Il Futurismo e il concetto di Avanguardia

di Giovanni Tartaglia 31/05/2017

Perché scrivere una sorta di critica quando i critici non servono? Perché scagliarsi contro intere generazioni? Perché inimicarsi qualcuno con il proprio pensiero, sia esso produttivo o inutile?
La risposta a tali quesiti, può essere riassunta in un’unica risposta: è l’Avanguardia dell’arte. Non si può aderire ad un’idea solo accettando passivamente le condizioni imposte, il progresso è dietro l’angolo e bisogna raggiungerlo, scavalcando gli ostacoli del presente.
Filippo Tommaso Marinetti fu un visionario, un veggente – con il Futurismo lui tentò di “prevedere il futuro”, con successo, idealizzando a tratti la realtà di oggi; Nel 1908 Marinetti si scaglia, becero, irruento, travolgente, dinamico, contro il mondo del vecchiume dominato dalla borghesia fatta da “anziani” e fonda il Movimento Futurista – aveva trentadue anni. Il primo Futurismo è poetico, quasi romantico, per gli artisti che vi aderiscono. Personalità quali Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo (ai profani, nomi probabilmente sconosciuti, dacchè, in ambito accademico, si è ritenuto necessario “oscurare” queste personalità, per motivazioni di cui si parlerà in seguito) aderiscono al progetto e, sotto la guida folle e febbricitante di Marinetti, fanno “guerra” alle istituzioni del tempo.
C’è da dire che il Futurismo, come pensiero – così come lo pose il suo responsabile -, ha fatto scandalo sia nell’epoca in cui questo è nato – per il suo dinamismo, velocità e industria – e potrebbe far scandalo anche oggi, dato che si tendeva ad esaltare il militarismo, il nazionalismo e la guerra, che veniva intesa come “igiene dei popoli“.
Una vera e propria anarchia, quella ipotizzata dai primi Futuristi, che erano anche i pensatori, gli ispiratori di molte delle Avanguardie europee (Dadaismo, Cubismo, De Stijl), tutte pressappoco contemporanee nella loro creazione.
La vera colpa di questo movimento artistico, che pure contribuì largamente allo sviluppo dell’Arte moderna e contemporanea come la conosciamo adesso, fu’ di fatto appoggiare politicamente il fascismo, che in parte si impadronì delle idee Futuriste, svuotando il sacco di innovazione proposte da questi artisti, e lasciandoli abbandonati al loro destino. Le difficili relazioni tra Futuristi/anarchisti della prima ora e Fascisti, pose di fatto una lapide sul già decadente movimento avanguardista, con la “resa” concettuale di Marinetti, che morì asservito ai principi della Repubblica Sociale Italiana.
Nonostante il generale “disprezzo” della critica d’arte italiana e contemporanea nei confronti del Futurismo, questo movimento d’Avanguardia regalò all’Italia e al mondo un ventennio di pura innovazione e sperimentazione artistica.
Ogni ambito dell’Arte (e non solo) fu influenzato dalle giovani menti di artisti italiani che diedero la loro interpretazione al mondo tramite le loro opere. Correnti gemelle si diramarono nel mondo (il Futurismo Russo è tra i più celebri esempi di questa espansa influenza), frattanto che artisti del calibro di Boccioni – ed altri – si interrogavano sulla necessità di trasmettere il dinamismo nella pittura e nella scultura, creando celebri esempi dell’arte di quell’epoca e della sua rumorosissima denuncia nei confronti Ancien Régime del XX secolo.

A sinistra: Gerardo Dottori, “Il Duce” – 1933. A destra: Enrico Prampolini, Dinamica dell’azione (Miti dell’azione. Mussolini a cavallo). 

Basti pensare all’ideazione stessa dell’Aeropittura, uno stile pittorico che prevedeva quadri in vedute dall’alto, prospettivamente simili a quelle visibili in volo, uno stile del tutto innovativo, indipendente da qualsiasi altra influenza dell’epoca, che si proponeva a celebrazione della macchina più rivoluzionaria di quel secolo: l’aeroplano.
La genialità e l’importanza del Futurismo, però, non va solo ricercata nel suo ruolo di Avanguardia, ma anche nella testimonianza che essa ebbe – in riferimento all’arte italiana – rispetto al periodo storico in cui si sviluppò. Ieri come oggi, il mondo stava cambiando; le automobili invadevano le strade, la rivoluzione industriale di massa aveva raggiunto ogni anfratto del globo, fu questo il trampolino di lancio di artisti “ansiosi” come Boccioni (da molti definito il più grande artista italiano della sua generazione), che negli anni a cavallo tra il 1910 e il 1915 produsse opere come “Forme uniche della continuità nello spazio”.
In campo architettonico, Antonio Sant’Elia visionò la nuova “forma” d’urbe: “la città futurista“.  Tale città utopica e del desiderio, appare già nella prima pagina del Manifesto del futurismo di Marinetti, pubblicato su Le Figaro a Parigi il 20 febbraio 1909: “Avevamo vegliato tutta la notte (…) discutendo davanti ai confini estremi della logica e annerendo molta carta di frenetiche scritture. (…) Soli coi fuochisti che s’agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nella pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d’ali, lungo i muri della città. Sussultammo a un tratto, all’udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in festa che il Po straripato squassa e sradica d’improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso gorghi di un diluvio. Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l’estenuato borbottio di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell’ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici”.  Dunque la città diviene il luogo privilegiato della modernità, la quale con forza travolgente, incarna il futuro e la velocità che crea il movimento. Luci, rumori sconquassano il paesaggio e ne moltiplicano i punti di visione.
La “Città Nuova” deve nascere e crescere contemporaneamente alla nuova ideologia del movimento e della macchina, non avendo più nulla della staticità del paesaggio urbano tradizionale.
Uno degli elementi nuovi, oltre l’aeroplano, è sicuramente il treno. Una delle opere più rilevanti è “Stati d’animo, gli addii” di Umberto Boccioni. In quest’opera, protagonista assoluto è il convoglio ferroviario (preso come soggetto da molti altri Futuristi), cui la sua modernità “arcaica” trasmette quasi nostalgia, angoscia. Il dipinto racconta della partenza, delle sensazioni provate dalle figure a stento stilizzate e visibili tra i fumi della locomotiva che sta per mettersi in cammino. Lo scorcio racconta i legami affettivi di coloro, i quali sono destinati a prendere il treno al vagone 6943. In effetti, ad analizzarlo, il quadro è un misto di stili: lo si può interpretare come cubista o espressionista, ma il vero collante che lo tiene insieme è la ricerca del movimento nella staticità della tela: punto di forza del futurismo, chiave di volta per l’interpretazione della realtà e della sensazione umana.

Da sinistra a destra: Umberto Boccioni, “Stati d’animo, gli addii” 1911; Antonio Sant’Elia, La città nuova. Casa a gradinata con ascensori esterni. 

Boccioni non fu l’unico ad interrogarsi sulle sensazioni umane, sia pure attingendo al dinamismo e alle forme del movimento; Gino Severini, che pure fu tra i soci fondatori del Manifesto dei pittori futuristi, venne definito, da Theo van Doesburg, ideatore del psychisch kubisme (cubismo psichico) proprio per le capacità introspettive dei suoi quadri, e la sua ossessiva ricerca di un “senso oltre l’immagine”.
Al di là delle prese di posizione politiche (per altro molto discordi tra loro durante le varie “fasi” del movimento) è innegabile l’importanza di questo gruppo di pensatori. Il Futurismo, infatti, fece un passo avanti rispetto al resto delle Avanguardie del 900, dacché non solo produssero materiale artistico esplorando ogni forma d’arte,  ma idealizzarono una vera e propria società, costruendola dal disegno architettonico (celebri sono gli schizzi realizzati da Antonio Sant’Elia con la sua “Città Nuova”), passando per la grammatica (le “parole in libertà”, stile letterario in cui le parole non hanno necessariamente un legame tra loro, indifferenti alla sintattica e alla grammatica) fino alla sua struttura sociale, che si rifaceva al primo Manifesto del futurismo, scritto di pugno da un Marinetti inebriato dal mito della modernità.
I futuristi non furono amati al tempo come non lo sono ora, ma è importante che non si perda il ricordo della loro importanza. Nel bene o nel male, purché se ne parli.

 

Per approfondimenti:
_Autori vari per catalogo mostra, Aereopittura, arte sacra futuriste. La Spezia, 1931;
_D’Orsi Angelo, Il futurismo tra cultura e politica. Reazione o rivoluzione?, Salerno Editore;
_Guerri Giordano Bruno, Filippo Tommaso Marinetti / Invenzioni, avventure e passioni di un Rivoluzionario, Arnoldo Mondadori Editore;
_Agnese Gino, Umberto Boccioni. L’artista che sfidò il futuro, Johan & Levi Editore.

 

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