. Il mosaico deve infatti essere letto nel suo complesso: le due braccia del transetto ospitano una inferno e paradiso e l’altra varie figure tra cui Atlante, il titano condannato da Zeus a reggere sulle sue possenti spalle la volta celeste. Questa figura nel medioevo fu molto utilizzata per rappresentare l’uomo schiacciato dal peso dei peccati.
Come spiega Laura Pasquini nel suo articolo“salendo lungo la navata centrale della cattedrale di Otranto (secolo XII) , il grande albero a mosaico indica la via che conduce alla salvezza, mentre tra i suoi rami, fitti di ornamenti e immagini simboliche, alcune scene paiono rammentare al fedele tutti gli ostacoli che l’essere umano potrà incontrare nel suo percorso verso l’abside, che è pienezza spirituale. Quali exempla insigni di ubris punita, vanno dunque letti gli episodi dell’Ascensione di Alessandro e della costruzione della Torre di Babele; come immagine dell’inganno per eccellenza e manifestazione subdola del Male (il quale, come nella realtà, adopera a volte per palesarsi le stesse fattezze di Dio) va interpretato invece il grande leone quadricorpore che, nel settore sinistro dell’albero, poggia i suoi poderosi artigli sul dorso di un mostro serpentiforme, a sua volta intento a divorare un altro anguide”.
E’ nella navata centrale che si sviluppa la maggior parte del disegno di Pantaleone. Partendo dall’alto, e dunque dall’altare, troviamo i vizi e le virtù degli uomini.
Appena sotto c’è il giardino dell’eden, quindi la cacciata dal paradiso terrestre e subito sotto i dodici mesi dell’anno. Il tempo smette di essere quello di Dio e del Paradiso e diventa tempo dell’uomo, del lavoro della terra a cui è stato condannato dopo il peccato originale, dei ritmi della natura. Poi la narrazione continua con Noè ed il diluvio universale, la torre di Babele, vari personaggi appartenenti al mito ma anche alla storia vera e propria. Non è infrequente che in quest’epoca la storia e le antiche leggende venissero confuse e mischiate.
L’albero della vita, da cui si dirama tutta questa narrazione, è sostenuto da due elefanti, il cui significato non è del tutto chiaro, come quello di molte altre parti del mosaico. All’occhio dei contemporanei non risulta infatti facile interpretare la simbologia dell’opera di Pantaleone in quanto molte di queste figure possono essere viste sotto diversi aspetti e significare una cosa o il suo perfetto opposto, come abbiamo potuto vedere.
La cattedrale di Otranto, anche nei secoli successivi preservò quest’opera straordinaria nonostante i diversi interventi e le vicissitudini della storia. L’edificio infatti, divenne una moschea dopo la conquista turca del 1480. A ricordo del violento scontro militare e culturale di questa guerra, sono conservati nella chiesa i teschi degli 813 cittadini cristiani massacrati perché non vollero rinnegare la propria fede. Otranto e la sua cattedrale ci dimostrano come la commistione di influenze culturali possa dare vita a orribili delitti ma anche a capolavori incredibili, come questo mosaico straordinario.
_Hubert Houben, Otranto nel Medioevo: tra Bisanzio e l’occidente;
_Rossella Cataldo, Giorgio De Nunzio, Integrated methods for analysis of deterioration of cultural heritage: the Crypt of “Cattedrale di Otranto” in Journal of cultural heritage;
_Laura Pasquini, L’Amazzone, demone della diversità, nella Leggenda del Prete Giannie nel
pavimento musivo della cattedrale di Otranto.
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